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Le procedure della de-figurazione e della de-localizzazione nel linguaggio della nuova poesia kitchen, dopo la riscrittura post-moderna operata da Franco Fortini, Mario Lunetta e Maria Rosaria Madonna, La resa dei conti stilistica del «poetico» è, dopo il novecento, rimasta in sospeso e attende ancora una soluzione, che non potrà essere solo stilistica e vocabologica  ma dovrà andare molto più a fondo, dovrà investire nientemeno l’ontologia del linguaggio poetico, Poesie di Raffaele Ciccarone, Marie Laure Colasson Francesco Paolo Intini, Giorgio Linguaglossa

Marie Laure Colasson Struttura dissipativa 75x28 acrilico 2021

Marie Laure Colasson Strutture libere nello spazio, acrilico 75×28, 2021 
L’accadere della verità dell’opera d’arte è nient’altro che l’evento del suo accadere. L’accadimento è esso stesso verità, non come adeguazione e conformità di parola e cosa, ma come indice della difformità permanente che si insinua tra la parola e la cosa. La cosiddetta verità dell’opera d’arte tanto reclamizzata dal pensiero filosofico del novecento è nient’altro che difformità, differenza, divergenza.  L’arte come accadere della verità che significava nel novecento preannuncio dell’aprirsi di orizzonti storico-destinali o del chiudersi di orizzonti storico-destinali, è oggi diventata una mera funzione decorativa. L’arte non è più quell’evento inaugurale in cui si istituiscono gli orizzonti storico-destinali dell’esperienza delle singole umanità storiche. Le opere di poiesis sono oggi esperienze di shock tali da sovvertire l’ordine costituito dei significati consolidati dalla vita di relazione. L’ovvietà del mondo diventa non-ovvietà. Nuove forme storico-sociali di vita sono di solito introdotte da opere di poiesis che le hanno preannunciate. Le opere di poiesis dell’ipermoderno si configurano quindi come produzione di significati in condizioni di spaesamento permanente, di s-fondamento rispetto a sistemi stabiliti dei significati ossidati. Un tempo le opere di poiesis avevano senso soltanto se «aprivano», se preannunciavano nuove mondità, nuovi possibili modi di vita e forme di esistenza, altrimenti deperivano a cosità. Oggi va corretto quel concetto di «apertura», le opere di poiesis oggi hanno senso soltanto se «chiudono», se preannunciano la «chiusura» delle mondità, se «chiudono» i modi di vita e le forme di esistenza del presente e del passato, altrimenti deperiscono a cosità. (g.l.)

Eur Roma Nuvola di Fuksas Domenica 10 dicembre 2023

Sulla de-figurazione

«Il trucco è l’arte di mostrarsi dietro una maschera senza portarne una»

(Charles Baudelaire)

Nel suo Éloge du maquillage (1863), Baudelaire accenna alla necessità di utilizzare i mezzi della trasfigurazione per ricercare una bellezza che possa diventare artificio, mero artificio prodotto da un homo artifex, ultima emanazione dell’ Homo Super Faber, o Super Sapiens.

La «defigurazione» è la procedura poetica tipica  adottata dalla «nuova poesia». Pensare lo «spazio poetico» oggi significa applicare ai testi la de-figurazione e la dis-locazione in quanto gli spazi interamente de-politicizzati delle società moderne ad economia globale e glocale interamente dipendenti dai pubblicitari e logotecnici, sono caratterizzati dalla de-figurazione e dal disallineamento metrico, vale a dire dalla distassia e dalla dismetria.

È il linguaggio pubblicitario che impone al linguaggio poetico le sue regole, si tratta di una modificazione del linguaggio che è avvenuta nelle profondità. Oggi la politica estetica la fa la pubblicità. Il discorso poetico che voglia tornare a fare della politica estetica non può fare a meno che ri-appropriarsi delle procedure già adottate in amplissima  misura dal linguaggio pubblicitario e mediatico.

La de-figurazione  è una procedura retorica che consente di prescrivere una «figura» linguistica mediante una de-localizzazione frastica sistematica, introducendo nel testo proposizioni liberamente dis-locate, spostate, liberate dalla cogenza del referente, non appropriate quindi non corrispondenti al referente; ciò vuol dire che si registra uno scarto del pensiero dal referente che corrisponde alla parola che non gli corrisponde; tra il pensiero e la sua traduzione in parole si stabilisce uno spazio vuoto di significazione, ed è in questo spazio che opera il linguaggio poetico: nello spazio della de-figurazione iconica e della de-localizzazione frastica entro i quali sono inscritte ed operano forze linguistiche e extra linguistiche disgiuntive, contrastive e divisive, come appare chiaro dalla  poesia di accademia dove l’espressione che mira al referente viene ad essere sostituita da enunciati referendari, cioè in libera uscita espressiva, appunto, referendaria. Così è avvenuto che il linguaggio referendario del poetico e del narrativo ha sostituito il referente.

La globalizzazione, come sappiamo, è un processo ancipite, globale e glocale, in cui agiscono vettori anche contrastanti ma divergenti: non vi è solo sconfinamento e apertura dei linguaggi al globo, in questo processo macro storico operano anche dinamiche di collocazione e glocalizzazione; ci si muove nel quadro di smottamenti linguistici globali e glocali, uno spazio impensabile fino a qualche tempo fa, ma è in questo spazio che si muovono le forze linguistiche che operano all’interno dei linguaggi: le linee di convergenza e di divergenza tra le varie tradizioni letterarie diventano complessificazioni di una realtà in sé complessa. In questa accezione una «poesia europea» che fa della complessificazione e del dis-allineamento dei linguaggi il proprio motore di ricerca è già in atto nei più sensibili e ricettivi poeti europei, oggi una poesia europea che non  abbia qualche cognizione di questa problematica macro storica dei linguaggi è destinata a fare operazioni epigoniche.  Pensare ancora con le categorie della poesia del novecento: «poesia lirica» e «post-lirica», sperimentalismo e orfismo, linee regionali e linee circondariali sono, permettetemi di dirlo, blablaismi. La globalizzazione e la glocalizzazione sono processi macro storici che non possono non attecchire anche alla forma-poesia, modificandola in profondità al suo interno.

È impellente pensare la ri-concettualizzazione del paradigma del politico e del poetico, è viva l’esigenza di fuoriuscire da quelle formule dicotomiche che hanno caratterizzato la poesia del novecento: lo schema classico: avanguardia-retroguardia, poesia lirica poesia post-lirica; siamo andati oltre: occorre ri-concettualizzare e ri-fondamentalizzare il campo di forze denominato «poesia» come un «campo aperto» dove si confrontano e si combattono linee di forza fino a ieri sconosciute, linee di forza linguistiche ed extra linguistiche che richiedono la adozione di un «Nuovo Paradigma» che metta definitivamente nel cassetto dei numismatici la forma-poesia dell’io panopticon della poesia lirica e anti-lirica, avanguardia-retroguardia; da Montale a Fortini è tutto un arco di pensiero poetico che occorre dismettere per ri-fondare una nuova Ragione dello spazio poetico. Dopo Fortini, l’ultimo poeta pensante del novecento, la poesia italiana è rimasta orfana di un poeta critico in grado di orientare le categorie del pensiero poetico.

Quello che oggi occorre fare con urgenza è riprendere a riparametrare e ri-concettualizzare le forme del pensiero poetico, de-territorializzare il linguaggo poetico della tradizione del novecento e riterritorializzare il nuovo linguaggio poetico per una «nuova poesia» di là da venire, anche perché dopo la riscrittura post-moderna operata da Franco Fortini, Mario Lunetta e Maria Rosaria Madonna la resa dei conti stilistica del «poetico» è, dopo il novecento, rimasta in sospeso e attende ancora una soluzione, che non potrà essere solo stilistica e vocabologica  ma dovrà andare molto più a fondo, dovrà investire nientemeno l’ontologia del linguaggio poetico.

Il pensiero logico-sequenziale nella nuova poesia kitchen è andato a farsi friggere.

Nella «nuova poesia» il pensiero logico-sequenziale, di tipo “alfabetico”, è andato a farsi friggere, sembra essere stato in buona parte sostituito da un pensiero nello stesso tempo teppistico e multi-tasking. Se leggessimo con concentrazione una poesia di Francesco Paolo Intini, di Raffaele Ciccarone o di Marie Laure Colasson ci metteremmo a ridere, ci accorgeremmo che ci troviamo davanti ad una testualità multi-tasking, triggered, tigrata, non ammaestrata, una poesia pop-corn, una poesia pop-fast-food. Intini, Ciccarone e la Colasson sono i primi  primati, in Italia e, che io sappia anche in Europa, che facciano una pop-corn-poetry, che non sai se sia più ridanciana o auto derisoria o auto compromissoria, fatto sta che si tratta di una testualità che si deve leggere di sguincio, con l’occhio distratto, facendo zapping con lo sguardo. Come è possibile sostenere che il soggetto fondatore è indicibile (e quindi la parola è impronunciabile) e fare di questo indicibile il senso stesso del discorso poetico? Non si continua in tal modo a pensare a partire dagli stessi termini, ma invertiti? «La traccia dell’origine», in Derrida, funzionerà esattamente come un che di originario: esso si produce occultandosi e diventa effetto; lo spostamento qui è produzione. La non-adeguazione dell’originario a se stesso attraverso un logos dell’originario è d’altronde una vecchia idea del proposizionalismo della poesia elegiaca che è presente da Pascoli a Sanguineti post-Laborintus (1956) e arriva fino ai giorni nostri, poiché la ratio cognoscendi non può porre in primo luogo ciò che è realmente primo; di qui il ritorno all’origine, innato o a priori della poesia elegiaca, che non possiamo enucleare se non mediante uno scarto e un’eterna inadeguazione. È questo lo scotto che va pagato, lo scotto di una eterna «inadeguazione» del discorso poetico ad approssimarsi. Ma approssimarsi a che cosa?. Il discorso poetico è un voler dire, un atto di potenza e di rappresentazione, una possibilità che non si sa mai se si tradurrà in atto storico, reale, e quindi estetico. È il discorso sotteso alla «Muta» di Raffaello: lei ci parla meglio e con più chiarezza di quanto possano parlarci le più belle parole dei poeti classici; ma oggi, mi chiedo: è possibile raffigurare in parole (o tramite i colori) un soggetto che non può parlare? È dicibile l’indicibile? È rappresentabile l’irrappresentabile? È questo il paradosso nel quale si consuma la poesia maggioritaria che si fa in Italia, ma è soltanto in questo attrito, in questa collisione che la poesia vive e si accende. Ecco la ragione della elusione, della volatilità della parola poetica che il kitchen ammette alla ennesima potenza. Con concetti come quelli di «traccia» o di «differenza», si traduce lo scollamento del soggetto dall’enunciato, dal discorso stesso, di cui diventa impensabile che possa esserne il padrone. La «differenza» è questo scarto, questo recupero impossibile del soggetto da parte del soggetto incessantemente differito nel movimento del significante. Il soggetto sarà parlato e significato in una catena infinita di significanti, in una rete che lo dispiega e, nello stesso tempo, lo allontana. Lacan dirà il celebre motto secondo cui «il significante è ciò che rappresenta il soggetto per un altro significante», che consacra la scissione del soggetto da se stesso, come in Barthes, dove il soggetto non aderisce più al testo, di cui è solo «porta-voce» e non «autore» in senso teologico. Lacan fa del soggetto questa «presenza assente», questa rottura che fa sì che l’uomo non sia più segno, con un significante che si libera dal rapporto fisso col significato e si sposta dal suo luogo verso un altro luogo. Il soggetto è in questa traccia, velato in questo vulnus che si sposta, che pronuncia parole s-podestate, de-posizionate. Il soggetto è stabilito dal significante del segno che rimanda ad un altro segno, ad un altro significante. La poesia odierna fa un uso logologico dell’io: la semantica diventa una mantica, e la poesia diventa magia bianca, quando invece è magia nera, con tanto di mago Woland a certificarla. Così, l’io prende il piffero e diventa un pifferaio magico, e invece diventa altro da sé, avanza con la maschera dell’io ma è altro, stabilisce la propria identità mediante la rimozione dell’altro da sé che egli è. L’identità dell’io si realizza al prezzo della rimozione, di quella parte del «sottosuolo» che è «il sottosuolo del sottosuolo» per dirla con Emanuele Severino. In tal modo, risulta rimosso lo scarto retorico rispetto al sé, retorico perché l’identità è letterale più che figurata, quella letteralità che la posizione poetica maggioritaria propone, rientra nel circolo dell’io positivizzato e privatizzato. * J. Derrida, De la grammatologie, 1967 – trad it. Della grammatologia, Jaca Book, Milano, 1969, p. 69

(Giorgio Linguaglossa)

Struttura_dissipativa_acrilico 50x28, 2023

Marie Laure Colasson Strutture libere nello spazio, acrilico 50×28, 2023 

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Raffaele Ciccarone
10 novembre 2023 alle 0:04

Collisione con lo spazio a curvatura negativa

Fu la collisione con lo spazio a curvatura negativa
a spostare AEW World Championship mentre tutto
l’ologramma era a Dubai a fare il bagno

tutto l’amore riversato in una bacinella
ammalia Loredana amica del mago Woody
ora la TVS fa pagare certi servizi
ma teme punti di congelamento

tant’è che il progetto olografico
di S. Hawking si presenta sotto l’albero
di Natale per sciogliere le palle gialle limone

in tanti hanno disertato il reading di poesia
Kitchen tranne Filiberto assillato dal risentimento
quantico ora che il divano è ripulito

dopo l’ostentazione del raro incunabulo Beatrice
si ritira in clausura a Firenze per dedicarsi
alla pittura figurativa visto la vendita delle nuvole azzurre

Raffaele Ciccarone

Dalle proiezioni asimmetriche poi!

Dalle proiezioni asimmetriche eccetto
certi interrogativi istanti di sequenze Z+X=- 1
per CRO>100 che s’inerpica per svasate aggregazioni
quale cromatismo al momento? E poi?

Le news del mercato, il pane che sale per il sale! Sic!
tutto nello street shop vuoi scarti involontari di glucosio
guarda la sottotraccia arancione C12 H22 O11
magari sinonimo ma ora cosa fare, ora?

L’urgenza di un tempo superiore tale da aver
nuova visione del canto del canarino al teatro
ove Adalgisa a prescindere dal forfait
quella volta che Lucia Lammermoor di Donizetti

per il presunto sogno delle farfalle l’ufficio
investigativo memore di frontiere e degli assolo
l’Armando più di una volta ordunque
quanti e quali sospiri da dipanare se?

Di questo passo l’orizzonte pur rifritto
quale frontiera nella hall se tutto si consuma?
reggerà alla pressione iperbarica
con quella temperatura il conogelato?

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Draghi

Mario Draghi, il fuoriclasse che il Ct. dell’Italia tiene in tribuna

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Francesco Paolo Intini

Novembre

Capita a novembre di vedere zombi qua e là. Ogni volta che succede devo rincorrerli per la stanza, pulire il cloro che cola dalle mandibole e mettere varichina dove sbarcano.

Ologrammi credo che vivono in simbiosi con il passato e non gli fa specie che siano dei vermi a parlare nelle orbite degli occhi.

Uno di questi si fa chiamare stato, ma è indeciso quale delle tre facce mostrare.

Credo di averlo visto nella mia gioventù. Si aggirava da padrone per le scale e i ripiani delle torte, esibendo stalattiti d’idrogeno e stalagmiti di oganesson.

Adorava i crisantemi però e contava i petali per dire t’amo al vuoto di cui si circondava, tra un funerale e un tentativo di risalire l’albero della cuccagna.
Come un giorno possa scivolare sotto uno scheletro non è dato sapere ma il Re dei mesi ce la mette tutta per tirare fuori i campioni in gara.

Bene e male credo di aver letto. Chi non ricorda l’oratorio in cui trascorrevano le loro giornate a discorrere della creatio ex nihilo e cercare in tutti i modi di convincere il Sodio a bere acqua?

Imparavamo dai razzi di acetilene l’abc delle discussioni.
Nel dopo esperimenti c’era sempre una bandiera bucherellata su sui poggiare i piatti.

Così tra una Napoli repubblicana e un’altra borbonica spuntava il cardinale Ruffo a far da arbitro e fischiare per un fuori gioco la discesa agli inferi.

Ora che da un neo spunta un continente, si portano a guinzaglio gli ologrammi: lupi senza occhi, cervi con i cingoli, pecore che belano come draghi di Komodo.

Perché, mi chiedo, far bere ossigeno alle parole?
Se tuona un corvo dall’alto di un cipresso allieta una vipera che ride nella bocca. Continua a leggere

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