Archivi tag: Olocausto

POESIE PER LA MEMORIA – Perché la Memoria? Perché la Poesia? Perché l’Olocausto?  I popoli felici non hanno storia. La storia è la scienza dell’infelicità degli uomini – La poesia è memoria dell’umanità – Con un Appunto di Giacomo Marramao – Poesie di  Katarina Frostenson, Guido Galdini, Joyce Lussu, Francesca Dono,  Mariella Colonna, Giuseppina Di Leo (Parte terza)

pittura-chagall-crocifissione-bianca-1938

chagall-crocifissione-bianca-1938

(Parte terza)

Cita il vocabolario Treccani:

Olocausto. Forma di sacrificio praticata nell’antichità, specialmente nella religione greca e in quella ebraica, in cui la vittima veniva interamente bruciata. Presso gli Ebrei l’ōlāh, istituito, secondo la tradizione, da Mosè, rappresentava la più completa espressione del culto offerto a Dio e consisteva nel bruciare interamente la vittima sull’altare dopo l’immolazione (perciò il termine ebraico fu tradotto nella Settanta con ὁλοκαύτωσις o e nella Vulgata con holocaustum), senza riservarne alcune parti per usi rituali, e dopo averne versato il sangue attorno all’altare stesso. La vittima poteva essere il toro o il vitello, l’agnello o il montone, il capretto o il capro, sempre di sesso maschile, e tra gli uccelli, la tortora e il colombo, e doveva restare sull’altare tutta la notte, fino alla mattina.

Nell’antica religione greca l’O. si distingue nettamente dal tipo comune del sacrificio offerto agli dei, fondandosi sulla norma particolare che escludeva la partecipazione del sacrificante alla consumazione della vittima, per preservarlo dal contatto con il destinatario del sacrificio.

Con il termine Olocausto, si indica la persecuzione e lo sterminio totale degli Ebrei da parte del regime nazista (➔ shoah).

Sacrificio. Atto rituale attraverso il quale si dedica un oggetto o un animale o un essere umano a un’entità sovrumana o divina, sottraendolo alla sfera quotidiana, come segno di devozione oppure per ottenere qualche beneficio. 1. Generalità Il sacrificio è di centrale importanza nella maggior parte delle religioni; … culto. In generale, la manifestazione del sentimento con cui l’uomo, riconoscendo l’eccellenza di un altro essere, lo onora. Si distingue in culto profano e culto religioso. Quest’ultimo è il più comune e include le nozioni di manifestazione esterna del sentimento religioso, adorazione del divino e relazione…

Mosè (ebr. Mōsheh) Nella Bibbia, liberatore del popolo d’Israele dall’Egitto e suo legislatore nel deserto. Secondo il racconto dell’Esodo, nacque dalla stirpe di Levi, mentre gli Ebrei in Egitto erano perseguitati. Sua madre, invece di farlo gettare nel fiume secondo i decreti della persecuzione, lo … Shoah Termine ebraico («tempesta devastante», dalla Bibbia, per es. Isaia 47, 11) col quale si suole indicare lo sterminio del popolo ebraico durante il Secondo conflitto mondiale; è vocabolo preferito a olocausto in quanto non richiama, come quest’ultimo, l’idea di un sacrificio inevitabile.  

Olocàusto s. m. e agg. [dal lat. tardo holocaustum (holocaustus come agg.), gr. tardo  λόκαυστον  (sinon. del più com. ὁλοκαύτωμα), neutro sostantivato dell’agg. ὁλόκαυστος «bruciato interamente», comp. di ὅλος «tutto, intero» e καίω «bruciare»].

Giacomo Marramao

«Non credo vi sia contraddizione, ma al contrario produttiva ambiguità, nel corpo di queste Tesi, tra l’enfasi sulla Jetzeit [ n.d.r. di W. Benjamin Tesi di filosofia della storia, 1940]- sull'”adesso” o “tempo-ora” come rottura del continuum entropico del Progresso, della “meretrice ‘C’era una volta’ nel bordello dello storicismo” -e la “rappresentazione (Darstellung)  del passato”. Occorre allora intendersi una volta per tutte sul significato benjaminiano di rappresentazione. Essa non ha più valore metodologico, e neppure meramente teorico, ma soprattutto etico-pratico nel “tempo della miseria”, che riceve il suo contrassegno non già dalla coppia (cara a tante palesi od occulte, “filosofie della vita”) Erlebnis-Form ma dall’endiadi Erfahrung-Armut, la Darstellung allude al punto – punto infinitesimale, margine pericolosamente minimo – in cui soltanto può darsi la sutura tra riappropriazione del passato e immagine dell’umanità redenta.

“Il passato”, si legge nella seconda tesi [ di Benjamin Tesi di filosofia della storia, 1940] reca con sé un indice temporale che lo rimanda alla redenzione”. Sta qui racchiuso anche il significato della “debole forza messianica” (schwache messianischeKraft) trasmessaci in dote, di cui si parla subito dopo. Essa si spiega precisamente con il fatto che il margine di convertibilità reciproca tra “diritto” del passato e “redenzione” è inesorabilmente esiguo: anzi – ancora una volta – pericolosamente minimo. Ritengo sia fortemente presente a Benjamin (a onta delle critiche tese, come quella per esempio di Jurgen Habermas, a liquidare la sua riflessione come “gesto” estetizzante la consapevolezza che la tendenza infuturante del tempo storico progressivo, la cui prospettiva volge al futuro la fronte ( e non le spalle, come l’angelo di Klee, il cui viso è invece rivolto al passato) e trasforma la catastrofe della storia in una trionfale “catena di eventi”, rappresenti il fattore che ha espropriato gli uomini non solo del passato (ridotto a “immagine eterna”, neutralizzato in “patrimonio culturale”) ma della stessa dimensione del futuro. Benjamin avrebbe probabilmente sottoscritto la proposizione con cui Raymond Queneau apre Une historie modèle:

I popoli felici non hanno storia. La storia è la scienza dell’infelicità degli uomini“.

Con la differenza che per lui la via di accesso alla comprensione di questa infelicità non può essere data né da una mitopoiesi narrativa… né da un ritorno all’immagine ciclica dell’apocatastasis… bensì da una rappresentazione ipermoderna la cui chiave concettuale si trova depositata proprio nell’ultima tesi”: il fatto che la Torah vietasse agli ebrei di investigare il futuro, istruendoli invece alla memoria, non vuol dire affatto che il futuro diventasse per loro una homogene und leere Zeit, un “tempo omogeneo e vuoto”. Al contrario, ciò costituiva la sola condizione per rappresentarsi il futuro come un tempo all’interno del quale “ogni secondo era la piccola porta da cui poteva entrare il Messia”».1

 1 Giacomo Marramao Minima temporalia lucasossellaeditore, 2005 pp. 85,6

Katarina Frostenson

da Tre vie (Aracne, 2015, trad. Enrico Tiozzo)

[…]
Guardo verso le gabbie dei balconi che sporgono dai palazzi, somigliano a nidi. Una testa grigia spunta fuori come una testa di tartaruga dal suo carapace. Si ritira rapidamente, scompare dentro, viene come risucchiata dentro la stanza là dietro.
Le stanze dietro i muri scanalati.
L e s t a n z e.
Volumi. Soffitti bianchi. Pareti pallide. Tracce di dita sulla carta da parati,
vaghe righe di sporco.
Stanza — che cosa dà la parola? Penso la parola come un silenzio fumante.
Stanze come il silenzio stesso. Non ne esce mai.
Il silenzio.
L’immagine della sala da pranzo è la prima. Un tavolo rotondo con una tovaglia a quadretti bianchi e marroni. Apparecchiata con piatti orlati di blu, un piatto con pezzi di carne o un pesce intero da cui spuntano spine gialle, forse gambi di verdure. Latte in bicchieri di vetro infrangibile. Duralex — significa che il bicchiere non si rompe quando cade sul pavimento, dovevamo imparare, e si vide che era spesso così.
È giorno festivo e c’è silenzio. Accade che la radio sia accesa, che arrivi un salmo. “Sollevati mia lingua”. Qualche volta mio padre invita a un canto o una preghiera in un’improvvisa passione religiosa: “a lodare”. Noi continuiamo a bassa voce: “l’eroe che sulla croce”. Ripetiamo i versi finché il canto prende il comando della stanza e delle teste.

Più alto!
Solle
vati, mia lingua,
a lodare
l’eroe che sulla croce
per noi sanguinò

 

Guido Galdini B-N

Guido Galdini

Guido Galdini

il maggior punto d’incomprensione
lo si raggiunge di fronte alla crudeltà
men che gratuita, dannosa
per chi l’ha comandata o commessa:
gli encomenderos che per passatempo
nelle ore d’ozio sterminavano i propri schiavi,
ritrovandosi privi
di sufficiente forza lavoro;
la precedenza che per decreto era data
ai convogli dei deportati
rispetto a quelli dei militari feriti
di ritorno dal fronte

come più consona appare
la cura di Gengis Khan
nell’innalzare torri di teste umane,
ad assedio concluso,
per incoraggiare alla resa
gli abitanti delle città successive,
oppure il massacro preventivo
di Cortés a Cholula
che insinuò nei superstiti
la convinzione di trovarsi di fronte
a chi leggeva senza impedimenti
nel nascondiglio dei loro pensieri

tuttavia è un modo pavido, il presente,
di affrontare l’oceano dell’orrore,
nel tentativo di stabilire
una gradazione alla profondità delle tenebre:
come se avendo
davanti a noi la vastità della foce
continuassimo a preoccuparci soltanto
di misurare la frenesia dei torrenti.

.
Note
Cholula – Località del Messico centrale. Cortés, che vi risiedeva prima dell’ultimo attacco all’impero azteco, informato preventivamente del progetto di una rivolta, ne massacrò immediatamente quasi l’intera popolazione.
Encomenderos – Cittadini spagnoli a cui veniva affidato il governo di un territorio nel Nuovo Mondo, comprensivo della popolazione locale, in un’istituzione assai simile al feudalesimo.

.

Joyce Lussu

UN PAIO DI SCARPETTE ROSSE

C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
‘Schulze Monaco’.
C’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buckenwald
erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’ eternità
perché i piedini dei bambini morti non crescono.
C’è un paio di scarpette rosse
a Buckenwald
quasi nuove
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.

Francesca Dono

-là più di qualcuno-

____là più di qualcuno.
Con la matita ritaglio un cappotto.
Quasi lo scatto.
La foto sfocata
in questo grumo di anagrammi.
Celan legge sopra l’asse della terza
baracca. Grigio scuro la sacca di tela
che copre mia sorella.
Dietro la finestra sonnecchio.
Dal 23 Novembre il nostro amore
è uno spruzzo d’infarto ormai spolpato.
Radio Londra.
-Le journal sur la face des les coquins.-
Fuggiamo. Le macchine ci vengono addosso.
I faggeti neri. Le fattezze ombrose.
Nessuna luce- sirena nella notte.
Una bottiglia di retsina in via del cratere spento.
Il palloncino-mandarino. Beatrice viene maritata.
Un suono gutturale. Il mio sepolcro con Lazzaro-scorpione a Dachau.
____________—– Fluttuante un fiore al buio.

.
Shoah

l’inferno riesumato.
Le pieghe azzannate verso
una montagna di scarpe.
In città c’erano i barbari con le stellette.
Nel quadratOsceno il granonero spiava i
gemiti del vento.
Tutto dentro l’acquario gassato.
-Una madre disse: brucerete anche i nostri bambini?-
Sette angeli ci abbeveravano
dai teschi ferrosi. Abgail non riusciva a trovare
il posto per la macchina.
Un fiore gracile sopra la neve.
Capelli ossigenati e pelliccia di carne
per le padrone del bordello.
-La mamma mi prese per mano-.
Ringhiavano randagi i cani lungo lo sterrato-cenere.
Un colpo di fucile.
La minestra di legno.
Tu cadi e rialzi il fango recidivo fino all’inguine.
-Ho fame_ dico al carceriere.-
L’inverno scolpito sotto il sole-madreperla.
Si numeravano le ombre fino alle nuvole
della notte.
Dormo la morte .
Alla parete il forno del Borgomastro.
L’aria congelata.
_______Il pendio in Lagerstrasse

 

pittura-chagall-resistenza

Chagall Resistenza, Resurrezione, Liberazione 1952

Mariella Colonna

Memoria presente, oggi, Chagall

Una strada sostiene la tua croce.
Dal cielo alla terra, Gesù di Nazareth,
Dio Figlio dell’uomo, nato da una donna ebrea, Maria.
Il grande sognatore anch’egli ebreo, Chagall,
angelo del colore, ha messo ali invisibili ai personaggi,
crocifisso il Figlio dell’uomo, il suo popolo affranto.

Chagall “vede” il popolo ebreo nel bianco paesaggio
sconvolto. Prospettive sconvolte. Intorno, case in fiamme
rovesciate, le fondamenta verso un cielo atterrito,
cose abbandonate sulla neve: una sedia, un libro
il Rotolo della Legge; a sinistra, soldati, due bandiere rosse,
quasi tutti sollevati da terra; fantasmi o anime di ebrei
si muovono smarriti tra corrusche nuvole.
Persone coperte di miseri panni, sguardi ciechi
in primo piano fuggono o avanzano verso di noi
stringendo tra le braccia neonati avvolti in coperte.

Molti uomini su un barcone di legno alzano le braccia
Forse per chiedere aiuto o significare che esistono
Siamo nel 1938 ma c’è un tempo dell’essere,
in cui domina la memoria di ciò che dovrà accadere
e che si ripete in noi, in un futuro più futuro. Oggi.
E oggi ricordiamo che circa due millenni prima
un ebreo di nome Gesù è stato ingiustamente crocifisso.

L’ebreo Chagall dipinge il Crocifisso, in bianco, in giallo
e, nell’opera intitolata “Resistenza,”in rosso fiammeggiante:
il Cristo in croce e il cielo, la terra e le case in blu.
Figlio dell’uomo, i sacerdoti del tuo Dio ti hanno giudicato
indegno e blasfemo.. ma Chagall dice che hai fatto il bene
perché hai avuto pietà dell’uomo,
che sei “l’archetipo del martire ebreo di tutti i tempi”.

Adesso, il tuo popolo soffre persecuzioni e condanne.
Sei tornato, non nella gloria, ma in croce, come gli uomini
sofferenti che Chagall ha dipinto e che tu ami
di un incomprensibile amore.
Eri presente anche ad Auschwitz, crocifisso,
come ti ha dipinto Chagall? O forse lì sei sceso dalla croce
e ti sei unito ai martiri della Shoah? Io lo so, eri lì tra di loro,
nelle camere a gas, qui e dovunque. Adesso.

giuseppina di leo1

giuseppina di leo

Giuseppina Di Leo

Il muro invisibile

Le parole di Enea non furono capite
sulla linea di confine abbarbicate.
Si sono cercate le ragioni
aperte finestre sui vuoti d’aria
sperimentati tentativi di corsa nelle strade
se non fosse guerra
quelle che vediamo sarebbero maschere del carnevale
se non fosse che sono vere; i proiettili dal terrazzo
salirebbero al cielo esplodendo in scintille
darebbero spettacolo di colori; la seconda immagine
sarebbe una scena idilliaca: la bimba esce correndo
dalla sua casa per abbracciare il vecchio padre.

Se non fosse disprezzo per l’uomo
di un uomo vedresti farsi dolce il viso
la mano aperta nasconderebbe una barca di carta da regalare
la violenza avrebbe un’anima di cartone, una calza di maglia fina
conterrebbe la mela acerba della conoscenza, il seme
di Adamo da non disperdere nel sangue.

Per tutto questo vorrei dirti: abbracciami, fratello
parla le parole che non conosco
vesti i colori della tua terra
in una casa alzata contro il vento della mia ignoranza.

Porta il mio messaggio al vecchio Pink
presso la Funny Farm, come rimando a capo
come una sgrammaticatura coperta con il bianchetto
demolendo con l’urto dell’urlo il muro tra noi invisibile.

(marzo 2012)

.
Il maestro

Di contro, nuovamente,
il valore della parola
sottilmente evidenziava,
poi tutto ritornava
fragile e incerto.
Un sospetto scomposto
s’insinuava nella storia
volgendo i molteplici momenti
inappellabili
senza alcuna voce.
Pagine intere
bianco su bianco
al vento condannate:
storie lontane di infelici amanti.

21 commenti

Archiviato in Senza categoria

Riepiloghiamo qui i punti essenziali del pensiero di Zygmunt Bauman (1925-2017), ricordando quanto i concetti del sociologo polacco abbiano influenzato anche il pensiero in ambito estetico. L’estetica del consumo, L’analisi dell’Olocausto, Post-panopticismo, Modernità liquida, Società in movimento, Libertà e necessità di movimento, Libertà di movimento e Stati nazionali, Il non-luogo,  Il tempo e il senso, Gli spazi vuoti, Identità, Comunità guardaroba

gif-tunnel

Zygmunt Bauman (Poznań, 19 novembre 1925 – Leeds, 9 gennaio 2017) sociologo e filosofo polacco di origini ebraiche. Nato da genitori ebrei a Poznań nel 1925, Bauman fuggì nella zona di occupazione sovietica dopo che la Polonia fu invasa dalle truppe tedesche nel 1939 all’inizio della seconda guerra mondiale. Successivamente, divenuto comunista, si arruolò in una unità militare sovietica. Dopo la guerra, incominciò a studiare sociologia all’Università di Varsavia, dove insegnavano Stanisław Ossowski e Julian Hochfeld. Durante una permanenza alla London School of Economics, preparò la sua maggiore dissertazione sul socialismo britannico che fu pubblicata nel 1959.

Bauman collaborò con numerose riviste specializzate tra cui la popolare Socjologia na co dzien (“La Sociologia di tutti i giorni”, del 1964), che raggiungeva un pubblico più vasto del circuito accademico. Inizialmente, egli rimase vicino al marxismo-leninismo ufficiale, per poi avvicinarsi ad Antonio Gramsci e Georg Simmel soprattutto dopo il 1956 e la destalinizzazione.

Nel marzo del 1968, la ripresa dell’antisemitismo, utilizzato anche nella lotta politica interna in Polonia, spinse molti ebrei polacchi a emigrare all’estero; tra questi, molti intellettuali distaccatisi dal regime. Bauman, che aveva perso la sua cattedra all’Università di Varsavia, fu uno di questi. Egli dapprima emigrò in Israele per andare a insegnare all’Università di Tel Aviv; successivamente accettò una cattedra di sociologia all’Università di Leeds, dove dal 1971 al 1990 è stato professore. Dal 1971 ha quasi sempre scritto in lingua inglese. Sul finire degli anni ottanta, si è guadagnato una fama internazionale grazie ai suoi studi riguardanti la connessione tra la cultura della modernità e il totalitarismo, in particolar modo sul nazismo e l’Olocausto. Ha infine ottenuto anche la cittadinanza inglese.

Ieri, Zygmunt Bauman si è spento il 9 gennaio 2017, all’età di 91 anni, nella città di Leeds, dove viveva e insegnava da tempo. Brevemente, riepiloghiamo qui i punti essenziali del pensiero di Zygmunt Bauman (1925-2017), ricordando quanto i concetti del sociologo polacco abbiano influenzato anche il pensiero in ambito estetico.

 foto-donna-macchina-e-scarpa   

    L’estetica del consumo

Con questo concetto Bauman ha richiamato l’attenzione su un fenomeno che oggi ha assunto una auto evidenza assoluta: il mondo è stato trasformato dall’economia globale in un “immenso campo di possibilità, di sensazioni sempre più intense” in cui ci muoviamo, spesso alla ricerca di Erlebnisse, di esperienze vissute, magari desunte dall’effimero e dal virtuale.

    L’analisi dell’Olocausto

La svolta delle ricerche di Bauman avviene tuttavia prima di questi celebri lavori, nel 1989, con Modernità e Olocausto. Un tema di sconvolgente attualità. Esemplare il tracciato di Bauman che indica e mette in comunicazione la persecuzione degli ebrei e le dinamiche della modernità. In questo senso Bauman fa dello sterminio un fatto ripetibile, lo toglie dall’isolamento trasformandolo in un prodotto della civiltà moderna, delle sue regole economiche ed efficientiste. La Shoah come parto della tecnologia e della burocrazia. Uno sviluppo della lunga storia della società, quasi un orribile test che ne ha rivelato le possibilità occulte difficilmente verificabili nell’ordinarietà.

     Post-panopticismo

In una prospettiva futura, per capire cioè cosa arriverà dopo la post-modernità, Bauman – in particolare nel libro Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida uscito un paio di anni fa, scritto con David Lyon – ha un approccio originalissimo delle strutture di potere, che sorpassa i classici modelli di controllo teorizzati da Jeremy Bentham e Michel Foucault. Oggi viviamo in un modello di società in cui le forme di controllo assumono le fattezze dell’intrattenimento e del consumo. In cui i dati e non le persone diventano appannaggio delle organizzazioni transnazionali, ne sono le loro emanazioni digitali.

    Modernità liquida

L’espressione del sociologo Zygmunt Bauman, “modernità liquida” indica un’epoca in cui la società e le sue strutture sono sottoposte a un processo di “fluidificazione”: per effetto dei fenomeni globali, qualsiasi entità passa dallo stato solido allo stato liquido, perdendo i suoi contorni chiari e definiti. Comportandosi proprio come i fluidi che, non avendo forma propria, assumono quella del contenitore, anche i concetti di luogo, di confine e di identità continuano a trasformarsi e la loro forma viene continuamente ridefinita dalle situazioni.

Si parte dai luoghi, passando per i confini, fino a giungere all’identità: è l’itinerario baumiano. Tramite la conoscenza dello spazio e l’esperienza del confine possiamo entrare in relazione con la realtà esterna e con gli altri, costruendo così la nostra identità, la nostra persona. Questo percorso ci rivela inoltre che i concetti non sono immutabili, bensì possiedono dei contorni fluidi e flessibili, perché si adattano al variare della realtà in cui sono immersi. Essi presentano un carattere ambiguo e sono sempre in evoluzione: allo stesso tempo racchiudono un’idea e il suo contrario, esprimono una definizione del reale e contemporaneamente il suo opposto. Questo ci fa capire che le distinzioni e i concetti puri sono possibili solo a livello concettuale, perché per poter analizzare e classificare i fenomeni del reale, servono delle categorie astratte, precise e univoche, ma ciò non vuol dire che siano delle realtà concrete e immutabili.

gif-universo-in-palline   

Società in movimento

Il termine “globalizzazione” è ampiamente diffuso e conosciuto, è però anche un termine spesso abusato, un’espressione utilizzata per indicare una miriade di fenomeni, che interessano e trasformano la società in cui viviamo, nel tentativo di metter un po’ d’ordine nel caos degli avvenimenti e di trovare una spiegazione a tutti i cambiamenti, che avvengono oggigiorno nelle nostre vite. Le definizioni date al fenomeno della globalizzazione sono tante e diverse, ma volendo riassumere il concetto e puntare al nocciolo della questione, potremmo dire che la parola “globalizzazione” viene usata per descrivere quella serie di processi e di trasformazioni che riguardano le attuali società in tutti i loro settori (economico, sociale, culturale, ecc…) e che possono essere inclusi nel concetto di “compressione dello spazio e del tempo”.

Il concetto è di nostro interesse, perché queste alterazioni a livello spaziale e temporale, oltre ad avere delle ripercussioni in ambito economico, sociale e culturale, hanno indubbiamente delle conseguenze non indifferenti sulle persone e sul loro rapporto con lo spazio, producendo anche delle differenze evidenti. Esiste infatti un collegamento tra le trasformazioni delle categorie di tempo e di spazio e la struttura della società: i cambiamenti, che avvengono a livello temporale e spaziale, influiscono sulle società e sul loro modo di organizzarsi.

    Libertà e necessità di movimento

Ben lontano dall’essere un fenomeno omogeneo, la globalizzazione agisce su diversi piani e genera contemporaneamente effetti contrastanti: da un lato tende a unire, uniformare, dall’altro invece tende a dividere, a creare nuove distinzioni e questi effetti sono visibili su scale diverse, sia a livello globale, che a livello locale. “Globale” e Bauman, Zygmunt (1999): Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Roma: GLF editori Laterza, p. 4. –  Zygmunt Bauman, nel suo libro scrive: “La globalizzazione divide quanto unisce; divide mentre unisce, e le cause della divisione sono le stesse che, dall’altro lato, promuovono l’uniformità del globo“. In parallelo al processo emergente di un “locale” sono i due poli attorno ai quali si aggregano gli individui in base alla loro maggiore o minore capacità di movimento. Per alcuni, “globalizzazione” significa libertà di movimento, libero accesso alla dimensione globale, per altri invece essa rappresenta una limitazione del movimento, una capacità ristretta di muoversi e un legame indissolubile con la dimensione locale.

L’elemento, quindi, che acquisisce una nuova importanza e fa la differenza è la mobilità: La mobilità assurge al rango più elevato tra i valori che danno prestigio e la stessa libertà di movimento, da sempre una merce scarsa e distribuita in maniera ineguale, diventa rapidamente il principale fattore di stratificazione sociale dei nostri tempi, che possiamo definire tardo-moderni o postmoderni.

La capacità di movimento diventa un requisito e una qualità essenziale per gli abitanti della “modernità liquida” 4], perché la libertà di movimento o la mancanza di questa capacità di movimento determinano rilevanti differenze nella collocazione degli individui all’interno della società e del fenomeno chiamato globalizzazione. Tutto e tutti sono in movimento, fisicamente o virtualmente, la società stessa è in movimento e richiede che i suoi soggetti si muovano con essa; l’immobilità non è una scelta possibile o una soluzione da prendere in considerazione. Il moto è uno stato che ci accomuna tutti; quello che cambia è l’ampiezza di questo movimento: chi è libero, sciolto da ogni vincolo, può abbandonare la realtà locale e proiettarsi nello spazio globale, chi invece non è libero di muoversi, rimane, al contrario, legato alla sua dimensione locale. Questa diversa capacità di movimento produce quindi diseguaglianza tra le persone ed è il criterio, in base al quale le persone vengono classificate come “globali” o in alternativa come “locali”.5]

Il fatto di “essere locali”6] diventa però un fattore umiliante; viene vissuto come una condizione di inferiorità e questa sensazione di limitatezza è accentuata dal fatto che il scala planetaria per l’economia, la finanza, il commercio e l’informazione, viene messo in moto un altro processo, che impone dei vincoli spaziali, quello che chiamiamo «localizzazione»”; il controllo degli eventi e soprattutto dello spazio e dei significati da attribuirgli non è più in mano ai soggetti delle realtà locale, ma dipende dalla dimensione globale.

Gli spazi di interesse pubblico sfuggono all’ambito della vita per così dire «localizzata», gli stessi luoghi stanno perdendo la loro capacità di generare e di imporre significati all’esistenza; e dipendono in misura crescente dai significati che vengono loro attribuiti e da interpretazioni che non possono in alcun modo controllare […]. I centri nei quali vengono prodotti i significati e i valori sono oggi extraterritoriali e avulsi da vincoli locali – mentre non lo è la stessa condizione umana che a tali valori e significati deve dar forma e senso.”7]

La mobilità, valore indiscusso dell’epoca postmoderna, determina importanti cambiamenti nel rapporto tra l’uomo e lo spazio, uno dei quali è la scomparsa dei vincoli spaziali con la località. A tale riguardo emblematica è la frase di Albert J. Dunlap: L’impresa appartiene alle persone che investono in essa, non ai dipendenti, ai fornitori, e neanche al luogo in cui è situata.8] La frase sopra citata fa riferimento alla sfera economica, ma rispecchia pienamente la situazione, caratterizzata dall’assenza di ogni legame con lo spazio locale, che si riscontra anche negli altri ambiti. Dunlap mette in luce il fatto che, nella fase di globalizzazione in cui ci troviamo, le imprese e le decisioni, che servono a condurre tali imprese, non dipendono dai fattori locali, incluse le persone che ci lavorano, ma dipendono totalmente dagli “investitori”, i quali possono svolgere il loro lavoro ovunque, indipendentemente da dove essi si trovino, perché non hanno alcun genere di legame con lo spazio. Gli altri soggetti che comunque sono coinvolti nel processo produttivo e fanno parte dell’impresa, non hanno invece alcuna possibilità di intervenire nella sua gestione, prendendo parte alle decisioni che la riguardano. L’esempio dell’impresa illustra perfettamente la condizione in cui si trova il cittadino della società globalizzata: ogni individuo è inserito in un contesto, di cui fa parte e a cui partecipa, ma sul quale non può intervenire in alcun modo, perché le decisioni non dipendono per esempio dalla comunità, che abita quel determinato.

13867046_1049319655181690_1124312302_n 

  Le conseguenze sulle persone

Le decisioni dipendono da avvenimenti e fattori rintracciabili a livello globale. Questo processo, che porta a un progressivo distacco dei luoghi dal loro significato, viene definito da Zygmunt Bauman come “la Grande guerra di indipendenza dallo spazio”, “una guerra durante la quale i centri decisionali, insieme alle motivazioni stesse che determinano le decisioni, gli uni e le altre ormai liberi da legami territoriali, hanno preso a distaccarsi, in forma continua e inesorabile, dai vincoli imposti dai processi di localizzazione”. 9 Un altro aspetto frutto della mobilità è l’istituzione di “nuove gerarchie sociali, politiche, economiche e culturali.”10 In seguito alle trasformazioni che hanno coinvolto lo spazio, la mobilità è diventata in effetti uno dei valori più importanti che determinano la nuova organizzazione e struttura sociale. In base alla presenza o assenza di vincoli territoriali, le persone possono essere più o meno libere di muoversi e la loro posizione nella gerarchia sociale dipende proprio dalla minore o maggiore libertà di movimento che possiedono. Mobilità corrisponde a libertà di movimento e libertà dai vincoli territoriali, il che significa capacità di muoversi facilmente e di divincolarsi: chi ha la possibilità di muoversi facilmente e rapidamente, nonostante le distanze, ha anche la capacità di liberarsi, sciogliersi dai vincoli territoriali, ma anche da qualsiasi altro dovere o obbligo sociale. Mobilità significa dunque libertà di movimento, ma va intesa anche come assenza di ogni responsabilità.

    Libertà di movimento e Stati nazionali

Quella che oggi è chiamata libertà di movimento, è stata guadagnata mediante un’aspra lotta che dal rinascimento va fino alla fine dell’età imperialistica dello stato moderno. La liberazione dai vincoli territoriali, per poter muoversi leggeri e agire liberamente nello spazio globale, oggi è diventata un sotto prodotto dello stato moderno.

La situazione dello stato nazionale è mutata irrimediabilmente in seguito al crollo dei due blocchi. Al termine della guerra fredda sono sorti molti stati nuovi, ma le funzioni che rientravano nell’ambito di azione dello stato non erano più tutte quelle del passato, o meglio, non erano più le stesse. Importanti funzioni che prima erano di competenza dello stato, ora si sottraggono all’ambito d’azione degli stati, in primis la capacità di intervenire nell’economia. “La stessa distinzione tra mercato interno e mercato globale, o più in generale tra ciò che è «interno» ed «esterno» allo stato, è estremamente difficile da mantenere, se non nel senso più ristretto di «controllo di polizia del territorio e della popolazione».” Vengono meno alcuni principi fondamentali della sovranità statale. Gli stati non hanno più il potere e le risorse per gestire l’economia globale, ma possono solo limitarsi a svolgere una funzione di controllo, sorveglianza, sicurezza all’interno della società, del territorio.

foto-piove

    Il non-luogo        

Il concetto di non-luogo può indicare anche i luoghi immaginari, frutto della fantasia e prodotti della finzione letteraria (come ad esempio le utopie), quando Marc Augé parla di non-luoghi si riferisce più propriamente a degli spazi concreti, realmente esistenti. Rientrano nella categoria dei non-luoghi tutti quegli spazi, quegli ambienti come gli scali, le stazioni ferroviarie, le sale d’attesa, gli aeroporti, i mezzi di trasporto, i centri commerciali e i luoghi di consumo.

Certi luoghi non esistono che attraverso le parole che li evocano; in questo senso nonluoghi o piuttosto luoghi immaginari, utopie banali, stereotipi. […] Ma i nonluoghi reali della surmodernità, quelli che frequentiamo quando viaggiamo sull’autostrada, quando facciamo la spesa al supermercato o quando aspettiamo in un aeroporto il prossimo volo per Londra o Marsiglia, hanno questo di particolare: essi si definiscono anche attraverso le parole o i testi che ci propongono; insomma attraverso le loro modalità d’uso, che si esprimono a seconda dei casi in modo prescrittivo («mettersi in fila sulla destra»), proibitivo («vietato fumare») o informativo («state entrando nel Beaujolais») e che a volte ricorrono a ideogrammi più o meno espliciti e codificati (quelli del codice della strada o delle guide turistiche) e a volte alla lingua naturale.”8]

    Il tempo e il senso

La prima figura dell’eccesso concerne “il tempo, la nostra percezione del tempo, ma anche l’uso che ne facciamo, la maniera in cui ne disponiamo”. Nella società odierna il tempo è diventato una categoria sempre più difficile da comprendere, che sfugge a qualsiasi tentativo di interpretazione e alla quale si fa fatica attribuire un senso. “La storia ci sembra non avere senso perché accelera e si avvicina. Il tempo che viviamo sembra aver subito una forte accelerazione; senza che ce ne rendiamo conto, il presente, appena vissuto, diventa passato ed entra a far parte della storia ad una velocità impressionante. In realtà la percezione che abbiamo di una storia accelerata dipende da un accumularsi eccessivo di avvenimenti: “L’«accelerazione» della storia corrisponde infatti ad una moltiplicazione di avvenimenti il più delle volte non previsti da economisti, storici o sociologi.” Questo eccesso di avvenimenti genera come reazione una continua ricerca di senso e un continuo tentativo da parte degli individui di attribuire dei significati al mondo che li circonda. Ciò che è nuovo, non consiste nel fatto che il mondo abbia poco senso, meno senso, o non ne abbia affatto. Il punto è che noi proviamo esplicitamente e intensamente il bisogno quotidiano di dargliene uno: di dare un senso al mondo, non a tale villaggio, o a tale lignaggio. Questo bisogno di dare un senso al presente, se non al passato, costituisce il riscatto di questa sovrabbondanza d’avvenimenti, corrispondente ad una situazione che potremmo definire di «surmodernità» per render conto della sua modalità essenziale: l’eccesso.9]

    Gli spazi vuoti

Gli spazi vuoti sono innanzitutto e soprattutto vuoti di significato. Non sono insignificanti perché vuoti: sono piuttosto visti come vuoti (o più precisamente non vengono visti affatto) perché non presentano alcun significato e non sono ritenuti in grado di presentarne uno. In tali luoghi refrattari di significato la questione del negoziare le differenze non sorge neanche, dal momento che non c’è nessuno con cui negoziare. Gli spazi vuoti sono vuoti non sono visibili e non vengono visualizzati, sono luoghi che non destano alcun tipo di interesse, e perciò sono volutamente esclusi da mappe, progetti urbanistici e architettonici.

    L’identità

Scrive Bauman: «Dopo tutto, il nocciolo duro dell’identità […] può formarsi solo in riferimento ai legami che connettono l’io ad altre persone e alla presunzione di affidabilità e stabilità nel tempo di tali legami. Abbiamo bisogno di relazioni, e abbiamo bisogno di relazioni su cui poter contare, una relazione cui far riferimento per definire noi stessi. Nell’ambiente della modernità liquida, però, a causa degli impegni a lungo termine che notoriamente ispirano o inavvertitamente generano, le relazioni possono essere gravide di pericoli. E ciononostante ne abbiamo bisogno, ne abbiamo ferocemente bisogno, non soltanto per la preoccupazione morale per il benessere di altre persone, ma anche per il nostro stesso bene, per la coesione e la logica del nostro stesso essere». 10]

L’identità e le relazioni necessitano di tempo e del contatto con l’altro da me, ma in un mondo dove le relazioni l’uno con l’altro si sono dissolte e sono evaporate, resta il vuoto. Per conoscere se stesso l’uomo contemporaneo ricorre al Tavor, agli anti eccitanti, agli eccipienti ipoeccitanti o iper eccitanti. Il mondo da recipiente è diventato un eccipiente.

    Comunità guardaroba

«Da qui nasce la crescente domanda per quelle che potrebbero essere chiamate comunità guardaroba, quelle comunità che prendono corpo, anche se solo in apparenza, quando si appendono in guardaroba i problemi individuali, come i cappotti e i giacconi quando si va a teatro. (…) Le comunità guardaroba vengono messe insieme alla bell’e meglio per la durata dello spettacolo e prontamente smantellate non appena gli spettatori vanno a riprendersi i cappotti appesi in guardaroba. Il loro vantaggio rispetto alla «roba autentica» sta proprio nel breve arco di vita e nella trascurabile quantità di impegno necessario per unirsi ad esse e godere (sia pur brevemente) dei loro benefici». 10]

La mobilità,  tipica espressione  della  modernità  liquida, coinvolge  anche  l’identità,  che diventa flessibile e mutevole, in grado di modificarsi e adattarsi a situazioni differenti, la flessibilità attecchisce anche alla identità all’interno di un ambiente anch’esso instabile e in continua mutazione.

    Identità come puzzle

Alla possibilità di paragonare l’identità ad un puzzle composto da tanti pezzi diversi, Bauman risponde: “È vero, si compone la propria identità (o le proprie identità?) come si compone un disegno partendo dai pezzi di un puzzle, ma la biografia può essere paragonata solamente a un puzzle difettoso, in cui mancano alcuni pezzi (e non si può mai sapere esattamente quanti).”9] L’identità, come un puzzle, è un’immagine frammentata, che si compone di tanti piccoli pezzi, ma a differenza di esso, non segue uno schema, un disegno prestabilito. Ogni persona ha a disposizione degli elementi diversi, che può assemblare e ricomporre a proprio piacimento, in base alle sue esperienze di vita e può ripetere la stessa operazione più volte, dando origine a forme sempre nuove. Il risultato di questo tipo di operazione quindi non sarà un’immagine fissa e sempre uguale, ma sarà una grande varietà di immagini possibili, che si possono ottenere sistemando i pezzi ogni volta in maniera diversa. Ognuno, componendo i tasselli che ha raccolto nel corso della sua vita, dà forma alla propria identità, senza seguire un’immagine o uno schema predefinito. I singoli pezzi possono essere ricomposti in maniera differente e possono sempre aggiungersene di nuovi, motivo per cui l’immagine di se stessi, che si produce non sarà mai quella definitiva: al contrario continuerà a modificarsi

 (a cura di Giorgio Linguaglossa)

3 Bauman, Zygmunt (1999): Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Roma: GLF editori Laterza, p. 4. 4 Termine coniato da Z. Bauman, vd. Modernità liquida, Roma: GLF editori Laterza, 2006. 5 “Globali” e “locali” sono definizioni usate da Z. Bauman nell’introduzione della sua opera Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Roma: GLF editori Laterza, 1999, pp. 4-5. 6 Ibidem

7 Ibidem, p. 5. 8 Albert J. Dunlap (con Bob Andelman), How I Saved Bad Companies and Made Good Companies Great, Time Books, New York 1996, pp. 199-200, citato in Zygmunt Bauman nell’opera Dentro la globalizzazione

8 Augé, Marc (2007): Tra i confini: città, luoghi, integrazioni, Milano: B. Mondadori, p. 53.

9 Ibidem p. 95

10 Bauman, Zygmunt (2005): Intervista sull’identità; a cura di Benedetto Vecchi, Roma [etc.]: Laterza, p. 26 e segg.

15 commenti

Archiviato in filosofia