Fabrizio Dall’Aglio AUTOANTOLOGIA – POESIE (1975-2006)

Fabrizio dall'aglio (1) Fabrizio Dall’Aglio è nato nel 1955 a Reggio Emilia. Vive tra Reggio Emilia e Firenze, impegnato in attività di carattere editoriale e librario. Ha pubblicato: Quaderno per Caterina. Poesie e brevi prose 1975-1980 (Reggio Emilia, Libreria Antiquaria Prandi, 1984); Versi del fronte immaginario, 1982-1983 (Reggio Emilia, Libreria Antiquaria Prandi, 1987); Hic et nunc. Poesie 1985-1998 (Firenze, Passigli, 1999); La strage e altre poesie. Resti di cronaca, 1975-1982 (Valverde, Il Girasole, 2004); L’altra luna. Poesie 2000-2006 (Firenze, Passigli, 2006).

fabrizio dall'aglio cop.

da LA STRAGE E ALTRE POESIE (1975-1982)
(Valverde, Il Girasole, 2004)

Millenovecentoquarantacinque

Ieri. La città addormentata
si è scossa. Un uomo
ha parlato di fede
e una macchia rossa
si è allargata sul petto.
«Ho saputo dimenticare,
soldato, ti ho scordato»,
ha detto la sua donna.

Fabrizio dall'aglio BBOggi, all’appello dei vinti
mancano in tanti.
Giovani e anziani, eroi,
cani, santi
senza stinchi.
Gli altri si sono già visti
e contati.
Tristi, come canzoni stonate.
Biechi, anche un po’ storti.
Son morti nati,
prestati al caso,
non hanno nome.
Continuano
a dirigere le sorti,
a risparmiare,
a reggere il moccolo di Dio
fino alla méta.

Coraggio, amici
che prima di annegare
ci si disseta.

*

Epilogo

Bambini, guitti quasi, tutti e tre
con un rotondo cappellino calcato sulla fronte,
due dalle braccia spalancate all’aria
e reggono un bastone,
il terzo tutto intento ad accoccolarsi,
guitti quasi,
cavalcando uno steccato.

Donne, molte donne,
i cesti della spesa di vimini, forse
donne dalle teste inchiodate al tronco,
quasi senza collo,
vecchie carcasse usate ed abusate,
donne anche recenti,
madri.

Uomini, ma storpi, questo sì
nel corpo e nel cervello,
incoscienti, giocherelloni
che si rincorrono
che si strascinano,
saltellanti anche.

E bestie – tante
cani, gatti, maiali, vacche,
galline zoppe,
conigli, asini, capre…

Basta. Il gesto è chiuso.
Nessuno ha più diritto di nessuno.
Niente più niente.

Fabrizio dall'aglio la otra luna

da HIC ET NUNC. (1985-1998)
(Firenze, Passigli Editori, 1999)

Come sono giovane,
fanciulle antiche!
Cercate
fra le vostre ferite
ricordi,
il mio nome.
Io non ero, allora
neanche una parola
in testa al cielo.
Che soddisfazione.
Voi
attaccate al bastone
di un impiegato pigro,
osannavate la vita.
Io non ero nemmeno
l’acquazzone del piacere.
Le sere si scioglievano
lente, veloci
tristi, felici.
Io nemmeno
alle radici dei testicoli.
Voi
nei vicoli bui
a succhiare il tempo
con le gonne alzate.
Io non sentivo
latrati, preghiere.
Il mondo
sprofondava da solo
nel suo lenzuolo funebre,
sprizzando salute.

*

fabrizio dagll'aglio hic-et-nuncL’idolo sorridente
ha quattro mani
e un geloso vivaio di noia.
Partito
per mondi lontani
ripete la gioia del niente
senza fine,
il rito
ormai scheletrico
dell’esistenza.
E intanto concima lo spirito
perché ama il concime.
A lungo ha riflettuto
sopra il magico sputo
da cui è nato,
e il codice genetico
e i filamenti del DNA
che immagina
come zucchero filato
con appese le sorti
dell’umanità.
Scienziato oramai senza eredi
ha scelto per l’uomo l’oblio:
dovrà andarsene
in punta di piedi
come già aveva fatto il suo dio.

*

fabrizio dall'aglio con il caneAvevo cambiato pianeta.
Continuavo la mia vita
sulla terra,
ma avevo cambiato pianeta.
Succedevo a una morte
-la mia stessa-
accaduta altre volte
altre volte ripresa.
Illesa a me la vita proseguiva
rinfrancava le forze, aderente
alla mia duttile materia
di impasto fertile,
intermittente.
Così cestinavo le mie vite
vivendone una,
come per una meta stabilita;
dal mio nuovo pianeta mi osservavo
ed ero io a camminare
sopra il vecchio pianeta,
io in tutto uguale
alla mia vita prima della morte.
Fremeva la mia anima animale
appesa
al cappio inseparabile del tempo;
la guardavo distratto
nel piacere dolore
di un esperimento
che non mi riguardava.

*

fabrizio dall'aglio (2)La musica inespressa delle cose
vibrava nel mio corpo ingigantito
per l’esplosione, sorda, ammutolita
l’estatico finale della stirpe.

Giacevo nel mio letto di dolore
seguendo le mie linee sulla mano
era la vita, il solco nella pelle
come una lunga scia della memoria:

persone – già sgombrate in ritirata
affrante, trascinate alla deriva
amate, quanto amate, e senza fondo
era il mio corpo che le consumava

e cose – accantonate, senza spazio
immobili e consunte nell’attesa
il Dante di metallo, la conchiglia
la forbice firmata, la specchiera

persone – le vedevo tutte in fila
come il plotone della mia condanna
il mio dolore nelle vite loro
tornate a reclamare la mia fine

e cose – ripetevano il mio nome
quel nome sconosciuto che inseguivo
nel margine di vita dileguata
che finalmente mi sopravviveva.

Eran le cose la mia vita eterna
quella stessa che ora mi sfuggiva,
che sentivo nel sangue prosciugarsi
per un trionfo che mi rinnegava.

Fabrizio dall'aglio l'altra luna.

da L’ALTRA LUNA. (2000-2006)
(Firenze, Passigli Editori, 1999)

La stagione prolissa dell’infanzia
si è barricata nella mia memoria
lascia filtrare qualche resto opaco
che mi compone e si compone forma

Al passo del suo tempo ho costruito
l’anello che mi lega alla scrittura
pura insostanza immagine figura
che mi compone e si compone forma

Il battito del sangue è nella pagina
ma nel bianco che riga le parole
il bianco che le sfugge e che le anima
e le compone e mi compone forma

*

C’era un suono, e mi sembrava
il vuoto di una casa, porte aperte,
tutto aperto, cassetti, ante, finestre,
un suono che passava, i quadri
che battevano nei muri, le tende
gonfie d’aria, avviluppate,
e fogli, fogli pieni di parole
un castello di carte senza senso,
pizzi, bottiglie, piatti, tovaglioli
tutto disperso, tutto senza posto
un suono scritto come voce, e inchiostro,
inchiostro sopra il pavimento.

*

Conobbi la mia morte e la adorai
come l’ultimo frutto, il più proibito
nel corpo che ostentava le sue piaghe
di attesa di parentesi o raggiro.

Quel gioco simulava la mia vita
ancora abbarbicata e già sospesa
che sminuzzavo e intanto rilanciavo
come ultima mano da giocare

offerta come un dono, un sacrificio
da prendere o lasciare, l’occasione
per fingere in extremis la mia storia
l’uscita per l’applauso terminale.

*

Fabrizio dall'aglio (1).

Nostro bisogno di consolazione

a Stig Dagerman

Eppure ho amato questa storia distorta
che aveva il fascino di una curvatura
del tempo, un moto obliquo, ciclico
di smarrimento universale. Da qui
da questa estate morta nel gelo
da questo essere plurale che mi avvolge
e svolge mi ritrovo
come nell’uovo inanimato e esangue
che mi ha partorito.
Io solo e nudo
ingigantito nel dormiveglia.
Io gli altri, fisso nei loro cuori
sudori amori di questo solo cielo
di questa sola specie arroventata.
Io dio, là, nell’esplosione
onniassente, immacolato
e sbriciolato
nella nube cosmica.
Io noi. La connessione
che riannoda il filo
per il nuovo avvento.
L’immagine sfinita chiede tempo
si sgrana su se stessa, si depone.
Poi ricompone la sua nebulosa
in un anfratto di stelle più vicine
là dove al confine
del cosmo delle cose
gli esseri si toccano, uguali, tutti.
Nostro principio d’indeterminazione
nostra incertezza patente e plateale
nostro universo unico e plurale
che dispone le azioni in un’attesa,
come un sigillo di rieducazione.
Nostro bisogno di consolazione.

2 commenti

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2 risposte a “Fabrizio Dall’Aglio AUTOANTOLOGIA – POESIE (1975-2006)

  1. Basta. Il gesto è chiuso.
    Nessuno ha più diritto di nessuno.
    Niente più niente.
    *
    …e mi sembrava
    il vuoto di una casa, porte aperte,
    tutto aperto, cassetti, ante, finestre,
    un suono che passava, i quadri
    che battevano nei muri, le tende
    gonfie d’aria, avviluppate,
    e fogli, fogli pieni di parole

    “Chiuso” e “vuoto” sono i due aggettivi che stanno ad indicare che c’è un’altra cosa di cui si parla, si vorrebbe parlare, ma di cui non si ha la possibilità di parlare… è quella “cosa” che sfugge alla linearità del linguaggio (per cui i fonemi, combinati con i fonemi si succedono nel tempo della pronunzia o nello spazio della scrittura, senza mai sovrapporsi). C’è qui, ed è presente, un discorso alternativo che si diparte e si intreccia al discorso principale.. operazione questa che viene fatta mentalmente e, spesso, inconsapevolmente, dall’ascoltatore, ma in realtà è molto più agevole per il lettore, che può tornare più volte su una frase, individuarne gli elementi in qualche modo connessi, e agganciarli in più discorsi alternativi. Va notato che questi discorsi che il lettore viene facendo mentalmente, sono di tipo asintattico, solo sintattico invece è il discorso portante.
    La poesia di fabrizio Dall’Aglio punta dritto alla operazione percettivo connettiva del lettore, lo costringono a concentrarsi sulla linea dianoetica del messaggio, a sviluppare un altro discorso, e perfino un anti discorso. In tale accezione grande spazio ha in questa poesia il retorismo della deviazione, dello shifter, del cambio di binario, della mossa del cavallo… in modo da far sbilanciare dalla sella lo sguardo tranquillo del lettore, disarcionarlo dalla sua tranquilla visione del reale.
    In fin dei conti se c’è un discorso, ci deve essere anche un anti discorso. Così come se c’è la materia, ci deve essere da qualche parte anche l’antimateria…

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  2. pietro1968

    Tanto di cappello all’economia, alla pulizia, a molti versi memorabili in grande coerenza di percorso, e di discorso. Raro. E divertente! Finalmente un poeta che ci ricorda di sorridere con intelligenza.

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