Giorgio Linguaglossa è nato a Istanbul nel 1949 e vive e Roma. Nel 1992 pubblica Uccelli e nel 2000 Paradiso. Ha tradotto poeti inglesi, francesi e tedeschi tra cui Nelly Sachs e alcune poesie di Georg Trakl. Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura «Poiesis» che dal 1997 dirigerà fino al 2005. Nel 1995 firma con Giuseppe Pedota, Lisa Stace, Maria Rosaria Madonna e Giorgia Stecher il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica», pubblicato sul n. 7 di «Poiesis». È del 2002 Appunti Critici – La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte. Nel 2005 pubblica il romanzo breve Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesia La Belligeranza del Tramonto.
Nel 2007 pubblica Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia in «Atti del Convegno: È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo», Passigli, Firenze. Nel 2010 escono La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980 – 2010) EdiLet, Roma, e il romanzo Ponzio Pilato Mimesis, Milano Nel 2011, sempre per le edizioni EdiLet di Roma pubblica il saggio Dalla lirica al discorso poetico. Storia della Poesia italiana 1945 – 2010. Nel 2013 escono il libro di poesia Blumenbilder (natura morta con fiori), Passigli, Firenze, e il saggio critico Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (2000 – 2013), Società Editrice Fiorentina, Firenze. Nel 2015 escono La filosofia del tè (Istruzioni sull’uso dell’autenticità) Ensemble, Roma, e Three Stills in the Frame Selected poems (1986-2014) Chelsea Editions, New York. Nel 2016 pubblica il romanzo 248 giorni con Achille e la Tartaruga. Ha fondato la Rivista Letteraria Internazionale lombradelleparole.wordpress.com – Il suo sito personale è: http://www.giorgiolinguaglossa.com e-mail: glinguaglossa@gmail.com
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Appunto descrittivo di Laura Canciani
.https://www.youtube.com/watch?v=gaPblR7SE_0
“Anahit” è una classica poesia di Giorgio Linguaglossa. Parla Mnemosyne per il tramite di un poeta che narra la storia di un altro poeta, che è il suo Doppio. Ecco la figura del Doppelganger che si manifesta in tutta l’opera linguaglossiana. Una poesia di frantumi di specchi deformati. Inizia con un «ricordo più antico»: un’ombra entra nella stanza n° 27 dell’Hotel Astoria dove un personaggio non precisato porge un «foglio» al narratore della poesia in cui c’è scritta una sola parola: «È irrevocabile». Questo è l’incipit. Tutta la poesia che segue è il tentativo del poeta che narra di scoprire che cosa volesse significare quella parola. Ma, per scoprire quel significato il protagonista ci impiega una vita. Una vita in cui appaiono vari personaggi: «un violinista» che, per paradosso non sa suonare; un «angelo gobbo» che impone al musicista di suonare il primo capriccio di Paganini; subito dopo compare il «padre» che «ha lottato con le ombre», che sta «dietro il muro», «che lotta con le belve»; un «nano gobbo» «che lo insulta», dei «gendarmi» «che aizzano dei dobermann contro di lui». Il poeta, il personaggio che racconta, è fuori quadro, ogni tanto, il poeta oggetto della poesia viene colto di sorpresa dal narratore a cercare la «foto di «Enceladon» [Chi è questa misteriosa Enceladon? Chi rappresenta?] «nella tasca interna della giacca»; compare una «modella» del secolo XXI [Ancora un doppio. Ma di chi?], un «fotografo che scatta delle fotografie». E, infine, una misteriosa «dama veneziana» [Di nuovo un Doppio]. E poi di nuovo l’Hotel Astoria. «Quindici stanze». «Mio padre imbraccia il violino». «Quindici porte chiuse, ma io ho una sola chiave» [il Labirinto, metafora della memoria e della vita]. Il poeta dice di affacciarsi «ad una finestra» e vede «un centauro [che] galoppa» e che atterra su un prato verde di cartolina; poi c’è «un pittore» che «dipinge sulla tela un sole spento» [Perché «spento»?]. E, di nuovo, ricompare la «dama veneziana [che] passeggia sul Ponte di Rialto. È mia madre» [Di nuovo, ritorna Venezia, in filigrana, in trasparenza]. È straordinario come tutti questi eventi e personaggi si intreccino nella memoria del poeta, una memoria profonda, insondabile. Dunque, la risposta a quella «domanda» non può essere che una discesa agli inferi, la gerontocrazia del Male, all’interno della memoria. E allora? Allora, il poeta scopre che «Il libro della felicità lo sta scrivendo il pittore». Ma chi è il pittore? Si chiede il lettore. La risposta è semplice, siamo tu ed io, siamo tutti noi lettori abitanti del pianeta Terra. E che fa di così speciale il «pittore»? – Nulla, niente di speciale, ama «una prostituta di Trastevere… E scivola anche lui nel sonno».
Finita la poesia, il mistero si infittisce. Che cosa ha scoperto il poeta che non può dirci? Appunto questo, il poeta che narra ha scoperto qualcosa che non può comunicare al poeta che vive. Essi sono due entità distinte. Come il figlio è distinto dal padre chiuso in una delle «quindici stanze». Entrambi sono nel «sonno». L’ultima parola della poesia è, appunto, «sonno».
In fin dei conti, la poesia si presenta come un geroglifico. È questa la sua bellezza, che è costretta a dire qualcosa di indicibile, di inspiegabile [Dimenticavo di dire che il titolo della composizione prima di Anahit era: Il libro della felicità lo sta scrivendo il pittore, da cui si evince che tema della poesia è la Felicità]
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Poesia «originale» di Giorgio Linguaglossa
Anahit
[…]
Era forse il mese di aprile.
La casa dei nonni tra gli aranci in fiore.
– È il mio ricordo più antico –
Un’ombra entrò nella stanza n° 27 dell’Hotel Astoria.
Mi porse un foglio.
C’era scritto: «È irrevocabile».
«Cosa – chiesi – è irrevocabile?»,
ma l’ombra
così come era giunta, scomparve nell’oscurità.
[…]
Un interno al 77mo piano di un grattacielo di New York.
Il violinista apre esitante la custodia di mogano,
imbraccia il violino.
«Cosa devo suonare?», chiede all’angelo gobbo.
Un capriccio di Paganini, il primo, allegro con brio».
Di colpo, il violino sopprime la cornice dell’ombra
lo spartito del sonno scompare, il violinista vola nell’aria,
ritorna nella sua casa bianca che dorme nel bosco.
Frugo nella tasca interna della giacca.
Non ho più con me la foto di Enceladon…
[..]
Mio padre ha lottato con le ombre.
Dietro il muro bianco, c’è lui che lotta con le belve.
C’è un leopardo che gli ringhia contro.
Nascosto dietro la finestra, dietro la porta,
c’è un nano gobbo che lo insulta.
Dei gendarmi aizzano dobermann contro di lui.
Io gli grido di stare attento.
Grido da dietro la parete del muro bianco.
Ma lui non può udirmi.
Perché è dall’altra parte della parete.
[…]
«E adesso si può chiudere il sipario», mi dice
un’ombra di qua dall’oscurità.
[Ci sono delle ombre prigioniere nelle gabbie di ferro].
Ma io non ascolto, continuo a frugare
nelle tasche della giacca.
Faccio un passo oltre la soglia.
Siamo nel secolo XXI.
Uno studio fotografico. Una donna nuda
[In bianco e nero. Una modella di Vogue?]
cammina con i tacchi a spillo su un pavimento
di linoleum bianco su sfondo grigio chiaro. Un fotografo
scatta delle fotografie, in tutte le posizioni.
“Non ho mai visto una donna così bella”,
pensai “se non a Venezia nell’acqua alta:
Una dama in maschera solleva il vestito sopra il ginocchio…”,
ma dimenticai quel pensiero.
Poi qualcuno cambiò fotogramma
e pensai ad altro.
Prese un altro film dalla cineteca.
E riavvolse il nastro.
[…]
La dama veneziana si cambia d’abito.
Noi, al di qua dello spazio e al di là del tempo,
ammiriamo i suoi merletti di trine
i capelli color rame a torre sul suo volto in maschera.
Intanto, dietro il muro bianco c’è mio padre
che gioca con i serpenti.
[…]
Hotel Astoria.
Nel sogno ci sono quindici possibilità. Quindici stanze.
Mio padre imbraccia il violino.
Un corridoio. Ci sono quindici porte chiuse,
ma io ho una sola chiave.
[…]
Mi affaccio ad una finestra.
Un centauro galoppa su un prato verde di cartolina.
Un pittore dipinge sulla tela un sole spento.
Una dama veneziana passeggia sul Ponte di Rialto.
È mia madre.
Tocco nella tasca interna della giacca
la foto di Enceladon.
È sempre lì, dove l’avevo dimenticata.
[…]
Un altro passo all’indietro.
Il libro della felicità lo sta scrivendo il pittore.
Un cavalletto e una tela bianca.
Dalla parete di destra una debole luce filtra dalla finestra.
Il pittore dipinge il volto della sua amante.
Una prostituta di Trastevere. Le chiede di stare in posa.
E scivola anche lui nel sonno.
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SCOMPOSIZIONE DELLA POESIA IN FRAMMENTI
ad opera di Ubaldo De Robertis
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Anahit
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[…]
Era forse il mese di aprile.
La casa dei nonni tra gli aranci in fiore.
– È il mio ricordo più antico –
Un’ombra entrò nella stanza n° 27 dell’Hotel Astoria.
Mi porse un foglio.
C’era scritto: «È irrevocabile».
«Cosa – chiesi – è irrevocabile?»,
ma l’ombra
così come era giunta, scomparve nell’oscurità.
[…]
Mio padre ha lottato con le ombre.
Dietro il muro bianco, c’è lui che lotta con le belve.
C’è un leopardo che gli ringhia contro.
Nascosto dietro la finestra, dietro la porta,
c’è un nano gobbo che lo insulta.
Dei gendarmi aizzano dobermann contro di lui.
Io gli grido di stare attento.
Grido da dietro la parete del muro bianco.
Ma lui non può udirmi.
Perché è dall’altra parte della parete.
[…]
Mi affaccio ad una finestra.
Un centauro galoppa su un prato verde di cartolina.
Un pittore dipinge sulla tela un sole spento.
Una dama veneziana passeggia sul Ponte di Rialto.
È mia madre.
Tocco nella tasca interna della giacca
la foto di Enceladon.
È sempre lì, dove l’avevo dimenticata.
[…]
«E adesso si può chiudere il sipario», mi dice
un’ombra di qua dall’oscurità.
[Ci sono delle ombre prigioniere nelle gabbie di ferro].
Ma io non ascolto, continuo a frugare
nelle tasche della giacca.
Faccio un passo oltre la soglia.
Siamo nel secolo XXI.
Uno studio fotografico. Una donna nuda
[In bianco e nero. Una modella di Vogue?]
cammina con i tacchi a spillo su un pavimento
di linoleum bianco su sfondo grigio chiaro. Un fotografo
scatta delle fotografie, in tutte le posizioni.
“Non ho mai visto una donna così bella”,
pensai “se non a Venezia nell’acqua alta:
Una dama in maschera solleva il vestito sopra il ginocchio…”,
ma dimenticai quel pensiero.
Poi qualcuno cambiò fotogramma
e pensai ad altro.
[…]
La dama veneziana si cambia d’abito.
Noi, al di qua dello spazio e al di là del tempo,
ammiriamo i suoi merletti di trine
i capelli color rame a torre sul suo volto in maschera.
Intanto, dietro il muro bianco c’è mio padre
che gioca con i serpenti.
[…]
Un altro passo all’indietro.
Il libro della felicità lo sta scrivendo il pittore.
Un cavalletto e una tela bianca.
Dalla parete di destra una debole luce filtra dalla finestra.
Il pittore dipinge il volto della sua amante.
Una prostituta di Trastevere. Le chiede di stare in posa.
E scivola anche lui nel sonno
[…]
Hotel Astoria.
Nel sogno ci sono quindici possibilità. Quindici stanze.
Mio padre imbraccia il violino.
Un corridoio. Ci sono quindici porte chiuse,
ma io ho una sola chiave..
[…]
Un interno al 77mo piano di un grattacielo di New York.
Il violinista apre esitante la custodia di mogano,
imbraccia il violino.
«Cosa devo suonare?», chiede all’angelo gobbo.
«Un capriccio di Paganini, il primo, allegro con brio».
Di colpo, il violino sopprime la cornice dell’ombra
lo spartito del sonno scompare, il violinista vola nell’aria,
ritorna nella sua casa bianca che dorme nel bosco.
Frugo nella tasca interna della giacca.
Non ho più con me la foto di Enceladon…
[..]
Qualcuno prese un altro film dalla cineteca.
E riavvolse il nastro.
[…]
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