Archivi del giorno: 16 aprile 2015

POESIE SCELTE di Fabio Dainotti da “Selected Poems” Gradiva 2015 “Il canzoniere desublimato” con un Commento di Giorgio Linguaglossa

bello fermo immagineFabio Dainotti è presidente onorario della Lectura Dantis Metelliana, di cui è stato per anni direttore e poi presidente. Condirige l’annuario di poesia e teoria “Il pensiero poetante”. Ha curato la pubblicazione presso Bulzoni de Gli ultimi canti del Purgatorio dantesco (2010). Ha commentato canti del Paradiso e tenuto conferenze dantesche. Ha pubblicato di poesia: L’araldo nello specchio, Avagliano Editore, Cava de’ Tirreni, 1996; La Ringhiera, Book, Bologna 1998; Un mondo gnomo, Stampa Alternativa,Viterbo,2001; Ragazza Carla Cassiera a Milano, Signum, Bollate, 2001; Ora comprendo,  Edizioni Scettro del Re,  Roma, 2004; Selected poems, Gradiva, New York, 2015. Ha partecipato e partecipa alla vita culturale cittadina, prima come membro del Comitato culturale, poi come membro del Comitato per le onorificenze. Ha collaborato e collabora a quotidiani e riviste di carattere culturale, come “Poiesis”, “Misure critiche” e altre. È presente in numerose antologie. I testi presentati sono tratti da Selected poems Gradiva, 2015 N.Y.

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Giorgio Linguaglossa Il canzoniere desublimato

La poesia di Fabio Dainotti è stata felicemente definita da Francesco D’Episcopo «diario quotidiano e sussultorio dell’esserci» (prefazione a L’araldo nello specchio – Poesie 1964-74) edito nel 1996 da Avagliano editore, una sorta di ironica, autoironica e desublimata epopea del quotidiano, ed insieme diario lirico della passione amorosa, canzoniere di una materia non più cantabile ma soltanto orientabile: il rapporto amoroso o lo stato di innamoramento, con tutto ciò che ne consegue in termini di prevalenza del dispositivo ottico e le visioni  in plein air, come dall’alto di un elicottero, rispetto al dispositivo fonetico e fonematico, dove la raffinata lectio dei classici del Novecento risulta perfettamente digerita. Soluzioni penniane si giustappongono su lacerti di ascendenza foscoliana, il tutto immerso in un liquido di contrasto tipicamente post-moderno: un modernismo metaironico che avvolge il dettato come una linda camicia inamidata e stirata. In questa operazione non è più significativa l’assonanza, la rima o il significante, quanto ciò che spegne la tradizionale orchestrazione sonora, ciò che decolora e sbiadisce i vistosi panni novecenteschi. Leggiamo la seconda poesia della raccolta citata, dove il sabiano andante largo si stempera in uno sviluppo poematico di stampo neocrepuscolare:

Il tuo passo spedito non ha eguali
se incedi su scarpine collegiali
 
ondeggia la tua gonna pieghettata
autunnale nel sole la vetrata
 alta dell’edificio mi richiude
ma io le palme a voi tendo deluse
 
non vedi me che ti vedo parlare
all’amica a te unita nell’andare.

Già allora Fabio Dainotti mette a punto la tecnica del contrappunto e del controcanto, che poi utilizzerà in tutta la sua successiva produzione, che è una tipica operazione estetica post-moderna:

Non dovrei attardarmi sotto il cielo
del parco che circonda la tua villa
e non dovrei fumare un’altra sigaretta
fermo nell’umida ombra della notte
col mio inconfondibile trench bianco
neppure dovrei credermi Humphrey Bogart
solo perché son cupo e silenzioso
e parlo poco e vado dritto al sodo
e la lobbia calcata ho bene in testa
con la testa abbassata avanti agli occhi.

diabolik-eva-kant Roy Lichtenstein

diabolik-eva-kant Roy Lichtenstein

Come recita il titolo, L’araldo nello specchio, vuole anche alludere alla condizione narcisistica che contraddistingue le relazioni umane, il carattere riflesso, la sostanza riflessa che contraddistinguono la riproduzione estetica, quasi che la serenità dell’autocoscienza dell’operazione estetica comporti un distacco necessitato e premeditato, donde la predisposizione melanconica e autoironica dell’io poetico. Con il senno di poi, diremmo che sarà questa la cifra stilistica significativa di tutta la produzione successiva di Fabio Dainotti, erede tardo novecentesco della dissociazione lirica che il Novecento ha lasciato in eredità agli ultimi giunti.

“Minuscoli pharmaka, per esorcizzare l’ansia, per compensare perdite e furti del Tempo, a funzionamento ironico, giocoso”, scrive Vincenzo Guarracino nella prefazione  alla plaquette Un mondo gnomo (Milano, Stampa alternativa, 1994). Ma non ci si lasci ingannare dalla apparente leggerezza dei testi, o dalla grazia quasi penniana, Dainotti è un autore che non adopera mai le rime baciate se non quando esse sono veramente indispensabili, citate, mimate per ricordare che esse un tempo fecero pur parte della tradizione alta:

Positiva, chiara
come un mattino di marzo, Sara;
azzurra e amara.
 
Se Sali sull’ascensore,
se poi scendi, amore,
se avvii il motore,
 

col tuo arioso foulard di seta in testa
coi tuoi veloci knicher bocher
saresti una figurina irreale

 se non fosse l’inferno
di quella trafittura
amara, sotto lo sterno.

Nella successiva plaquette pubblicata nel 2001, Ragazza Carla cassiera a Milano trent’anni dopo, ritorna il metodo del controcanto, questa volta ad un autore novecentesco come Pagliarani. È scomparso ogni intento neoverista, ogni impegno populistico, che pur tenevano alta la dimensione dell’impegno dell’opera di Pagliarani, sono scomparsi gli interni piccolo borghesi, è caduta l’illusione di un possibile anche se improbabile riscatto; ciò che resta è soltanto un edonismo post-consumistico dove la delusione del personaggio Carla sta per tramutarsi in depressione:

Anche Milano si sveglia a quest’ora
La Milano com’era (o com’è ora?
La cassiera sbadiglia
frammenti di piacere nell’ora silenziosa
Rotta da primo fragoroso tram;
il corpo consumato
nella notte d’amore ancora duole.
Calze rossetto un’altra fregatura
Pensa: che vada tutto alla malora.

Sono venute a mutare le condizioni sociali e politiche del fare poesia e, paradossalmente, lo stesso oggetto: la ragazza Carla, nonché le condizioni dello stile. Siamo in pieno post-moderno, sembra dirci Dainotti, e questo, oggi, è l’unico modo di fare poesia. La poesia di Ora comprendo (Roma, Scettro del Re 2004) costituisce un raro esempio di come si possa fare un elegante minuscolo canzoniere alla maniera antica, alla maniera di Catullo, Orazio, Mimnermo.

Nell’età che è trascorsa dal ciclostile degli anni Sessanta al computer portatile dell’era internettiana, nel mentre che sono perente, in caduta libera, tutti gli avanguardismi e le parole innamorate, tutti i manierati eufuismi delle poetiche posticce, Fabio Dainotti ci consegna ventuno composizioni con un linguaggio trasparente e leggero, sul filo di rasoio del tratto di penna agile ed algido. Una donna che si assottiglia, si allontana e scompare sul limite interno della cornice del quadro. Ogni composizione è come un fotogramma, sottratto al tempo, deprivato di essenza. Ciò che rimane è un profumo, un alone, un’aura desublimata come solo è possibile nell’età della leggerezza dell’essere. E che la leggerezza sia una tremenda croce che si abbatte sugli abitanti del nostro tempo epigonico, opino non c’è dubbio alcuno, se appena gettiamo lo sguardo su queste poesie così accuratamente trattate da apparire denaturate.

Stefano Di Stasio

Stefano Di Stasio

Che un poeta contemporaneo guardi ai modelli di duemila e più anni non deve in alcun modo meravigliare, perché sono venute a cadere le ipotesi di scritture modernistiche o post-modernistiche, per il loro non essere più all’altezza dei tempi, se per modernismo si intende una poetica che alligni, come un alligatore, sulla superficie della pellicola del Novecento. E non v’è cupezza in questo canzoniere, non v’è magrezza, c’è la scioltezza e l’agilità di un’età che ha perso essenza, e così la passione è occasionale, gli incontri, imbarazzanti mistificazioni o divertite dissimulazioni. Non c’è più il volo di un Hermes in grado di gettare un ponte tra gli umani e l’oggetto amato confinato nella sua bidimensionale incomunicabilità. Gli amanti sono trattati come figurine di seta o trapezisti mossi da una mano invisibile, e i gesti stereotipati sono il frutto del sogno di un burattinaio misterioso che forse ha dimenticato che la vita ha la stessa stoffa del sogno e i burattini, a loro volta, sono il sogno di un orco denaturato e immaginario, e l’orco è l’invenzione di un dio assente, un deus absconditus nell’epoca che ha perduto tutti i suoi dèi.

E’ come se una maledizione avesse tolto la gravità da sotto al tavolo del mondo, così che gli oggetti e i burattini galleggiano sul mare dell’inessenza, sbattuti di qua e di là, senza tempo e senza spazio, in una dimensione sottile come la pellicola di un film. E il burattinaio è un orco che ha dimenticato la propria in essenza e le sue parole sono della stessa pasta delle parole del poeta: questa è la posta in palio, solo così questo canzoniere d’amore può vedere la luce in un mondo dove tutte le luci sono spente. Leggiamo la poesia intitolata “Piove” tratta dall’ultima raccolta:

M’affaccio alla finestra: piove, piove.
E lei chissà che cosa fa? Si muove
svelta in cucina col grembiule, o guida
il suo fuoristrada arancione
pieno di figli che accompagna a scuola
con l’inseparabile cagna sul sedile posteriore;
e poi rimane sola
a Battipaglia e traffica bellissima
col fruttaiolo le mele, si bagna
i capelli sottili, quella trama
preziosa la pelle del suo viso
che sembra la réclame del bagno schiuma
ma è un’antica bellezza levigata,
affinata dai secoli, dal tempo.

Leggiamo un’altra poesia significativa della scomparsa dell’oggetto, “Alma ausente”:

Celeste non ha occhi, veramente:
se guarda me, non vede quasi niente;
eppure l’amo tanto.
Celeste non ha mani, veramente:
infatti m’accarezza solamente
in sogno; piango intanto
da solo tristemente.
Celeste non ha cuore, veramente:
se le parlo d’amore non sente niente.
L’amo ciecamente.

La bellezza da bagnoschiuma o “Celeste” che non ha occhi e che non ha mani e non ha cuore, indicano che veramente il poeta moderno è rimasto senza oggetto; non c’è più una ragazza Carla piccolo borghese che cerca il riscatto e la risalita sociale. Dal punto di vista strettamente sociologico-estetico, l’oggetto ha perduto l’aura che lo rendeva interessante e quindi degno di considerazione in sede estetica. Ciò che rimane al poeta moderno è soltanto il metodo del controcanto: la finzione di accettare l’oggetto come se fosse un soggetto, la finzione di accettare l’esistente come se davvero fosse esistente.

Une femme mariée di Jean-Luc Godard

Une femme mariée di Jean-Luc Godard

Da L’araldo nello specchio, Avagliano Editore, 1996

Ulcus
Per Elvira

Ulcus vivescit ut ignis
Lucrezio

Al lume di candela,
copiose mi discendono,
ma silenziose, in cave gote lacrime,
perché arde la piaga come fuoco.
E impietrano, gocce
di cera. In secchi boschi, tramontato
il sole, i lupi azzannano la luna.

Da Sera, Edizioni Pulcinoelefante, 1997

Sera

In memoria di nonna Anna Maria
Fitti si richiamavano gli uccelli,
il sole impensieriva dietro gli alberi.
Il vento ti levava dalle braccia
la stanchezza di un giorno: era la sera.

Da La Ringhiera, Book Editore, 1998
1

Slanciata tu non sei, neppure bassa
(se muori adorerò la tua carcassa).

Lontana sei più piccola
della mia mano;
vicina
sei dettaglio di labbra, primo piano.
14

Quasi ogni giorno ti vedo passare
col nastro tra i capelli. Mi fa male
non fermarmi con te, con te parlare
a lungo sotto gli alberi del viale.

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Da Ragazza Carla cassiera a Milano trenta anni dopo, Signum, 2001

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Anche Milano si sveglia a quest’ora

Anche Milano si sveglia a quest’ora,
la Milano com’era (o com’è ora)?
La cassiera sbadiglia
frammenti di piacere nell’ora silenziosa,
rotta dal primo fragoroso tram;
il corpo consumato
nella notte d’amore ancora duole.
Calze, rossetto, un’altra fregatura.
Pensa: che vada tutto alla malora.

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Da Un mondo gnomo, Stampa Alternativa, 2002
Alla stazione prossima

Cordoba
Lejana y sola
Lorca

È grassa e ingioiellata la cassiera
e certo m’inganna sul conto, ma devo
abbandonare tutto, ripartire,
un automa, un gnomo, nella neve .

Alla stazione prossima ventura,
destrieri porteranno la mia morte
– una giovane morte tra le rose;
una bevanda d’oro lenirà,
per un istante, la mia sete d’altro,
alla stazione prossima ventura.

Alla stazione delle Effe Esse
il treno è soltanto un locale.
Ma quando parte, quando arriva a Cordoba?
I volti: affilati gioielli
Luce, luce irreale !
Assomiglia a una casa di piacere.
La corona di spine, poi le rose
alla stazione prossima ventura.

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Da La coscienza captiva in Maliardaria, di Fabio Dainotti di Carlo di Lieto, Simone Editore, 2006.

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fumetto volto femminile

fumetto volto femminile

Corporale

Per Elvira

L’immenso edificio dei ricordi
Proust

Se sfiori i tasti bianchi e neri come
i tuoi pensieri rondini volate
oltre mare per sempre,
forse è per caso, forse in sogno, infatti
si muove la tua chioma al ralenti.

Ma suono non emette; chi ha tolto
le mie stampe dal muro, chi ha sciolto
a Cloe la cintura e poi fuggì?

Altro tempo. Altro inverno a Marienbad:
mi venivi incontro con le ciocche
ritmiche al tuo marciare musicale,
– frangersi della ghiaia sul vialetto
dei nostri incontri misteriosi, certo
sorvegliati da un occhio che si aprì;

e con i lembi aperti come rose
– ferite delle tue labbra amorose
di quell’amore breve.

Ma ci ripassi per Vicenza, tu?
La rivedi la Villa Malinconica,
sulle rive del Brenta ?

.
Da La coscienza captiva in Maliardaria, di Fabio Dainotti di Carlo di Lieto, Simone Editore, 2006.

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Cane e padrone

a T. Mann

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Il mio cane si chiede certamente
se sia saggio passare le giornate
chiuso nel mio studiolo,
sul mezzanino triste.

Fuori la vita celebra
i suoi fasti in questa
foresta innaturale.

A noi sembra degrado, ma qualcuno
più giovane, cresciuto,
se ne rammenterà.

.
Novecento

Chi l’avrebbe mai detto
che i tavolini dei Caffè all’aperto
sono muti e senz’ anima nei pomeriggi deserti,
quando anche la ghiaia celeste ha qualcosa da dire alle statue,
quando i passeri incerti salutano la morte dell’estate
e gli amori impossibili per le belle sconosciute
sono storie narrate a mezza voce
davanti a una pinta di birra in angiporti fumosi,
dove uomini col moncherino sputano al passaggio
degli hollow men che dicono sempre di sì a pescecani col sigaro
dalla cenere così incredibilmente appesa al filo del morire
-trame di seta, materia di sogni,
una tromba solista attacca a suonare
tre note solamente,
chissà dove.

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