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Le procedure della de-figurazione e della de-localizzazione nel linguaggio della nuova poesia kitchen, dopo la riscrittura post-moderna operata da Franco Fortini, Mario Lunetta e Maria Rosaria Madonna, La resa dei conti stilistica del «poetico» è, dopo il novecento, rimasta in sospeso e attende ancora una soluzione, che non potrà essere solo stilistica e vocabologica  ma dovrà andare molto più a fondo, dovrà investire nientemeno l’ontologia del linguaggio poetico, Poesie di Raffaele Ciccarone, Marie Laure Colasson Francesco Paolo Intini, Giorgio Linguaglossa

Marie Laure Colasson Struttura dissipativa 75x28 acrilico 2021

Marie Laure Colasson Strutture libere nello spazio, acrilico 75×28, 2021 
L’accadere della verità dell’opera d’arte è nient’altro che l’evento del suo accadere. L’accadimento è esso stesso verità, non come adeguazione e conformità di parola e cosa, ma come indice della difformità permanente che si insinua tra la parola e la cosa. La cosiddetta verità dell’opera d’arte tanto reclamizzata dal pensiero filosofico del novecento è nient’altro che difformità, differenza, divergenza.  L’arte come accadere della verità che significava nel novecento preannuncio dell’aprirsi di orizzonti storico-destinali o del chiudersi di orizzonti storico-destinali, è oggi diventata una mera funzione decorativa. L’arte non è più quell’evento inaugurale in cui si istituiscono gli orizzonti storico-destinali dell’esperienza delle singole umanità storiche. Le opere di poiesis sono oggi esperienze di shock tali da sovvertire l’ordine costituito dei significati consolidati dalla vita di relazione. L’ovvietà del mondo diventa non-ovvietà. Nuove forme storico-sociali di vita sono di solito introdotte da opere di poiesis che le hanno preannunciate. Le opere di poiesis dell’ipermoderno si configurano quindi come produzione di significati in condizioni di spaesamento permanente, di s-fondamento rispetto a sistemi stabiliti dei significati ossidati. Un tempo le opere di poiesis avevano senso soltanto se «aprivano», se preannunciavano nuove mondità, nuovi possibili modi di vita e forme di esistenza, altrimenti deperivano a cosità. Oggi va corretto quel concetto di «apertura», le opere di poiesis oggi hanno senso soltanto se «chiudono», se preannunciano la «chiusura» delle mondità, se «chiudono» i modi di vita e le forme di esistenza del presente e del passato, altrimenti deperiscono a cosità. (g.l.)

Eur Roma Nuvola di Fuksas Domenica 10 dicembre 2023

Sulla de-figurazione

«Il trucco è l’arte di mostrarsi dietro una maschera senza portarne una»

(Charles Baudelaire)

Nel suo Éloge du maquillage (1863), Baudelaire accenna alla necessità di utilizzare i mezzi della trasfigurazione per ricercare una bellezza che possa diventare artificio, mero artificio prodotto da un homo artifex, ultima emanazione dell’ Homo Super Faber, o Super Sapiens.

La «defigurazione» è la procedura poetica tipica  adottata dalla «nuova poesia». Pensare lo «spazio poetico» oggi significa applicare ai testi la de-figurazione e la dis-locazione in quanto gli spazi interamente de-politicizzati delle società moderne ad economia globale e glocale interamente dipendenti dai pubblicitari e logotecnici, sono caratterizzati dalla de-figurazione e dal disallineamento metrico, vale a dire dalla distassia e dalla dismetria.

È il linguaggio pubblicitario che impone al linguaggio poetico le sue regole, si tratta di una modificazione del linguaggio che è avvenuta nelle profondità. Oggi la politica estetica la fa la pubblicità. Il discorso poetico che voglia tornare a fare della politica estetica non può fare a meno che ri-appropriarsi delle procedure già adottate in amplissima  misura dal linguaggio pubblicitario e mediatico.

La de-figurazione  è una procedura retorica che consente di prescrivere una «figura» linguistica mediante una de-localizzazione frastica sistematica, introducendo nel testo proposizioni liberamente dis-locate, spostate, liberate dalla cogenza del referente, non appropriate quindi non corrispondenti al referente; ciò vuol dire che si registra uno scarto del pensiero dal referente che corrisponde alla parola che non gli corrisponde; tra il pensiero e la sua traduzione in parole si stabilisce uno spazio vuoto di significazione, ed è in questo spazio che opera il linguaggio poetico: nello spazio della de-figurazione iconica e della de-localizzazione frastica entro i quali sono inscritte ed operano forze linguistiche e extra linguistiche disgiuntive, contrastive e divisive, come appare chiaro dalla  poesia di accademia dove l’espressione che mira al referente viene ad essere sostituita da enunciati referendari, cioè in libera uscita espressiva, appunto, referendaria. Così è avvenuto che il linguaggio referendario del poetico e del narrativo ha sostituito il referente.

La globalizzazione, come sappiamo, è un processo ancipite, globale e glocale, in cui agiscono vettori anche contrastanti ma divergenti: non vi è solo sconfinamento e apertura dei linguaggi al globo, in questo processo macro storico operano anche dinamiche di collocazione e glocalizzazione; ci si muove nel quadro di smottamenti linguistici globali e glocali, uno spazio impensabile fino a qualche tempo fa, ma è in questo spazio che si muovono le forze linguistiche che operano all’interno dei linguaggi: le linee di convergenza e di divergenza tra le varie tradizioni letterarie diventano complessificazioni di una realtà in sé complessa. In questa accezione una «poesia europea» che fa della complessificazione e del dis-allineamento dei linguaggi il proprio motore di ricerca è già in atto nei più sensibili e ricettivi poeti europei, oggi una poesia europea che non  abbia qualche cognizione di questa problematica macro storica dei linguaggi è destinata a fare operazioni epigoniche.  Pensare ancora con le categorie della poesia del novecento: «poesia lirica» e «post-lirica», sperimentalismo e orfismo, linee regionali e linee circondariali sono, permettetemi di dirlo, blablaismi. La globalizzazione e la glocalizzazione sono processi macro storici che non possono non attecchire anche alla forma-poesia, modificandola in profondità al suo interno.

È impellente pensare la ri-concettualizzazione del paradigma del politico e del poetico, è viva l’esigenza di fuoriuscire da quelle formule dicotomiche che hanno caratterizzato la poesia del novecento: lo schema classico: avanguardia-retroguardia, poesia lirica poesia post-lirica; siamo andati oltre: occorre ri-concettualizzare e ri-fondamentalizzare il campo di forze denominato «poesia» come un «campo aperto» dove si confrontano e si combattono linee di forza fino a ieri sconosciute, linee di forza linguistiche ed extra linguistiche che richiedono la adozione di un «Nuovo Paradigma» che metta definitivamente nel cassetto dei numismatici la forma-poesia dell’io panopticon della poesia lirica e anti-lirica, avanguardia-retroguardia; da Montale a Fortini è tutto un arco di pensiero poetico che occorre dismettere per ri-fondare una nuova Ragione dello spazio poetico. Dopo Fortini, l’ultimo poeta pensante del novecento, la poesia italiana è rimasta orfana di un poeta critico in grado di orientare le categorie del pensiero poetico.

Quello che oggi occorre fare con urgenza è riprendere a riparametrare e ri-concettualizzare le forme del pensiero poetico, de-territorializzare il linguaggo poetico della tradizione del novecento e riterritorializzare il nuovo linguaggio poetico per una «nuova poesia» di là da venire, anche perché dopo la riscrittura post-moderna operata da Franco Fortini, Mario Lunetta e Maria Rosaria Madonna la resa dei conti stilistica del «poetico» è, dopo il novecento, rimasta in sospeso e attende ancora una soluzione, che non potrà essere solo stilistica e vocabologica  ma dovrà andare molto più a fondo, dovrà investire nientemeno l’ontologia del linguaggio poetico.

Il pensiero logico-sequenziale nella nuova poesia kitchen è andato a farsi friggere.

Nella «nuova poesia» il pensiero logico-sequenziale, di tipo “alfabetico”, è andato a farsi friggere, sembra essere stato in buona parte sostituito da un pensiero nello stesso tempo teppistico e multi-tasking. Se leggessimo con concentrazione una poesia di Francesco Paolo Intini, di Raffaele Ciccarone o di Marie Laure Colasson ci metteremmo a ridere, ci accorgeremmo che ci troviamo davanti ad una testualità multi-tasking, triggered, tigrata, non ammaestrata, una poesia pop-corn, una poesia pop-fast-food. Intini, Ciccarone e la Colasson sono i primi  primati, in Italia e, che io sappia anche in Europa, che facciano una pop-corn-poetry, che non sai se sia più ridanciana o auto derisoria o auto compromissoria, fatto sta che si tratta di una testualità che si deve leggere di sguincio, con l’occhio distratto, facendo zapping con lo sguardo. Come è possibile sostenere che il soggetto fondatore è indicibile (e quindi la parola è impronunciabile) e fare di questo indicibile il senso stesso del discorso poetico? Non si continua in tal modo a pensare a partire dagli stessi termini, ma invertiti? «La traccia dell’origine», in Derrida, funzionerà esattamente come un che di originario: esso si produce occultandosi e diventa effetto; lo spostamento qui è produzione. La non-adeguazione dell’originario a se stesso attraverso un logos dell’originario è d’altronde una vecchia idea del proposizionalismo della poesia elegiaca che è presente da Pascoli a Sanguineti post-Laborintus (1956) e arriva fino ai giorni nostri, poiché la ratio cognoscendi non può porre in primo luogo ciò che è realmente primo; di qui il ritorno all’origine, innato o a priori della poesia elegiaca, che non possiamo enucleare se non mediante uno scarto e un’eterna inadeguazione. È questo lo scotto che va pagato, lo scotto di una eterna «inadeguazione» del discorso poetico ad approssimarsi. Ma approssimarsi a che cosa?. Il discorso poetico è un voler dire, un atto di potenza e di rappresentazione, una possibilità che non si sa mai se si tradurrà in atto storico, reale, e quindi estetico. È il discorso sotteso alla «Muta» di Raffaello: lei ci parla meglio e con più chiarezza di quanto possano parlarci le più belle parole dei poeti classici; ma oggi, mi chiedo: è possibile raffigurare in parole (o tramite i colori) un soggetto che non può parlare? È dicibile l’indicibile? È rappresentabile l’irrappresentabile? È questo il paradosso nel quale si consuma la poesia maggioritaria che si fa in Italia, ma è soltanto in questo attrito, in questa collisione che la poesia vive e si accende. Ecco la ragione della elusione, della volatilità della parola poetica che il kitchen ammette alla ennesima potenza. Con concetti come quelli di «traccia» o di «differenza», si traduce lo scollamento del soggetto dall’enunciato, dal discorso stesso, di cui diventa impensabile che possa esserne il padrone. La «differenza» è questo scarto, questo recupero impossibile del soggetto da parte del soggetto incessantemente differito nel movimento del significante. Il soggetto sarà parlato e significato in una catena infinita di significanti, in una rete che lo dispiega e, nello stesso tempo, lo allontana. Lacan dirà il celebre motto secondo cui «il significante è ciò che rappresenta il soggetto per un altro significante», che consacra la scissione del soggetto da se stesso, come in Barthes, dove il soggetto non aderisce più al testo, di cui è solo «porta-voce» e non «autore» in senso teologico. Lacan fa del soggetto questa «presenza assente», questa rottura che fa sì che l’uomo non sia più segno, con un significante che si libera dal rapporto fisso col significato e si sposta dal suo luogo verso un altro luogo. Il soggetto è in questa traccia, velato in questo vulnus che si sposta, che pronuncia parole s-podestate, de-posizionate. Il soggetto è stabilito dal significante del segno che rimanda ad un altro segno, ad un altro significante. La poesia odierna fa un uso logologico dell’io: la semantica diventa una mantica, e la poesia diventa magia bianca, quando invece è magia nera, con tanto di mago Woland a certificarla. Così, l’io prende il piffero e diventa un pifferaio magico, e invece diventa altro da sé, avanza con la maschera dell’io ma è altro, stabilisce la propria identità mediante la rimozione dell’altro da sé che egli è. L’identità dell’io si realizza al prezzo della rimozione, di quella parte del «sottosuolo» che è «il sottosuolo del sottosuolo» per dirla con Emanuele Severino. In tal modo, risulta rimosso lo scarto retorico rispetto al sé, retorico perché l’identità è letterale più che figurata, quella letteralità che la posizione poetica maggioritaria propone, rientra nel circolo dell’io positivizzato e privatizzato. * J. Derrida, De la grammatologie, 1967 – trad it. Della grammatologia, Jaca Book, Milano, 1969, p. 69

(Giorgio Linguaglossa)

Struttura_dissipativa_acrilico 50x28, 2023

Marie Laure Colasson Strutture libere nello spazio, acrilico 50×28, 2023 

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Raffaele Ciccarone
10 novembre 2023 alle 0:04

Collisione con lo spazio a curvatura negativa

Fu la collisione con lo spazio a curvatura negativa
a spostare AEW World Championship mentre tutto
l’ologramma era a Dubai a fare il bagno

tutto l’amore riversato in una bacinella
ammalia Loredana amica del mago Woody
ora la TVS fa pagare certi servizi
ma teme punti di congelamento

tant’è che il progetto olografico
di S. Hawking si presenta sotto l’albero
di Natale per sciogliere le palle gialle limone

in tanti hanno disertato il reading di poesia
Kitchen tranne Filiberto assillato dal risentimento
quantico ora che il divano è ripulito

dopo l’ostentazione del raro incunabulo Beatrice
si ritira in clausura a Firenze per dedicarsi
alla pittura figurativa visto la vendita delle nuvole azzurre

Raffaele Ciccarone

Dalle proiezioni asimmetriche poi!

Dalle proiezioni asimmetriche eccetto
certi interrogativi istanti di sequenze Z+X=- 1
per CRO>100 che s’inerpica per svasate aggregazioni
quale cromatismo al momento? E poi?

Le news del mercato, il pane che sale per il sale! Sic!
tutto nello street shop vuoi scarti involontari di glucosio
guarda la sottotraccia arancione C12 H22 O11
magari sinonimo ma ora cosa fare, ora?

L’urgenza di un tempo superiore tale da aver
nuova visione del canto del canarino al teatro
ove Adalgisa a prescindere dal forfait
quella volta che Lucia Lammermoor di Donizetti

per il presunto sogno delle farfalle l’ufficio
investigativo memore di frontiere e degli assolo
l’Armando più di una volta ordunque
quanti e quali sospiri da dipanare se?

Di questo passo l’orizzonte pur rifritto
quale frontiera nella hall se tutto si consuma?
reggerà alla pressione iperbarica
con quella temperatura il conogelato?

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Draghi

Mario Draghi, il fuoriclasse che il Ct. dell’Italia tiene in tribuna

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Francesco Paolo Intini

Novembre

Capita a novembre di vedere zombi qua e là. Ogni volta che succede devo rincorrerli per la stanza, pulire il cloro che cola dalle mandibole e mettere varichina dove sbarcano.

Ologrammi credo che vivono in simbiosi con il passato e non gli fa specie che siano dei vermi a parlare nelle orbite degli occhi.

Uno di questi si fa chiamare stato, ma è indeciso quale delle tre facce mostrare.

Credo di averlo visto nella mia gioventù. Si aggirava da padrone per le scale e i ripiani delle torte, esibendo stalattiti d’idrogeno e stalagmiti di oganesson.

Adorava i crisantemi però e contava i petali per dire t’amo al vuoto di cui si circondava, tra un funerale e un tentativo di risalire l’albero della cuccagna.
Come un giorno possa scivolare sotto uno scheletro non è dato sapere ma il Re dei mesi ce la mette tutta per tirare fuori i campioni in gara.

Bene e male credo di aver letto. Chi non ricorda l’oratorio in cui trascorrevano le loro giornate a discorrere della creatio ex nihilo e cercare in tutti i modi di convincere il Sodio a bere acqua?

Imparavamo dai razzi di acetilene l’abc delle discussioni.
Nel dopo esperimenti c’era sempre una bandiera bucherellata su sui poggiare i piatti.

Così tra una Napoli repubblicana e un’altra borbonica spuntava il cardinale Ruffo a far da arbitro e fischiare per un fuori gioco la discesa agli inferi.

Ora che da un neo spunta un continente, si portano a guinzaglio gli ologrammi: lupi senza occhi, cervi con i cingoli, pecore che belano come draghi di Komodo.

Perché, mi chiedo, far bere ossigeno alle parole?
Se tuona un corvo dall’alto di un cipresso allieta una vipera che ride nella bocca. Continua a leggere

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Riepiloghiamo qui i punti essenziali del pensiero di Zygmunt Bauman (1925-2017), ricordando quanto i concetti del sociologo polacco abbiano influenzato anche il pensiero in ambito estetico. L’estetica del consumo, L’analisi dell’Olocausto, Post-panopticismo, Modernità liquida, Società in movimento, Libertà e necessità di movimento, Libertà di movimento e Stati nazionali, Il non-luogo,  Il tempo e il senso, Gli spazi vuoti, Identità, Comunità guardaroba

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Zygmunt Bauman (Poznań, 19 novembre 1925 – Leeds, 9 gennaio 2017) sociologo e filosofo polacco di origini ebraiche. Nato da genitori ebrei a Poznań nel 1925, Bauman fuggì nella zona di occupazione sovietica dopo che la Polonia fu invasa dalle truppe tedesche nel 1939 all’inizio della seconda guerra mondiale. Successivamente, divenuto comunista, si arruolò in una unità militare sovietica. Dopo la guerra, incominciò a studiare sociologia all’Università di Varsavia, dove insegnavano Stanisław Ossowski e Julian Hochfeld. Durante una permanenza alla London School of Economics, preparò la sua maggiore dissertazione sul socialismo britannico che fu pubblicata nel 1959.

Bauman collaborò con numerose riviste specializzate tra cui la popolare Socjologia na co dzien (“La Sociologia di tutti i giorni”, del 1964), che raggiungeva un pubblico più vasto del circuito accademico. Inizialmente, egli rimase vicino al marxismo-leninismo ufficiale, per poi avvicinarsi ad Antonio Gramsci e Georg Simmel soprattutto dopo il 1956 e la destalinizzazione.

Nel marzo del 1968, la ripresa dell’antisemitismo, utilizzato anche nella lotta politica interna in Polonia, spinse molti ebrei polacchi a emigrare all’estero; tra questi, molti intellettuali distaccatisi dal regime. Bauman, che aveva perso la sua cattedra all’Università di Varsavia, fu uno di questi. Egli dapprima emigrò in Israele per andare a insegnare all’Università di Tel Aviv; successivamente accettò una cattedra di sociologia all’Università di Leeds, dove dal 1971 al 1990 è stato professore. Dal 1971 ha quasi sempre scritto in lingua inglese. Sul finire degli anni ottanta, si è guadagnato una fama internazionale grazie ai suoi studi riguardanti la connessione tra la cultura della modernità e il totalitarismo, in particolar modo sul nazismo e l’Olocausto. Ha infine ottenuto anche la cittadinanza inglese.

Ieri, Zygmunt Bauman si è spento il 9 gennaio 2017, all’età di 91 anni, nella città di Leeds, dove viveva e insegnava da tempo. Brevemente, riepiloghiamo qui i punti essenziali del pensiero di Zygmunt Bauman (1925-2017), ricordando quanto i concetti del sociologo polacco abbiano influenzato anche il pensiero in ambito estetico.

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    L’estetica del consumo

Con questo concetto Bauman ha richiamato l’attenzione su un fenomeno che oggi ha assunto una auto evidenza assoluta: il mondo è stato trasformato dall’economia globale in un “immenso campo di possibilità, di sensazioni sempre più intense” in cui ci muoviamo, spesso alla ricerca di Erlebnisse, di esperienze vissute, magari desunte dall’effimero e dal virtuale.

    L’analisi dell’Olocausto

La svolta delle ricerche di Bauman avviene tuttavia prima di questi celebri lavori, nel 1989, con Modernità e Olocausto. Un tema di sconvolgente attualità. Esemplare il tracciato di Bauman che indica e mette in comunicazione la persecuzione degli ebrei e le dinamiche della modernità. In questo senso Bauman fa dello sterminio un fatto ripetibile, lo toglie dall’isolamento trasformandolo in un prodotto della civiltà moderna, delle sue regole economiche ed efficientiste. La Shoah come parto della tecnologia e della burocrazia. Uno sviluppo della lunga storia della società, quasi un orribile test che ne ha rivelato le possibilità occulte difficilmente verificabili nell’ordinarietà.

     Post-panopticismo

In una prospettiva futura, per capire cioè cosa arriverà dopo la post-modernità, Bauman – in particolare nel libro Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida uscito un paio di anni fa, scritto con David Lyon – ha un approccio originalissimo delle strutture di potere, che sorpassa i classici modelli di controllo teorizzati da Jeremy Bentham e Michel Foucault. Oggi viviamo in un modello di società in cui le forme di controllo assumono le fattezze dell’intrattenimento e del consumo. In cui i dati e non le persone diventano appannaggio delle organizzazioni transnazionali, ne sono le loro emanazioni digitali.

    Modernità liquida

L’espressione del sociologo Zygmunt Bauman, “modernità liquida” indica un’epoca in cui la società e le sue strutture sono sottoposte a un processo di “fluidificazione”: per effetto dei fenomeni globali, qualsiasi entità passa dallo stato solido allo stato liquido, perdendo i suoi contorni chiari e definiti. Comportandosi proprio come i fluidi che, non avendo forma propria, assumono quella del contenitore, anche i concetti di luogo, di confine e di identità continuano a trasformarsi e la loro forma viene continuamente ridefinita dalle situazioni.

Si parte dai luoghi, passando per i confini, fino a giungere all’identità: è l’itinerario baumiano. Tramite la conoscenza dello spazio e l’esperienza del confine possiamo entrare in relazione con la realtà esterna e con gli altri, costruendo così la nostra identità, la nostra persona. Questo percorso ci rivela inoltre che i concetti non sono immutabili, bensì possiedono dei contorni fluidi e flessibili, perché si adattano al variare della realtà in cui sono immersi. Essi presentano un carattere ambiguo e sono sempre in evoluzione: allo stesso tempo racchiudono un’idea e il suo contrario, esprimono una definizione del reale e contemporaneamente il suo opposto. Questo ci fa capire che le distinzioni e i concetti puri sono possibili solo a livello concettuale, perché per poter analizzare e classificare i fenomeni del reale, servono delle categorie astratte, precise e univoche, ma ciò non vuol dire che siano delle realtà concrete e immutabili.

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Società in movimento

Il termine “globalizzazione” è ampiamente diffuso e conosciuto, è però anche un termine spesso abusato, un’espressione utilizzata per indicare una miriade di fenomeni, che interessano e trasformano la società in cui viviamo, nel tentativo di metter un po’ d’ordine nel caos degli avvenimenti e di trovare una spiegazione a tutti i cambiamenti, che avvengono oggigiorno nelle nostre vite. Le definizioni date al fenomeno della globalizzazione sono tante e diverse, ma volendo riassumere il concetto e puntare al nocciolo della questione, potremmo dire che la parola “globalizzazione” viene usata per descrivere quella serie di processi e di trasformazioni che riguardano le attuali società in tutti i loro settori (economico, sociale, culturale, ecc…) e che possono essere inclusi nel concetto di “compressione dello spazio e del tempo”.

Il concetto è di nostro interesse, perché queste alterazioni a livello spaziale e temporale, oltre ad avere delle ripercussioni in ambito economico, sociale e culturale, hanno indubbiamente delle conseguenze non indifferenti sulle persone e sul loro rapporto con lo spazio, producendo anche delle differenze evidenti. Esiste infatti un collegamento tra le trasformazioni delle categorie di tempo e di spazio e la struttura della società: i cambiamenti, che avvengono a livello temporale e spaziale, influiscono sulle società e sul loro modo di organizzarsi.

    Libertà e necessità di movimento

Ben lontano dall’essere un fenomeno omogeneo, la globalizzazione agisce su diversi piani e genera contemporaneamente effetti contrastanti: da un lato tende a unire, uniformare, dall’altro invece tende a dividere, a creare nuove distinzioni e questi effetti sono visibili su scale diverse, sia a livello globale, che a livello locale. “Globale” e Bauman, Zygmunt (1999): Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Roma: GLF editori Laterza, p. 4. –  Zygmunt Bauman, nel suo libro scrive: “La globalizzazione divide quanto unisce; divide mentre unisce, e le cause della divisione sono le stesse che, dall’altro lato, promuovono l’uniformità del globo“. In parallelo al processo emergente di un “locale” sono i due poli attorno ai quali si aggregano gli individui in base alla loro maggiore o minore capacità di movimento. Per alcuni, “globalizzazione” significa libertà di movimento, libero accesso alla dimensione globale, per altri invece essa rappresenta una limitazione del movimento, una capacità ristretta di muoversi e un legame indissolubile con la dimensione locale.

L’elemento, quindi, che acquisisce una nuova importanza e fa la differenza è la mobilità: La mobilità assurge al rango più elevato tra i valori che danno prestigio e la stessa libertà di movimento, da sempre una merce scarsa e distribuita in maniera ineguale, diventa rapidamente il principale fattore di stratificazione sociale dei nostri tempi, che possiamo definire tardo-moderni o postmoderni.

La capacità di movimento diventa un requisito e una qualità essenziale per gli abitanti della “modernità liquida” 4], perché la libertà di movimento o la mancanza di questa capacità di movimento determinano rilevanti differenze nella collocazione degli individui all’interno della società e del fenomeno chiamato globalizzazione. Tutto e tutti sono in movimento, fisicamente o virtualmente, la società stessa è in movimento e richiede che i suoi soggetti si muovano con essa; l’immobilità non è una scelta possibile o una soluzione da prendere in considerazione. Il moto è uno stato che ci accomuna tutti; quello che cambia è l’ampiezza di questo movimento: chi è libero, sciolto da ogni vincolo, può abbandonare la realtà locale e proiettarsi nello spazio globale, chi invece non è libero di muoversi, rimane, al contrario, legato alla sua dimensione locale. Questa diversa capacità di movimento produce quindi diseguaglianza tra le persone ed è il criterio, in base al quale le persone vengono classificate come “globali” o in alternativa come “locali”.5]

Il fatto di “essere locali”6] diventa però un fattore umiliante; viene vissuto come una condizione di inferiorità e questa sensazione di limitatezza è accentuata dal fatto che il scala planetaria per l’economia, la finanza, il commercio e l’informazione, viene messo in moto un altro processo, che impone dei vincoli spaziali, quello che chiamiamo «localizzazione»”; il controllo degli eventi e soprattutto dello spazio e dei significati da attribuirgli non è più in mano ai soggetti delle realtà locale, ma dipende dalla dimensione globale.

Gli spazi di interesse pubblico sfuggono all’ambito della vita per così dire «localizzata», gli stessi luoghi stanno perdendo la loro capacità di generare e di imporre significati all’esistenza; e dipendono in misura crescente dai significati che vengono loro attribuiti e da interpretazioni che non possono in alcun modo controllare […]. I centri nei quali vengono prodotti i significati e i valori sono oggi extraterritoriali e avulsi da vincoli locali – mentre non lo è la stessa condizione umana che a tali valori e significati deve dar forma e senso.”7]

La mobilità, valore indiscusso dell’epoca postmoderna, determina importanti cambiamenti nel rapporto tra l’uomo e lo spazio, uno dei quali è la scomparsa dei vincoli spaziali con la località. A tale riguardo emblematica è la frase di Albert J. Dunlap: L’impresa appartiene alle persone che investono in essa, non ai dipendenti, ai fornitori, e neanche al luogo in cui è situata.8] La frase sopra citata fa riferimento alla sfera economica, ma rispecchia pienamente la situazione, caratterizzata dall’assenza di ogni legame con lo spazio locale, che si riscontra anche negli altri ambiti. Dunlap mette in luce il fatto che, nella fase di globalizzazione in cui ci troviamo, le imprese e le decisioni, che servono a condurre tali imprese, non dipendono dai fattori locali, incluse le persone che ci lavorano, ma dipendono totalmente dagli “investitori”, i quali possono svolgere il loro lavoro ovunque, indipendentemente da dove essi si trovino, perché non hanno alcun genere di legame con lo spazio. Gli altri soggetti che comunque sono coinvolti nel processo produttivo e fanno parte dell’impresa, non hanno invece alcuna possibilità di intervenire nella sua gestione, prendendo parte alle decisioni che la riguardano. L’esempio dell’impresa illustra perfettamente la condizione in cui si trova il cittadino della società globalizzata: ogni individuo è inserito in un contesto, di cui fa parte e a cui partecipa, ma sul quale non può intervenire in alcun modo, perché le decisioni non dipendono per esempio dalla comunità, che abita quel determinato.

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  Le conseguenze sulle persone

Le decisioni dipendono da avvenimenti e fattori rintracciabili a livello globale. Questo processo, che porta a un progressivo distacco dei luoghi dal loro significato, viene definito da Zygmunt Bauman come “la Grande guerra di indipendenza dallo spazio”, “una guerra durante la quale i centri decisionali, insieme alle motivazioni stesse che determinano le decisioni, gli uni e le altre ormai liberi da legami territoriali, hanno preso a distaccarsi, in forma continua e inesorabile, dai vincoli imposti dai processi di localizzazione”. 9 Un altro aspetto frutto della mobilità è l’istituzione di “nuove gerarchie sociali, politiche, economiche e culturali.”10 In seguito alle trasformazioni che hanno coinvolto lo spazio, la mobilità è diventata in effetti uno dei valori più importanti che determinano la nuova organizzazione e struttura sociale. In base alla presenza o assenza di vincoli territoriali, le persone possono essere più o meno libere di muoversi e la loro posizione nella gerarchia sociale dipende proprio dalla minore o maggiore libertà di movimento che possiedono. Mobilità corrisponde a libertà di movimento e libertà dai vincoli territoriali, il che significa capacità di muoversi facilmente e di divincolarsi: chi ha la possibilità di muoversi facilmente e rapidamente, nonostante le distanze, ha anche la capacità di liberarsi, sciogliersi dai vincoli territoriali, ma anche da qualsiasi altro dovere o obbligo sociale. Mobilità significa dunque libertà di movimento, ma va intesa anche come assenza di ogni responsabilità.

    Libertà di movimento e Stati nazionali

Quella che oggi è chiamata libertà di movimento, è stata guadagnata mediante un’aspra lotta che dal rinascimento va fino alla fine dell’età imperialistica dello stato moderno. La liberazione dai vincoli territoriali, per poter muoversi leggeri e agire liberamente nello spazio globale, oggi è diventata un sotto prodotto dello stato moderno.

La situazione dello stato nazionale è mutata irrimediabilmente in seguito al crollo dei due blocchi. Al termine della guerra fredda sono sorti molti stati nuovi, ma le funzioni che rientravano nell’ambito di azione dello stato non erano più tutte quelle del passato, o meglio, non erano più le stesse. Importanti funzioni che prima erano di competenza dello stato, ora si sottraggono all’ambito d’azione degli stati, in primis la capacità di intervenire nell’economia. “La stessa distinzione tra mercato interno e mercato globale, o più in generale tra ciò che è «interno» ed «esterno» allo stato, è estremamente difficile da mantenere, se non nel senso più ristretto di «controllo di polizia del territorio e della popolazione».” Vengono meno alcuni principi fondamentali della sovranità statale. Gli stati non hanno più il potere e le risorse per gestire l’economia globale, ma possono solo limitarsi a svolgere una funzione di controllo, sorveglianza, sicurezza all’interno della società, del territorio.

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    Il non-luogo        

Il concetto di non-luogo può indicare anche i luoghi immaginari, frutto della fantasia e prodotti della finzione letteraria (come ad esempio le utopie), quando Marc Augé parla di non-luoghi si riferisce più propriamente a degli spazi concreti, realmente esistenti. Rientrano nella categoria dei non-luoghi tutti quegli spazi, quegli ambienti come gli scali, le stazioni ferroviarie, le sale d’attesa, gli aeroporti, i mezzi di trasporto, i centri commerciali e i luoghi di consumo.

Certi luoghi non esistono che attraverso le parole che li evocano; in questo senso nonluoghi o piuttosto luoghi immaginari, utopie banali, stereotipi. […] Ma i nonluoghi reali della surmodernità, quelli che frequentiamo quando viaggiamo sull’autostrada, quando facciamo la spesa al supermercato o quando aspettiamo in un aeroporto il prossimo volo per Londra o Marsiglia, hanno questo di particolare: essi si definiscono anche attraverso le parole o i testi che ci propongono; insomma attraverso le loro modalità d’uso, che si esprimono a seconda dei casi in modo prescrittivo («mettersi in fila sulla destra»), proibitivo («vietato fumare») o informativo («state entrando nel Beaujolais») e che a volte ricorrono a ideogrammi più o meno espliciti e codificati (quelli del codice della strada o delle guide turistiche) e a volte alla lingua naturale.”8]

    Il tempo e il senso

La prima figura dell’eccesso concerne “il tempo, la nostra percezione del tempo, ma anche l’uso che ne facciamo, la maniera in cui ne disponiamo”. Nella società odierna il tempo è diventato una categoria sempre più difficile da comprendere, che sfugge a qualsiasi tentativo di interpretazione e alla quale si fa fatica attribuire un senso. “La storia ci sembra non avere senso perché accelera e si avvicina. Il tempo che viviamo sembra aver subito una forte accelerazione; senza che ce ne rendiamo conto, il presente, appena vissuto, diventa passato ed entra a far parte della storia ad una velocità impressionante. In realtà la percezione che abbiamo di una storia accelerata dipende da un accumularsi eccessivo di avvenimenti: “L’«accelerazione» della storia corrisponde infatti ad una moltiplicazione di avvenimenti il più delle volte non previsti da economisti, storici o sociologi.” Questo eccesso di avvenimenti genera come reazione una continua ricerca di senso e un continuo tentativo da parte degli individui di attribuire dei significati al mondo che li circonda. Ciò che è nuovo, non consiste nel fatto che il mondo abbia poco senso, meno senso, o non ne abbia affatto. Il punto è che noi proviamo esplicitamente e intensamente il bisogno quotidiano di dargliene uno: di dare un senso al mondo, non a tale villaggio, o a tale lignaggio. Questo bisogno di dare un senso al presente, se non al passato, costituisce il riscatto di questa sovrabbondanza d’avvenimenti, corrispondente ad una situazione che potremmo definire di «surmodernità» per render conto della sua modalità essenziale: l’eccesso.9]

    Gli spazi vuoti

Gli spazi vuoti sono innanzitutto e soprattutto vuoti di significato. Non sono insignificanti perché vuoti: sono piuttosto visti come vuoti (o più precisamente non vengono visti affatto) perché non presentano alcun significato e non sono ritenuti in grado di presentarne uno. In tali luoghi refrattari di significato la questione del negoziare le differenze non sorge neanche, dal momento che non c’è nessuno con cui negoziare. Gli spazi vuoti sono vuoti non sono visibili e non vengono visualizzati, sono luoghi che non destano alcun tipo di interesse, e perciò sono volutamente esclusi da mappe, progetti urbanistici e architettonici.

    L’identità

Scrive Bauman: «Dopo tutto, il nocciolo duro dell’identità […] può formarsi solo in riferimento ai legami che connettono l’io ad altre persone e alla presunzione di affidabilità e stabilità nel tempo di tali legami. Abbiamo bisogno di relazioni, e abbiamo bisogno di relazioni su cui poter contare, una relazione cui far riferimento per definire noi stessi. Nell’ambiente della modernità liquida, però, a causa degli impegni a lungo termine che notoriamente ispirano o inavvertitamente generano, le relazioni possono essere gravide di pericoli. E ciononostante ne abbiamo bisogno, ne abbiamo ferocemente bisogno, non soltanto per la preoccupazione morale per il benessere di altre persone, ma anche per il nostro stesso bene, per la coesione e la logica del nostro stesso essere». 10]

L’identità e le relazioni necessitano di tempo e del contatto con l’altro da me, ma in un mondo dove le relazioni l’uno con l’altro si sono dissolte e sono evaporate, resta il vuoto. Per conoscere se stesso l’uomo contemporaneo ricorre al Tavor, agli anti eccitanti, agli eccipienti ipoeccitanti o iper eccitanti. Il mondo da recipiente è diventato un eccipiente.

    Comunità guardaroba

«Da qui nasce la crescente domanda per quelle che potrebbero essere chiamate comunità guardaroba, quelle comunità che prendono corpo, anche se solo in apparenza, quando si appendono in guardaroba i problemi individuali, come i cappotti e i giacconi quando si va a teatro. (…) Le comunità guardaroba vengono messe insieme alla bell’e meglio per la durata dello spettacolo e prontamente smantellate non appena gli spettatori vanno a riprendersi i cappotti appesi in guardaroba. Il loro vantaggio rispetto alla «roba autentica» sta proprio nel breve arco di vita e nella trascurabile quantità di impegno necessario per unirsi ad esse e godere (sia pur brevemente) dei loro benefici». 10]

La mobilità,  tipica espressione  della  modernità  liquida, coinvolge  anche  l’identità,  che diventa flessibile e mutevole, in grado di modificarsi e adattarsi a situazioni differenti, la flessibilità attecchisce anche alla identità all’interno di un ambiente anch’esso instabile e in continua mutazione.

    Identità come puzzle

Alla possibilità di paragonare l’identità ad un puzzle composto da tanti pezzi diversi, Bauman risponde: “È vero, si compone la propria identità (o le proprie identità?) come si compone un disegno partendo dai pezzi di un puzzle, ma la biografia può essere paragonata solamente a un puzzle difettoso, in cui mancano alcuni pezzi (e non si può mai sapere esattamente quanti).”9] L’identità, come un puzzle, è un’immagine frammentata, che si compone di tanti piccoli pezzi, ma a differenza di esso, non segue uno schema, un disegno prestabilito. Ogni persona ha a disposizione degli elementi diversi, che può assemblare e ricomporre a proprio piacimento, in base alle sue esperienze di vita e può ripetere la stessa operazione più volte, dando origine a forme sempre nuove. Il risultato di questo tipo di operazione quindi non sarà un’immagine fissa e sempre uguale, ma sarà una grande varietà di immagini possibili, che si possono ottenere sistemando i pezzi ogni volta in maniera diversa. Ognuno, componendo i tasselli che ha raccolto nel corso della sua vita, dà forma alla propria identità, senza seguire un’immagine o uno schema predefinito. I singoli pezzi possono essere ricomposti in maniera differente e possono sempre aggiungersene di nuovi, motivo per cui l’immagine di se stessi, che si produce non sarà mai quella definitiva: al contrario continuerà a modificarsi

 (a cura di Giorgio Linguaglossa)

3 Bauman, Zygmunt (1999): Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Roma: GLF editori Laterza, p. 4. 4 Termine coniato da Z. Bauman, vd. Modernità liquida, Roma: GLF editori Laterza, 2006. 5 “Globali” e “locali” sono definizioni usate da Z. Bauman nell’introduzione della sua opera Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Roma: GLF editori Laterza, 1999, pp. 4-5. 6 Ibidem

7 Ibidem, p. 5. 8 Albert J. Dunlap (con Bob Andelman), How I Saved Bad Companies and Made Good Companies Great, Time Books, New York 1996, pp. 199-200, citato in Zygmunt Bauman nell’opera Dentro la globalizzazione

8 Augé, Marc (2007): Tra i confini: città, luoghi, integrazioni, Milano: B. Mondadori, p. 53.

9 Ibidem p. 95

10 Bauman, Zygmunt (2005): Intervista sull’identità; a cura di Benedetto Vecchi, Roma [etc.]: Laterza, p. 26 e segg.

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IL CONTRIBUTO «NEON»-AVANGUARDISTA ALLA CONCRETIZZAZIONE DI UNA ORIGINALE ANTI-«FORMA-POESIA», la «soglia», il «chorastico», il «soggetto», l’«oggetto», la «merce»  di Ivan Pozzoni

helmut newton modelle Vogue con la moglie

helmut newton modelle Vogue con la moglie

Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’articolo di Ivan Pozzoni

     La svolta, nell’arte contemporaneissima, avviene ad inizio millennio, nel momento in cui i due nuclei teoretici della democrazia estetica («“dare voce” ai morti, ai dimenticati, ai diseredati dell’umanità e della storia») e della rivolta della nuova anti-«poesia» chorastica contro il sistema-«poesia» si combinano nell’intuizione, infra classem, del riconoscimento della sconfitta / crisi dei modelli, classici, di scrittura tradizionale: «L’io lirico moderno nasce, come “anima inquieta”, dall’Aha-erlebnis dell’hic et nunc, dalla memoria del senso individuale (autopsia) […] L’essere umano / artista, svincolato da un intenso senso di comunità, si abbandona ad un anacoretismo da estrema difesa, distante da istanze di comunicazione e di condivisione» [La sconfitta della scrittura. Ai confini tra uomo e arte, in I. POZZONI, Galata morente, Villasanta, Limina Mentis, 2010, 12 e 14].

La crisi della nozione tradizionale di comunità condanna i modelli di scrittura tradizionale all’«autismo» artistico. Come monomi dello stesso binomio cadono, insieme, regione dei monti, terra di oi barbaroi, modo dall’emotività spontanea dello thumós e regione della città, terra della civitas comunitaria, modo della razionalità organizzata del lógos: rimane, in una inesorabile «situazione-limite», la regione intermedia della chóra, terra di nessuno e di tutti, no-where zone, abitata da individui condannati a vivere su un’eterna «soglia». «L’inclusività, tratto naturale della nozione occidentale di comunità, è sostituita da un orizzonte di esclusione in cui si dibattono disorientati individui in cerca di sicurezza e di un momento di sollievo dall’ansia […] sulle tracce della nozione di esclusività Bauman arriva ad assimilare nozione di “comunità minima” (stato minimo nozickiano) del tardo-moderno e modello del reality show, […] coniando l’immagine teoretica di “comunità guardaroba”, idonea a sostituire uffici e funzioni della nozione tradizionale di comunità» [La crisi della nozione tradizionale di comunità: nuove forme di dominanza e di resistenza in I. POZZONI (a cura di), Demokratika, Villasanta, Limina Mentis, 2010, 10/11].

Milano, 11/12/1960 Nella foto: Eugenio Montale

Milano, 11/12/1960
Nella foto: Eugenio Montale

Fuoriuscendo dall’immagine baumaniana di una «centrifuga socioculturale» e dalla cartografia infernale della miseria (Onfray), le nuove élites dominanti si svincolano, come da una zavorra, dalla nozione stessa di «identità», massimo frutto del modello moderno di comunità, riscoprendosi «nomadi». Contro l’ideologia di una vita trendy difesa da una minoritaria e inafferrabile élite nomade, contro una «società dello spettacolo» irrigidita dalle norme del super-capitalismo consumista, contro ogni esaltazione estrema delle forme e della forma, le sacche «marginali» di resistenza e sovversione devono erigere barricate basate su un’etica cinica e antiformalistica, irrobustita dal ricorso all’anonimato e alla serena accettazione di esso; combattendo le élites dominanti sulla medesima dimensione del nomadismo e dell’inafferrabilità, trasformandosi in mostri anti-mostro, i centri «marginali» di resistenza e sovversione devono sostituire, a tentativi di edificare etiche tradizionali, cadute vittima della crisi della comunità occidentale, coi suoi istituti e coi suoi ordinamenti, istanze di concretizzazione, nelle assemblee dell’arte, di etiche estetiche (estetiche normative, sostenute dalla metaetica emotivista, nata con A.J. Ayer e conciliata col normativismo di Hare da C.L. Stevenson), centrate sull’incontro tra metaetica emotivista e antiformalismo artistico.

Messa al bando la nozione tradizionale di comunità dal concetto di «comunità guardaroba», non cessano, nelle aree «marginali» di resistenza e sovversione, i tentativi di costruire nuovi modelli di comunità, ricavati dall’intersezione tra etica ed arte; vivendo in simbiosi con l’universo morale, il mondo dell’arte sarà centro di irradiazione d’una innovativa weltanschauung democratica (democrazia estetica). Guerrilla metrica, combattimento artistico, rivolta sovversiva contro ogni forma moribonda di «poesia» civile e di «poesia» a-civile sono i tratti di una coerente anti-«poesia» chorastica, intesa come medium massimo di auto-determinazione individuale e di dialegesthai comunitario.

Roma, La grande bellezza fotogramma, Jep Gambardella in cammino a fianco l'acquedotto

Roma, La grande bellezza fotogramma, Jep Gambardella in cammino a fianco l’acquedotto

Cosa significa «Chorastikà», cioè i canti della «soglia»? Descriverei il significato di «chorastico» con un utilissimo termine rubato, a fini terapeutici, da Binswanger a Jaspers e, originariamente, da Jaspers a Von Gennep e Turner: «liminalità» [«[…] lo stato o la qualità di ambiguità che esiste nella fase centrale di determinati eventi o rituali (come un rito di passaggio o di una rivoluzione a livello di società), durante il quale l’individuo o gruppo partecipante non detiene più il suo status pre-rituale, ma non ha ancora raggiunto lo status che terrà quando il rituale è stato completato»]. La chóra è, nelle colonie elleniche antiche, la situazione liminale tra polis e oi barbaroi, la «situazione-limite» jaspersiana, tra città e monti, tra civiltà e barbarie, tra ragione ed emozione, tra forma e a-forma. I nostri versi chorastici, liminali, stanno, storicamente, nella crisi («situazione-limite») del moderno, nel tardo moderno, cioè sulla «soglia» tra due evi, tra due società, tra due categorie di weltanschaungeen. Cade ogni mera eventualità di «forma-poesia». Perché nel tardomoderno collassa l’entità minima di correlazione tra semiotica e mondo reale, basata sul trinomio classico «soggetto» / «verbo» / «oggetto», in un devastante corto circuito della mímesis tra semiotica e mondo. L’identità tra mondo e «grammatica» si disintegra: «soggetto» e «soggetto nominale», «azione» e «verbo», «oggetto» e «complemento oggetto» acquistano significati diversi, causati da un incontrastabile “balzo in avanti” del mondo:

San Remo 2009 Bonolis in danza

San Remo 2009 Bonolis in danza

Molte cose sono successe negli ultimi venti o trent’anni. Per cominciare, abbiamo sperimentato la “rivoluzione amministrativa fase due”, surrettiziamente condotta all’insegna del “neoliberismo”. Gli amministratori culturali sono passati dalla “regolazione normativa” alla “seduzione”, dalla sorveglianza e dal pattugliamento quotidiani alle pubbliche relazioni, e dall’imperturbabile, iperregolato e routinario modello di potere panottico, che tutto sorvegliava e tutto monitorava, al dominio esercitato gettando il dominato in uno stato di incertezza e precarietà generalizzate [Unsicherheit], e al continuo quanto casuale sconvolgimento della routine. Poi è stata smantellata gradualmente anche quella struttura, tenuta in piedi dallo Stato, entro cui generalmente venivano esercitati gli aspetti preminenti della politica della vita quotidiana individuale, e quest’ultima è passata / slittata verso l’ambito presidiato dal mercato dei consumi [Z. Bauman, L’etica in un mondo di consumatori, Roma-Bari, Laterza, 2010, 171].

Cade, ontologicamente, il concetto classico di «soggetto», inteso come costitutivo attivo dell’«azione»: il «soggetto» diviene homo eligens («L’unico “nucleo d’identità” destinato sicuramente ad emergere illeso, e forse perfino rafforzato, dal cambiamento continuo è quello dell’homo eligens – l’“uomo che sceglie”, ma non “che ha scelto”!– di un io stabilmente instabile, completamente incompleto, definitamente indefinito e autenticamente inautentico […]» [Z. Bauman, Vita liquida, Roma-Bari, Laterza, 2008, 26]). L’homo eligens, nuovo «soggetto», è costituente attivo dell’azione («attore»)

Lo smembramento e la disabilitazione dei centri tradizionali, sopraindividuali, rigidamente strutturati e fortemente strutturanti, sembrano correre in parallelo con la centralità emergente dell’io reso orfano. Nel vuoto lasciato dalla ritirata di autorità sempre più evanescenti, ora è l’io che si sforza di assumere, o è costretto ad assumere, la funzione di centro di Lebenswelt […] Il compito di tenere insieme la società (qualunque cosa possa significare “società” in condizioni di modernità liquida) viene “sussidiarizzato”, “subappaltato”, o semplicemente ricade sotto l’egida della politica della vita quotidiana […] [Z. Bauman, L’etica in un mondo di consumatori, cit., 15], assumendosi la libertà dell’assunzione di ogni decisione connessa alla «[…] politica della vita quotidiana […]» come «sforzo» individuale; l’homo eligens, nuovo «soggetto», è, nello stesso «istante», costituente «non»-attivo dell’azione («vittima»):

mandel'stam foto segnaletica nel lager 1938

mandel’stam foto segnaletica nel lager 1938

Le forme tradizionali e istituzionali con cui si affrontano ansie e insicurezze nella vita familiare e di coppia, nei ruoli sessuali, nella coscienza di classe, nonché nei relativi partiti e nelle istituzioni, perdono importanza, e in misura corrispondente si attribuisce questo compito ai soggetti [U. Beck, La società del rischio, Roma, Carocci, 2013, 100] e C’è una tendenza all’emersione di forme e condizioni di esistenza individualizzate che costringono gli uomini, nell’interesse della loro sopravvivenza materiale, a fare di se stessi il centro dei propri progetti e della propria condotta di vita [ivi, cit., 113], rientrando il «compito» della decisione nella categoria della «coazione», coercizione, o costrizione. L’homo eligens, nuovo «soggetto» storico, è, nel medesimo «istante», «soggetto» e «oggetto», «attore» e «vittima», dell’«azione» sociale. Parimenti cade, ontologicamente, il concetto classico di «oggetto», come costitutivo «non»-attivo dell’«azione»: l’«oggetto» diviene homo consumens («[L’attività del consumo] è diventata, agli occhi dei cittadini delle odierne società occidentali, una sorta di modello, o di parametro di riferimento, per tutte le altre attività. Giacché […] un ambito sempre più esteso della vita sociale viene ad essere assimilato al “modello del consumatore”, non sorprende più di tanto che la “metafisica” del consumismo sia diventata, strada facendo, una specie di filosofia implicita di tutta la vita moderna» [C. Campbell, I shop therefore I know that I am, in K.M.Ekström- H.Brembeck, Elusive Consumption, Oxford, Berg, 2004, 41/42], dove un’ottima definizione del «[…] modello del consumatore […]» sia «[esso] associa l’idea di “soddisfazione” a quella di “stagnazione economica”: i bisogni non devono mai avere fine […] prevede che i bisogni di ciascuno di noi siano insaziabili, e in perenne ricerca di nuovi prodotti attraverso cui essere soddisfatti» [D. Slater, Consumer Culture and Modernity, Cambridge, Polity Press, 1997, 100]), o, secondo Gilles Lipovetsky in Le bon-heur paradoxal (2006), homo consumericus. L’homo consumens, nuovo «oggetto», è costituente «non»-attivo dell’azione («merce»)

film fotogramma Elio Petri Ursula Andress e Elsa Martinelli

film fotogramma Elio Petri Ursula Andress e Elsa Martinelli

Per farsi strada a gomitate nel denso e opaco, “deregolamentato” campo di battaglia della competitività globale, e poter conquistare l’attenzione del pubblico, beni, servizi e messaggi devono indurre desideri, e a questo fine devono sedurre i possibili clienti e battere i concorrenti proprio nella seduzione. Ma una volta che ci sono riusciti, devono fare spazio, e in fretta, per altri oggetti di desiderio, nel timore che si possa arrestare la caccia globale ai profitti, sempre maggiori (ribattezzati “crescita economica”) [Z. Bauman, Dentro la globalizzazione, Roma-Bari, Laterza, 2010, 88],

Essendo obiettivo di «seduzione» e non avendo nessuna facoltà di «[…] scelta di scegliere […]» («[…] i consumatori hanno tutti i motivi di pensare che sono loro, e loro soli, forse, a controllare il gioco. Sono i giudici, i critici, quelli che scelgono. Possono, dopo tutto, rifiutare ciascuna delle infinite scelte a disposizione. Tranne una: la scelta di scegliere tra quelle […]» [ivi, cit., 94]), come ogni altro essere “inanimato”; l’homo consumens, nuovo «oggetto», è, nello stesso «istante», costituente attivo dell’azione («evento»)

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helmut newton modelle Vogue con la moglie

Ma per la società capitalista avanzata, votata alla continua espansione della produzione, questo è un quadro psicologico estremamente limitante che alla fine cede il passo a un’“economia” psichica del tutto diversa. Il capriccio sostituisce il desiderio quale forza propulsiva del consumo [H. Ferguson, The Lure of Dreams: Sigmund Freud and the Construction of Modernity, London, Routledge, 1966, 205], dotato del carattere libertario del «capriccio». L’homo consumens, nuovo «oggetto» storico, è, nel medesimo «istante», «oggetto» e «soggetto», «merce» ed «evento», dell’«azione» sociale. Il mondo tardomoderno circonda l’«azione» di «soggetti» attivi e «non»-attivi e di «oggetti» «non»-attivi e attivi, di «autori», di «vittime», di «merci» e di «eventi»:

Nella società dei consumatori nessuno può diventare soggetto senza prima trasformarsi in merce, e nessuno può tenere al sicuro la propria soggettività senza riportare in vita, risuscitare e reintegrare costantemente le capacità che vengono attribuite e richieste a una merce vendibile. La “soggettività” del “soggetto” […] è imperniata su uno sforzo senza fine del soggetto stesso per essere e restare una merce vendibile. La caratteristica più spiccata della società dei consumi è la trasformazione dei consumatori in merce […] [Z. Bauman, Consumo, dunque sono, Roma-Bari, Laterza, 2010, 17], e viceversa.

cinema fotogramma di un film di Antonioni

fotogramma di un film di Antonioni

Per narrare, con i nostri inutili meta-récits grands récits» in Lyotard), la concreta implosione di «soggetto» e «oggetto» sull’«azione» è divenuto insufficiente il richiamo a una «forma-poesia» fondata, con l’«immagine» tridimensionale o con la «metafora», sul trinomio classico «soggetto nominale» / «verbo» / «complemento oggetto». La soluzione, molto complessa, allo scollamento della mímesis tra semiotica e mondo, è rinvenibile a] nella concretizzazione di una efficace anti-«forma-poesia», introdotta da un’aggiornata e combattiva «neon»-avanguardia e orientata a riformare l’intera «grammatica» novecentesca, e b] nella ri-definizione di un «predicato nominale», di una originale ontologia estetica, in grado di ridare energia o, addirittura, di novare al / il trinomio «soggetto nominale» / «verbo» / «complemento oggetto» (dilemma teoretico dell’«identità»). La stessa «critica», con massima umiltà, deve assumere coscienza del cambiamento del suo statuto metodologico:

Per quanto riguarda la “ricettività alla critica” la nostra società segue il modello del campeggio, mentre all’epoca in cui la “teoria critica” ricevette una forma definita a opera di Adorno e Horkheimer l’idea di critica era inscritta, non senza ragione, in un altro modello, quello della casa comune con le sue leggi e regole, l’assegnazione dei compiti e il controllo delle prestazioni [Z. Bauman, La società individualizzata, Bologna, Il Mulino, 2002, 130/131].

 Insomma, chi non abbia orecchio da intendere, in tenda: noi abbiamo iniziato a utilizzare la roulotte.

Ivan Pozzoni Qui gli austriaci CopSono nato a Monza (MB) il 10-06-1976, miei contributi sono stati inseriti in riviste filosofiche italiane e internazionali (Annuario Centro Studi Giovanni VailatiEpistemologiaNovecentoA&IDiogeneDialegesthaiIl ContributoInformación FilosóficaParènklisisAquinasFoedusModelli & TeorieIl ProtagoraUno/MoltiPer la FilosofiaAnnali FerraresiNotizie di PoliteiaItinerariAnnuario della filosofia italianaFilosofia oggi CarteviveOtto/Novecento Libro ApertoRivista Rosminiana); miei contributi e frammenti ametrici sono stati inseriti in riviste d’arte italiane e internazionali (UTOsservatorio LetterarioHistoricaIl foglio clandestinoArenariaFermentiForum ItalicumSìlarusSudestLa mosca di MilanoFarePoesiaIl foglio volanteParolePunto d’incontroInversoLa ClessidraPickwickProspektivaAvanguardiaIncrociIl filo rossoI fiori del maleOfferta Speciale – AeoloIl Monte AnalogoPoeti e PoesiaItalian Poetry ReviewIl fiacre n.9Il denaroNarrazioniLaMRivista Letteraria – Campi immaginabiliL’inchiostro Pomezia Notizie Universo – Peloro 2000 Fatece Largo Il salotto letterario L’immaginazione Proa Italia Π Il saggio Opera Nuova Euterpe Segreti di Pulcinella Il Segnale Il richiamo Il convivio – Il caffè – Sagarana – Kuq e Zi – PasticheLa battanaDecomporre PuntoLe voci della lunaVerdeIl lettore di ProvinciaNóemaGradivaAlla bottega).

 Ivan Pozzoni Patroclo non deve morireSono uscite mie raccolte di versi: Underground (A&B, 2007), Riserva Indiana (A&B, 2007), Versi Introversi (Limina Mentis, 2008), Androgini (Limina Mentis, 2008), Lame da rasoi (Joker, 2008), Mostri (Limina Mentis, 2009), Galata morente (Limina Mentis, 2010), Carmina non dant damen (Limina Mentis, 2012), Il Guastatore (Cleup, 2013), Patroclo non deve morire (deComporre Edizioni, 2013) e Scarti di magazzino (Limina Mentis, 2013); ho curato antologie di versi: Retroguardie (Limina Mentis, 2009), Demokratika (Limina Mentis, 2010), Triumvirati (Limina Mentis, 2010) [raccolta interattiva], Tutti tranne te! (Limina Mentis, 2010), Frammenti ossei (Limina Mentis, 2011), Labyrinthi IIIIIIIV (Limina Mentis, 2013), Generazioni ai margini, NeoN-Avanguardie, Comunità nomadi, Metrici moti, Fondamenta instabili, Homo eligens, Umane transumanze, Forme liquide e Scenari ignoti (deComporre, 2014); nel 2008 sono stato inserito nell’antologia Memorie del sogno, di A&B Editrice, nel 2009 nell’antologia Paesaggi, di Aljon Editore, nel 2010 nelle antologie Rosso e Taggo e ritraggo di Lietocolle, nel 2011 nelle antologie Insanamente, di FaraEditore, Dal tramonto all’alba, di Albus Edizioni, e Verba Agrestia 2011, di Lietocolle, nel 2013 nelle antologie Il ricatto del pane, con CFR Edizioni e Le strade della poesia, con Delta3 Edizioni, nel 2014 nell’antologia L’amore ai tempi della collera, con Lietocolle. Ho collaborato, con saggio, ai volumi collettivi Ricerche sul pensiero italiano del Novecento (Bonanno, 2007), Le maschere di Aristocle. Riflessioni sulla filosofia di Platone (Limina Mentis, 2010), Centocinquant’anni di scienza e filosofia nell’Italia unita (Limina Mentis, 2011), Scienza e linguaggio nel Novecento italiano (Limina Mentis, 2012) e Pensare la modernità (Limina Mentis, 2012); sono usciti miei volumi e volumi collettivi da me curati: Grecità marginale e nascita della cultura occidentale. I Pre-socratici (Limina Mentis, 2008), L’ontologia civica di Eraclito d’Efeso (Limina Mentis, 2009) [mon.], Il pragmatismo analitico italiano di Mario Calderoni (IF Press, 2009) [mon.], Cent’anni di Giovanni Vailati (Limina Mentis, 2009), I Milesii. Filosofia tra oriente e occidente (Limina Mentis, 2009), Voci dall’Ottocento (Limina Mentis, 2010), Benedetto Croce. Teorie e orizzonti (Limina Mentis, 2010), Voci dal Novecento (Limina Mentis, 2010), Voci dal Novecento II (Limina Mentis, 2011), Voci di filosofi italiani del Novecento (IF Press, 2011), Voci dall’Ottocento II III (Limina Mentis, 2011), La fortuna della Schola Pythagorica. Leggenda e contaminazioni (Limina Mentis, 2012), Voci dal Novecento IIIIV (Limina Mentis, 2012), Pragmata. Per una ricostruzione storiografica dei Pragmatismi (IF Press, 2012), Grecità marginale e suggestioni etico/giuridiche: i Presocratici (IF Press, 2012) [mon], Le varietà dei Pragmatismi (Limina Mentis, 2012),  Elementi eleatici (Limina Mentis, 2012), Pragmatismi. Le origini della modernità (Limina Mentis, 2012), Frammenti di filosofia contemporanea I  (Limina Mentis, 2012), Frammenti di cultura del Novecento (Gilgamesh Edizioni, 2013), Frammenti di filosofia contemporanea II (Limina Mentis, 2013), Lineamenti tardomoderni di storia della filosofia contemporanea (IF Press, 2013), Schegge di filosofia moderna I (deComporre, 2013), Voci dal Novecento V (Limina Mentis, 2013), Voci dall’Ottocento IV (Limina Mentis, 2014), Schegge di filosofia moderna IIIIIIVVVIVIIVIIIIXX (deComporre, 2014) e Libertà in frammenti. La svolta di Benedetto Croce in Etica e Politica (deComporre, 2014) [mon.]. Nel 2012 è uscito il numero unico di rivista, da me curato, Le bonhomme.

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