Paradigma dello Specchio – Quattordici Poesie per quattordici poeti sul tema dello specchio, a cura di Gino Rago – Poesie di Ezra Pound, Sylvia Plath,  Wislawa Szymborska, Francesca Dono, Kikuo Takano, Donatella Costantina Giancaspero, Letizia Leone, Lidia Popa, Edith Dzieduszycka, Ewa Lipska, Alejandra Alfaro Alfieri, Gino Rago, Annalisa Comes, Giorgio Linguaglossa,

Foto Lo specchio

La tematica dello specchio, insieme a quella dell’identità, svolge un ruolo centrale nella nuova poesia della «nuova ontologia estetica»

Quattordici  poeti si confrontano con il Paradigma dello Specchio. La tematica dello specchio, insieme a quella dell’identità, svolge un ruolo centrale nella nuova poesia della «nuova ontologia estetica».  La parola «specchio» deriva da «speculum», ed ha la stessa radice di «speculazione», cioè pensare qualcosa in rapporto ad un’altra. Lo «specchio» ci mette dinanzi agli occhi una immagine nella quale spesso non ci riconosciamo, e ci invita a pensare noi stessi in rapporto a ciò che vediamo riflesso nello specchio. È dal non-riconoscimento che ha inizio la speculazione intorno a ciò che noi siamo e ciò che non siamo; è attraverso l’immagine esterna a noi che possiamo speculare intorno a ciò che siamo o non siamo, perché ciò che noi vediamo di noi è sempre altro da ciò che noi credevamo di sapere…

«Lo specchio non capta altro se non altri specchi, e questo infinito riflettere è il Vuoto stesso […]».

 (Roland Barthes)

l’immagine allo specchio ci rivela il nostro sembiante come un «gioco» di significanti e di significati, di codici e di geroglifici inscritti tra le pieghe del nostro volto […]

Un  contesto di «gioco» nel quale la Parola, nel suo significato, rischia di farsi ambigua.  Da questa ambiguità trae l’origine il  «lutto» e da questo l’ impedimento al pieno dispiegarsi dell’adempimento nel tempo della «Storia».

La storia individuale è quindi una ripetizione del «gioco luttuoso» del Trauerspiel, ripetizione infinita della rottura, dell’incongiungibilità di suono e significato, della dif-ferenza tra significante e significato, del permanente rischio di parlare tramite la ciarla.

Autotrasparenza e autoriflessività sono due momenti dello «specchio» intorno ai quali ruota la rappresentazione nel Moderno. La rappresentazione si fa rappresentazione di se stessa, si duplica, si mostra nella trasparenza e nel riflesso allo specchio, mostra la propria struttura riflessiva e, nello stesso tempo, mette in atto un rapporto con il soggetto della rappresentazione di cui smarrisce la genesi; il soggetto si mostra «barrato» nella elisione direbbe Lacan* indicando in tal modo la lacuna intorno a cui si costituisce la rappresentazione, lacuna che colpisce, a ritroso, il soggetto, elidendolo. Così, il linguaggio tende al metalinguaggio e l’io tende al meta-io.

L’atteggiamento giubilatorio del bambino davanti allo specchio è, per Lacan,  la seduzione dello specchio, la fascinazione in cui si produce quello sdoppiamento nel soggetto per cui l’immagine riflessa diventa l’emblema nel quale il soggetto si riconosce e si identifica. Si è colti in imago prima ancora come persona, si è catturati dall’immagine statuaria che si produce sulla superficie dello specchio. Il corpo è la sede dell’ingovernabilità,  in balia dell’altro e della propria inibizione motoria. Il corps morcelé è l’espressione che Lacan utilizza per descrivere questo stato. Il «corpo-in-frammenti», è l’altro polo di questo processo che detta le regole, da un lato, allo disgregazione del soggetto tra la sua immagine unitaria, ortopedica, come dice Lacan, in cui il soggetto si aliena, e la frammentazione che rivela al soggetto il soggetto.

Lo specchio è quel luogo in cui il soggetto scopre la sua alienazione primaria e in cui accade qualcosa che appare nel registro della finzione: la formazione di sé nell’immagine.

* M. Foucault, Les Mots et les choses, Gallimard, Paris 1966; trad.it. Panaitescu E., Le parole e le cose, Rizzoli, Milano, 1967 .

(Giorgio Linguaglossa)

Gif gemelli

Lo specchio è quel luogo in cui il soggetto scopre la sua alienazione primaria

Niente è più astratto e sfuggente della nostra identità e nello stesso tempo niente è più esposto al giudizio altrui, è più concreto e visibile. A cominciare dal volto, la prima immagine di noi stessi. Da quasi due secoli la fotografia è legata alla nostra stessa idea di identità. Tutti portiamo con noi un documento con il nostro volto e abbiamo fotografie delle persone che più amiamo. Il rapporto emozionale che stringiamo con queste immagini è talmente complesso da farci rifiutare, qualche volta, i nostri stessi ritratti. Non ci riconosciamo, anche se bastano pochi anni per trovare sorprendentemente migliorate fotografie che prima detestavamo. Perché la fotografia è come la memoria: cambia. Non resta immobile, ma si trasforma sulla base della storia di ciascuno e dell’idea che si ha di se stessi.

(Ferdinando Scianna, Lo specchio vuoto, Laterza, 2015)

La creazione sarebbe secondo Jakob Böhme (1575-1624) una sorta di gigantesco specchio, cioè un enorme occhio che è in grado di guardare se stesso.

Un gruppo di cosmologi guidato da Julian Barbour, dell’Università di Oxford, ha ipotizzato che all’origine della freccia del tempo non ci sia l’entropia, ma la gravitazione.

Il loro modello cosmologico prevede, infatti, l’esistenza di due universi specchio, che evolvono simmetricamente – creando strutture complesse e ordinate, come le galassie, per esempio – a partire da uno stesso stato iniziale caotico, di dimensioni minime e densità massima.

Uno dei due universi va quindi in avanti nel tempo, l’altro indietro. Naturalmente non potremo mai incontrare gli ipotetici abitanti dell’universo specchio, perché ognuno percepirà di muoversi verso il futuro, allontanandosi da quello stato caotico primordiale.

Le particelle virtuali spesso appaiono in coppie che si annichilano a vicenda quasi istantaneamente. Tuttavia, prima di svanire possono avere un’influenza reale sull’ambiente circostante. Per esempio, i fotoni – i quanti di luce – possono saltare dentro e fuori un vuoto. Quando due specchi sono posti l’uno di fronte all’altro in un vuoto, all’esterno degli specchi possono esistere più fotoni virtuali di quanti ce ne sono nello spazio che li separa, generando una forza apparentemente misteriosa che tende ad avvicinare gli specchi.

Questo fenomeno, previsto nel 1948 dal fisico olandese Hendrik Casimir e da allora chiamato con il suo nome, fu osservato per la prima volta con specchi mantenuti in uno stato di quiete. I ricercatori però hanno previsto anche un effetto Casimir dinamico, che si osserva quando gli specchi sono in moto o quando gli oggetti subiscono qualche tipo di cambiamento. Ora il fisico Pasi Lähteenmäki dell’Università di Aalto,  in Finlandia, e colleghi, hanno dimostrato che variando la velocità con cui viaggia la luce è possibile farla apparire dal nulla.*

* notizie tratte da  http://www.lescienze.it/news/2013/02/16/news/luce_vuoto_quantistico_particelle_virtuali_fotoni_effetto_casimir_dinamico-1511221/

foto Ombra sulle scale

Quello che vedo lo ingoio all’istante

1 Ezra Pound

Sul suo viso allo Specchio
“O strano viso nello specchio!
O compagnia ribalda, ospite
sacro, o folle
sconvolto dal dolore, che risposta?
O voi moltitudini che lottate,
giocate e svanite,
scherzate, sfidate, mentite!
Io? Io? Io?
E voi?”

2 Sylvia Plath

Specchio

Sono d’argento e rigoroso. Non ho preconcetti.
Quello che vedo lo ingoio all’istante
Così com’è, non velato da amore o da avversione.
Non sono crudele, sono solo veritiero –
L’occhio di un piccolo dio, quadrangolare.
Passo molte ore a meditare sulla parete di fronte.
È rosa e macchiettata. La guardo da tanto tempo
Che credo faccia parte del mio cuore. Ma c’è e non c’è.
Facce e buio ci separano ripetutamente.
Ora sono un lago. Una donna si china su di me
cercando nella mia distesa ciò che essa è veramente.
Poi si volge alle candele o alla luna, quelle bugiarde.
Vedo la sua schiena e la rifletto fedelmente.
Lei mi ricompensa con lacrime e un agitare di mani.
Sono importante per lei. Va e viene.
Ogni mattina è sua la faccia che prende il posto del buio.
In me ha annegato una ragazza e in me una vecchia
Sale verso di lei giorno dopo giorno come un pesce tremendo.”

3 Wislawa Szymborska

Lo specchio

Si, mi ricordo quella parete
nella nostra città rasa al suolo.
Si ergeva fin quasi al sesto piano.

Al quarto c’era uno specchio,
uno specchio assurdo
perché intatto, saldamente fissato.

Non rifletteva più nessuna faccia,
nessuna mano a riavviare chiome,
nessuna porta dirimpetto,
nulla cui possa darsi il nome
“luogo”.

Era come durante le vacanze-
vi si rispecchiava il cielo vivo,
nubi in corsa nell’aria impetuosa,
polvere di macerie lavata dalla pioggia
lucente, e uccelli in volo, le stelle, il sole all’alba.

E cosi come ogni oggetto fatto bene,
funzionava in modo inappuntabile,
con professionale assenza di stupore

4 Ewa Lipska

Lo specchio

Cara Signora Schubert, mi capita di vedere
Nello specchio Greta Garbo. È sempre più simile
A Socrate. Forse la causa è una cicatrice sul vetro.
L’occhio incrinato del tempo. O forse è solo una stella
Che sbraita nel vaudeville locale.

5 Francesca Dono

-allo specchio-

lo sconosciuto si guarda allo specchio Poi abbassa le mani
In silenzio Con un pettine indolenzito La posa di altre ombre
Che scivolano dalla cornice per le crepe allineate Sono le nove
Passate Un’eternità Con l’orologio tagliato nel buio Sullo specchio
corrono cavalli selvaggi Un collage sfinito di Dravidi in ginocchio
Nessuno riflette il tempo I pianeti Chi c’è sotto quel volto ustionato?
Nulla di più complicato Il carnefice indossa un fermaglio di ego Ogni
Parola del mondo acquatico
ഇപ്പോഴും ടെമ്പി ദിനങ്ങൾ (Ancora dieci giorni di tombe)
Un cingolato senza nome né polmoni Di nuovo il ritratto scenderà vicino
A te Per l’ennesima mail da inviare agli indirizzi sbagliati Ai lati interi
Degli occhi finti e inestricabili.

6 Kikuo Takano

Chiunque si specchia
Che oggetto triste
hanno inventato gli uomini.
Chiunque si specchia
sta di fronte a se stesso
e chi pone la domanda
è, al tempo stesso, l’interrogato.
Per entrare più a fondo
l’uomo deve fare il contrario,
allontanarsi.

7 Donatella Costantina Giancaspero

Quasi una velatura

Quasi una velatura. A settembre, in periferia.
Un pulviscolo insonoro ad attutire le case,
la domenica mattina.

Di là, in cucina, il marmo grigio. Una bambina
siede con cura – l’attenzione per l’abito celeste…

Ma cadono i ricami – silenziosi alle dita –
dalle forbici scordate oltre lo specchio,
che discorre con lei,

pettinando un’onda, al viso opale di ragazza.
Confidando un sorriso, nel tocco rosso di vanità…

Foto Ombre sul muro

Dopo gli specchi […] altri specchi

8 Letizia Leone

(Paradigma dello specchio)

Chi è la più bella?
Chiedeva allo Specchio. Buco igneo
Nicchia di raffreddamento di tutte le brame.
E si vedeva al rovescio la matrigna: fanciulla
Nascosta nel futuro.
Ad ogni ora l’Eretica: Chi è la più bella? Chi c’è di là?
Dalla linea che orla questo corpo, il suo Reame.
Veramente, veramente bella…
Rispondeva l’oggetto per eccellenza
Che non è più specchio ma lucernaio, nera lucerna.
Qualcuno disse stella. Addirittura Via Lattea
Per speculum in aenigmate
Spazio liscio che insidia la strega.
Ogni visione aggiunge sogno al sogno
Una che grida nel sonno, ombra, illusione.
Brutta, rispose e si frantumò in mille pezzi e più.

Delle nostre voci riempimmo anche i sassi.
L’oratorio dei viventi. I rossi ardenti di velluti e rasi.
Il Decamerone, e non solo fole ma esseri concreti.
Ogni linea nega la via di fuga a questo corpo.
Mio specchio
Brame
Bocca sigillata.

9 Lidia Popa

Arrampicarsi sugli specchi

Dopo gli specchi il paradigma di altri specchi
accanto alla scala mobile. Tutti salgono. Tutti scendono.
Gli specchi grandi assorbono infiniti atomi.

Piedi che camminano per il target del primo posto
sotto il sole. Un fantasma si scatena nel teatro:
«Ecco lo specchio dell’ego! Chi rimane più in alto?»

Tra terra ed il cielo, i mortali e i divini
reciprocamente connessi come in un cerchio:
la danza è l’anello, enigma di due mondi diversi.

Inanella il gioco degli specchi flessuosamente.
Mondana duttilità della cosa di “Saggi e discorsi”
illumina il secolo spropriando l’avvenire.

Paralizzano le menti dei geni ottuagenari
davanti allo specchio riflesso dei giovani corpi
esposti in ammirazione con muscoli tesi.

Ci sono figure sulla scala mobile. Senza sosta.
Tutti salgono per pregare il cielo ad aprire l’ingresso.
Tutti scendono verso la loro ultima tomba.

Gli specchi grandi della Serenissima Opera
nell’atrio del Teatro Friburgo degli scienziati,
la voce dell’Ombra: «Gli attimi appartengono a noi?»

Un carosello degli specchi e delle idee del primato.
E se fosse il riflesso sugli specchi a scegliere
chi rimane più in alto, chi sale o chi scende?

 

10 Edith Dzieduszycka

Lo specchio nello specchio

La luce venne accesa
Lo specchio nello specchio
ora si rifrangeva
Una frattura oscena lo deturpava
Rimanere nell’ombra avrebbe preferito
non gli fu dato scelta
A piegarsi costretto
all’infinito quella ferita
avrebbe riflettuto
Altre facce passando
di breve lampo accese
turbavano le acque
prima d’allontanarsi
D’argento non brillava
lo stagno ma di piombo
Scagliate da lontano
le pietre – arme improprie –
cadevano crudeli con grida di dolore
Di sanare lo specchio
nessuno si curava
Le fratture – si sa –
sono pronte a scavare
nel letto addormentato
ferite più profonde.

(gennaio 2018)

11 Gino Rago

Un colpo di vento ha capovolto lo specchio

Un colpo di vento ha capovolto lo specchio.
Fondo del suo cristallo,
magie d’acqua.
Gli occhi non sono quelli d’allora,
il tempo rimescola correnti.
Dal fondo del lago-cristallo
il corpo riemerge senza forma,
lacerata da lame di spuma.
Lo specchio è l’abisso.

L’immagine è scissa in vermi e rughe.

Altri pesci guizzano [gli anni passati
ma chi li riconosce?]

Tu fondo dello specchio non hai colpe.

È l’ultimo guizzo

12 Alejandra Alvaro Alfieri

[Paradigma dello Specchio]

I passi.
L’uno è sospinto dall’altro, vanno così
insieme avanti
Secondo il calzolaio ogni suola porta uno
specchio.

Qui si riflette la propria vita.
Tutti lungo la strada si affacciano da un
lato diritto all’altro
Quello che rimane indietro fallisce
Te lo ricorda il monologo che parla dietro
la scarpa.

Non esiste un tempo che possa attendere
si va in scena senza paradiso.
Ma se soltanto mi fermassi giusto per
aggiustarmi?
Guarderei da vicino per poter capirne di più.
Da lontano uno specchio mi fissa, e si frantuma.

l’agonia domina le lacrime di cristallo, cadono in giù.
È’ arrivato il colpevole a riflettersi! – Si guardi
nello specchio rotto, la prego.

Fu il passo prematuro, ignoto e immaturo
– non sono stato io!
Passo di fretta ed è rimasta la ferita riflessa
sul petto del mio specchio.

Davanti alla salita il vecchio chiede di
sfuggire
a quel riflesso.

Annalisa Comes

Specchio

Che rimandi oggi?
Chi rimandi a me?
In piedi, in punta di piedi
guardo, controllo, domando.

Niente da indossare per i giorni
di festa.
Nessuno spettacolo.
A nessuno il sorriso.
A nessuna – il testimone dell’alba e
della notte.
Specchio, curva, immagine e
fantasma.

14 Giorgio Linguaglossa

Il Signor Posterius

sulla sinistra, c’è un vuoto; metto una mano nel vuoto,
faccio un passo in avanti:

di fronte ad uno specchio con la cornice bianca
c’è un altro specchio.

i due specchi si specchiano nel vuoto,
illuminano il vuoto, specchiano il vuoto che è nel loro interno.

sul fondale, c’è una porta,
dietro la porta, una Figura maschile con la giubba nera

e bottoni di madreperla
da cui risalta una gorgiera bianchissima

bacia sulla gota una dama bellissima
in crinolina bianca.

l’uomo sembra di passaggio, forse è lì per caso;
è immobile sulla soglia [dietro la soglia una vampa

di luce lo investe alle spalle] forse emersa da un’altra stanza,
o da un corridoio attiguo al bianco del nulla.

sta lì, in attesa.
assume una posa, forse osa un passo che non accade,

il suo sguardo occupa la scena, e la scena
respinge il suo sguardo.

la figura accenna un movimento, che non c’è.
la bellissima dama accenna un inchino, che non c’è.

adesso, la Figura è un osservatore distratto
che sta curiosando nelle suppellettili del nostro vuoto

semipieno, o pieno semivuoto.
sulla sinistra,

c’è un vuoto che abita uno specchio bianco,
dietro lo specchio con la cornice bianca

c’è un altro specchio…

Gino Rago e Alejandra

Gino Rago con Alejandra Alfaro Alfieri, 2018

Gino Rago è nato a Montegiordano (CS) il 2. 2. 1950. Da anni vive e opera fra la Sibaritide e Roma  dove si è laureato in Chimica Industriale presso l’Università La Sapienza.  Ha pubblicato le raccolte poetiche L’idea pura (1989), Il segno di Ulisse (1996), Fili di ragno (1999), L’arte del commiato (2005). Sue poesie sono presenti nelle Antologie curate da Giorgio Linguaglossa 28 Poeti del Sud (EdiLazio, 2015), Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Progetto Cultura, Roma, 2016) e nel saggio di Giorgio Linguaglossa Critica della Ragione Sufficiente (Progetto Cultura,  Roma, 2018). È membro della redazione di  L’Ombra delle Parole e collabora con la Rivista Trimestrale «Il  Mangiaparole» [Roma, Progetto Cultura].

 

39 commenti

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39 risposte a “Paradigma dello Specchio – Quattordici Poesie per quattordici poeti sul tema dello specchio, a cura di Gino Rago – Poesie di Ezra Pound, Sylvia Plath,  Wislawa Szymborska, Francesca Dono, Kikuo Takano, Donatella Costantina Giancaspero, Letizia Leone, Lidia Popa, Edith Dzieduszycka, Ewa Lipska, Alejandra Alfaro Alfieri, Gino Rago, Annalisa Comes, Giorgio Linguaglossa,

  1. gino rago

    Gino Rago
    Quattordicesima Lettera a E.L.

    [Il passato, il Vuoto, lo specchio]

    Cara Signora Ewa Lipska,

    portiamo in giro il nostro passato
    in una busta di plastica del supermercato.
    Nessuno saprà che un tempo fummo nella fabbrica dell’amore.
    I testimoni che possono affermarlo sono tutti morti.
    E Lei da poeta lo sa:
    i morti ai processi dei vivi
    si avvalgono sempre della facoltà di non rispondere.
    Il nostro amico di Cracovia si spoglia in un pied-à-terre
    con la sua donna.
    Aprono insieme una bottiglia di Coca-Cola,
    si guardano negli occhi.
    Si abbracciano come due sconosciuti sull’abisso.
    […]
    Il mio Amico [di Roma]*
    litiga di nascosto con lo specchio.
    Fra se stesso, lo specchio e il mondo avverte il Vuoto,
    Il Vuoto che riflette altro Vuoto.
    Il tempo cade come polvere dall’immagine riflessa con i baffi
    [ il presente, il futuro e il passato in uno stesso fiocco di neve?].
    Ma non si lascia alle spalle la stanza, non esce all’aperto:
    il passato si sfarina dai baffi dell’Europa.
    L’Occidente ha smarrito la strada.
    Forse per questo la donna a Vienna s’avvinghia al primo uomo che passa.
    Sui marmi sotto i lampadari balla un valzer senza fine nella mente.

    *Il mio Amico [di Roma] è Giorgio Linguaglossa

    GR

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  2. che bella compagnia! Complimenti a Giorgio per la critica …A tutti gli autori.

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  3. -senza trucco-
    di Fritz Hertz

    caro tesoro/senza trucco sei irriconoscibile
    Quasi una donna stanca /Dalla silhouette
    oscura e assente/ Quel make-up sostiene ogni
    sfera di carne / Il corpo superstite alla strage
    Non vorrai(mica) portarlo in casa?
    La Signora Rochester ci è rimasta secca
    a furia di calcare il matitone per la linea
    indemoniata
    Un tracollo
    Trediciminuti di mistero
    L’avvento antisemita all’offerta delle ciglia
    volubili

    Caro tesoro/ Forse la miscellanea dei fluidi
    ha parti quadrate/Privi di lavoro aria- luce
    Gli amici del bar non reggono più il vizio
    scimmiesco di ogni tuo passaggio/ Ancora meno
    la plastilina svettante dalla cute per il circondario
    Potrebbe mai respirare un volto con questa
    roba a cazzo?
    Che poi diventerà tutto inutile una volta
    sprofondato al cielo
    Nella “solfa” della bocca minuscola
    Da qui al bagno enormi cosmetici seguono le
    nostre costole disperse
    Incartati /Opere “beauty-look “
    dell’ennesimo specchio rotto/Dove il
    “water borghese”
    ti fa un grande pozzo all’ acqua di rose.

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  4. Noi viviamo di continuo in mezzo alla frammentarietà delle immagini allo specchio… le immagini rappresentano il contro movimento delle parole. C’è un rapporto debitorio tra le immagini e le parole, o un rapporto creditorio…

    Paradigma dello Specchio – Quattordici Poesie per quattordici poeti sul tema dello specchio, a cura di Gino Rago – Poesie di Ezra Pound, Sylvia Plath,  Wislawa Szymborska, Francesca Dono, Kikuo Takano, Donatella Costantina Giancaspero, Letizia Leone, Lidia Popa, Edith Dzieduszycka, Ewa Lipska, Alejandra Alfaro Alfieri, Gino Rago, Annalisa Comes, Giorgio Linguaglossa,


    però io vedo ancora troppi verbi messi come zeppe a spiegare ciò che non ha bisogno di essere spiegato. Eliminiamo una volta per tutte i verbi in eccesso, obliteriamo gli aggettivi inutili… facciamo fare una bella cura dimagrante alla poesia!

    La frammentarietà della forma è il contro movimento della frammentarietà della memoria. Le parole oggi sono diventate figlie illegittime di Mnemosyne, attecchite dall’oblio della Memoria fluiscono nella invisibilità, e chi parla di Spirito del mondo o di Spirito della storia dovrebbe essere interdetto dagli uffici pubblici. Il modo nel quale oggi si dà Mnemosyne è il frammento, il graffio, gli stracci; le parole sono isotopi che durante la traslazione dalla memoria alla pagina scritta perdono smalto, si impoveriscono, diventano cronotopi delle parole un tempo piene. Le parole sono enti speculari alla frammentarietà ontologica del nostro mondo.

    Domanda (per i filosofi):
    C’è una differenza ontologica tra l’immagine allo specchio e l’immagine che sta nella mia testa?

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    • Lo specchio è un concetto aporetico per eccellenza, perché converte il più concreto nel più astratto, e quindi il più vero nel più falso. In ciò lo specchio è l’esatto contrario dell’essere, concetto anch’esso aporetico in sommo grado, perché quest’ultimo «trasforma il più astratto in più concreto e quindi più vero».1]

      Adorno Dialettica negativa op cit. p. 68

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  5. Guglielmo Peralta

    LA FONTE E LO SPECCHIO

    Narciso non cade in errore! L’immagine che si riflette nella fonte non gli appartiene, non è la sua. Egli, in realtà, contempla un “altro” volto. Non di sé, dunque, s’innamora, ma di quell’«io» sconosciuto, che lo se-duce con la diafana Bellezza che è la virtù e l’essenza stessa dell’anima. L’anima, che si specchia nella fonte, “annega” Narciso che la contempla. Perché chi “vede” l’essere immortale deve rinunciare alla vita per ricongiungersi con la sorgente. Narciso non si riconosce perché si aliena nell’altro da sé. E non c’è agnizione in questa trasfigurazione, perché alla coscienza di sé non si sostituisce la più profonda coscienza dell’altro, che pure ne rivela l’identità. Egli ama il suo volto “al di là” della propria figura. Il narcisismo, qui, non è amore di sé, ma contemplazione di sé nell’inconsapevole verità dell’essere altro da sé. Il volto che innamora Narciso è l’intima «fonte», lo «specchio» dove affiora l’immagine degna di contemplazione: quel volto “sconosciuto”, che è conoscenza di sé nel trascendimento della coscienza individuale.
    Se Narciso si fosse riconosciuto, sarebbe caduto nell’errore comune, e opposto al suo caso, che ci fa erranti nello specchio, dove crediamo di cogliere la nostra identità nell’immagine riflessa, della quale può capitare d'”innamorarci” con la certezza di “corrispondere” alla nostra persona. Fedeli allo specchio, restiamo stranieri a noi stessi, distanti dalla verità dell’intima fonte, solo nella quale si supera ogni narcisismo. Nel mancato riconoscimento di sé, Narciso ritrova l’identità vera, autentica; realizza, inconsapevolmente, la profonda conoscenza della propria anima “obbedendo” all’antico apoftegma: «nosce te ipsum», che è, insieme, un sollen (dovere imposto) e un müssen (dovere necessario), e che, dunque, esorta ed invita ogni umano individuo a superare i propri limiti conoscitivi prendendo “possesso” di sé, del proprio essere, a “cor-rispondere” a quell’amore, al quale è da sempre chiamato e che è più grande del narcisismo.

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  6. gino rago

    A me segnalata da Rossana Levati, con la prudenza, la saggezza, la sapienza e il fine gusto estetico che i frequentatori assidui e/o occasionali de L’Ombra delle Parole hanno avuto modo di apprezzare nei suoi numerosi interventi, a mia volta segnalo Lo specchietto di Z. Herbert

    Zbigniew Herbert
    Lo specchietto

    Cosa riflette lo specchietto sul bordo del tavolo:

    lo specchietto riflette il soffitto
    il prato bianco dei desideri

    e anche
    l’angolo della stanza
    lo sparviero rinsecchito

    la biblioteca la farmacia
    con le fiale per la tristezza

    metà di una vecchia riproduzione
    piena di rossi frastuoni
    sotto un cielo molto sottile

    cosa riflette lo specchietto

    un pettine
    e una ciocca di capelli

    un pennino schiacciato
    e una penna picchiettata

    se lo specchietto fosse una stella
    rifletterebbe il vigile sonno dei pianeti

    rifletterebbe la faccia chiara del sole
    l’irradiamento dello spazio
    l’etere e l’argento

    il conto di una saggezza distante
    se lo specchietto fosse una stella
    rifletterebbe
    la splendida terra rotonda
    con le chiome canute delle eclittiche

    ma non c’è di che disperarsi
    non c’è niente da rimpiangere
    —————————————————–

    GR

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  7. Onorata di questa squisita compagnia. Complimenti a Voi. Vi dedico questa poesia allo specchio con quale ho debuttato nella prima antologia del passato, con la ristrutturazione e l’esperienza di adesso.

    Mi guardo
    di Lidia Popa

    Ho il viso ricamato dal tempo
    di lacrime sorrisi e emozioni.

    È un ricamo leggero,
    sottile come la ragnatela nata
    in un angolo buio della casa.

    Ha intrappolato insonnie,
    pensieri colmi d’incertezze,
    insicurezze e abbandoni
    in balia delle onde.

    A volte tsunami.
    Agli tsunami non sono mai preparata.

    Sono io che mi guardo nello specchio,
    ma mi piaccio lo stesso.

    E non voglio cambiarmi
    perché so chi sono,
    e non mi importa di come
    mi guardano gli altri.

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  8. Paradigma dello Specchio – Quattordici Poesie per quattordici poeti sul tema dello specchio, a cura di Gino Rago – Poesie di Ezra Pound, Sylvia Plath,  Wislawa Szymborska, Francesca Dono, Kikuo Takano, Donatella Costantina Giancaspero, Letizia Leone, Lidia Popa, Edith Dzieduszycka, Ewa Lipska, Alejandra Alfaro Alfieri, Gino Rago, Annalisa Comes, Giorgio Linguaglossa,


    Qualcuno mi ha fatto presente che parlare di ontologia dopo la catastrofe dell’ontologia è un po’ un controsenso, ma io ribatterei a questo pensiero dicendo che l’ontologia deve passare attraverso una serrata critica all’ontologia, altrimenti è apologia dell’ontologia… la nostra è una serrata critica ai postulati immodificabili della vecchia ontologia estetica divenuti dogmi.
    Ci sono dei pensieri che hanno una carica elettrica, uno di questi è il pensiero dell’essere, «concetto omnibus» diceva Ortega Y Gasset negli anni trenta rivolgendosi contro Heidegger, che noi condividiamo… Ma proviamo a scendere dall’omnibus e a camminare sui pensieri: a chi voglia gettare uno sguardo sulle nostre considerazioni, verrà in chiaro che noi facciamo continuamente critica dell’ontologia. E questo tema dello specchio rientra appunto nella critica dell’ontologia acritica e apologetica della poesia positiva…

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  9. Paradigma dello Specchio – Quattordici Poesie per quattordici poeti sul tema dello specchio, a cura di Gino Rago – Poesie di Ezra Pound, Sylvia Plath,  Wislawa Szymborska, Francesca Dono, Kikuo Takano, Donatella Costantina Giancaspero, Letizia Leone, Lidia Popa, Edith Dzieduszycka, Ewa Lipska, Alejandra Alfaro Alfieri, Gino Rago, Annalisa Comes, Giorgio Linguaglossa,


    Charles Simic: «La storia è un libro di ricette. I dittatori sono i cuochi. I filosofi quelli che scrivono il menu. I preti sono i camerieri. I militari i buttafuori. Il canto che sentite sono i poeti che lavano i piatti in cucina».

    Qualcuno mi ha fatto presente che parlare di ontologia dopo la bancarotta dell’ontologia è un controsenso, ma io ribatterei a questo pensiero dicendo che l’ontologia per essere viva deve passare attraverso una serrata critica all’ontologia, altrimenti è apologia dell’ontologia che non si dice… questo libro vuole essere una serrata critica ai postulati immodificabili della vecchia ontologia estetica divenuti dogmi correnti.

    Ci sono dei pensieri che hanno una carica elettrica, uno di questi è il pensiero dell’essere, «concetto omnibus» diceva Ortega y Gasset negli anni trenta rivolgendosi contro Heidegger… ma proviamo a scendere dall’omnibus e a camminare sui pensieri come su cocci aguzzi di vetro: a chi voglia gettare uno sguardo su queste considerazioni, verrà chiaro che eseguo sempre lo stesso spartito: la critica dell’ontologia. E questo tema dello specchio rientra appunto nella critica dell’ontologia acritica e apologetica della poesia positiva.

    Ogni nuova ontologia estetica richiede la circoscrizione di una nuova topologia estetica.

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  10. Guido Galdini

    Un mio piccolo contributo estemporaneo.

    è uno specchio per le allodole
    o sono allodole per lo specchio
    o le allodole sono lo specchio?

    Grazie per l’ospitalità

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  11. Charles Simic è nato a Belgrado nel 1938. Dal 1953 risiede negli Stati Uniti, dove insegna Letteratura inglese all’università del New Hampshire. Nel 1967 è apparsa la sua prima raccolta di poesie, What the Grass Says. Da allora ha pubblicato un cospicuo numero di opere fra cui ricordiamo Prose Poems (1990), che gli è valso il Premio Pulitzer, e Jackstraws (1999), insignito dal «New York Times» del titolo di «Notable Book of the Year». Ha tradotto in inglese poeti serbi, croati, macedoni, sloveni, francesi.

    Charles Simic
    Gli amici di Eraclito

    Il tuo amico è morto, quello con cui
    giravi per le strade
    a tutte le ore, parlando di filosofia.
    Perciò, oggi sei andato solo,
    fermandoti spesso per scambiarti di posto
    con il tuo compagno immaginario,
    e ribattere a te stesso
    sul tema delle apparenze:
    il mondo che vediamo nella testa
    e il mondo che vediamo ogni giorno,
    così difficili da distinguere
    quando dolore e sofferenza ci piegano.

    Voi due spesso vi siete fatti trascinare
    tanto da trovarvi in quartieri strani
    persi tra gente ostile,
    costretti a chiedere indicazioni
    proprio sul ciglio di una suprema rivelazione,
    a ripetere la domanda
    a una vecchia o a un bambino
    che potrebbero essere entrambi sordi e muti.

    Qual era quel frammento di Eraclito
    che stavi cercando di ricordare
    quando sei inciampato nel gatto del macellaio?
    Nel frattempo, tu stesso ti eri perso
    fra la scarpa nera nuova di qualcuno
    abbandonata sul marciapiedi
    e il terrore improvviso e l’ilarità
    alla vista di una ragazza
    abbigliata per una notte di ballo
    che sfreccia sui pattini.

    The Friends of Heraclitus

    Your friend has died, with whom
    You roamed the streets,
    At all hours, talking philosophy.
    So, today you went alone,
    Stopping often to change places
    With your imaginary companion,
    And argue back against yourself
    On the subject of appearances:
    The world we see in our heads
    And the world we see daily,
    So difficult to tell apart
    When grief and sorrow bow us over.

    You two often got so carried away
    You found yourselves in strange neighborhoods
    Lost among unfriendly folk,
    Having to ask for directions
    While on the verge of a supreme insight,
    Repeating your question
    To an old woman or a child
    Both of whom may have been deaf and dumb.

    What was that fragment of Heraclitus
    You were trying to remember
    As you stepped on the butcher’s cat?
    Meantime, you yourself were lost
    Between someone’s new black shoe
    Left on the sidewalk
    And the sudden terror and exhilaration
    At the sight of a girl
    Dressed up for a night of dancing
    Speeding by on roller skates.

    Domando al piombo

    Domando al piombo
    perché ti sei lasciato
    fondere in pallottola?
    Ti sei forse scordato degli alchimisti?
    Hai perso qualsiasi speranza
    di diventare oro?

    Nessuno mi risponde.
    Pallottola. Piombo. Con nomi
    del genere
    il sonno è lungo e profondo.

    I say to the lead

    I say to the lead
    Why did you let yourself
    Be cast into a bullet?
    Have you forgotten the alchemists?
    Have you given up hope
    In turning into gold?

    Nobody answers.
    Lead. Bullet. With names
    Such as these
    The sleep is deep and long.

    Prodigio

    Sono cresciuto chino
    su una scacchiera.

    Amavo la parola scaccomatto.

    Il che sembrava impensierire i miei cugini.

    Era piccola la casa,
    accanto a un cimitero romano.
    I suoi vetri tremavano
    per via di carri armati e caccia.

    Fu un professore di astronomia in pensione
    che m’insegnò a giocare.

    L’anno, probabilmente, il ’44.

    Lo smalto dei pezzi che usavamo,
    quelli neri,
    era quasi del tutto scrostato.

    Il re bianco andò perduto,
    dovemmo sostituirlo.

    Mi hanno detto, ma non credo che sia vero,
    che quell’estate vidi
    gente impiccata ai pali del telefono.

    Ricordo che mia madre
    spesso mi bendava gli occhi.
    Con quel suo modo spiccio d’infilarmi
    la testa sotto la falda del soprabito.

    Anche negli scacchi, mi disse il professore,
    i maestri giocano bendati,
    i campioni, poi, su diverse scacchiere
    contemporaneamente.

    Prodigy

    I grew up bent over
    a chessboard.

    I loved the word endgame.

    All my cousins looked worried.

    It was a small house
    near a Roman graveyard.
    Planes and tanks
    shook its windowpanes.

    A retired professor of astronomy
    taught me how to play.

    That must have been in 1944.

    In the set we were using,
    the paint had almost chipped off
    the black pieces.

    The white King was missing
    and had to be substituted for.

    I’m told but do not believe
    that that summer I witnessed
    men hung from telephone poles.

    I remember my mother
    blindfolding me a lot.
    She had a way of tucking my head
    suddenly under her overcoat.

    In chess, too, the professor told me,
    the masters play blindfolded,
    the great ones on several boards
    at the same time.

    Molti Zero

    Senza voce l’insegnante si alza davanti a una classe
    di pallidi bambini dalle labbra serrate.
    La lavagna alle sue spalle tanto nera quanto il cielo
    che dista anni luce dalla terra.
    È il silenzio che l’insegnante ama,
    il gusto dell’infinito che trattiene.
    Le stelle come le impronte di denti sulle matite
    dei bambini.
    Ascoltatelo, dice felice.

    Many Zeros

    The teacher rises voiceless before a class
    Of pale, tight-lipped children.
    The blackboard behind him as black as the sky
    Light-years from the earth.

    It’s the silence the teacher loves,
    The taste of the infinite in it.
    The stars like teeth marks on children’s pencils.
    Listen to it, he says happily.

    *

    Viaggiare

    Mi tramuto in un sacco.
    Un vecchio stracciaiolo
    mi porta fuori all’alba.
    Ci trasciniamo curvi.

    Ecco qui, dice, la cravatta blu,
    un uomo l’ha scalata mentre gli stava al collo.
    Ora lassù singhiozza
    perché non sa come calarsi giù.

    Ma io non dico niente, cosa può dire un sacco?

    Ecco qui, dice, il cappotto.
    Il suo nome è Achab, i suoi sono i nostri stracci.
    È in cerca del sarto che lo ha fatto.
    Vuole strappare via tutti i suoi fili neri.

    Ma io non dico niente, cosa può dire un sacco?

    Ecco qui, dice, un paio di stivali,
    mentre andavano a fondo, mentre andavano sotto
    la loro vita videro in un lampo,
    dovunque andremo si aggrapperanno a noi.

    Ma io non dico niente, cosa può dire
    un sacco rigonfio di stoppa fino al collo?

    Paesaggio con grucce

    Così tante grucce. Ora persino la luce del giorno
    ne ha bisogno, persino il fumo che sale su. E le baracche –
    una per cliente – che sene vanno
    in fila indiana, con difficoltà,

    dicevo, con un dannato sforzo…
    e, dietro, gli alberi sul punto d’inciampare,
    e le formiche sulle grucce giocattolo,
    e il vento sulle grucce fantasma.

    Non riesco a trovare pace qui intorno:
    il pane sui suoi arti artificiali,
    una bambola su una sedia a rotelle, senza testa,
    e mia madre, proprio lei, che adopera i coltelli
    come grucce mentre s’accoscia per pisciare.

    Occhi cuciti con gli spilli

    Quanto sodo lavori la morte
    nessuno lo sa quanto lunga
    sia la sua giornata.
    Le stira la biancheria
    il consorte lasciato a casa.
    Le belle figlie
    le apparecchiano la tavola per cena.
    I vicini giocano
    a pinnacolo in cortile
    o bevono la birra
    seduti sui gradini. E la morte
    frattanto, in città,
    in angoli remoti cerca
    qualcuno con una brutta tosse,
    ma l’indirizzo è, chissà perché, sbagliato,
    nemmeno la morte può scovarlo
    fra tutte quelle porte sprangate.
    E comincia a cadere la pioggia.
    l’aspetta una lunga notte di vento.
    Non ha nemmeno un giornale
    per coprirsi il capo, nemmeno
    un gettone per chiamare chi si consuma,
    l’uomo assonnato che piano si spoglia
    e nudo si distende sul letto
    dal lato che spetta alla morte.

    Ragazzo prodigio

    Sono cresciuto chino
    su una scacchiera.

    Amavo la parola scaccomatto.

    Il che sembrava impensierire i miei cugini.

    Era piccola la casa,
    accanto a un cimitero romano.
    I suoi vetri tremavano
    per via di carri armati e caccia.

    Fu un professore di astronomia in pensione
    che m’insegnò a giocare.

    L’anno, probabilmente, il ’44.

    Lo smalto dei pezzi che usavamo,
    quelli neri,
    era quasi del tutto scrostato.

    Il re bianco andò perduto,
    dovemmo sostituirlo.

    Mi hanno detto, ma non credo che sia vero,
    che quell’estate vidi
    gente impiccata ai pali del telefono.

    Ricordo che mia madre
    spesso mi bendava gli occhi.
    Con quel suo modo spiccio d’infilarmi
    la testa sotto la falda del soprabito.

    Anche negli scacchi, mi disse il professore,
    i maestri giocano bendati,
    i campioni, poi, su diverse scacchiere
    contemporaneamente.

    Così

    Di diavoli azzurri
    la più azzurra progenie.
    mia moglie.

    Dissi,
    come Pascal
    mia mogli eccelle
    nel contemplare abissi.

    Le sue ginocchia
    ancora ricordano
    la scala di marmo
    di una contessa russa.

    Tempo addietro a Parigi
    raccoglieva le cicche
    fuori dai caffè alla moda
    per suo padre, disoccupato.

    O nel Nuovo Mondo,
    nuda davanti all’arcigno
    dottore e all’infermiera,
    con un soffio al cuore.

    Tuttavia infila
    l’estremità di un filo nero,
    inumidita di saliva,
    nell’occhio immobile dell’ago,
    dodici ore al giorno.
    Una sarta sublime,
    un duro mestiere per la schiena
    e la vista.

    Nelle buie domeniche d’inverno
    arduo mettere a fuoco
    lettere e parole straniere
    sui libri di testo della scuola serale.

    Orecchie delle pagine ripiegate con cura,
    brani evidenziati,
    tutti quelli su uomini linciati, incatramati di piume,
    sui roghi delle streghe –

    davanti a una tazza di caffè –
    quello nero che fanno gli zingari
    quando si siedono a fissar la pioggia,
    con le labbra che appena si muovono.

    Salmo

    Ci hai messo un bel po’ a deciderti,
    oh Signore, su questi pazzi
    che governano il mondo. Arrivano dovunque
    e i loro artigli devono averti spaventato.

    Uno di loro mi scovò con la sua ombra.
    Il giorno si era fatto freddo. Ondeggiai
    fra il terrore e il coraggio
    nell’angolo più buio della stanza di mio figlio.

    Ho cercato con i miei occhi, Te in cui non credo.
    Ti impegni a rendere graziosi i fiori,
    a far sì che gli agnelli non smarriscano la madre,
    o forse nemmeno di questo ti curi?

    Era primavera. Gli assassini con un’aria sportiva
    e allegra, e le tue divinità
    al loro fianco per accertarsi
    che i nostri addii venissero pronunciati bene.

    Al tizio del piano di sopra

    Capo di tutti i capi dell’universo.
    Signor so-tutto, burattinaio intrigante,
    e qualsiasi altra cosa tu sappia fare.
    Avanti, smazza i tuoi zero questa notte.
    Intingi nell’inchiostro code di comete.
    Graffetta la notte con luci di stelle.

    Meglio per te sarebbe leggere nei fondi di caffè,
    o sfogliare l’Almanacco dell’Agricoltore.
    Ma no! Ti piace darti arie,
    e coltivare la tua rinomata serenità
    mentre siedi alla grande scrivania
    con niente di niente nel vassoio
    della corrispondenza in arrivo o in partenza,
    e tutta quell’eternità disseminata intorno.

    non ti fa accapponare la pelle
    sentirli supplicare in ginocchio,
    farfugliando tenere parole come se tu
    fossi una bambola gonfiabile a grandezza naturale?
    Di’ loro di rimettersi in sesto e andare a letto.
    Basta fingerti troppo occupato per notarlo.

    Le tue mani sono vuote e così i tuoi occhi.
    Niente su cui apporre la tua firma,
    anche se tu sapessi quale nome darti,
    o credessi a quelli che continuo a inventare
    mentre per te scarabocchio quest’appunto nel buio.

    Charles Simic
    Il mostro ama il suo labirinto

    Traduzione di Adriana Bottini
    Piccola Biblioteca Adelphi 2012, pp. 149
    isbn: 9788845926853
    Temi: Aforismi e frammenti, Letteratura nordamericana
    € 12,00 -15% € 10,20

    Charles Simic
    RISVOLTO di copertina:

    Che cosa mette un poeta nei suoi taccuini? Se quel poeta è Charles Simic, il lettore immagina già la risposta: scene e frammenti che transitano fra realtà e sogno, oggetti enigmatici (orologi, specchi), ricordi del presente e premonizioni del passato, appunti di uno sguardo suo malgrado insonne. Ma queste schegge raccolte nell’officina poe­tica offrono qualcosa di più di un’occhiata nel backstage della creazione letteraria: Simic, cui la forma oscillante tra l’aforisma e la prosa breve sembra particolarmente congeniale, siede a giudicare se stesso e il mondo. Ed è un giudice-poeta chiaroveggente e bizzoso, repentino negli scatti d’ira e nelle smanie d’amore, che crede «nella irrimediabile e caotica mescolanza di ogni cosa», e usa «il caso come attrezzo per demolire le nostre associazioni abituali». Ora striglia i politici guerrafondai e gli intellettuali loro complici, ora racconta con macabra ironia vecchie storie dei Balcani (quel luogo d’Europa la cui economia si regge sulle «fabbriche di orfani e gli allevamenti di capri espiatori»). Stralunato e lubrico, «avanzo di galera … di tutti i Paradisi terrestri», non cessa di meravigliarsi della stupidità umana, ingrediente segreto della storia, ma anche dell’«enciclopedia di archetipi» celata in ciascun oggetto. Ad ogni pagina, guizzi fulminei e collegamenti interrotti: «una melodia allegra suonata con malinconia», un’immagine sfocata di sé colta di sfuggita in uno specchio egizio, qualcosa «a metà fra l’infinito e lo starnuto», un «saporito stufato casalingo di angelo e bestia».

    Charles Simic
    Hotel Insonnia

    A cura di Andrea Molesini
    Piccola Biblioteca Adelphi
    2002, 2ª ediz., pp. 191 isbn: 9788845917134

    Charles Simic
    RISVOLTO di copertina:
    Charles Simic, ironico, sfrontato, guizzante e tenero poeta, è maestro della lirica breve e della sprezzatura. Il suo mondo, folto di immagini balenanti («Le stelle – impronte di denti sulle matite dei bambini»), è una sottile, tenace esplorazione di quanto ci sta intorno. L’insonnia è la sua malattia. Il suo sguardo, attratto dalle zone di confine, si posa spesso su una regione sospesa tra il sogno e la veglia, la fantasticheria e la contemplazione, in cui il lettore si trova, in un primo momento, spaesato. Le sue parole ricreano fotogrammi dall’inquadratura decentrata, ritraggono dettagli della realtà per mostrarne l’elemento alieno che vi è inglobato, allegramente terrifico, eppure consueto. Un elemento che vive a nostra insaputa e sotto i nostri stessi occhi: «e a mezzogiorno il soffitto / è un sontuoso viluppo / d’ombre frondose / che s’aggrovigliano e sgrovigliano». Il tono discorsivo, il lessico semplice, la sintassi elementare e il verso libero danno forma a visioni terse, sorprendenti quanto icastiche, trama di un cantare zingaro che costeggia la morte opponendole il sorriso di un’intelligenza ardente quanto vigile.

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  12. (…)
    Pare che i numeri abbiano consistenza, e che
    richiedano continui aggiustamenti calligrafici.
    Quelli primi sono tra loro separati; non distanti
    ma separati da spazio coeso: l’1, che sarebbe 2,
    svolge vite separate; sebbene anche mille
    o un milione siano sempre 1, accade come
    fossero specchi: ogni 1 in sé.

    Mayoor, giu 2018. Da un testo non finito. .

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  13. Sullo specchio

    Paradigma dello Specchio – Quattordici Poesie per quattordici poeti sul tema dello specchio, a cura di Gino Rago – Poesie di Ezra Pound, Sylvia Plath,  Wislawa Szymborska, Francesca Dono, Kikuo Takano, Donatella Costantina Giancaspero, Letizia Leone, Lidia Popa, Edith Dzieduszycka, Ewa Lipska, Alejandra Alfaro Alfieri, Gino Rago, Annalisa Comes, Giorgio Linguaglossa,


    Che cos’è lo specchio, per la filosofia è ancora un mistero. Che cos’è? Un nulla? Un qualcosa?, o l’uno o l’altro.

    Mi si dice che non è né l’uno né l’altro, che non è né un nulla né un qualcosa. Bene, e allora cos’è? E perché ci inquieta così tanto?. Il mito di Narciso ci dice qualcosa, ma qualcosa che narra dell’io, del sorgere della consapevolezza dell’io, il primo bagliore dell’autocoscienza; con il che diventiamo duali: io e l’altro, io e il mio riflesso.

    Ma, ci chiediamo, c’è dell’altro? Se rivolgo lo specchio verso il cielo, vedo il cielo, se lo rivolgo verso il mare, vedo il mare. E allora? Allora, direi che lo specchio ci rivela qualcosa, qualcosa di essenziale, che io, il cielo, il mare, le nuvole e tutte le cose che stanno nel mondo sono, siamo un effetto di specchio… anche i nostri occhi sono uno specchio, nell’occhio si riflettono tutte le cose del mondo, così quando io guardo uno specchio è come se uno specchio fosse posto davanti ad un altro specchio: lo specchio dei miei occhi specchia il nulla che è in me e che è nello specchio, il nulla fatto di pieno, di cose piene. E allora non possiamo non giungere alla conclusione che lo specchio è un nulla che riflette un altro nulla.

    Direte voi, e allora lo specchio è uno zero? No, perché lo zero è un numero e, posto lo zero, implicitamente pongo tutti i numeri. E allora non resta che riconoscere che lo specchio è un nulla che ci rivela il nulla di tutte le cose. La vertiginosa abissalità dello specchio ci conduce vicino all’esperienza del nulla che è qualcosa, qualcosa fatto di nulla…

    Che cos’è lo specchio? E perché ci riguarda da vicino?
    Che cos’è l’ombra? Che cos’è l’ombra riflessa nello specchio?

    Davvero inquietante.

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    • Non ho scritto nulla sul tema dello specchio. Ritengo che sia la parte più segreta e abissale del nostro inconscio. In questo senso mi rifaccio ai dipinti di Magritte con il personaggio visto di spalle e che non rivela nulla di se stesso, rispetto a chi voglia rispecchiarsi di lato, di fianco e di fronte.

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    • Guglielmo Peralta

      Lo specchio rivela il nostro essere ombra, immagine.

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      • Lo specchio resta un oggetto a sè. Ha la stessa funzione di un disco a 33 giri. Se non ci mettiamo la puntina. il disco non parte e non rivela il sound (fuori metafora siamo noi i rivelatori di ciò che vogliamo. Se siamo tristi o allegri, lo specchio riproduce sempre la nostra fisiognomica. La poesia è lo specchio di noi stessi, Lo specchio invece, è il nostro alter Ego nell’epoca della riproducibilità.

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  14. ho lasciato questa frase su Facebook:

    I poeti sciacquano i piatti nel retrobottega e i padroni lasciano loro delle molliche a fine pranzo

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  15. Lo specchio offre una visione non soggettiva del mondo; una visione neutra, impersonale. Lo specchio è la “cosa” per eccellenza, quella che ci riflette nel presente immediato.
    Il processo di identificazione appartiene al mondo interno, alla psiche. Ma il nostro armadio, il mio pennello da barba, le scarpe, ecc. possono dire più di quanto ci viene mostrato dallo specchio.
    Il mio Maestro diceva che il nostro sguardo dovrebbe essere come quello di uno specchio ben pulito.

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  16. “Le stelle sono le impronte dei denti sulle matite dei bambini”Come resistere a catturare col mio retino un verso come questo?Quanto ai padroni che lasciano le molliche,esiste un pericolo maggiore: che i padroni vogliano diventare poeti , e allora non lasceranno nemmeno le molliche. Sta già accadendo.

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  17. donatellacostantina

    “Ti sei guardato nello specchio, Isak?”

    da Il posto delle fragole (Smultronstället) di Ingmar Bergman (1957).

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  18. donatellacostantina

    Il posto delle fragole visto dal filosofo Emanuele Severino

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  19. donatellacostantina

    E come non ricordare Citizen Kane, Quarto potere, il capolavoro di Orson Welles (1941). Qui il tema dello specchio è interpretato in modo magistrale già dalla prima scena.
    Una finestra in primo piano introduce a un tratto lo spettatore da un esterno fosco e inquietante a un interno altrettanto cupo, fortemente enigmatico. Si tratta di un suggestivo esempio di raccordo ingannevole in una catena di sequenze che sfidano la nostra percezione della realtà. Una incomprensibile nevicata cede il posto a una sfera con la neve, stretta nella mano di un uomo; il primissimo piano di una bocca coincide con la prima parola del film, “Rosebud”; di nuovo l’inquadratura della mano, con la sfera che si rompe sul pavimento. E qui viene il bello: il regista, dopo aver scomposto la realtà in frammenti, la deforma davanti ai nostri occhi: l’immagine di una infermiera che entra nella camera è mostrata attraverso i frantumi di vetro, in un gioco di distorsioni e di rifrazioni tipico del cinema di Welles. Un cadavere viene ricoperto da un lenzuolo. Quarto potere si apre con la morte del suo protagonista per poi ripercorrerne a ritroso la travagliata esistenza in una narrazione a flashback senza continuità temporale.

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  20. donatellacostantina

    KANE ALLO SPECCHIO

    E, per concludere, citerò l’ultima scena di Quarto potere, dove ritorna la sfera con la neve vista all’inizio, e poi restiamo senza fiato sulla straordinaria sequenza degli specchi.
    Charles Kane, in preda alla collera, fa a pezzi la camera di Susan, la seconda moglie dalla quale è stato abbandonato. In quel piccolo regno dell’horror vacui, distrugge tutto, tranne una cosa: la sfera con la neve della sequenza iniziale. Poi, rigido, con lo sguardo vitreo, Kane esce lentamente dalla stanza, sotto gli sguardi atterriti della servitù. L’uomo si ritrova solo ad attraversare un corridoio arredato da specchi che riflettono e moltiplicano la sua immagine all’infinito, in un superbo esempio di mise en abîme.

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  21. Giuseppe Talia

    Caro Gino Rago, è molto interessante questa indagine sullo specchio che stai conducendo in queste pagine. Che cosa è lo specchio se non la storia delle generazioni che si succedono nel corso del tempo. E’ impossibile esprimere – scrive Tarkovskij – la sensazione finale che questo tipo di ritratto produce su di noi. Secondo Lacan, attraverso lo specchio il bambino arriva, attraverso varie fasi, a riconoscere se stesso separato dagli altri e di conseguenza prende coscienza di sé. Ciò che si verifica davanti allo specchio è la costituzione del proprio Io. Il riflesso speculare ricopre per il bambino il ruolo che il Doppio assume per il conflitto narcisistico nell’adulto.

    Questo testo che ti sottopongo è interamente calato nell’odierno narcisismo, nella doppiezza in cui però la costruzione del proprio Io porta con sé una malattia: la metafora di Nietzsche sul cammello, per esempio. La passione per la libertà, la passione per la creatività, come afferma Massimo Recalcati, non è la passione fondamentale, la passione fondamentale che orienta la vita umana è la passione per le catene.

    Ecco che allora il set del mio testo è in una palestra, luogo di fatica, di costruzione di un corpo che non è il corpo, quanto, invece, l’idea di corpo. Un luogo di tortura medievale, almeno così io l’ho inteso, con il mio stile.

    Un abbraccio.
    Giuseppe Tallia

    Speculum

    Morirò su questa cyclette
    lo sento dal battito del cuore
    e da questa gronda di sudore
    che mi cola dalla fronte
    come il sangue del Cristo.

    Il mio specchio è un retrovisore.

    Una Venere lotta con il tapis roulant.
    Le conto le costole.
    Ne mancano due all’appello,
    quelle fluttuanti sul decorso
    obliquo del Summa Theologiae.

    Mi riempie gli occhi
    ma non posso fermarmi –
    sarebbe una sconfitta –
    nonostante avverta una fitta.

    Imposto il programma a barre intermittenti.
    Zompo come una marionetta.
    Respiro attraverso la cuffietta.

    Arriva, arriva il vento!
    Si specchia nello specchio:
    Anemosssss
    Kathorossss

    Una lunga fila nella sala attrezzi
    del purgatorio.
    Gli abbonati alla tortura
    sferrano attacchi ai pesi,
    ai manubri, ai dischi contesi.
    I corpi si bilanciano,
    entrano in trazione;
    alzano e abbassano maniglie
    in un rumore di ferraglie.

    Lo specchio a cui tutti si specchiano:
    l’inferno-out, il paradiso-in.

    E’ una via crucis lo spin
    asciugamano e bottiglietta- biberon.

    Morirò su questo vogatore, lo sento
    quando l’istruttore- Caronte- moggio
    mi incita a non cedere il passo
    a superare l’orlo del collasso.

    L’esercizio terminerà tra qualche minuto.
    Premere un tasto qualsiasi per continuare.

    Secondo voi che faccio?

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  22. Giuseppe Talia

    Un grande augurio a Gino Rago.

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  23. in questa composizione, ci sono dei colpi da maestro di ironia e scetticismo:

    Il mio specchio è un retrovisore

    Premere un tasto qualsiasi per continuare

    ma qui si tratta di una ironia corrosiva che gira un po’ come una macchina celibe. Giuseppe Talia sa benissimo che l’ironia non può nulla contro la nuda e cruda superficie della banalità, tuttavia è l’arma di riserva che usa il poeta quando tutto è perduto. Sono le ultime frecce della sua faretra. Ricordo che una volta, tanto tempo fa, inviai una mia poesia ad un poeta che adesso va di moda, che conteneva questo verso (lo ricordo a memoria): «il formicolio dell’apparenza». Il poeta in questione subito lo notò e mi scrisse. era ovviamente uno specchietto per le allodole, lo avevo messo proprio per attirare la sua attenzione e per verificare la sua scarsa intelligenza poetica in quanto quel verso non aveva nulla da spartire con la poesia che gli avevo mandato e il mio intendimento era solo quello di verificare la nequizia della sua intelligenza.

    In questa poesia di Talia ci sono una buona quantità di versi simili, ma qui c’è la necessità di spezzare il tegumento della forzosa banalità cui è costretto il poeta dalla sua materia sordida e prosastica con l’intermediazione di proposizioni che rompono quel dettato posticcio. Talia è un esempio di come oggi la poesia di qualità è una faccenda ostica, è impresa dura oggi fare una poesia di qualità, se non altro perché impera il Kitsch ovunque, in specie nella cosiddetta poesia che vuole farsi passare di qualità ed invece è soltanto sordida e piccolo borghese.

    Una volta un letterato mi rimbeccò dicendomi che la fraseologia «piccolo-borghese» era una cosa d’altri tempi, degli anni di piombo… e così via… io gli risposi che le categorie non esalano l’ultimo respiro soltanto perché così vorrebbero i modesti letterati. ecco, direi che la poesia di Talia è quella di un letterato piccolo borghese che non cessa di esserlo e nemmeno vuole cessare di sembrarlo come invece fanno tutti coloro che vorrebbero togliersi di dosso quello stigma con l’argomentazione stolida che ormai il mondo è diventato liquido e che non c’è più né destra né sinistra e che le categorie sono diventate liquide e altre facezie……

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  24. Giuseppe Talia

    Come non essere d’accordo con l’analisi di Giorgio? Mentre la componevo avevo ben in mente tutti “i colpi da maestro” che avrei inferto, contando le frecce nella faretra: sempre meno numerose quelle acuminate e sempre più numerose quelle spuntate.
    Piccolo borghese, sì, rivendico il passaporto, ne sono pienamente cosciente.

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  25. IV.
    E non sapremo mai fino dove
    noi due fummo in fine sospinti
    quali occhi adesso ci separano
    e se giacciono il resto delle ombre
    alla resa alta della pietra muraria
    dove Marte ci pose in campo
    un gioco a scambio traguardato
    o la nostra porta tutt’ora persa
    aperta nel mattino o nello specchio
    del presente che oramai ci divide

    (Qui in lettura trattA dal suo Il Secchio e lo Specchio, ed Manni.) Francesco Lorusso.

    GRAZIE OMBRA.

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  26. Avvenne per acclamazione.
    Ricevettero tutti quanti palette riflettenti.
    Le uniformi regolari anche.
    Ai polsini led intermittenti.
    Tutti avrebbero fermato tutti.
    Si posizionararono.
    Fu convenuto un unico fischio,
    un richiamo morbido.
    Un fruscio incontrollato di uccelli.
    E avvenne.

    Grazie OMBRA.

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  27. Pingback: Paradigma dello Specchio – Quattordici Poesie per quattordici poeti sul tema dello specchio, a cura di Gino Rago – Poesie di Ezra Pound, Sylvia Plath,  Wislawa Szymborska, Francesca Dono, Kikuo Takano, Donatella Costantina Giancaspero, Letizi

  28. Giuseppe Gallo

    Come non essere d’accordo con chi afferma che <>? In questo dire vogliamo metterci anche noi stessi?

    Sullo sfondo il palazzo di ferro e cemento
    ha una parete di vetro con la polvere addosso
    rivolta ad oriente per riscaldarsi al sole.
    E su e giù e a destra e a sinistra altre lastre a specchio
    anch’esse annerite.
    Ogni tanto un riflesso
    un luccichio maturo di tramonto.
    Puntando gli occhi a volte
    ci incontriamo in quel balenio,
    raro come una chiara pupilla,
    e ci sembra in quell’istante il mondo,
    con le cose e la materia,
    un lampo.
    Il crollo del nel nostro destino.

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  29. di Lalie Lescorgot

    Davanti allo specchio qualcosa si
    Muove Più di un baleno La strana
    Velatura di una figura gettata in
    Avanti Non c’è molto sul vetro
    Gli angoli ruotano sugli angoli
    Il piano attraverso gli sfoghi del paesaggio
    Dopo l’erba un treno di alluminio
    Certi profughi espulsi da ogni traversata
    Di acqua fredda
    Com’è possibile che tutto sia
    Distante e sconosciuto?
    Un grande lavandino esplode con
    Gli abitanti dei volti senza vita
    A sorpresa un estraneo si fisserà
    “On demand “ al tuo esile corpo
    In un solo sorso di polvere Dall’ultimo
    suono diabetico che si ripete infinito.

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  30. darioarpaio

    Buongiorno,

    volevo ringraziare per la profondità di questa rivista, che leggo e rileggo con umiltà devota, seppure a volte non concordo con le disamine.

    In un panorama culturale, quale si presenta quello italiano, la rivista è, per me, fonte di riflessione attenta.

    Mi permetto di inviare questa mia poesiola a mo’ di ulteriore ossequio in punta di piedi.

    Grazie per esserci.

    Cordialità,

    Dario Arpaio

    Il giorno sab 9 giu 2018 alle ore 07:35 L’Ombra delle Parole Rivista Letteraria Internaziona

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    • donatellacostantina

      Gentile Dario,

      grazie di cuore per il Suo vivo interesse verso la nostra rivista. Noi tutti che vi collaboriamo speriamo sempre di proporre degli argomenti tali da fornire spunti di riflessione ai lettori, i più disparati, a prescindere dalle idee di ciascuno, proprio come Lei riferisce nel Suo caso. Dunque, siamo molto contenti per questa Sua testimonianza. Però non leggiamo la poesia che ci ha annunciato: forse a causa di qualche disguido. Ad ogni modo, può ripostarla: la leggeremo con piacere.

      Un cordiale saluto da me, a nome di tutta la Redazione.

      D. Costantina Giancaspero

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  31. Pingback: Paradigma dello specchio a cura di Gino Rago – Tessere l'anima dello sguardo sul mondo

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