Archivi del giorno: 6 marzo 2015

POESIE SUI LUOGHI di Giuseppe Panetta “Tertium non datur” SUL TEMA DELL’UTOPIA O DEL NON-LUOGO con un Appunto di Giorgio Linguaglossa

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Giuseppe Panetta, nato a Melito di Porto Salvo (RC) nel 1964, risiede a Firenze. Pubblica le raccolte di poesie: Le Vocali Vissute, Ibiskos Editrice, Empoli, 1999; Thalìa, Lepisma, Roma, 2008; Salumida, Paideia, Firenze, 2010. Presente in diverse antologie e riviste letterarie tra le quali si ricordano: Florilegio, Lepisma, Roma 2008; L’Impoetico Mafioso, CFR Edizioni, Piateda 2011; I sentieri del Tempo Ostinato (Dieci poeti italiani in Polonia), Ed. Lepisma, Roma, 2011; L’Amore ai Tempi della Collera, Lietocolle 2014. Ha pubblicato i seguenti libri sulla formazione del personale scolastico: LʼIntegrazione e la Valorizzazione delle Differenze, M.I.U.R., marzo 2011; Progettazione di Unità di Competenza per il Curricolo Verticale: esperienze di autoformazione in rete, Edizioni La Medicea Firenze, 2013.

Appunto di Giorgio Linguaglossa

Si capisce bene leggendo queste poesie di Giuseppe Panetta che i suoi «luoghi» sono analoghi al tertium non datur, sono delle esclusioni, qui si parla di ciò che non è più, non c’è una terzietà tra il soggetto e l’oggetto; tutto il passato viene rivisitato come un enorme magazzino o emporio di relitti non vendibili e non riciclabili. I luoghi del passato e del presente sono affetti da secondarietà. I «luoghi» sono privi di identità, sono luoghi che una narrazione convenzionale ci ha lasciato in eredità, ma si tratta di una identità fittizia. C’è un pneuma in ogni luogo sembra dirci Panetta, di qui il procedimento ironico e la sua sfiducia di poter abbozzare un logos a far luogo, appunto, dal «luogo». In questo senso Panetta è un autore squisitamente postmoderno, antiorfico, antiretorico, antilirico diremmo, perché nega alla modernità il diritto di adoperare i luoghi del passato e del presente come tematiche della poesia. Non c’è nessun luogo, né nel «luogo», né fuori dal «luogo».

 

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Tertium non datur

Non vedi che sassi protostorici
a Micene, edificati da Perseo
e bagnati col sangue di Medusa.
Lo stesso Perseo, o quasi, che nella
Loggia dei Lanzi mostra la testa
decollata di Gorgone.
Micene, in una landa brulla
nell’Argolide, non offre ombra
né riposo oltre la porta dei leoni
in un cerchio magico come nel ventre
d’una roccia metamorfica.
In quell’acrocoro di mito ride
dell’andamento borsistico dell’oro
la maschera di Agamennone.

*

Dalla terrazza del palazzo comunale
in piazza del Capidoglio, Roma
mostra tutta la sua straordinaria bellezza.
Vestigia e cattedrali e palazzi e campanili e torri e pini mediterranei come ombrelli.
Macchie verdi di frescura su muri di mattoni bruniti.

Chiudi gli occhi, amore mio.
Abbraccia la vestale d’una colonna bianca.
Io Crono e tu Rea e tutti questi asini intorno
con la mappa in mano.

.

Pod Różą

Ho dormito tra petali di rosa a Cracovia
nei pressi della Piazza del Mercato
e nei miei sogni lievi come stoffe e duri come ambra
reggevo la cattedrale del sale in cerca di Lot
al suono della tromba del campanile
della Vergine Maria, controcorrente
sulla Vistola fino alla sorgente nella Slesia
varcando affluenti di destra e di sinistra
come nel 1944 quando un drago incenerì Kazimierz*
nell’idiozia di un caffè nero sangue a Naworolsky*
*Kazimierz, quartiere ebraico

* Naworolsky, caffè storico della città , a quanto si dice uno dei posti preferiti dal giovane Vladimir Lenin.

 

Giuseppe Panetta

Giuseppe Panetta

S’usava nell’antica Roma
che i giovani di buona condizione
andassero in Atene per un viaggio
d’istruzione, ospiti delle Aonie.
Con essi giacevano le nove sorelle
di giorno con i capelli raccolti a crocchia
e di notte sciolti come fonti in sogni antichi.

Cosa sei diventata oggi Atene, mi domando
nel default del Partenone con le vie sporche
dove non poggia più piede Mnemosine
ma una Troika di granito: Ue-Bce-Fmi (?)

*

Ogni estate c’è in me un richiamo
che nasce dalla diaspora del sole
e la terra freme senza scampo: Sud!
In macchina, di solito, il viaggio
pare interminabile nella discesa
a picco nel regno del disordine.
Appena dopo i confini del Trattato
di Casalanza, lo spazio si complica
in una sosta inaspettata.
A Lagonegro piove e c’è l’ingorgo
come ai tempi del Giustizierato
e a guardare bene, sull’avamposto
del Pollino, i sassi erratici di Matera
insorgono contro ogni occupazione.

*

Notte, mia notte di occhi sgranati
che spegni in me ogni luce, gelosa
nel silenzio sbricioli le stelle, golosa
di grilli e salamandre…

Non è più tempo di pace ma di pece
come quel segno rapinato dalla storia
rappezzato nella memoria dello zen
con le colonne vertebrali a Y dei pesci
e le pinne dalle strane forme tra Siracusa e Brucoli.

Notte di metalli pesanti, di chierici
sversatori d’acqua peccaminosa
nel santo Graal della progenie.

.
Paradossi

Le teorie di Frege un mezzo fallimento
perse nel predicato che non si predica
quando il paradosso dell’assioma
non è nient’altro che una contraddizione:
Cesare conquistò la Gallia. Ma in che modo?
Con un carattere sintetico a priori, si direbbe
in rapporto allo spazio di manovra
e di semplici proposizioni analitiche
al numero dei soldati impiegati e dei civili morti.

E in Oriente? La teoria di Tarski riassembla
i pezzi del raggio originale. Nei pozzi d’umore nero
si duplicano le sfere e in ogni famiglia
un insieme di vuoti e di rovine determina
la falsa idea, nel regime, di un buon ordinamento.

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