
Diego Cajelli Bridge
Andrzej Titkow, poeta, regista, sceneggiatore polacco, è nato a Varsavia il 24 marzo 1946. Come poeta ha debuttato nel 1963 sul settimanale Tempi moderni, e come regista cinematografico nel 1971 con il documentario In questa non grande città. Ha realizzato più di 80 documentari e alcuni film a soggetto. Ha pubblicato tre raccolte di poesie: Introduzione a un poema non scritto (1976), Annotazioni, scongiuri (1996) e Cantico dei Cantici al contrario (2016).
Di quest’ultima raccolta egli dice: «E’ come un diario lirico tenuto per più di mezzo secolo. La poesia è stata il mio primo amore e non l’ho mai tradita. A volte penso di essere soltanto un poeta che fa anche dei film. Solo la poesia, come in genere l’arte, riesce a reggere il peso esistenziale del singolo individuo, ad esprimere le sue gioie e sofferenze, la sua impotenza verso ciò che lo aspetta. Seguo da tanto tempo il mio proprio sentiero e cerco di non accrescere il caos. Ancora non ho detto tutto e sono sempre pronto ad accogliere nuove sfide».
Il giornalista e poeta polacco Ludwik Lewin, in un suo articolo dal titolo Andrzej Titkow ovvero l’ontologia dell’inesistenza, scrive: «Fin dall’inizio la filosofia di Titkow è stata dolorosa. Dolorosa fisicamente. Con il dolore terminano (e iniziano?) i tentativi di amare, di descrivere la propria esistenza e il proprio posto tra gli uomini: “qualcuno mi ha colpito egli era me, io ero lui, ma mi doleva il braccio, mi dolevano gli occhi”… E gli uomini? Sono, ma non ci sono, come quando “si intravvedeva la separazione, benché non si fossimo ancora incontrati” e là, dov’è “quella ragazza così vicina, che è intoccabile”. E io? “Io cinto di me da ogni lato, ma non autosufficiente, esigo un nome”. Di fronte alla relatività del tempo, alla reiterazione, interscambiabilità e immobilità degli eventi, i nomi hanno un senso? “Ciò che non è avvenuto domani a Budapest, Accadrà oggi a Parigi…” La relatività cronologica e geografica conduce all’impotenza, e il suo effetto deve essere l’incompiutezza…Le poesie di Titkow parlano delle apprensioni, dei timori, degli spaventi che prova ognuno di noi. E – paradossalmente – riescono a mitigarli».

Andrzej Titkow
Poesie di Andrzej Titkow
Risposta
con ponderazione dalle parole troncare
con la scure del verso tutto il superfluo
e le parole comporre finché risuoni una musica soave
ma questo mondo non conosce armonia
dunque tutto ciò che potrò fare è chinarmi
e bere a volontà dal pigro fiume del consueto
è così che nasce il verso
che non riuscirà ad annotare
o qualcosa che annoto con cura benché verso più non è
volentieri ti do ragione – la Danimarca è una prigione
ma la prigione più amara è nell’intimo –
questo silenzio
1968
La protesi
Non so da quando, da quanto tempo colui
che parla in mio nome non è più
me stesso, non so da quando, con che diritto parlano
con la mia bocca i nemici, gli amici nonché
il passante comune, lo statista sfinito
dalla vita, grigio come il muro, sotto il quale ogni giorno
si ferma, per riprendere fiato
Non so a chi appartiene questa voce
che emana da me, voce che potrebbe
essere la cosiddetta voce della coscienza –
tanto è smorzata, incolore, randagia
Davvero non so chi parla in mio nome
e in nome di chi parla in me questo ventriloquo
Colui che parla, benché non sia me stesso,
vuole essere udito oltre le parole, nelle parole
e a dispetto delle parole vuole essere ascoltato,
tra le molte voci vuole riconoscere la sua voce
Questo caso, quale io sono, questa necessità
che il mio io crea, cinto di me da ogni lato,
ma non autosufficiente, esige un nome
1973
A cena
– Amleto, dov’è Polonio?
– A cena.
– A cena? dove?
– Non là, dove egli mangia, ma là, dove mangiano lui Continua a leggere