Archivi del giorno: 3 luglio 2017

Giacomo Leopardi – Il pensiero filosofico e poetico del recanatese nelle letture della nuova ontologia estetica e di Emanuele Severino – a cura di Giorgio Linguaglossa

Congresso di Vienna

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Digital art (l’ente)

Giacomo Leopardi nella lettura della «nuova ontologia estetica»

Non c’è dubbio che il pensiero e la poesia di Leopardi siano usciti fuori dell’orizzonte di lettura delle ultime quattro decadi della cultura poetica italiana. La poesia italiana si è mostrata reticente e restia ad affrontare l’eredità poetica del recanatese e a ricollegarla alla sua filosofia critica; il recanatese è così diventato un grande estraneo, uno scomodo e ingombrante poeta pensatore, ad avviso di Severino il più grande pensatore degli ultimi due secoli. Addirittura, di recente una poetessa alla moda lo ha inserito tra i poeti «minori».
La «nuova ontologia estetica» ritiene invece che occorra al più presto rimettere Leopardi nel posto che gli spetta, come il primo e più grande poeta pensatore europeo che pensa la crisi come un complesso di enti dileguantensi nel nulla. Il pensiero poetante che si esplica in una poesia è l’ente dotato di autocoscienza. La nuova poesia europea dunque parte da Leopardi. La «nuova ontologia estetica» si è occupata a più riprese del «problema Leopardi», e ha rimesso al centro della propria ricerca la questione dell’ente, e quindi la questione del nichilismo nella sua fase attuale di sviluppo e del peculiarissimo «stato psicologico» proprio della nuova poesia ontologica. In questa accezione, la NOE non poteva non occuparsi della critica del recanatese alla civiltà del suo tempo e si è mossa in direzione della fondazione di una nuova poesia ontologica che ripartisse da una critica radicale dell’economia estetica e filosofica degli istituti stilistici del secondo novecento e dei giorni nostri. Ma già parlare di «istituti stilistici» significa dimidiare e fuorviare la impostazione che la «nuova ontologia estetica» dà dell’ente. La «nuova poesia» è quell’ente che designa lo stadio attuale degli altri enti ricompresi nell’orizzonte della crisi che quegli enti impersonano e prospettano. Direi che l’apertura prospettica verso gli altri enti è l’aspetto fondamentale della «nuova poesia ontologica», ente prospettico per eccellenza.

Occorre porre un alt all’economia curtense delle ultime decadi del pensiero poetico italiano. La «nuova ontologia estetica» col suo rimettere in piedi la poesia sullo zoccolo di una nuova ontologia intende riprendere, per reinterpretarla in base alle mutate esigenze della odierna età della tecnica, la lezione del grande recanatese.

Testata azzurra

grafiche di Lucio Mayoor Tosi

Porre la poesia sullo zoccolo di una nuova ontologia,

è questa la chiave di accesso che usa Leopardi per attraversare i linguaggi petrarcheschi degli ultimi secoli della poesia italiana e ristrutturarli in un linguaggio poetico integralmente espressivo che nulla concedesse alle sinapsi petrarchesche della tradizione italiana.
Concordo con quanto sostenuto da Emanuele Severino sul «pensiero» di Leopardi. Il filosofo italiano legge il recanatese come il primo poeta filosofo del nichilismo, colui che si è posto come critico radicale dell’«età della tecnica». Il recanatese scopre che l’assunto fondamentale dell’età della tecnica è il nichilismo, quel pensiero soggiacente, non detto, dell’Occidente, quel «solido nulla» che costituisce il reale inteso come esito transitorio, passaggio di un ente dal nulla al nulla. Cioè nichilismo.
Leopardi nel Dialogo della Natura e di un Islandese, scrive: «La vita di quest’universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera, che ciascheduna serve continuamente all’altra, ed alla conservazione del mondo; il quale sempre che cessasse o l’una o l’altra di loro, verrebbe parimente in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento».1]

Leopardi pensa il divenire in termini ontici e ontologici,

poiché fa coincidere il divenire con la storia degli uomini e la loro infelicità nel dolore. Il pensiero poetante per sua natura non ha semplicemente il ruolo di rilevare il senso ultimo dell’ente e di porgerlo all’uomo, il pensiero poietico è un pensiero fondante, un pensiero che dà la misura del mondo, fonda gli ambiti di comprensione dell’ente visto nel divenire come permanente produzione e distruzione dell’ente. Leopardi affida alla poiesis un compito arduo ed estremo, quello di porgersi in posizione di ascolto dell’ente.
È ovvio che un pensiero così abissale non poteva e non può essere accettato dalla poesia italiana del tardo novecento, rimasta sostanzialmente petrarchesca, scettica, acritica, conformistica e priva di un pensiero filosofico.

Testata politticoIl problema è che «Non si dà la vera vita nella falsa»,

così hanno sintetizzato e sentenziato Adorno e Horkeimer ne la Dialettica dell’Illuminismo (1947), in un certo senso contrapponendosi nettamente alle assunzioni della analitica dell’esserci di Heidegger, secondo il quale invece si può dare l’autenticità anche nel mezzo di una vita falsa e inautentica adibita alla «chiacchiera» e alla impersonalità del «si». Il problema dell’autenticità o, come la definisce Kjell Espmark, l’«esistenza falsificata», è centrale per il pensiero e la poesia europea del Novecento. Oggi in Italia siamo ancora fermi al punto di partenza di quella staffetta ideale che si può riassumere nelle posizioni di Heidegger e di Adorno-Horkeimer i quali, nella loro specularità e antiteticità, ci hanno fornito uno spazio entro il quale indagare e mettere a fuoco quella problematica. La poesia del Novecento europeo ne è stata come fulminata, ma non per la via di Damasco – non c’era alcuna via che conducesse a Damasco – sono state le due guerre mondiali e poi l’ultima, quella fredda, combattuta per interposte situazioni geopolitiche, a fornire il quadro storico nel quale situare quella problematica esistenziale. Quanto alla poesia e al romanzo spettava a loro scandagliare la dimensione dell’inautenticità nella vita quotidiana degli uomini dell’Occidente.

«Il secol superbo e sciocco»

Il pensiero filosofico di Giacomo Leopardi mette a nudo la realtà dello stato di cose presente in Europa scaturito dal Congresso di Vienna (1815). Il problema intravisto dallo sguardo acutissimo di Leopardi è il fondamento minaccioso del «nulla», del «niente» che sta alla base della costruzione della civiltà europea. Questo pensiero, sconvolgente per la sua acutezza e per l’anticipo di settanta anni con il quale viene formulato prima di Nietzsche, ci fa capire la grande potenza del pensiero filosofico di Leopardi, il suo aver percepito con estrema chiarezza, in anticipo sul proprio tempo, che il presente e il futuro dell’Europa sarebbe stato il Nichilismo. È un risultato sconvolgente quello cui giunge il pensiero di Leopardi se pensiamo che ancora oggi siamo all’interno delle determinazioni che l’età del nichilismo riserva al pensiero europeo dopo Heidegger. Il pensiero debole di Vattimo e il pensiero parmenideo di Emanuele Severino si muovono nell’orbita tracciata a suo tempo dal filosofo di Recanati. E, probabilmente, la civiltà europea dovrà anche nel futuro fare i conti con il pensiero filosofico di Leopardi, d’altronde espresso con una chiarezza e precisione lancinanti.

Rispetto al pensiero dell’Illuminismo, Leopardi fa un passo indietro, ritorna al pensiero dei greci, mette a punto l’apparato categoriale che gli serve per scoprire e mettere a nudo la vera essenza della civiltà europea. «Il secol superbo e sciocco», che credeva a quell’800 romantico ed idealista, e credeva nelle «magnifiche sorti e progressive», viene irriso dal poeta di Recanati il quale si cimenta in un pensiero che riparte dal punto zero, dal pensiero di un «corpo» che si muove nel «nulla», fonda il modo di pensare ontologico della civiltà europea. Il paradiso della civiltà della tecnica è destinato all’angoscia, in quanto la logica della scienza sulla quale esso è fondato è una logica che poggia la sua costruzione su ipotesi auto evidenti, sprovviste però di fondamento nell’épisteme su una verità immutabile e definitiva. Questa suprema felicità che il paradiso della tecnica può dare all’uomo sarebbe quindi, in ultima istanza, una felicità effimera, precaria, falsa e falsificabile. Continua a leggere

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