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27, 28 ottobre 2018. Dialoghi e Commenti su La Memoria, il Tempo, lo Spazio, l’Oblio della Memoria, la Postverità, Ipoverità, Iperverità, de-materializzazione, la Poesia, l’Inconscio – Poesie di Mario M. Gabriele, Francesca Dono, Mauro Pierno, Gino Rago, La storica domanda di Mandel’štam: «con chi parla il poeta?». Rispondo: «con la Memoria»

 

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Giorgio Linguaglossa

 Intorno al 1919 Osip Mandel’štam scrive un saggio Sull’Interlocutore e punta la sua attenzione critica sul problema ignorato dai simbolisti: «Con chi parla il poeta?». Punto cruciale della nuova poesia acmeista era, nel pensiero del poeta russo, di ripristinare un corretto rapporto con l’«interlocutore», anzi, il presupposto filosofico sul quale si basava il suo concetto di poesia acmeista era quello di individuare un «nuovo» rapporto con il «pubblico» e con l’«interlocutore». La «nuova poesia» avrebbe dovuto identificare un nuovo pubblico e un nuovo concetto di «interlocutore». Era una posizione strategica e una posizione filosofica.

 Oggi mi sembra che questo sia il problema centrale per la poesia italiana: Con chi parla la poesia di Bacchini? Con chi parla la poesia di Attilio Bertolucci? La poesia di Bertolucci, penso a La camera da letto, richiede una grande lentezza. La poesia paragiornalistica che verrà dopo Satura di Montale richiede invece una grande velocità. Come mai questo fenomeno?  Che cosa è cambiato nella poesia italiana? Con chi parla la poesia post-montaliana (post Satura, del 1971)? Quale è l’«interlocutore» della «nuova poesia»?

Io penso che la poesia del presente e del futuro debba avere al centro della propria ricerca la questione della memoria e dell’oblio della memoria. E riproporrei la storica domanda di Mandel’štam: «con chi parla il poeta?». Rispondo: «con la Memoria».

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La Signora Miniver sembrava un’opera d’arte.

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Mario M. Gabriele, dalla raccolta di prossima pubblicazione Registro di bordo

La Signora Miniver sembrava un’opera d’arte.

Risalimmo le scale fino alla mansarda
per vedere La Bella Elena di Offenbach

-Portami fuori da questo luogo – disse Catherine.
Le ricordai I canti dell’esperienza e dell’infermità.

Uno chiese un calice d’oro per l’altare
senza aver mai incontrato le carmelitane.

A Vladivostock pagammo in sogno 30 kopejki
per passare il Golden Bridge. 

Un avvoltoio si posò nella steppa
scegliendo il meglio della rappresaglia.

–  Presto- disse Cristian,
-bisognerà rivedere i passepartout -. 

E non eravamo ancora certi se ricaricare gli orologi,
dare il veleno ai topi. 

Paulin si fece avanti tenendo tra le mani
un biglietto per Okinawa.

Le condizioni anomale del tempo toccarono le rose
tranne la Primavera di Botticelli.

.

Mauro Pierno

un tempo, quale tempo,
se la figurazione sfugge
se oltre la siepe un confine spinge
se nella mano
un vortice appare di consolanti nubi
che non dovrai schiarire
che non dovrai riscrivere
mai.
un cielo sereno,
profondamente sereno e sgombro di nuvole.
Un antefatto.
Inquietante.)

.

 Francesca Dono

Non conosco la donna che cammina.
Neanche gli altri spinti solo da un invisibile risacca.

Sono tutti qui. Al mercato rionale dei vestiti incrociati. Una folla vagante. Fedra raccoglie quello che trova nel pantano. In un minuto qualunque.
L’autunno sale alle bocche spogliate

anche quest’anno. A dispetto dei sospiri più fitti. Sound di
onde a digiuno. Un déjà-vu palpitante. Nero crostaceo del freddo.

Appendix

(Lacera et misera bestia non orare pro nobis .Tuos utero feroce. In abbundantia disordinem ordinatus pescis )

.

Gino Rago
Versi da alcune meditazioni sul Quadridimensionalismo

Su La Quarta Dimensione

“La madeleine*. Il selciato sconnesso.
Il tintinnio di una posata.

Le chiavi di casa perdute in un prato.
Diventano in noi la resurrezione del passato?

Fanno riapparire il tempo nello spazio?

[…]

Il passato si ripete nella materia grazie alla memoria.
Il tempo perduto esce dalla profondità delle quattro dimensioni.

Perché l’uomo è spaziotempo.
Perché al profondo, nel lungo e nel largo

soltanto l’uomo lega ciò che è stato.
Il tempo perduto. Il tempo passato.

Gli infiniti punti dello spazio e gli infiniti istanti del tempo
possono vibrare insieme solo nella Memoria.

E il presente è la scheggia di tempo che ricorda il passato.
La morte qui non c’entra. […]”

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Mario M Gabriele

Un giorno ho chiesto a uno psichiatra, amico di vecchia data, se l’uomo è in grado di vivere senza la memoria. È possibile, mi disse, solo se è una sua libera scelta o se è un paziente affetto da Alzheimer. Il ricordo può essere positivo, se gli elementi che lo determinano si correlano al piacere della vita, o negativo se i dati ad esso correlati, sono dolorosi e incancellabili e quindi di sradicamento dall’archivio della memoria.”Il cervello, scrive Sergio della Sala su “Micromega” n7 -2010 – pag. 37 ha una doppia funzione, anche secondo Umberto Veronesi, che si lascia attrarre dall’idea del cervello double face.”
Nota è la sua intuizione nell’affermare che “siamo largamente imperfetti con le nostre debolezze e le nostre difficoltà, con un cervello che ha un emisfero cognitivo, razionale, logico, matematico, e l’altro emisfero che elabora sentimenti, emozioni, fantasie”.
Su questi indirizzi operativi il cervello conserva o abbandona la memoria secondo il rapporto che essa ci propone.
Ma c’è anche un altro punto di vista: quello di Edoardo Boncinelli, che in fatto di funzionalità della mente e del suo operare con la memoria ne spiega la ragione osservando che “la mente è tutto ciò che accade nella nostra testa. C’è anche una periferia che noi chiamiamo cuore, perché molte delle nostre emozioni le sentiamo nei vasi che passano vicino al cuore”. Da qui l’accettazione o il rifiuto di ciò che domina la nostra vita con il ricordo.
Scrive Barbara Spinelli su “Il Corriere della sera” che Il Novecento è stato il secolo ammalato di amnesia: Non a caso, Claudio Magris citando il libro della Spinelli: Il sonno della memoria, rileva che” tutto il tema del volume ruota intorno al sonno della ragione e sottolinea il valore razionale, oggettivo e non elegiaco-sentimentale della memoria. Come il sonno della ragione, anche quello della memoria può generare mostri” Continua a leggere

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Riepiloghiamo qui i punti essenziali del pensiero di Zygmunt Bauman (1925-2017), ricordando quanto i concetti del sociologo polacco abbiano influenzato anche il pensiero in ambito estetico. L’estetica del consumo, L’analisi dell’Olocausto, Post-panopticismo, Modernità liquida, Società in movimento, Libertà e necessità di movimento, Libertà di movimento e Stati nazionali, Il non-luogo,  Il tempo e il senso, Gli spazi vuoti, Identità, Comunità guardaroba

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Zygmunt Bauman (Poznań, 19 novembre 1925 – Leeds, 9 gennaio 2017) sociologo e filosofo polacco di origini ebraiche. Nato da genitori ebrei a Poznań nel 1925, Bauman fuggì nella zona di occupazione sovietica dopo che la Polonia fu invasa dalle truppe tedesche nel 1939 all’inizio della seconda guerra mondiale. Successivamente, divenuto comunista, si arruolò in una unità militare sovietica. Dopo la guerra, incominciò a studiare sociologia all’Università di Varsavia, dove insegnavano Stanisław Ossowski e Julian Hochfeld. Durante una permanenza alla London School of Economics, preparò la sua maggiore dissertazione sul socialismo britannico che fu pubblicata nel 1959.

Bauman collaborò con numerose riviste specializzate tra cui la popolare Socjologia na co dzien (“La Sociologia di tutti i giorni”, del 1964), che raggiungeva un pubblico più vasto del circuito accademico. Inizialmente, egli rimase vicino al marxismo-leninismo ufficiale, per poi avvicinarsi ad Antonio Gramsci e Georg Simmel soprattutto dopo il 1956 e la destalinizzazione.

Nel marzo del 1968, la ripresa dell’antisemitismo, utilizzato anche nella lotta politica interna in Polonia, spinse molti ebrei polacchi a emigrare all’estero; tra questi, molti intellettuali distaccatisi dal regime. Bauman, che aveva perso la sua cattedra all’Università di Varsavia, fu uno di questi. Egli dapprima emigrò in Israele per andare a insegnare all’Università di Tel Aviv; successivamente accettò una cattedra di sociologia all’Università di Leeds, dove dal 1971 al 1990 è stato professore. Dal 1971 ha quasi sempre scritto in lingua inglese. Sul finire degli anni ottanta, si è guadagnato una fama internazionale grazie ai suoi studi riguardanti la connessione tra la cultura della modernità e il totalitarismo, in particolar modo sul nazismo e l’Olocausto. Ha infine ottenuto anche la cittadinanza inglese.

Ieri, Zygmunt Bauman si è spento il 9 gennaio 2017, all’età di 91 anni, nella città di Leeds, dove viveva e insegnava da tempo. Brevemente, riepiloghiamo qui i punti essenziali del pensiero di Zygmunt Bauman (1925-2017), ricordando quanto i concetti del sociologo polacco abbiano influenzato anche il pensiero in ambito estetico.

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    L’estetica del consumo

Con questo concetto Bauman ha richiamato l’attenzione su un fenomeno che oggi ha assunto una auto evidenza assoluta: il mondo è stato trasformato dall’economia globale in un “immenso campo di possibilità, di sensazioni sempre più intense” in cui ci muoviamo, spesso alla ricerca di Erlebnisse, di esperienze vissute, magari desunte dall’effimero e dal virtuale.

    L’analisi dell’Olocausto

La svolta delle ricerche di Bauman avviene tuttavia prima di questi celebri lavori, nel 1989, con Modernità e Olocausto. Un tema di sconvolgente attualità. Esemplare il tracciato di Bauman che indica e mette in comunicazione la persecuzione degli ebrei e le dinamiche della modernità. In questo senso Bauman fa dello sterminio un fatto ripetibile, lo toglie dall’isolamento trasformandolo in un prodotto della civiltà moderna, delle sue regole economiche ed efficientiste. La Shoah come parto della tecnologia e della burocrazia. Uno sviluppo della lunga storia della società, quasi un orribile test che ne ha rivelato le possibilità occulte difficilmente verificabili nell’ordinarietà.

     Post-panopticismo

In una prospettiva futura, per capire cioè cosa arriverà dopo la post-modernità, Bauman – in particolare nel libro Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida uscito un paio di anni fa, scritto con David Lyon – ha un approccio originalissimo delle strutture di potere, che sorpassa i classici modelli di controllo teorizzati da Jeremy Bentham e Michel Foucault. Oggi viviamo in un modello di società in cui le forme di controllo assumono le fattezze dell’intrattenimento e del consumo. In cui i dati e non le persone diventano appannaggio delle organizzazioni transnazionali, ne sono le loro emanazioni digitali.

    Modernità liquida

L’espressione del sociologo Zygmunt Bauman, “modernità liquida” indica un’epoca in cui la società e le sue strutture sono sottoposte a un processo di “fluidificazione”: per effetto dei fenomeni globali, qualsiasi entità passa dallo stato solido allo stato liquido, perdendo i suoi contorni chiari e definiti. Comportandosi proprio come i fluidi che, non avendo forma propria, assumono quella del contenitore, anche i concetti di luogo, di confine e di identità continuano a trasformarsi e la loro forma viene continuamente ridefinita dalle situazioni.

Si parte dai luoghi, passando per i confini, fino a giungere all’identità: è l’itinerario baumiano. Tramite la conoscenza dello spazio e l’esperienza del confine possiamo entrare in relazione con la realtà esterna e con gli altri, costruendo così la nostra identità, la nostra persona. Questo percorso ci rivela inoltre che i concetti non sono immutabili, bensì possiedono dei contorni fluidi e flessibili, perché si adattano al variare della realtà in cui sono immersi. Essi presentano un carattere ambiguo e sono sempre in evoluzione: allo stesso tempo racchiudono un’idea e il suo contrario, esprimono una definizione del reale e contemporaneamente il suo opposto. Questo ci fa capire che le distinzioni e i concetti puri sono possibili solo a livello concettuale, perché per poter analizzare e classificare i fenomeni del reale, servono delle categorie astratte, precise e univoche, ma ciò non vuol dire che siano delle realtà concrete e immutabili.

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Società in movimento

Il termine “globalizzazione” è ampiamente diffuso e conosciuto, è però anche un termine spesso abusato, un’espressione utilizzata per indicare una miriade di fenomeni, che interessano e trasformano la società in cui viviamo, nel tentativo di metter un po’ d’ordine nel caos degli avvenimenti e di trovare una spiegazione a tutti i cambiamenti, che avvengono oggigiorno nelle nostre vite. Le definizioni date al fenomeno della globalizzazione sono tante e diverse, ma volendo riassumere il concetto e puntare al nocciolo della questione, potremmo dire che la parola “globalizzazione” viene usata per descrivere quella serie di processi e di trasformazioni che riguardano le attuali società in tutti i loro settori (economico, sociale, culturale, ecc…) e che possono essere inclusi nel concetto di “compressione dello spazio e del tempo”.

Il concetto è di nostro interesse, perché queste alterazioni a livello spaziale e temporale, oltre ad avere delle ripercussioni in ambito economico, sociale e culturale, hanno indubbiamente delle conseguenze non indifferenti sulle persone e sul loro rapporto con lo spazio, producendo anche delle differenze evidenti. Esiste infatti un collegamento tra le trasformazioni delle categorie di tempo e di spazio e la struttura della società: i cambiamenti, che avvengono a livello temporale e spaziale, influiscono sulle società e sul loro modo di organizzarsi.

    Libertà e necessità di movimento

Ben lontano dall’essere un fenomeno omogeneo, la globalizzazione agisce su diversi piani e genera contemporaneamente effetti contrastanti: da un lato tende a unire, uniformare, dall’altro invece tende a dividere, a creare nuove distinzioni e questi effetti sono visibili su scale diverse, sia a livello globale, che a livello locale. “Globale” e Bauman, Zygmunt (1999): Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Roma: GLF editori Laterza, p. 4. –  Zygmunt Bauman, nel suo libro scrive: “La globalizzazione divide quanto unisce; divide mentre unisce, e le cause della divisione sono le stesse che, dall’altro lato, promuovono l’uniformità del globo“. In parallelo al processo emergente di un “locale” sono i due poli attorno ai quali si aggregano gli individui in base alla loro maggiore o minore capacità di movimento. Per alcuni, “globalizzazione” significa libertà di movimento, libero accesso alla dimensione globale, per altri invece essa rappresenta una limitazione del movimento, una capacità ristretta di muoversi e un legame indissolubile con la dimensione locale.

L’elemento, quindi, che acquisisce una nuova importanza e fa la differenza è la mobilità: La mobilità assurge al rango più elevato tra i valori che danno prestigio e la stessa libertà di movimento, da sempre una merce scarsa e distribuita in maniera ineguale, diventa rapidamente il principale fattore di stratificazione sociale dei nostri tempi, che possiamo definire tardo-moderni o postmoderni.

La capacità di movimento diventa un requisito e una qualità essenziale per gli abitanti della “modernità liquida” 4], perché la libertà di movimento o la mancanza di questa capacità di movimento determinano rilevanti differenze nella collocazione degli individui all’interno della società e del fenomeno chiamato globalizzazione. Tutto e tutti sono in movimento, fisicamente o virtualmente, la società stessa è in movimento e richiede che i suoi soggetti si muovano con essa; l’immobilità non è una scelta possibile o una soluzione da prendere in considerazione. Il moto è uno stato che ci accomuna tutti; quello che cambia è l’ampiezza di questo movimento: chi è libero, sciolto da ogni vincolo, può abbandonare la realtà locale e proiettarsi nello spazio globale, chi invece non è libero di muoversi, rimane, al contrario, legato alla sua dimensione locale. Questa diversa capacità di movimento produce quindi diseguaglianza tra le persone ed è il criterio, in base al quale le persone vengono classificate come “globali” o in alternativa come “locali”.5]

Il fatto di “essere locali”6] diventa però un fattore umiliante; viene vissuto come una condizione di inferiorità e questa sensazione di limitatezza è accentuata dal fatto che il scala planetaria per l’economia, la finanza, il commercio e l’informazione, viene messo in moto un altro processo, che impone dei vincoli spaziali, quello che chiamiamo «localizzazione»”; il controllo degli eventi e soprattutto dello spazio e dei significati da attribuirgli non è più in mano ai soggetti delle realtà locale, ma dipende dalla dimensione globale.

Gli spazi di interesse pubblico sfuggono all’ambito della vita per così dire «localizzata», gli stessi luoghi stanno perdendo la loro capacità di generare e di imporre significati all’esistenza; e dipendono in misura crescente dai significati che vengono loro attribuiti e da interpretazioni che non possono in alcun modo controllare […]. I centri nei quali vengono prodotti i significati e i valori sono oggi extraterritoriali e avulsi da vincoli locali – mentre non lo è la stessa condizione umana che a tali valori e significati deve dar forma e senso.”7]

La mobilità, valore indiscusso dell’epoca postmoderna, determina importanti cambiamenti nel rapporto tra l’uomo e lo spazio, uno dei quali è la scomparsa dei vincoli spaziali con la località. A tale riguardo emblematica è la frase di Albert J. Dunlap: L’impresa appartiene alle persone che investono in essa, non ai dipendenti, ai fornitori, e neanche al luogo in cui è situata.8] La frase sopra citata fa riferimento alla sfera economica, ma rispecchia pienamente la situazione, caratterizzata dall’assenza di ogni legame con lo spazio locale, che si riscontra anche negli altri ambiti. Dunlap mette in luce il fatto che, nella fase di globalizzazione in cui ci troviamo, le imprese e le decisioni, che servono a condurre tali imprese, non dipendono dai fattori locali, incluse le persone che ci lavorano, ma dipendono totalmente dagli “investitori”, i quali possono svolgere il loro lavoro ovunque, indipendentemente da dove essi si trovino, perché non hanno alcun genere di legame con lo spazio. Gli altri soggetti che comunque sono coinvolti nel processo produttivo e fanno parte dell’impresa, non hanno invece alcuna possibilità di intervenire nella sua gestione, prendendo parte alle decisioni che la riguardano. L’esempio dell’impresa illustra perfettamente la condizione in cui si trova il cittadino della società globalizzata: ogni individuo è inserito in un contesto, di cui fa parte e a cui partecipa, ma sul quale non può intervenire in alcun modo, perché le decisioni non dipendono per esempio dalla comunità, che abita quel determinato.

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  Le conseguenze sulle persone

Le decisioni dipendono da avvenimenti e fattori rintracciabili a livello globale. Questo processo, che porta a un progressivo distacco dei luoghi dal loro significato, viene definito da Zygmunt Bauman come “la Grande guerra di indipendenza dallo spazio”, “una guerra durante la quale i centri decisionali, insieme alle motivazioni stesse che determinano le decisioni, gli uni e le altre ormai liberi da legami territoriali, hanno preso a distaccarsi, in forma continua e inesorabile, dai vincoli imposti dai processi di localizzazione”. 9 Un altro aspetto frutto della mobilità è l’istituzione di “nuove gerarchie sociali, politiche, economiche e culturali.”10 In seguito alle trasformazioni che hanno coinvolto lo spazio, la mobilità è diventata in effetti uno dei valori più importanti che determinano la nuova organizzazione e struttura sociale. In base alla presenza o assenza di vincoli territoriali, le persone possono essere più o meno libere di muoversi e la loro posizione nella gerarchia sociale dipende proprio dalla minore o maggiore libertà di movimento che possiedono. Mobilità corrisponde a libertà di movimento e libertà dai vincoli territoriali, il che significa capacità di muoversi facilmente e di divincolarsi: chi ha la possibilità di muoversi facilmente e rapidamente, nonostante le distanze, ha anche la capacità di liberarsi, sciogliersi dai vincoli territoriali, ma anche da qualsiasi altro dovere o obbligo sociale. Mobilità significa dunque libertà di movimento, ma va intesa anche come assenza di ogni responsabilità.

    Libertà di movimento e Stati nazionali

Quella che oggi è chiamata libertà di movimento, è stata guadagnata mediante un’aspra lotta che dal rinascimento va fino alla fine dell’età imperialistica dello stato moderno. La liberazione dai vincoli territoriali, per poter muoversi leggeri e agire liberamente nello spazio globale, oggi è diventata un sotto prodotto dello stato moderno.

La situazione dello stato nazionale è mutata irrimediabilmente in seguito al crollo dei due blocchi. Al termine della guerra fredda sono sorti molti stati nuovi, ma le funzioni che rientravano nell’ambito di azione dello stato non erano più tutte quelle del passato, o meglio, non erano più le stesse. Importanti funzioni che prima erano di competenza dello stato, ora si sottraggono all’ambito d’azione degli stati, in primis la capacità di intervenire nell’economia. “La stessa distinzione tra mercato interno e mercato globale, o più in generale tra ciò che è «interno» ed «esterno» allo stato, è estremamente difficile da mantenere, se non nel senso più ristretto di «controllo di polizia del territorio e della popolazione».” Vengono meno alcuni principi fondamentali della sovranità statale. Gli stati non hanno più il potere e le risorse per gestire l’economia globale, ma possono solo limitarsi a svolgere una funzione di controllo, sorveglianza, sicurezza all’interno della società, del territorio.

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    Il non-luogo        

Il concetto di non-luogo può indicare anche i luoghi immaginari, frutto della fantasia e prodotti della finzione letteraria (come ad esempio le utopie), quando Marc Augé parla di non-luoghi si riferisce più propriamente a degli spazi concreti, realmente esistenti. Rientrano nella categoria dei non-luoghi tutti quegli spazi, quegli ambienti come gli scali, le stazioni ferroviarie, le sale d’attesa, gli aeroporti, i mezzi di trasporto, i centri commerciali e i luoghi di consumo.

Certi luoghi non esistono che attraverso le parole che li evocano; in questo senso nonluoghi o piuttosto luoghi immaginari, utopie banali, stereotipi. […] Ma i nonluoghi reali della surmodernità, quelli che frequentiamo quando viaggiamo sull’autostrada, quando facciamo la spesa al supermercato o quando aspettiamo in un aeroporto il prossimo volo per Londra o Marsiglia, hanno questo di particolare: essi si definiscono anche attraverso le parole o i testi che ci propongono; insomma attraverso le loro modalità d’uso, che si esprimono a seconda dei casi in modo prescrittivo («mettersi in fila sulla destra»), proibitivo («vietato fumare») o informativo («state entrando nel Beaujolais») e che a volte ricorrono a ideogrammi più o meno espliciti e codificati (quelli del codice della strada o delle guide turistiche) e a volte alla lingua naturale.”8]

    Il tempo e il senso

La prima figura dell’eccesso concerne “il tempo, la nostra percezione del tempo, ma anche l’uso che ne facciamo, la maniera in cui ne disponiamo”. Nella società odierna il tempo è diventato una categoria sempre più difficile da comprendere, che sfugge a qualsiasi tentativo di interpretazione e alla quale si fa fatica attribuire un senso. “La storia ci sembra non avere senso perché accelera e si avvicina. Il tempo che viviamo sembra aver subito una forte accelerazione; senza che ce ne rendiamo conto, il presente, appena vissuto, diventa passato ed entra a far parte della storia ad una velocità impressionante. In realtà la percezione che abbiamo di una storia accelerata dipende da un accumularsi eccessivo di avvenimenti: “L’«accelerazione» della storia corrisponde infatti ad una moltiplicazione di avvenimenti il più delle volte non previsti da economisti, storici o sociologi.” Questo eccesso di avvenimenti genera come reazione una continua ricerca di senso e un continuo tentativo da parte degli individui di attribuire dei significati al mondo che li circonda. Ciò che è nuovo, non consiste nel fatto che il mondo abbia poco senso, meno senso, o non ne abbia affatto. Il punto è che noi proviamo esplicitamente e intensamente il bisogno quotidiano di dargliene uno: di dare un senso al mondo, non a tale villaggio, o a tale lignaggio. Questo bisogno di dare un senso al presente, se non al passato, costituisce il riscatto di questa sovrabbondanza d’avvenimenti, corrispondente ad una situazione che potremmo definire di «surmodernità» per render conto della sua modalità essenziale: l’eccesso.9]

    Gli spazi vuoti

Gli spazi vuoti sono innanzitutto e soprattutto vuoti di significato. Non sono insignificanti perché vuoti: sono piuttosto visti come vuoti (o più precisamente non vengono visti affatto) perché non presentano alcun significato e non sono ritenuti in grado di presentarne uno. In tali luoghi refrattari di significato la questione del negoziare le differenze non sorge neanche, dal momento che non c’è nessuno con cui negoziare. Gli spazi vuoti sono vuoti non sono visibili e non vengono visualizzati, sono luoghi che non destano alcun tipo di interesse, e perciò sono volutamente esclusi da mappe, progetti urbanistici e architettonici.

    L’identità

Scrive Bauman: «Dopo tutto, il nocciolo duro dell’identità […] può formarsi solo in riferimento ai legami che connettono l’io ad altre persone e alla presunzione di affidabilità e stabilità nel tempo di tali legami. Abbiamo bisogno di relazioni, e abbiamo bisogno di relazioni su cui poter contare, una relazione cui far riferimento per definire noi stessi. Nell’ambiente della modernità liquida, però, a causa degli impegni a lungo termine che notoriamente ispirano o inavvertitamente generano, le relazioni possono essere gravide di pericoli. E ciononostante ne abbiamo bisogno, ne abbiamo ferocemente bisogno, non soltanto per la preoccupazione morale per il benessere di altre persone, ma anche per il nostro stesso bene, per la coesione e la logica del nostro stesso essere». 10]

L’identità e le relazioni necessitano di tempo e del contatto con l’altro da me, ma in un mondo dove le relazioni l’uno con l’altro si sono dissolte e sono evaporate, resta il vuoto. Per conoscere se stesso l’uomo contemporaneo ricorre al Tavor, agli anti eccitanti, agli eccipienti ipoeccitanti o iper eccitanti. Il mondo da recipiente è diventato un eccipiente.

    Comunità guardaroba

«Da qui nasce la crescente domanda per quelle che potrebbero essere chiamate comunità guardaroba, quelle comunità che prendono corpo, anche se solo in apparenza, quando si appendono in guardaroba i problemi individuali, come i cappotti e i giacconi quando si va a teatro. (…) Le comunità guardaroba vengono messe insieme alla bell’e meglio per la durata dello spettacolo e prontamente smantellate non appena gli spettatori vanno a riprendersi i cappotti appesi in guardaroba. Il loro vantaggio rispetto alla «roba autentica» sta proprio nel breve arco di vita e nella trascurabile quantità di impegno necessario per unirsi ad esse e godere (sia pur brevemente) dei loro benefici». 10]

La mobilità,  tipica espressione  della  modernità  liquida, coinvolge  anche  l’identità,  che diventa flessibile e mutevole, in grado di modificarsi e adattarsi a situazioni differenti, la flessibilità attecchisce anche alla identità all’interno di un ambiente anch’esso instabile e in continua mutazione.

    Identità come puzzle

Alla possibilità di paragonare l’identità ad un puzzle composto da tanti pezzi diversi, Bauman risponde: “È vero, si compone la propria identità (o le proprie identità?) come si compone un disegno partendo dai pezzi di un puzzle, ma la biografia può essere paragonata solamente a un puzzle difettoso, in cui mancano alcuni pezzi (e non si può mai sapere esattamente quanti).”9] L’identità, come un puzzle, è un’immagine frammentata, che si compone di tanti piccoli pezzi, ma a differenza di esso, non segue uno schema, un disegno prestabilito. Ogni persona ha a disposizione degli elementi diversi, che può assemblare e ricomporre a proprio piacimento, in base alle sue esperienze di vita e può ripetere la stessa operazione più volte, dando origine a forme sempre nuove. Il risultato di questo tipo di operazione quindi non sarà un’immagine fissa e sempre uguale, ma sarà una grande varietà di immagini possibili, che si possono ottenere sistemando i pezzi ogni volta in maniera diversa. Ognuno, componendo i tasselli che ha raccolto nel corso della sua vita, dà forma alla propria identità, senza seguire un’immagine o uno schema predefinito. I singoli pezzi possono essere ricomposti in maniera differente e possono sempre aggiungersene di nuovi, motivo per cui l’immagine di se stessi, che si produce non sarà mai quella definitiva: al contrario continuerà a modificarsi

 (a cura di Giorgio Linguaglossa)

3 Bauman, Zygmunt (1999): Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Roma: GLF editori Laterza, p. 4. 4 Termine coniato da Z. Bauman, vd. Modernità liquida, Roma: GLF editori Laterza, 2006. 5 “Globali” e “locali” sono definizioni usate da Z. Bauman nell’introduzione della sua opera Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Roma: GLF editori Laterza, 1999, pp. 4-5. 6 Ibidem

7 Ibidem, p. 5. 8 Albert J. Dunlap (con Bob Andelman), How I Saved Bad Companies and Made Good Companies Great, Time Books, New York 1996, pp. 199-200, citato in Zygmunt Bauman nell’opera Dentro la globalizzazione

8 Augé, Marc (2007): Tra i confini: città, luoghi, integrazioni, Milano: B. Mondadori, p. 53.

9 Ibidem p. 95

10 Bauman, Zygmunt (2005): Intervista sull’identità; a cura di Benedetto Vecchi, Roma [etc.]: Laterza, p. 26 e segg.

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Claudio Borghi POESIE SCELTE da La trama vivente (Effigie, 2016) Poesia metafisica – Tra fisica e poesia non c’è discontinuità – con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

cinese drago Si racconta che nei tempi antichi, in Cina, quando arrivava un'eclissi di sole, si usasse battere i tamburi per cacciar via il dragone che si stava ...

cinese drago Si racconta che nei tempi antichi, in Cina, quando arrivava un’eclissi di sole, si usasse battere i tamburi per cacciar via il dragone che si stava …

Claudio Borghi è nato a Mantova nel 1960. Laureato in fisica all’Università di Bologna, insegna matematica e fisica in un liceo di Mantova. Ha pubblicato articoli di fisica teorica ed epistemologia su riviste specializzate nazionali e internazionali, in particolare sul concetto di tempo e la misura delle durate secondo la teoria della relatività di Einstein. Presso l’editore Effigie sono uscite due sue raccolte di versi e prose, Dentro la sfera (2014) e La trama vivente (2016).  Una selezione di testi da La trama vivente è stata pubblicata nella rivista Poesia (settembre 2015).

giuseppe pedota acrilico su persplex anni Novanta

giuseppe pedota acrilico su persplex anni Novanta

Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa

Claudio Borghi costruisce i suoi versi e le sue prose poetiche come partiture musical-pittoriche secondo una scansione temporale. Luce e Tempo sono i protagonisti di questa poesia, posta su un piano metafisico alto ma non nobile, piuttosto, direi, posata su un registro lessicale piano e prosastico. Il flusso del Tempo, scandito come una entità metrica variabile, spiega il ritmo ondulatorio che contrassegna questa scrittura.

Molte composizioni sono strutturate come movimenti o sequenze musicali: iniziano con un Cerimoniale lento e rigido che scollina in un Allegro moderato, per poi, subito dopo, alleggerire il tono mediante l’inserimento di un Lamentoso cantabile, molto legato; quindi, di nuovo, ecco un Allegro capriccioso che sfocia in un Vivace energico che si alterna con un Adagio mesto e un Allegro maestoso, fino a giungere ad un Andante misurato e tranquillo. Un pensiero poetico incastonato in una partitura musicale, suddivisa in più movimenti melodici e ritmici, è chiaramente rinvenibile sia ne La vera luce (di seguito riportata per intero) che nelle sequenze poematiche Il tempo immemore e La trama vivente (da cui più avanti vengono proposti alcuni estratti). Il Tempo è una entità sostanziata di ritmo e flusso lineare, una materia elastica governata da un metronomo esterno, un demiurgo che a suo piacimento dilata e restringe i tempi della partitura, un regista nascosto tra le pieghe del reale.

In un certo senso la Luce abita il Tempo, è il suo auriga.

Scrive Claudio Borghi, in una lettera in cui mi spiega come ha elaborato l’idea del tempo interno in fisica e in poesia:

«Non sento discontinuità tra fisica e poesia: l’idea del tempo interno mi è maturata dentro poeticamente prima che fisicamente. Osservando un volo di uccelli sollevarsi da terra, una mattina, ho pensato: c’è il tempo esterno, il tempo del movimento, il tempo-movimento, e il tempo che misura un divenire interno al volo: sono due tempi diversi, e il fatto che la fisica abbia dato, eccezion fatta per la termodinamica (vedi Prigogine, ecc.), risalto al tempo come misura del movimento (da Aristotele a Newton a Einstein, ecc.), non significa che il concetto di tempo si esaurisca nel movimento. Il divenire è potenzialità di cambiamento, lontano dall’equilibrio può accadere di tutto, che nascano e fioriscano e si evolvano in modo inatteso diversi mondi possibili, materiali o ideali.»

La poesia abita una struttura musicale che il poeta percepisce già esistere nell’universo: basta saperla riconoscere e snidare, saper scovare «l’onda dell’essere» che scrive «una storia senza scrittura». La poesia tende a diventare musica scritta in un pentagramma privo di note, all’utopia di una scrittura nobile che possa spaziare libera, oltre la terrestrità della «terra», oltre gli dèi e il dio monocratico, perché l’universo mal si adatta all’idea di una unità monocratica che diriga le molteplici sfere del cosmo. In definitiva, la poesia è una partitura musicale su foglio bianco: niente di più, niente di meno. Eppure il ritmo non solo assume un’importanza del tutto nuova, ma forma il nostro orecchio famelico di melodia, nutre la nostra fame insaziabile di suoni, profumi e ricordi, talvolta lontani e freddi, talvolta vicini e densi.

Un elemento qualificante della ricerca di Borghi è la considerazione dello spazio della poesia come realtà immaginaria che il pensiero poetico deve attraversare: il pensiero vivifica poeticamente lo spazio che, di per sé, sarebbe uno spazio morto.

La vera luce

Nel viaggio millenario si rinnova
l’onda dell’essere che sviluppa
una storia senza scrittura:
semplice dettato di emozione
il creato si imprime
sulle pareti della percezione,
sullo schermo degli occhi
o sulla volta risonante degli orecchi,
rimandando ogni cosa alle altre
e tutte intonando la forma del principio,
necessaria, presente,
viva eppure gratuita, assente,
quasi morta mentre su di sé
si richiude e ripiomba.

Sospeso il tempo si rapprende in nuvole
provvisorie come miraggi di attenzione,
lontananze illusorie
in un pieno di coscienza vigile,
nel miracolo della forza nell’inarcarsi
senza peso di un volo.

Il fiato si condensa,
la nebbia serpeggia immobile
lungo le strade, le parole
lasciano qualche traccia. La tempia
pulsa. Nel timido affiorare
di una frase musicale,
inessenziale e necessaria,
il sangue sembra diluirsi
e l’umore migliorare,
la luce diradando la foschia
irradiando un cuore di chiaro:
mente di creatura:
nudo fiore elementare.

La musica ha tutto dentro
o tutto vibra nella musica,
ogni particella emerge il suo essere
da oscillazioni senza tempo, dal fondo
si anima la danza,
a diversi livelli sorge la forma
e prende identità nel sollevarsi
dell’anima del mondo
e concentrarsi in microscopiche entità
fino all’accendersi dei fiori e dei frutti,
dei violini,
degli archi che rigenerano l’armonia
sotto le volte delle cattedrali
o nel quadrato breve delle camere.

Come raccogliere questi doni
e tradurli in ritmi
e momentanei accordi sa la mano
dell’artefice poeta, che sparge polline
profumato sulla pagina
e lo lascia generare forma
da semplici aggregazioni
o pieghe di suono,
vocali colorate, fatti puri,
vuote concentrazioni
e rarefazioni di senso,
foglie di musica
tiepidamente ondeggianti.

Oh come piano
si dissolve l’amaro,
il sapore acre della notte sciolto
sulle pareti della bocca si perde e tenue
torna il sole a dominare la scena,
a intonare un nuovo tema,
lasciando che ogni creatura
scorga la vera luce che svaria,
identica e diversa e senza quiete!

giuseppe pedota acrilico su tela anni Novanta

Giuseppe Pedota Acrilico su perplex anni Novanta

.

Ne La trama vivente versi e prose si alternano in dosato equilibrio. Di seguito una pagina in prosa, che nel libro è collocata poco dopo il testo poetico sopra riportato:

Se tutto è volontà e rappresentazione o, più semplicemente, identità, nocciolo, essenza che si emana in cose viste e si contempla nel cristallo delle forme create, ogni vita è un provvisorio sporgersi su un paesaggio momentaneo, una stanza sospesa, una lineare teoria di mura che chiudono lo spazio nei luoghi dell’abitudine.

Casuale emergere di uno sguardo, ogni identità come foglia cade una volta cessato il ciclo del verde: così gli occhi, che contengono un io, cadono una volta compiuto il ciclo vitale della rappresentazione. Non c’è arte, di materia o parola, che riesca ad esprimere la fatua sostanza del salire a galla della coscienza o la gratuità della caduta del corpo che quel salire ha vissuto.

Sfera immobile che non dura il creato, luogo senza tempo entro il quale si compie il miracolo tremendo inessenziale delle nascite e delle morti. Miriadi di occhi nell’anima del mondo (il tempo cosmico assente immobile): ogni creatura compie il suo destino di linfa o sangue, misura un tempo che è solo suo: il suo divenire unico e necessario. Consumato il cerchio di esperienza in cui sono inscritti e attraverso il quale misurano il flusso di quiete che lentamente brucia, gli occhi si chiudono, così che altri nuovi si aprano altrove e lo sguardo si mantenga acceso ovunque e sempre presente.

Il presente arde senza consumarsi.

L’anima del mondo non conosce le creature che si sporgono sulla trascendenza abissale sferica del non essere. Ogni volto aspetta di cadere e piega a terra il lungo collo nell’inquietudine della sua attenzione viva: si rifonde specchiandosi con l’immagine iniziale: alla quiete anonima grigia si abbandona, all’estenuata assenza di ogni desiderio.

Claudio Borghi è un compositore di nuovo conio, un outsider che, anche nella riflessione teorica sulle origini e la natura del tempo, tenta strade nuove, immerso e al contempo indipendente dalle correnti principali della poesia del secondo Novecento. La sua poesia e il suo pensiero lo testimoniano sin dalle prime manifestazioni, fino ai significativi contributi di questi ultimi anni. Figura insolita di poeta e teorico di livello, Borghi si situa con autorevolezza nel dibattito che coinvolge tutti i maggiori esponenti della poesia d’avanguardia dei giorni nostri, tra riflessione teorica e pratica compositiva. In questo senso, non poteva mancare ne L’Ombra delle Parole.

eclissi sole 7Di seguito, alcuni estratti da due sequenze in prosa.

Monadi solitarie vagano come particelle in sospensione in un fluido, atomi zigzaganti tracciano traiettorie browniane, incerti labirinti da cui la matematica fa emergere la traccia statistica di una regolarità, il senso precario di una soluzione.

 Nel vuoto, reso a tratti magnifico dal fiorire imprevisto di novità, la poesia cerca animandosi di trovare l’ebbrezza della sua sopravvivenza, nella dinamica fine a se stessa di un ritmo che senza soluzione di continuità si rinnova di parola in parola, di verso in verso, inanellandosi, inviluppandosi, naufragando nel cerchio immobile della presenza del tempo.

 Niente so della vita nelle cose, ma della vita posso disegnare i corpi che fuggendo sulla tela corrono come spinti da una forza michelangiolesca, soffiati da un turbine perenne, i corpi inquieti che si cercano per fondersi, si toccano e si amano per sentirsi l’un l’altro vivi.   (da Niente so della vita delle cose)

 La poesia trama, nascondendolo, un altro mondo che pare volersi affacciare come se, dietro le forme e i colori dell’affresco, un altro, o tanti altri, sepolti sotto strati di intonaco, potessero essere detti e portati in luce. Dietro le strutture in cui si organizzano la natura e le strade e le piazze delle città e gli accadimenti dell’esistenza e della storia sta la voragine dell’inesistente, del non detto, del possibile che non si è ancora fatto o non riesce a farsi reale. Dell’increato.

 Forse questa ansia lucida e incoerente, questo ostentare con orgoglio il proprio essere sotterraneo ma nello stesso tempo provandone terrore, davvero non è degna di un plotiniano. Forse sono inquinato da tempeste esistenzialiste, forse, più semplicemente, ho paura del vuoto senza nome in cui sento la “mia” poesia sospesa, il suo corpo trasparente la sua forza armonica vibrare su un paesaggio a cui sembra non appartenere, punto dal timore infantile che di colpo possa svanire come un corpo di illusione.

 Chiuso nella sfera trasparente della riflessione metafisica, contemplo i voli sopra le civiltà contraddittorie e violente e i deliri dello spirito tecnologico e l’ironia giustamente cinica sui troppi fabbricanti di versi e storie che stanno a contemplare silenziose macerie spirituali.

 Io ho imparato a scrivere sentendomi come un passero che impara a volare. Quando ho creduto possibile il salto o il volo ho provato a distendere le ali, ma spesso sono riuscito solo a immergermi in armonie intermittenti di paesaggi interiori, a moltiplicarmi nei riflessi di mente che quei paesaggi hanno generato, lasciandomi ora inondare da riverberi musicali ora folgorare da quel po’ di luce che ha bagnato le pareti dei versi, quando hanno toccato le radici del respiro che quella poesia rendeva viva. Ogni poesia è viva se impara qualcosa crescendo e formandosi, se ogni fibra del suo tessuto è necessaria, se nulla in essa è gratuito o esibito.   (da una lettera ad Antonio Moresco del 29 dicembre 2012, riportata nella sezione finale Lettere)

 Concludiamo con un’ampia scelta di versi.

 eclissi sole 5 

estratti da Il tempo immemore

I

Sente la notte la mente intera,
il magnifico riprodursi del suono ininterrotto,
il centro inaccessibile della sfera. La linea
invisibile sulla cartavelina dei sensi
si traccia necessaria, la strada immaginaria
si spiega tutta fuori
e sa dove andare. Ogni nome ha la sua radice
in un sostrato di erbe e terra nera,
legato a una profondità senza dimensione
emerge il suo viso, il battito, l’attenzione.

La potenza raccolta in un cerchio di energia
aspetta di abbandonarsi a un rotolo di melodia,
stagione immobile, emersa isola, visione
senza nome. Senza nome né forma il flusso,
tutto il tempo presente, gli animali inventati
discontinuamente, grandi e piccoli,
fino ai microscopici striscianti nell’erba
o che si incuneano tuffandosi sotto terra
e ricompaiono inaspettati, o ai minuscoli
insetti molteplici dalle ali vibranti
riverberanti frequenze inascoltabili.

Si protrae la ricerca nell’attesa,
in un parco di ore posato sulla distesa
del tempo vivo, disegnato con quasi noncuranza,
i tappeti fermi, i quadri alle pareti della stanza
appesi con pazienza dolce, in momenti di quiete
provvisoria, quando per qualche istante
tace la storia e il manubrio si lascia guidare,
nel piano indifferente srotolarsi dei giorni.

Il clima è accogliente. In una pausa del vento
si infila sottotraccia un ritmo inconsueto,
nella limpida (fulva) parodia del cielo il dettato
poetico si sparge come polline soffiato,
le nuvole intatte, i fogli fermi sul tavolo, il selciato
sottile fino alla trasparenza.
A fianco del sentiero bambino gli arbusti
meditano. Tutto pare aver la forza di resistere,
deciso ancora a illuminare la coscienza.

II

La barchina trasparente viene a riva, bagnata
di profondità di sogno nel cerchio della presenza
vuota vasta abissale, il flusso naturale
del venire ad essere delle cose dice
quanto deciso sia a rinnovarsi il senso,
ogni nome impregnato di energia e le falene
alte, illusorie molecole di luce in attesa,
vivi presagi nella tenebra ogni notte più nera.
Chiusa nel libro la fragile teoria dei versi,
la voce sparsa sulle pagine sfogliate
sempre più lievi, foglie più lievi
disegnate invano, rondini rinsavite ripiegano
svanendo dietro l’orizzonte,
si fermano, indugiano, ridiventano primitive,
innocenti note azzurre.
VI

Tra un istante e l’altro, un foglio e l’altro
il tempo si struttura nella presunta sostanza
che del mondo contiene l’invenzione. I piccioni
calmi sostano sul cornicione. L’un l’altro rivolti,
i colli grigi striati di iridescenze verdeazzurre,
si scambiano sguardi a scatti, allineati o paralleli
al profilo sottile di cemento su cui fermano
una irrisolta sequenza di impressioni.
Nulla più evidente della nuvola di frammenti
di questa evaporazione dell’esistente
in forme staccate e sparse, segmenti
provvisori di cui le menti
cercano la sintesi, ignorando del tempo
la continua sorpresa, rotolo che per semplice necessità
pare aprirsi si rivela
notte senza disegno inaccessibile,
sorgente emanata, nuvola o filare
di alberi verdi scoperti nel canto animato
sempre per la prima volta.

estratto da Strofe della materia viva

Di colpo ho perso interesse per le galassie
e la gravitazione e l’evoluzione
del corpo che tutto contiene, mi è sembrato
chiaro ed evidente che il punto pensante
non può contenere il contenitore,
che pensare l’evoluzione
immaginandola venire da un punto,
assimilandola al punto che la pensa
è solenne ingenuità – e stupida
ho sentito la scienza che pretende trovare
la formula che chiude in sé il mondo.
Spinto dall’impulso libero che la creatura
immette nella luce e nell’aria ho sentito
le gambe per la prima volta camminare,
la mente nuova assaporare
il niente di pensiero che sono le cose,
e i corpi viventi,
che credevo conoscibili esplorandoli,
guardandoli da vicino, ingrandendoli,
riducendo l’attività alla quiete inerte delle parti
e cercando il lampo che ne genera la struttura,
mi sono sembrati senza spiegazione,
polvere anonima che in figure, arti e visi
si muove come per miracolo interno,
che nasce senza che possa la mente
coglierne il centro di emanazione.
Da questo centro mi sono sentito venire,
pensiero e volto e arti e figura, e lo sciame
delle creature mi è parso abitarmi per miracolo
istantaneo di creazione, totale, indivisibile,
vuota visione senza nome.

Giuseppe Pedota acrilico, Paesaggio esopianta anni Novanta

Giuseppe Pedota acrilico su perplex anni Novanta

estratti da La trama vivente

Il passero sul ramo leggero riposa,
lo inarca con dolcezza di peso
e lo fa oscillare.
Il giorno si raccoglie tra le braccia
innumerevoli sottili dell’albero
e il corpicino affidato a un’amicizia semplice
sorride il suo canto acuto. Eppure
qualcosa di sotterraneo fluisce,
come lama ferisce
la semplice offerta della musica
disegnata negli occhi. Eppure
la linea melodica ha dentro
una disarmonia che la corrode
sporcandola di imperfezione,
un cuore affaticato che nello sforzo si piega
fino a deporre sfiancato lo slancio,
a smorzarsi in inquietudine notturna.
*

Si traccia sapiente la ricerca,
disegna una trama che vedi dipanarsi sicura
dalla mente alle cose,
in cui il sapere pretende conquistare,
o vedere con occhi definitivi,
il senso della materia, dell’energia e delle forme.
Si colma in un processo di conquista la scienza,
in un abbraccio verticale,
tentando la fusione dello sparso
nel cerchio unico della coscienza.
Eppure le cose dentro mutano e si sfibrano
fino a sfiorire e sgretolarsi,
l’esperienza priva la mente
della possibilità ultima del contatto,
l’abbraccio bramato si dissolve, i corpi
come evanescenze si allontanano, la visione
come una marea si ritira spegnendosi,
viva lasciando solo l’illusione
di un possibile rinnovarsi:
come un dono offerto intero
al prato deserto della contemplazione
ritorna nel luogo inattingibile,
da cui nell’anima, potente, si era riversato.
*

Cosa radica questa varietà di creature
alla sfera che abitano,
corpi pesanti e leggeri,
inabissati o volanti
o beatamente contemplanti,
in attesa di chissà quale evento liberatorio
da tanta impaurita moltitudine?
L’indaffarato brulicame trae linfa
dalla sostanza in cui sta immerso,
i pesci dall’acqua, gli uccelli,
i rettili e i mammiferi dalla terra,
dall’acqua e dall’aria traggono
alimento di vita e tutto è legato
al filo tenue di un respiro,
come un aquilone alle mani
di un bambino che gioca
e da un attimo all’altro può stancarsi
e lasciare la forma al suo destino:
perdersi nell’alto, svanire nel centro,
ridursi all’inconsistenza.
*

Non ho imparato tutti i nomi dei fiori,
né so bene che diverso profumo
emanano respirandoli. Conosco
i giacinti i fiordalisi le camelie
la mimosa la genziana il tulipano,
ma non li ricordo, come fossero parti
di un unico fiore indifferenziato.
Solo trattengo innumerevole il fiato
delle rose e il labirinto in cui si perde
la mente che stupita le avvicina
e dentro annega, ancor prima
di sentirne il profumo, stordita
dalla bellezza primordiale della forma.

*

La calma del cimitero insegna
la presenza tranquilla della morte,
il silenzio della polvere,
la persistenza malinconica della memoria.
Troncata l’erba della parola dalla falce muta,
rimane il flusso della visione
che scorre in un’assenza di mondo.
Il vuoto e la lontananza bagnano
la candela del cuore, che ultimo
cerca ostinato un sentiero
nella tenebra e piange,
lamentosamente piange il suo male
di essere stato,
trafitto dalla distanza incolmabile del dio
e dal nonsenso disumano del peccato.

In rapida sequenza rondini esaltate
si staccano una ad una dai più alti fili,
trovano la forza per lasciare
la valle delle forme e si slanciano
nella sfera che le contiene in una nube
insensata di luce bianca, mentre
in un lampo di buio si disperde,
in chiuso volo,
in polvere rarefatta,
anonima di preghiera,
la trama vivente del tempo.

claudio-borghi-2009-a

claudio borghi 2009.

 

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