Giorgina Busca Gernetti è nata a Piacenza, si è laureata con lode in Lettere Classiche all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ed è stata docente di Italiano e Latino nel Liceo Classico di Gallarate (Varese), città dove tuttora vive. Ha studiato pianoforte nel Conservatorio di Piacenza. Pur avendo composto poesie fin dalla prima adolescenza, ha iniziato tardi a renderle note. Ha pubblicato i libri di poesia: Asfodeli (Genesi, Torino, 1998, Prefazione di Sandro Gros-Pietro); L’isola dei miti (1999); La luna e la memoria (Genesi. Torino 2000); Ombra della sera (Genesi, Torino 2002); La memoria e la parola, (E.T.S., Pisa 2005. ); Parole d’ombraluce (Genesi, Torino 2006); Onda per onda (Edizioni del Leone, Spinea-Ve 2007); L’anima e il lago (2012); Amores (Youcanprint, Tricase-Le 2014. Introduzione dal “Fedro” di Platone); Echi e sussurri (Polistampa, collana “Sagittaria”, Firenze 2015 con un saggio di Marco Onofrio). Inoltre ha scritto il saggio su Cesare Pavese “Itinerario verso il 27 agosto 1950” (in “Annali del Centro Pannunzio”, Torino 2009; in estratto con Nota dell’Autrice, Youcanprint, Tricase-Le 2012) e i racconti “Sette storie al femminile” (in “Dedalus” n.1 a cura di Ivano Mugnaini, Puntoacapo, Novi Ligure- Al 2011); in estratto con Rassegna critica, Youcanprint, Tricase-Le 2013).
da Echi e sussurri Polistampa, 2015 pp. 114 € 10

Orfeo di Giorgio De Chirico
Sul mito di Orfeo. Didascalia
Orfeo, Figlio del re di Tracia Eagro e della Musa Calliope, fu il più famoso poeta e musicista mai esistito. Apollo gli donò la lira e le muse gli insegnarono a suonarla. Quando suonava e cantava, piegava gli alberi e muoveva le rocce, domava le bestie feroci e faceva deviare il corso dei fiumi, inducendo tutti a seguirlo. Orfeo, oltre ad essere un bravo musicista, era un ragazzo molto coraggioso, infatti decise di partire con gli Argonauti salpando con essi per la Colchide alla ricerca del vello d’oro. Al ritorno da questa avventura sposò Euridice. Un giorno, nei pressi di Tempe, nella vallata del fiume Peneo, Euridice incontrò Aristeo che cercò di abusare di lei, la ragazza cercando di sfuggire calpestò un serpente che la morse provocandole la morte. Il coraggioso Orfeo, disperato per la morte della sua amata, decise di scendere nel Tartaro con la speranza di ricondurla sulla terra. Arrivato nell’Oltretomba, non solo riuscì ad incantare Caronte il traghettatore, Cerbero e i tre giudici dei morti con la sua melodiosa e dolce musica, ma fece cessare le torture dei dannati riuscendo anche ad addolcire lo spietato cuore di Ade tanto da convincerlo a restituire Euridice al mondo dei vivi. Ade, però, pose una condizione, che Orfeo, durante l’ascesa del Tartaro non si voltasse indietro e non parlasse finché Euridice non fosse arrivata alla luce del sole. Per tutto il viaggio di ritorno la ragazza seguì il suono della lira di Orfeo, ma appena il ragazzo intravvide la luce, si girò per controllare se Euridice fosse con lui e fu cosi che la perse per sempre. Quando Dioniso invase la Tracia, Orfeo dimenticò di onorarlo, iniziando invece i suoi fedeli ad altri misteri e condannando i sacrifici umani. Ogni mattina si alzava per salutare l’alba dalla sommità del monte Pangeo e affermava che Apollo era il più grande di tutti gli dei. Dioniso, irritato, incaricò le Menadi di vendicarsi per questo affronto. Esse raggiunsero Orfeo a Deio, attesero che i lori mariti fossero entrati nel tempio di Apollo e, impadronitesi delle armi, uccisero tutti gli uomini e fecero a pezzi Orfeo. Gettarono la sua testa nel fiume Ebro che galleggiò, sempre cantando, fino nell’isola di Lesbo. Le Muse addolorate seppellirono le membra di Orfeo a Libetra, ai piedi del monte Olimpo, dove si narra che il canto degli usignoli più dolce che in qualsiasi altre parte del mondo. Le Menadi tentarono di purificarsi del sangue di Orfeo nel fiume Elicona, ma il dio del fiume si tuffò sottoterra ed emerse quattro miglia più in là con il nome di Bafira, cosi facendo evitò di divenire complice del massacro. Dopo la morte di Orfeo, il suo strumento divenne la costellazione della Lira. Altri danno un’altra versione della morte di Orfeo: dicono che Zeus lo uccise con una folgore perché colpevole di aver diffuso i misteri degli dei.

Le testament d’Orphée Film de Jean Cocteau
IL CANTO DI ORFEO
E ascese un albero. O puro ascendere!
Orfeo canta! O alto albero che nell’orecchio sorge!
E tutto tacque. Ma anche in quel tacere
Fu nuovo inizio, segno e metamorfosi
R.M. Rilke, Sonetti a Orfeo, I
IL CANTO DI ORFEO SULLA TERRA
.
Orfeo m’invita a rinnovare il canto
che narra la sua tragica sventura
d’amore e morte, d’arte, di poesia,
di musica dolcissima, d’incanto
che dalle corde dell’amata lira
sbocciano al lieve sfioro delle dita.
Sul suo bel capo volano gli uccelli
più vari nelle piume e nei gorgheggi
e dritti i pesci dal profondo azzurro
dell’acqua in alto guizzano, incantati
dal suo armonioso canto di sciamano
in un silenzio estatico, misterico.
.
Euridice vagava per i prati
sognando Orfeo, suo sposo innamorato
di lei, Nerèide splendida e gentile.
Rincorsa da Aristeo, pastore amante
dell’api sue ma più della Nerèide,
la fanciulla sull’erba alta correva
per sfuggire al pastore, alle sue brame,
e non s’avvide di un’orrenda serpe
tra l’erba, che la morse mortalmente.
Muore Euridice. Muore nel suo animo
privo di luce Orfeo, luce di vita:
l’amata sposa è spenta, ormai negli Inferi.
.
«Euridice, Euridice, mia Euridice!»
echeggiava dolente nella selva,
sulla sponda del fiume, in ogni luogo
ove i suoi passi senza meta e scopo
Orfeo piangente portano per giorni
tra le fiere feroci, ora ammansite,
piangenti anch’esse con gli uccelli e gli alberi
chini verso di lui per consolarlo
della sventura immane. Anche le pietre,
commosse anch’esse pur nel lìteo cuore,
muovono lenti passi, come lacrime
pietrificate dal dolore atroce.
IL CANTO NELL’ÈREBO
Orfeo cerca la luce, la sua luce,
la sua Euridice svanita nel buio
della morte crudele e immeritata.
Ma le funeste leggi d’Oltretomba,
nel regno d’Ade e della dea Perséfone,
nella luce il ritorno non consentono
a chi la soglia tenebrosa varca
tra la vita e la morte, buio eterno.
Orfeo canta e commuove le mostruose
fiere custodi nel regno del buio.
Ogni defunto punito nel Tàrtaro
si ferma attònito, vinto dal canto.
.
Inflessibile, Ade non ascolta,
ma la mite Perséfone rimpiange
la luce della vita sulla terra
spenta per lei nei mesi dell’inverno.
Si commuove all’amore di Euridice
per lo sposo distrutto dal dolore
che crea un dolce canto fin negli Inferi.
Frange l’orrenda legge che trattiene
nell’Èrebo le Ombre dei defunti.
Libera, Euridice può tornare
con l’amato alla luce della vita
risalendo dal tenebroso carcere.
.
Il luminoso dono ha un crudo prezzo.
Orfeo dinanzi e la bella Euridice
dietro di lui, compagno il divo Hermes,
possono risalire dalle tenebre
dell’Èrebo funesto a un ferreo patto:
mai voltarsi a guardarla, tanto amata,
dovrà Orfeo nel cammino verso il mondo
dei vivi, nella luce che ristora
l’animo dianzi afflitto e rende vita
all’Ombra vana della bella Ninfa,
preda innocente della morte gelida,
ora teneramente unita a Orfeo.

Giorgina Busca Gernetti legge Asfodeli foto di Massimo Bertari
IL PATTO INFRANTO
«Bella Euridice, luce del mio animo,
saliamo insieme verso la felice
vita che l’aspra sorte ci ha rapita
il volto tuo stupendo rapinando
agli occhi miei bramosi d’adorarlo.
Come posso frenare il mio ardore
di rivederlo sùbito nel fioco
baluginare della luce diurna
ormai vicina nella vera vita?»
Si volge verso lei l’incauto Orfeo
ed Euridice ceu fumus in auras¹
nel buio d’Oltretomba via svanisce.
.
Invano Orfeo voleva trattenerla
le braccia sue tendendo verso l’Ombra
lieve fuggente verso il buio eterno
tra l’Ombre vane, dolenti nell’Ade,
Orfeo che molte cose a lei voleva
dire del suo amore incontenibile,
di quell’amore che causò sventura.
«Orfeo, Orfeo mio amato, Orfeo mio sposo
perché infrangesti il patto? Qual follia
ci perdette, mio Orfeo, Orfeo, Orfeo!»
L’amata voce fioca ormai si spegne
nel fitto buio dell’eterna notte.
.
1 – P. Virgilio Marone, Georgiche, IV v.499. Tutta questa parte del mito segue il testo di Virgilio, allontanandosi dalle versioni della vicenda cantate da Ovidio (Metamorfosi) e da Apollonio Rodio (Argonautiche).
IL PIANTO DI ORFEO
Che fare solo, dove mai andare
dove mai trascinarsi senza lei,
due volte a lui rapita, amata sposa?
Fredda, già navigava nella lieve
piccola barca stigia verso l’Ade.
Orfeo si lamentò per sette mesi
sotto una aerea rupe presso l’onda
del solitario Strìmone, negli antri
gelidi, con la lira e il triste canto
tigri ammansendo e trascinando querce
con l’angosciante, arcana sua poesia
di sciamano che incanta e smuove pietre.
Come dolente un usignuolo piange
nell’ombra fitta d’un frondoso pioppo
i figli suoi perduti, ancora implumi,
rapiti da un crudele zappatore
che li scoprì nel nido, i becchi aperti
in attesa del cibo e della madre;
essa piange la notte sul suo ramo,
di giorno il canto doloroso e il pianto
rinnova e riempie ogni luogo dintorno
di lamenti, così l’affranto Orfeo,
della lira le corde accarezzando,
canta dolente una mesta poesia.

Orfeo suona la lira
LA MORTE DI ORFEO
Nessun amore più, nessun nuziale
canto commosse l’animo d’Orfeo.
Solo, vagava tra i ghiacci iperbòrei
e le nevi del Tanai, le regioni
della Tracia mai prive dell’inverno
piangendo la rapita sua Euridice
e l’inutile dono del dio Ade.
Dei Cìconi le madri, disprezzate
per quel rimpianto eterno d’Euridice,
sparsero Orfeo, smembrato a pezzi il corpo
fiorente, per i campi dove i riti
sacri agli dèi e l’orge celebravano
di Bacco, venerato nella notte.
Mentre l’Eàgrio Ebro trascinava
in mezzo ai gorghi dell’onde rapaci
il sacro capo dal collo divelto
candido come il marmo, anche allora
la voce stessa, ormai fredda la lingua,
Euridice chiamava. E mentre l’anima
ormai fuggiva, «Ah! misera Euridice!»
invocava e le rive riecheggiavano
per tutto il fiume: «Euridice, Euridice!».
Ogni campo, ogni prato, ogni pietruzza,
ogni fiore, ogni filo d’erba tenera
s’imbevve a fondo del sangue d’Orfeo
e s’impregnò di perenne poesia.
L’ETERNO CANTO DI ORFEO
Ovunque è poesia. Ovunque guardi
con animo commosso ed occhio attento
al più piccolo fiore tra le pietre
sbocciato a stento, ma con vital forza
d’aprirsi un varco, d’innalzarsi al cielo,
c’è poesia fiorente intorno ai petali
come intenso profumo in primavera.
Orfeo risorto, non mai morto Orfeo.
Perenne il canto suo nella natura,
nel cielo, nelle stelle, nella luna
piena, calante, oppure nuova e tacita
nella valle, o crescente sopra i colli
come sottile falce all’orizzonte.
Ovunque è poesia. Eterno è Orfeo.
***
Da Echi e sussurri, Polistampa, Sagittaria, Firenze 2015
flavio almerighi
almerighi
2 maggio 2015 alle 14:43 Modifica
Caro Giorgio, Sagredo da riformattare a parte, trovo la tua risposta un po’ semplicistica. Io non sto parlando dei soliti noti da De André in giù, io sto parlando di una stirpe di poeti, molto più musicali del poema giocagiò della Perrone o dell’erotismo poelnta e osei della Leone, giusto per citare un paio di nefandi post recentemente apparsi, che hanno prestato poesia alla canzone, Parlo per esempio di Roberto Roversi, di Pasquale Panella di Pier Paolo Pasolini se pure in tono più minore, e anche con Piero Ciampi.. Con questi dobbiamo fare i conti, e il post con le poesie di Grieco così asciutte e così belle mi ha fornito lo spunto per parlarne. Non possiamo classificarli a facitori di filastrocche per meri motivi commerciali.
“Il mare
al tramonto
salì
sulla luna
e senza appuntamento
dopo uno sguardo
dietro tendine di stelle
se la chiavò”
Ti ricorda qualcosa?
E’ una canzone di Zucchero, dirai. Sbagliato.
E’ il plagio di una poesia di Piero Ciampi da parte di Zucchero, che solo in seguito ad una causa intentatagli riconobbe il “furto” e citò la fonte nelle ristampe del suo disco. Non è che il povero Sagredo ha preso il verso da Ciampi?