Archivi del giorno: 29 giugno 2018

Francesco Destro, Due poesie più altre inedite – Con una Lettera di intenti

 

Man Ray devant un portrait de Kiki des années 1930 - 1954 /Michel Sima /sc

Man Ray, In front of Kiki de Montparnasse

Francesco Destro è nato a Padova nel 1994. Studente di Lettere Moderne, nel 2016 ha pubblicato la raccolta Così dolce la sera (Eretica Edizioni) con la prefazione di Alessandro Quasimodo. La sua seconda raccolta, Humanum est, è in attesa di pubblicazione. 

Lettera di intenti

… ho pensato di proporvi queste due poesie che, in un certo senso, sono due facce della stessa medaglia. La prima, Pollicem vertere, è nata due mesi fa come riflessione in seguito alla petizione per rimuovere il quadro Therèse dreaming di Balthus da un museo di NY. Appresa la notizia, ho pensato all’ennesimo caso di rifiuto di considerare qualsiasi espressione artistica come qualcosa che vada continuamente decifrato, preferendo un’idea di arte come semplice intrattenimento dei sensi o vuoto formalismo.

La seconda, Conforme agli standard, è nata invece da un senso di avvilimento dopo l’ennesima spettacolarizzazione e mercificazione della violenza, visto che più testate giornalistiche hanno condiviso il video (non necessario, quantomeno a mio avviso) della donna gettata sui binari, desolante e recente fatto di cronaca. Da qui, ho pensato a quell’essere sempre pronti a filmare o fotografare, ma soprattutto all’ipocrisia di certe persone, a quel condannare il “puramente possibile” (riferimento a Croce e alla sua idea di arte) e all’assurdità di certi “standard della comunità” virtuali e non, come pure all’idea di osceno e a come il popolo ami contraddirsi, imbrogliarsi da sé (pasolinianamente parlando, “er popolo è sempre colpevole” ).

Nei giorni della tentata censura, nei cinema usciva con successo il film su Egon Schiele, cosa che ha rafforzato la mia idea di ipocrisia e di contraddizione (chiaramente, non pretendendo sia un fattore immancabile ed universale).

Scherzosamente, se mi capita di parlare di poesia sostengo che ogniqualvolta si legge una composizione ci si trova di fatto nella condizione di pagare (in tempo, in denaro o in entrambi) per leggere le ‘paturnie’ di qualcun altro. Ebbene, quand’è che questa spesa si rivela proficua?
Arthur Schnitzler scrisse che degli aforismi per primi ci annotiamo quelli che ci danno conferma di ciò che abbiamo pensato o avvertito (in altre parole, che ci danno ragione). Per moltissime poesie il meccanismo è lo stesso: nei versi si cerca traccia di un riscontro, di una consolazione, di un reciproco vissuto. Il poeta, offrendo il suo tentativo di esprimere quell’inesprimibile di cui l’uomo non ha che vaga percezione, dona parole in cui il lettore trova riparo e che solo leggendo comprende di aver già dentro sé.
Tuttavia, pienamente consapevole che la Poesia non esaurisce in questo il suo compito, ritengo che nelle sue plurime manifestazioni dovrebbe continuare ad essere in grado anche di provocare, di sollecitare, di instillare un dubbio, così da andare oltre il genere dominante della poesia-confessione e quel tentare di ridurre la poesia a semplice intrattenimento dei sensi o vuoto formalismo (come l’Arte in generale, mi sembra; significativi sono i recenti tentativi di censura ‘collettiva’ di quadri sulla spinta del politicamente corretto e del progressismo più becero e ignorante).
Da qui si sviluppa la mia ricerca poetica. Nell’assiduo confronto con il nostro Zeitgeist rivendico, quantomeno personalmente, la necessità di una poesia non ermetica, inutilmente autoreferenziale o vuoto esercizio stilistico (seppur mi capiti di negare coi fatti queste due ultime intenzioni), fondata sull’esigenza di apparire e di piacere, di far vedere che (questo soprattutto pensando alla mia generazione, troppo spesso costantemente focalizzata su temi amorosi, mal di schiena e uccellini che fastidiosi cantano di prima mattina e banalizzati anche solo per la resa espressiva).

Seppur avverta anch’io una certa sfiducia nelle parole e sia nutrito dall’impressione di vivere in un oggi in cui più che mai si è fiacchi liberti di una fiacca età (lontane ma profetiche, queste parole di Ada Negri), con tutta la mia inesperienza cerco di restare il più possibile coerente con una responsabilità etica della scrittura che non sia, come più volte espresso fra queste pagine, “un’innocua contemplazione del mostro del Moderno”, cercando inoltre di non arrendermi a quel “raffreddamento delle parole” (fenomeno della “nuova ontologia estetica” qui ampiamente descritto) trovando un compromesso fra la prosaicità e il recupero di parole alte, poetiche o inconsuete nel tentativo di coinvolgere, anche ironicamente, il lettore in questo sforzo (penso a una poesia in cui invito chi legge ad armarsi di vocabolario prima di continuare nella lettura).

In altre parole, tendo a ricercare sì una condivisione di sentimenti ed impressioni (interrogandoci, perché umani, sull’amore, sul rapporto con sé stessi, con e tra gli altri) ma anche un’invito alla riflessione senza avere la pretesa di fornire risposte (in questo, probabilmente acquisisce un senso il mio uso ricorrente di punti di domanda, del forse e del condizionale).
Credo infatti in quella poesia che è un’avida supplica al mondo e a sé stessi di farsi comprendere e raccontare (o meglio, narrare); in quella poesia capace di spezzare l’inanellarsi di banalità e ripetizioni (o dissimularvisi per distruggerla dall’interno) e che spinge per far uscire la figura del poeta dal ruolo marginale cui è stato (o si è?) confinato, guardando con nuova volontà (ma senza cadere in ulteriori epigonismi) al ‘poeta giullare e ribelle’ e condannando il ‘poeta saltimbanco’ che non pone serietà e responsabilità nel proprio lavoro. In tutto questo, ecco il mio scrivere poesie perché non riesco a farne a meno, e non perché immagino siano gli altri a non poter farne a meno. Cercando, fra mille personali contraddizioni, di evitare che ciò che scrivo non sia che un guazzabuglio di parole, e nulla più.

Foto Man Ray to the selfie generation

Man Ray, to the selfie generation

Dittico

Pollicem vertere

“La pornografia è una forma d’arte decaduta”
(Philip Roth, L’animale morente)

Non lo toglieranno, alla fine:
il pollice verso stavolta
non ha sortito effetto.
Resterà lì, smacco in olio su tela,
dimostrazione in cornice
che in fondo è cosa vera,
la fallibilità di certe petizioni. Continua a leggere

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