Flavio Almerighi SEI POESIE INEDITE SUL TEMA DELL’UTOPIA O DEL NON-LUOGO con un Appunto critico impolitico di Giorgio Linguaglossa

pappagallo del Costa Rica

pappagallo del Costa Rica

L’isola dell’utopia è quell’isola che non esiste se non nell’immaginazione dei poeti e degli utopisti. L’utopia (il titolo originale in latino è Libellus vere aureus, nec minus salutaris quam festivus de optimo rei publicae statu, deque nova insula Utopia), è una narrazione di Tommaso Moro, pubblicato in latino aulico nel 1516, in cui è descritto il viaggio immaginario di Raffaele Itlodeo (Raphael Hythlodaeus) in una immaginaria isola abitata da una comunità ideale.”Utopia“, infatti, può essere intesa come la latinizzazione dal greco sia di Εὐτοπεία, frase composta dal prefisso greco ευ– che significa bene eτóπος (tópos), che significa luogo, seguito dal suffisso -εία (quindi ottimo luogo), sia di Οὐτοπεία, considerando la U iniziale come la contrazione del greco οὐ(non), e che cioè la parola utopia equivalga a non-luogo, a luogo inesistente o immaginario. Tuttavia, è molto probabile che quest’ambiguità fosse nelle intenzioni di Moro, e che quindi il significato più corretto del neologismo sia la congiunzione delle due accezioni, ovvero “l’ottimo luogo (non è) in alcun luogo“, che è divenuto anche il significato moderno della parola utopia. Effettivamente, l’opera narra di un’isola ideale (l’ottimo luogo), pur mettendone in risalto il fatto che esso non possa essere realizzato concretamente (nessun luogo).

 Flavio Almerighi è nato a Faenza il 21 gennaio 1959. Sue le raccolte di poesia Allegro Improvviso (Ibiskos 1999), Vie di Fuga (Aletti, 2002), Amori al tempo del Nasdaq (2003), Coscienze di mulini a vento (Gabrieli 2007), durante il dopocristo (Tempo al Libro 2008), qui è Lontano (Tempo al Libro, 2010), Voce dei miei occhi (Fermenti, 2011) Procellaria (Fermenti, 2013). Alcuni suoi lavori sono stati pubblicati da varie riviste di cultura/letteratura (Foglio Clandestino, Prospektiva, Tratti). Dieci sue poesie sono comprese nella Antologia a cura di Giorgio Linguaglossa Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Roma, Progetto Cultura, 2016).

Toshiko Hirata  Bicchiere

Toshiko Hirata Bicchiere

Appunto critico impolitico di Giorgio Linguaglossa

 Il principio di esposizione paratattica regna sovrano nella poesia di Flavio Almerighi. I frammenti aforistici indicano che è imminente un sisma le cui avvisaglie si lasciano intravedere in queste scaglie, in queste tracce di un linguaggio ridotto a lacerti pseudo aforistici, si tratta di paralipomena, di frammenti conflittuali che non chiedono più di essere pacificati e composti. Forse, nel principio costruttivo di questo sistema instabile e conflittuale qual è la poesia di Almerighi, si può rintracciare una sorta di scorporazione da un testo originario che è stato rimosso. Di qui le sue tipiche domande: «Amore, / cosa faremo dopo l’amore?». È chiaro che per Flavio Almerighi si può poetare soltanto con un linguaggio sobrio e sgombro di petali o di smottamenti del cuore; si può poetare intorno al «non-luogo», cosa non diversa che poetare intorno ai «luoghi», entrambi dissestati e s-postati altrove, secondo il disegno razionale (e irrazionale) che l’economia globale assegna loro. I «luoghi» quindi sono per Almerighi traslocabili ed «affabili», come gli «oggetti», «disciplinati» alquanto che «chiedono educatamente scusa» in quanto «protagonisti» del nostro tempo «d’erotica scolastica». La sopraffina ironia di Almerighi chiama le cose con il loro nome: «mi piacciono le donne quadrate…»,  comprime gli oggetti e le parole che parlano degli oggetti, perché sa che soltanto tenendole/i insieme mediante un collante si può sperare che esse/essi durino almeno il tempo della loro fruizione da parte degli utenti; anche l’«utopia perduta» è uno di questi «oggetti» e, come tale, dotato di valore e messo sul mercato dei non-luoghi sfitti. Nella asciutta poesia di Almerighi puoi notare in filigrana l’economia delle parole non educate e non amministrate che il poeta lascia filtrare con ironica disinvoltura occupato nelle sue faccende intorno agli «oggetti» (ovvero, l’ottimo luogo «utopia imbottita d’erotica scolastica»), tra scoppi di risa compressi e l’ironico motteggiare del cicaleccio di un quotidiano ormai denaturato, insignificante (il nessun luogo).

Davvero, non potremmo definire optima questa poesia di Almerighi, essendosi perduta la chiave ermeneutica per aprirci quei mondi optimi che un tempo lontano definiva il luogo della poesia. È la poesia stessa a reclamare il proprio posto «nel vano degli oggetti», un posto davvero scomodo, e de-territorializzato.

Pappagallo Costa Rica

Pappagallo Costa Rica

d’erotica scolastica

riparliamo del vano degli oggetti,
utopia imbottita d’erotica scolastica
indubbiamente affascinate, studenti affabili
disciplinati e in linea
chiedono educatamente scusa,
prima linea primo vagito
poi futuro inarcato da protagonisti
sui colori rampicanti di sbalordite primavere
canzoni del cuore a rima con torpore,
se stessa vissuta più volte
lasciata crescere, annaffiata a sottintesi
come foglia a distico, perfetta
scordata nel vano degli oggetti

.
alla stazione di Viergne

alla stazione di Viergne
ho ritrovato l’utopia perduta,
reperto interrato schiacciato
crivellato di passi
un marzo, nero fino alla cintola,
mi manchi – dico
anche tu – risponde,

ho lasciato decantare
l’inatteso piacere,
quando un cane, sette vite tutte morte
mi ha morsicato più forte,
ha morso dove una lettrice disattenta
muove di getto su una poltrona rossa
mostrando attraverso le ginocchia,

dura un tempo l’armonia.
l’antisemita muore di sete
e una zanzara sculetta
dentro un destino
facilmente spiegabile,
il fuciliere prende la mira
senza mancare un colpo

Toshiko Hirata Bicchiere

Toshiko Hirata Bicchiere

Quattordici poemi

mi piacciono le donne quadrate
fanno bambini vestiti,
all’occorrenza sono bionde
ma si lasciano sposare al naturale,
tirano fino a notte fonda
e fanno il bagno spesso,

nonostante quattordici poemi
in teoria mai consegnati
e belli come capelli lisci,
stanotte ne ho sognata una
e come odisseo sono uscito presto,
anzi non sono rientrato

¬tempi minimi nonostante tutto
per prendersi il servizio buono,
quell’altrove è sempre qui
torneremo a casa, lei ed io

.
Nessuna tonalità epica

Un uomo e la sveglia del mattino
che tarda, la suoneria scordata,
l’uomo chiede per quale principio
la giornata sia già fredda, già patita

prende altri cinque minuti,
rivede gli amori della vita,
ne bastano solo due, muove le gambe,
ha freddo non ha più sonno.

La giornata scende a dodici ore,
nessuna tonalità greca
nelle lenzuola sfatte del ritorno
stesso mare mai spostato.

Non c’è sconto
dopo l’inverno altro autunno,
inoccupato dal mestiere di vivere
osserva il cuore – guscio di noce
riparare nel mallo.

Pappagallo Costa Rica

Pappagallo Costa Rica

La settima arte

Amore,
cosa faremo dopo l’amore?

Affretteremo l’eloquio, il piacere
autentico. Finto che sia.
Ci fermeremo
come su celluloide la settima arte
per rivederci più avanti a cose fatte?

Gli anni impiccati oscillano,
il tempo misurato a pendolo e baci
corre prima, scompare ladro
e la tristezza un laccio esile lega,
avvince di lacrime fino a riderne.

Del mio riso scorgo la vergogna
abbracciata alla pienezza breve,
su tutto un bisbigliare di farfalle,
e dentro qualcosa lasciato aperto.
Sbatte.

Amore,
cosa faremo dopo l’amore?

.
Nove Maggio 1978

Facevo la Quinta quand’è morto Impastato,
maggio e già era rigido inverno,
stavo abbracciato a un grembo di rose
finendo per pungermi e sanguinare

di tutte le lettere scritte per niente,
sono la più lunga, messo in bottiglia
affidato al mare dal guscio di ceralacca,
arrivo oggi che sono spaccato e vecchio

e voglio per me un po’ d’infinito.

21 commenti

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21 risposte a “Flavio Almerighi SEI POESIE INEDITE SUL TEMA DELL’UTOPIA O DEL NON-LUOGO con un Appunto critico impolitico di Giorgio Linguaglossa

  1. Gabriele Gaulli Fratini detto il Baciccio

    Gradevoli allegri con brio.
    Un altro figlio di Caproni e cugino di Magrelli. 😉

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  2. Il carattere schietto dell’uomo Flavio Almerighi traspare dal dettato sobrio, scarno, talora mestamente ironico della poesie sul tema dell’Utopia o del Non-luogo. La realtà concreta è deludente, quindi, nonostante il desiderio di “un po’ d’infinito”, per il poeta tutto è Non-luogo o assenza di Luogo ottimo ove la vita possa essere meno amara.
    Non certo per caso nella poesia “Nessuna tonalità epica” Flavio Almerighi ha scritto: “inoccupato dal mestiere di vivere”.
    Il grande Cesare Pavese intitolò il suo diario “Il mestiere di vivere” poiché era convinto che l’uomo non potesse/sapesse vivere per capacità innata, ma dovesse imparare a vivere come si impara un mestiere, giorno per giorno, con fatica e spesso con sofferenza.
    Un passo di questo diario mi pare si adatti alle poesie di Almerighi: “L’arte di vivere è l’arte di saper credere alle menzogne. Il tremendo è che, non sapendo ‘quid sit veritas’, sappiamo però che cos’è la menzogna”.
    L’Utopia e il Non-luogo di Almerighi consentono solo questo tipo di vita, in cui non trova posto la certezza della Luce, del Bene, del Bello, del Vero.

    Giorgina Busca Gernetti

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  3. antonio sagredo

    Amore,
    cosa faremo dopo l’amore?
    (almerighi….)
    —————————————
    Cosa farà l’amore dopo di noi,
    ancora viventi?
    (sagredo 1968)

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  4. Ivan Pozzoni

    Confermo ciò che da anni, oramai, faccio: apprezzare i testi di Flavio. Trasparenza, chiarezza, concretezza:

    Facevo la Quinta quand’è morto Impastato,
    maggio e già era rigido inverno,
    stavo abbracciato a un grembo di rose
    finendo per pungermi e sanguinare

    di tutte le lettere scritte per niente,
    sono la più lunga, messo in bottiglia
    affidato al mare dal guscio di ceralacca,
    arrivo oggi che sono spaccato e vecchio

    e voglio per me un po’ d’infinito.

    Flavio non è un figlio di Caproni (la sua seria ironia lo farebbe sorridere): credo che – a differenza mia- ci risponderebbe “sono figlio di Almerighi”. Io, con ironia faceta, risponderei: “Sì: sono figlio di caproni. I miei hanno la quinta elementare. Dunque?”. Questa la differenza tra due diverse forme di ironia, che diversificano i nostri due modi di scrivere, entrambi incentrati sull’ironia. L’ironia amara, molto politica, di Flavio; l’ironia beffarda, molto etica, mia. Mi è impossibile esimermi dall’annoverare Flavio tra i miei compagni di ironia, insieme a Panetta, Simeone, Attolico, Amorese, et similia. Sostituiamo ad una categoria vuota, il “minimalismo”, una categoria viva e vivace: l'”ironisme” artistico.

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  5. Forse è meglio lasciare stare le parentele che occupano ciascuno di noi e sono imprescindibili ma non decisive . Credo sia decisivo – proprio in loro funzione – l’apporto ( il quantum ) di personale che ognuno sa “immettervi”. Poi sarà la stessa parentela a lusingarsi o ad accusare maldipancia .
    Almerighi – per quel che posso capire – non ha complessi o velati tutori / padrini ecc. , li dribbla ma non li dimentica , a volte “glielo manda a dire” ma con una souplesse colorata e intelligente . Insomma , il suo lavoro non passa inosservato : parlerei proprio di “ironisme” artistico come chiosa Ivan Pozzoni , merce rara anzichenò .

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  6. in tema di parentele:

    The killer awoke before dawn

    He put his boots on

    He took a face from the ancient gallery

    And he walked on down the hall

    He went to into the room where his sister lived

    And then he paid a visit to his brother

    And then he, he walked on down the hall

    And he came to a door, and he looked inside

    “Father?”-“Yes, son?”-“I want to kill you,

    Mother, I want to fuck you…”

    (James Douglas Morrison)

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  7. Steven Grieco

    Bello il commento di Giorgina Busca Gernetti alle poesie di Almerighi. Soprattutto azzeccato l’accostamento a Pavese. Le poesie le ho apprezzate moltissimo, le devi leggere più di una volta per penetrare quel distacco che fa da base all’accettazione un po’ dolorosa delle cose. Ma poi ti rendi conto dell’acutezza dello sguardo sull’uomo e sul mondo, e questo è sicuramente il dato più gradito per il lettore. Le ragioni del poeta tendono a sfarinarsi pur rimanendo intatta la struttura poetica, e anche questo è io penso un punto avanzato di uno stile. Economia e stringatezza del verso e del dire, non c’è niente e c’è tutto. Questo scivolare per un’Europa che sembra andare alla deriva… Complimenti!

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  8. Giuseppina Di Leo

    Trovo anch’io che il sano “ironisme” artistico di cui parla Ivan Pozzoni costituisca la cifra stilistica di Almerighi. Per una utopia non più agognata o impossibile, bensì visibile allo sguardo:

    Amore,
    cosa faremo dopo l’amore?

    Affretteremo l’eloquio, il piacere
    autentico. Finto che sia.
    Ci fermeremo
    come su celluloide la settima arte
    per rivederci più avanti a cose fatte?

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  9. Tra quanti hanno scritto qui sull’utopia, Almerighi è tra i pochi che l’hanno nominata, almeno parzialmente. Per esteso è utopia politica, con il restante ideologico che approda in un delicato esistenzialismo fatto di ripensamenti e malinconie (rese più acute dall’ironia di cui si è detto). Il mio pensiero va a Ennio Abate e agli esodati del ’68, solo che Ennio scava diversamente, non già per recuperare quel tempo ma per trovare le ragioni dell’oggi. Ad Almerighi basta la frantumazione del quotidiano, lascia la ragione, vuole per sé Un po’ d’infinito. Forse un abbraccio. Questa frantumazione è resa evidente dalla scrittura che si svolge come cercando una messa a fuoco sul presente che pare un’astrazione, una sequenza di fatti irrilevanti dove piccole cose importanti dovranno pur esserci. Le trova, le vive e le descrive. A parer mio è buona e paziente ricerca che porta trasformazione. Complimenti.

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  10. Quando scrivo (scrivo… è una parola grossa) non ho mai la certezza di dove arriverò alla fine. E’ un po’ come la vita, si sa da dove si viene non si sa dove si va, si ha una vaga idea di dove si vorrebbe andare. Probabilmente non ho un piedistallo molto alto, comunque sono contento che in quelle “cose” ci abbiate trovato altre “cose”, belle direi. Se qualcuno mi legge so benissimo di mettermi in gioco, ci sta tutto il commento positivo, quello negativo, la critica giustamente. Non sarò mai uno di quelli che si risente o minaccia azioni legali o appuntamenti dietro il convento delle carmelitane alle sei del mattino (spada o pistola?) non me ne frega niente. L’atto creativo è qualcosa di molto privato, che poi lo si renda pubblico è un altro discorso, si pensa di aver detto qualcosa e lo si vuole esporre agli altri, ci si confronta. Ringrazio Gabriele Fratini, la Prof.ssa Giorgina Busca Gernetti, Antonio Sagredo, Ivan Pozzoni, Leopoldo Attolico, Steven Grieco, Giuseppina Di Leo, Lucio Mayoor Tosi per il tempo e l’attenzione dedicatami.

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  11. apprezzo l’essenzialità del verso, che però tutto non dice , lasciando porte aperte nell’anima del lettore attento, e disposto a seguire il filo sottile che congiunge realtà e sogno…

    Bellissimo lavoro,
    un saluto gentile,
    Barbara

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  12. Quando leggo i testi di Flavio so benissimo dove mi trovo, quale sia il tragitto che mi conduce , tra un velo amaro, qualche macchia di rammarico, un ciottolo di disillusione, una siepe di ideologia abbandonata se non addiruttura bruciata, e il sentiero della vita che scorre inspiegabilmente sereno nonostante tutto.
    Alle volte faccio un gioco con me stesso, quando leggo i suoi testi, come questa volta con due di essi che ho gradito molto, immaginando di sapere già come andrà a finire, e ci azzecco, so precisamente che arriverò alla chiusura rilassato e sorridente con il “delicato esistenzialismo”, di cui parla L. M. Tosi, come compagno di viaggio.

    GP

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  13. Lucia Gaddo Zanovello

    Almerighi Acuto e Arguto, ma pure Attento osservatore. Ed è una forza quando arriva a far ‘sculettare’ la zanzara, la ‘culex pipiens’. Troppo simpatica questa immagine.
    Sono poesie intense, in particolare la prima e l’ultima qui postate.
    “Quattordici poemi” mi piace parecchio, la trovo neanche troppo sottilmente venata di ironia e molto molto vera; amo anch’io le donne quadrate, e quadrate alla lettera, dentro e fuori. Ma i miei testi preferiti sono “Nessuna tonalità epica”, perché ci ritrovo, al contrario, tutto l’eroismo della quotidianità, specialmente quando la giornata inizia ‘scordata’ come la sveglia e, come accade spesso, ‘già fredda e patita’ e dove l’ambientazione è lo “stesso mare mai spostato” e mai nemmeno nel tempo “c’è sconto/ dopo l’inverno altro autunno”. E poi “La settima arte”, in cui mi ha colpito in particolare una domanda che pure io mi faccio spesso “Ci fermeremo/ come su celluloide la settima arte/ per rivederci più avanti a cose fatte?” Inoltre le immagini crude de “…Gli anni impiccati oscillano,” e “dentro qualcosa lasciato aperto./ Sbatte”, mi restituiscono senza ipocrisie o eufemismi la schiettezza della porzione (o pozione?) di dolore che ciascuno di noi ha in sorte.
    Esprimo il mio più vivo apprezzamento sia per i testi che per l’Autore.

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