cornelius escher
I poeti, come ha scritto Adam Zagajevski, spesso dimorano in una strettoia «tra Atene e Gerusalemme», «tra la verità mai pienamente raggiungibile e il bello, tra il pensiero e l’ispirazione». «Tale viaggio – continua Zagajevski – può essere descritto nel modo migliore con un concetto preso in prestito da Platone – metaxy: essere “tra”, tra la nostra terra, il nostro ambiente ben noto (tale almeno lo riteniamo), concreto, materiale, e la trascendenza, il mistero. Metaxy definisce la situazione dell’uomo quale essere che si trova irrimediabilmente “a metà strada”». Metaxy, deriva dal platonico métechein, che significa «prender parte», «mezzo dove gli opposti trovano mediazione».
Steven Grieco
Il viaggiatore
Padre,
progenitore, al tuo
cospetto mi avvicinai
quando guardavo in un’isola* forse tua
le gravi alture ammantate di pino,
i dirupi bianco-tenebrosi che stramazzano
laggiù,
nel mare turchese.
Quanti fremiti allora si destarono
nel mio involucro vivente, mattone
su mattone, generazione su generazione,
muovendosi lamentosi e ripugnanti
creando risucchi, correnti di sangue,
riccioli sotto la superficie:
tutta la torma frenetica dell’Ade
che batte i pugni muti dentro il mio torace,
dentro ciò che chiamo “io”.
In antico, i padri dei padri ti avviarono
sulla strada che inizia il Tempo.
Misurandoti con la realtà esterna,
tu la percorresti fino in fondo.
E dopo il travagliato ritorno,
l’ordine in casa tua ristabilito,
la stirpe rinnovata,
cosa poteva rimanere, altro
che la discesa armoniosa, piena di doni,
in una canuta vecchiaia,
la discesa lieve, sfiorata d’angoscia,
nel vasto mare di ombre in attesa.
Preso da una forte commozione
avrei voluto dirti: rifiuta il lento affondare!
rifiuta il destino che fa della tua vita
un arco, da cui vola la freccia infallibile.
Ma tu, fin dall’inizio conoscevi quel bersaglio:
lo raggiungesti, non andasti oltre.
Fin dall’inizio, con i padri dei tuoi padri,
avevi concluso una pace silenziosa, solenne.
Indomito, iroso*, pieno d’estro:
ma rassegnato quando la vita si rivelò un bagliore
nel crepuscolo senza fine dell’esistenza.
Ecco il perché del lungo viaggio, il tuo ritorno,
l’ulivo della discendenza:
il perché del declino, sereno e giusto
nel segno degli antichi:
tutto ti tirava col suo peso di nostalgia
giù, verso una morte greca, arcaica.
Quella stessa morte che oggi ancora noi
viviamo, ma senza alcuna convinzione,
tracannando il bicchiere fino alla feccia,
giorno dopo giorno, generazione
su generazione.
Dopo quasi tre millenni
ne sappiamo molto meno di te:
con muri ciechi davanti agli occhi
sprofondiamo nell’antico sostrato
in cui vibra, più viva che mai,
la tua ombra che ci insegna a morire.
Ecco perché ripenso il tuo viaggio
intorno alla realtà, come raggiungesti
i punti illimitati del suo tondo.
Chiuso in quel globo smisurato,
roteando nella tragica prigione,
ti saluto, padre,
rendo omaggio a te,
capostipite nel Tempo.
* L’isola a cui penso nel 4° verso è Lefkàda (Leucade). L’etimologia del nome Odiesso è, secondo alcuni, “l’iroso”.
Antonella Zagaroli
Nel viola nel giallo nel lilla
e nel mio sogno il bianco.
Silenzio
Non voglio né dormire, né sognare
Mi vesto di luce solo per parlare
A te che guidi e segni le entrate.
Il mio cammino è ora lento
Mentre sfoglio i resti dei miei abiti
Come gli antichi vapori dei treni
non voglio fuggire oltre il mio stesso avvenire.
E’ una strada contorta per riempirmi la vita
ma non sono succhiata né frantumata.
Ho un cerchio che induce al ritorno
E quando gli alberi muoveranno il vento
nel celeste, salirò nel mio bianco
Io,
diventata una soglia corrosa
Cercherò non più barriere ma l’angelo
mare dei miei tuffi notturni
Là un cieco rientra senza bussare,cerca una giostra nuova,
dentro il petto: “Perdono, ti perdono luce che ho perso!
vorrei dal mondo in corsa un piccolo faro
per splendere verde”.
(aprile 1997)
Libero concerto di violini e tamburi nel folto che nasconde e allontana
Mi avvicino con saltelli silenziosi
non voglio disturbare le falene sui vetri
nella locanda per vecchi viandanti e antichi pastori
danzano Strauss
fanciulle con lunghe trecce ritmano la loro gioia
sulla punta dei piedi
soltanto il campanello del richiamo rimane sordo;
(agosto 2003)
Compagni di viaggio
Lungo la spiaggia di Ansedonia ci accompagnano,
allegre e un po’ insolenti, le orme di una piccola volpe.
Forse adesso ci scruta dalla macchia con lo sguardo fisso.
Forse stanotte annuserà le nostre orme,
così disordinate e tracotanti.
Quanti compagni di viaggio invisibili
sulla strada, quanti fratelli.
I disagi del viaggio
Erano in conto i disagi del viaggio,
le frenate improvvise, lo spaventoso fragore
delle gallerie, tutto quell’andare
di asfalti luccicanti, di castelli
fiammeggianti sul filo dell’orizzonte,
tante parole lanciate a sbriciolarsi
contro l’esuberanza dei tir. Ogni viaggio
è disseminato d’ insidie e i paesaggi
splendenti sono inghiottiti dalla notte.
Viaggiare è anche la scoperta delle nuvole,
la meraviglia di un volo radente
che abbaglia le pupille. E’ anche
un balbettio di coordinate, un ansimare
che condensa la pioggia, un’inesausta
sequenza di dimenticanze, un risvegliarsi
nel luogo esatto da cui eravamo partiti.
Loris Maria Marchetti
Secolo che muore
Sarai Circe o sarai Calypso
(visto che né Nausicaa né Penelope
potrai più essere) mi chiedo
mentre veglio il tuo sonno e le tue spalle
in quest’alba inopinata della Spezia
e il margine di gioco è molto esiguo
anche se investe sentimenti o sensi
e così forte è il sapore convincente
della tua pelle torrida di sole e di passione
fino a sconfiggere l’afrore
marcio del porto e inopportune
zaffate di focaccia e farinata…
Circe o Calypso – partirà una nave
ma non a Itaca volgerà la prora,
segreta è la sua destinazione
o forse ignota e cambia di natura senza posa –
mercantile, da guerra, piratesca… –
come nei sogni.
Tu sei il mare
e io non sono Ulisse –
non è questione di pelle o di sale
il peso della terra mi sprofonda:
non sarò io il capitano della nave,
neppure il timoniere,
l’immensità dei tuoi dominî acquatici
non saprò perseguire…
tu stupenda, che dormi imperturbabile
il tuo sonno animale, mostruoso
e indifferente
come i tuoi inattingibili fondali.
«Circe o Calypso» ti modulo all’orecchio
in un sussurro (o forse lo ripeto
a me stesso), mentre il vento notturno
ci schiaffeggia e ci esalta compiaciuto
e io ti serro in una stretta irresolubile
sul ponte della nave che fa rotta al Pireo:
ma non c’è interferenza del destino
o del caso, è un modesto ripiego
(non so quanto felice) operato
d’accordo per protrarre la scelta.
Incalza la domanda
la risposta ritarda
il breve scalo andrà a comporsi
come un incandescente souvenir.
(da Concerto domestico, Edizioni Joker, 2002)
.
Verità di Odisseo
a Elettra Bianchi
In attesa di ritornare ad Itaca
(o di sbarcarvi per la prima volta?)
sperimentasti mille approdi e mille
soste. E da coloro che ti offrivano amore
senza fine sempre fuggisti non reggendo
legami troppo lunghi. Solo una volta
in barba ai vaticinî di Tiresia
il cuore ti diede la certezza di poterti
trattenere, che non era più il caso
di proseguire fino a un’isola che forse
avevi governato solo in sogno od intravisto
da bambino navigando con tuo padre:
ma là dove pensasti di fermarti
l’amatissima ospite di turno
il cui nome mai volesti rivelare,
regina o dea, fu lei a rifiutarti
generosa di tutto, non d’amore.
Il tuo destino ti recava ad Itaca
che, reconquista o nuovo porto fosse,
era la certa mèta di quel viaggio.
Non necessariamente
fissato come l’ultimo.
(da Regesti del cosmo, Edizioni dell’Orso, 2011)
Flavio Almerighi
chilometro diciannove
chilometro diciannove,
com’è stare al mare
a quattordici anni
arenato di fresco
tra gente disabitata
e stuzzichini lievi,
dopo sbronza perenne
senza risposte
spenti tutti gli ulissi,
cercare strada
piccole deviazioni
per andare via
a perdersi sui binari
di un’estate esitante,
e provocare forti ritardi Continua a leggere