Poesie di Lucio Mayoor Tosi, Nunzia Binetti, Il Punto di vista di Giorgio Linguaglossa, La rivoluzione dello spazio espressivo formale-integrale della nuova forma-poesia, Commenti di Francesco Paolo Intini

Lucio Mayoor Tosi Sponde 1

Lucio Mayoor Tosi, Composizione, acrilico 2017

Lucio Mayoor Tosi

In alternativa, non dico alle poesie di Maurizio Cucchi ma alla poesia degli aggettivi, e a sostegno del polittico:

Valvole.

Un’ultima cosa da chiarire.
La guardò e non aggiunse altro. Ma più tardi, a letto, lui
pretese il rito sacrificale dell’orgasmo simultaneo.

Ciò che Dio unisce in terra. Per queste e altre ragioni,
tutte entusiasmanti. Quello era un avanzo di galera.
Poi si mise a cantare: «La doccia è già finita, gli amici
se ne vanno».

Aveva da poco concluso un buon affare con una casa
produttrice di arsenico. Le meraviglie del solleone.
Come gli fosse venuta l’idea. Così, sul far della sera.

I due erano ormai d’accordo. Non si trattava di fare
più denaro, piuttosto di crearsi sempre nuovi guai
in modo da dover DECIDERE. Perché questa era la pazzia,
e forse anche il destino.

Andassero a Messa. Non posso accompagnarti,
ho le vertigini. È da un po’.
Che piove. Su i freschi pensieri che l’anima schiude / novella.
Hai visto la nuova di Gengis Khan? Le porse il cappellino.

[…]

A maggio le rose e tutti quei complimenti. Chissà
quali pensieri nella testa.

Le stesse rose sul sofà. Non serve risposta. Corriere degli affitti:
in meno di un’ora, Banca Avvenire. Sarò io la tua sorpresa.

Un gruppo di majorette in equilibrio sulle rotaie del Frecciarossa.
E’ pieno giorno, in lontananza si vedono le montagne.

Chi non lo vorrebbe un cane mastino che infila le zanne
negli occhi porpora; mentre noi lontani, forse nemmeno
su quegli yatch.

Prima di morire dimenticherò tutto, anche di essere nato.
In questo siamo simili: noi come tutti gli altri, la gente. Resta

l’Impero, numeri e mattoni. Non un libro, un filo di biancheria.
Le cose andranno avanti per conto loro. Il vecchio mondo

delle pustole; ai musei per il food, il semifreddo. Ricordi?
Vent’anni meno, l’anticomunismo in vasetti lilla. E a breve
torneranno i marziani.

[…]

Uno così non lo metti sul pianoforte della bidonville?
La brutta cera del mango e tutte quelle fesserie
che si dicono, mentre le capre si fingono nel paesaggio.
Biancore d’architetti fin sulle posate.

Paradiso inferno, in mezzo nuvola rosa: l’appetito
vien danzando. Offerta molteplice. Guerra di cavie
contro ogni cosa arrivi dal sud. La chiamano tecnologia,
plastica nei mari.

Poeti, clavicole. Sai, tutte quelle asperità. Asperità.
D’accordo, faremo narrazione in finta pelle. Gabbiani
e vecchie limousine. Non vedo l’ora di avere al governo una miss

in gabardine, che sappia il fatto suo. Una che pare uscita
dal fon ma decisiva sull’orientamento dei social. Come farsi
venire il cancro e quali rimedi. Lui tesse una corda di chitarra,

le canzoni della mia giovinezza. Quella altrui, del parroco,
la prima sigaretta in chirurgia.
Nella moria anche i bachi da seta. Nobel per la Pace. Il marcio

in plasma, premi al miglior retrobottega. Come avere denaro,
vero e finto. Attaccarsi alle mandibole. Due mesi luglio. Indonesia.
Ti piace? Lei sulla chiatta di Barbablù, come fosse sua. Saluta,

anima di nessuno e droni variopinti. – Se Maometto non va
al mare… Al mare, al mare! Gridarono tutti. Tanti col braccio teso
verso Roma, Parigi, come ci fosse qualcosa.

[…]

Si sentirono anche il giorno dopo. Qualsiasi pensiero, e io vengo.
Sono tua. Svanisci-mi. Donami le costole. Fa di più l’orgasmo
ragionato, il primato della gazzella sul divenire scosceso
di una certezza.

L’assoluto in vitro a cui dono corpo e preghiere.
L’asma e lo strapotere dei figli. Gli anni trascorsi a battere
nei pied-à-terre, come femmina ciclista, solo con la vocazione.

Calcolo e scudiscio. Ma sono mamma.
Lui aveva da poco concluso un buon affare con quelli
dell’usa e getta. Nel radersi il mento gli scoppiò il cuore.

È la telefonia.

(maggio 2019)

Lucio Mayoor Tosi Sponde

Lucio Mayoor Tosi, COmposition, acrilico

Lucio Mayoor Tosi

Grazie, Mauro. E’ normale che nell’ottica NOE si considerino le poesie nella loro interezza, alla stregua di oggetti, anzi di «cose»; in questa circostanza, da valutare, direi visivamente, ponendole di fianco alle poesie di Maurizio Cucchi, che sono di fumosa ma bella scrittura. Può sembrare un comportamento ingenuo, orgogliosamente infantile, anche acritico,quello di voler confrontare ma c’è di mezzo una questione complessa, sulla quale credo si debba fare chiarezza, quella del bello: se sia bastevole o non, piuttosto, una questione totalmente da rivedere. Perché riesco a immaginare che la poesia NOE possa sembrare talvolta brutta… a mio modo di vedere, particolarmente il polittico; anche se, a voler restare nel canone, è evidente che vi sono poesie NOE che hanno stile – quelle di Mario M. Gabriele, ad esempio – ma anche in queste di oggi non manca bellezza; ne danno prova la diamantina Marina Petrillo, e in molti versi la Donatella Giancaspero. E quando leggo, di Lorenzo Pompeo “Un vascello fantasma appare e scompare, / lampeggia tra le costellazioni”, capisco subito di essere uscito, dove l’aria è più respirabile, fresca.
Di contro, Maurizio Cucchi scrive:

Sono pronto, finalmente, a scivolare
in pace indietro, ma è sempre poco,
verso ciò che è stato e che non so,
che è, permane, pur senza visibile traccia
e mi ha generato anonimo (…)

 

Giorgio Linguaglossa

La rivoluzione dello spazio espressivo formale-integrale della nuova forma-poesia

Dopo questa poesia di Lucio Mayoor Tosi, non sarà più possibile mettere passivamente le parole in un contenitore oggetto e lasciare che il risultato avvenga in modo, diciamo, naturale, ma in realtà con le parole sempre teleguidate dalla presupposizione dell’io normografo e storiografo. Non sarà più possibile pensare la parola, il metro e l’enunciato come unità stabili dalla parte di un soggetto. La «nuova poesia polittico» di Tosi esce fuori dagli schemi ortodossi della poesia novecentesca; pensa la parola, il metro e l’enunciato come unità metastabili che non stanno più dalla parte di un soggetto. E qui, arrivati a questo punto, tutto viene rimesso in gioco, tutte le categorie con le quali eravamo abituati a pensare la poesia della tradizione novecentesca italiana saltano come sulla dinamite, non resta nulla di integro di tutte quelle cose lì perché siamo entrati in un nuovo universo, siamo entrati in un nuovo mondo e la poesia non poteva continuare ad ignorarlo.

La «struttura polittico» richiede un nuovo universo immaginale e concettuale. Non è possibile aderire a questo nuovo tipo di forma-poesia se non ci si è sbarazzati delle nozioni un tempo ritenute «stabili» di soggetto, di oggetto, di parola, di metro, di pentagramma uninominale unilineare ora invece saltate in aria in mille pezzettini, in mille frantumi. La «nuova poesia» non può non accettare di avere a che fare d’ora in poi che con i frantumi, non può rifiutarsi di accettare le condizioni poste dal nuovo mondo, non può più rifiutarsi di entrare in consonanza con il mondo della nuova civiltà mediatica che prende forma sotto i nostri occhi; c’è bisogno di una nuova musica, c’è bisogno, come scrive Agamben, di una musica musaicamente accordata, e per far questo occorrono nuovi strumenti, nuovi strumentisti, una nuova orchestra e un nuovo direttore d’orchestra, bisogna avere il coraggio di abbandonare alle ortiche tutte le idee che avevamo accarezzato fino a stamattina sulla poesia come ce l’avevano insegnata. Ecco, quella è la poesia del passato, nobile sì, ma del passato.

La «struttura polittico» richiede il concetto di simultaneità nell’istante di tempo, di molteplicità di voci, di sintagmi, di relitti verbali, di rumori verbali, di interferenze, la compresenza simultanea di tempi e di spazi diversissimi, richiede però una grande responsabilità in capo al poeta ed anche una grande capacità di accordare tutte le «voci», le voci dell’inconscio, quelle della memoria ormai disabitata e le voci della radura internettiana dei giorni nostri; una grande capacità di accettare nella forma-poesia di dover convivere con la disparità, l’eterogeneo, l’interruzione, il salto, la peritropé, l’inciso, la cerniera parentetica, e anche con la metonimia e la metafora disposte però in un nuovo concetto di metratura dello spazio e del tempo, un nuovo concetto del pentagramma musicale.
Si tratta di una rivoluzione dello spazio espressivo formale-integrale della nuova forma-poesia che qui ha luogo.
Dobbiamo salutare la poesia del glorioso novecento con dei fazzoletti rossi, agitando fazzoletti rossi.

Pier Aldo Rovatti

«Non sarà più possibile trattare le parole nei limiti di un linguaggio oggetto, perché se da qualche parte esse fanno sentire il loro peso, sarà dalla parte del soggetto: lungi dall’eclissarsi, come molti nietzschiani vorrebbero far dire al testo di Nietzsche, il “soggetto” diviene tanto più importante come questione per tutti (e di tutti) quanto più l’uomo rotola verso la X (con la spinta che Nietzsche ci aggiunge di suo). Passivo, quasi-passivo, attivo nella passività; soggetto-di solo in quanto (e a questa condizione) di sapersi-scoprirsi soggetto-a… La frase di Nietzsche documenta, come tutte quelle che poi la ripetono, una condizione della soggettività, di cui sarebbe semplicemente da sciocchi volerci sbarazzare (sarebbe un suicidio teorico)… Ma sappiamo anche che è innanzi tutto e inevitabilmente una questione di linguaggio, e che l’effetto davanti al quale preliminarmente ci troviamo è un effetto di parola». 1]

1] 2] Pier Aldo Rovatti, Abitare la distanza, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2007, pp. XX-XXI

Il soggetto è quel sorgere che, appena prima,
come soggetto, non era niente, ma che,
appena apparso, si fissa in significante.
L’io è letteralmente un oggetto –
un oggetto che adempie a una certa funzione
che chiamiamo funzione immaginaria
il significante rappresenta un soggetto per un altro significante

(J. Lacan – seminario XI)

Figure haiku 1 Lucio Mayoor Tosi

Giorgio Linguaglossa

L’«Evento» è quella «Presenza»
che non si confonde mai con l’essere-presente,
con un darsi in carne ed ossa.
È un manifestarsi che letteralmente sorprende, scuote l’io,
o, sarebbe forse meglio dire, lo coglie a tergo, a tradimento.

Il soggetto è scomparso, ma non l’io poetico che non se ne è accorto,
e continua a dirigere il traffico segnaletico del discorso poetico

La parola è una entità che ha la stessa tessitura che ha la «stoffa» del tempo.

La costellazione di una serie di eventi significativi costituisce lo spazio-mondo.

Con il primo piano si dilata lo spazio,
con il rallentatore si dilata e si rallenta il tempo.

Con la metafora si riscalda la materia linguistica,
con la metonimia la si raffredda.

Nell’era della mediocrazia ciò che assume forma di messaggio viene riconvertito in informazione, la quale per sua essenza è precaria, dura in vita fin quando non viene sostituita da un’altra informazione. Il messaggio diventa informazionale e ogni forma di scrittura assume lo status dell’informazione quale suo modello e regolo unico e totale. Anche i discorsi artistici, normalizzati in messaggi, vengono silenziati e sostituiti con «nuovi» messaggi informazionali. Oggi si ricevono le notizie in quella sorta di videocitofono qual è diventato internet a misura del televisore. Il pensiero viene chirurgicamente estromesso dai luoghi dove si fabbrica l’informazione della post-massa mediatica. L’informazione abolisce il tempo e lo sostituisce con se stessa.
È proprio questo uno dei punti nevralgici di distinguibilità della Nuova Ontologia Estetica: il tempo non si azzera mai e la storia non può mai ricominciare dal principio, questa è una visione «estatica» e normalizzata; bisogna invece spezzare il tempo, introdurre delle rotture, delle distanze, sostare nello Jetztzeit, il «tempo-ora», spostare, lateralizzare i tempi, moltiplicare i registri linguistici, diversificare i piani del discorso poetico, temporalizzare lo spazio e spazializzare il tempo…

Ovviamente, ciascuno ha il diritto di pensare l’ordine unidirezionale del discorso poetico come l’unico ordine e il migliore, obietto soltanto che la nostra (della NOE) visione del fare poetico implica il principio opposto: una poesia incentrata sulla molteplicità dei «tempi», sul «tempo interno» delle parole, delle «linee interne» delle parole, del soggetto e dell’oggetto, sul «tempo» del metro a-metrico, delle temporalità non-lineari ma curve, confliggenti, degli spazi temporalizzati, delle temporalisation, delle spazializzazioni temporali; una poesia incentrata sulle lateralizzazioni del discorso poetico. Ma qui siamo in una diversa ontologia estetica, in un altro sistema solare che obbedisce ad altre leggi. Leggi forse precarie, instabili, deboli, che non sono più in correlazione con alcuna «verità», ormai disabitata e resa «precaria».

La verità, diceva Nietzsche, è diventata «precaria».

Il «fantasma», il revenant che così spesso appare nella poesia della «nuova ontologia estetica», si presenta sotto un aspetto scenico. È il Personaggio che va in cerca dei suoi attori. Nello spazio in cui l’io manca, si presenta il «fantasma».
Dal punto di vista simbolico, è una sceneggiatura, il «fantasma» è ciò che resta della retorizzazione del soggetto là dove il soggetto viene meno; il fantasma è ciò che resta nel linguaggio, una sorta di eccedenza simbolica che indica una mancanza.

L’inconscio e il Ça rappresentano i due principali protagonisti della «nuova ontologia estetica». Il soggetto parlante è tale solo in quanto diviso, scisso, attraversato da una dimensione spodestante, da una extimità, come la chiama Lacan, che scava in lui la mancanza. La scrittura poetica è, appunto, la registrazione sonora e magnetica di questa mancanza. Sarebbe risibile andare a chiedere ai poeti della «nuova ontologia estetica», mettiamo, a Steven Grieco Rathgeb, Anna Ventura, Mario Gabriele o a Donatella  Giancaspero che cosa significhino i loro personaggi simbolici, perché non c’è alcuna significazione che indicherebbero i fantasmi simbolici, nulla fuori del contesto linguistico. Nulla di nulla. I «fantasmi» indicano quel nulla di linguistico perché Essi non hanno ancora indossato il vestito linguistico. Sono degli scarti che la linguisticità ha escluso.

I «fantasmi» indicano il nulla di nulla, quella istanza in cui si configura l’inconscio, quell’inconscio che appare in quella zona in cui io (ancora) non sono (o non sono più). L’essenza dell’inconscio risiede non nella pulsione, nell’essere istanza di quel serbatoio di pulsioni che vivono sotto il segno della rimozione, quanto nella dimensione dell’io non sono che viene a sostituire l’io penso cartesiano. La misura di questa dimensione è la sorpresa, l’esser colti a tergo. Tutte le formazioni dell’inconscio si manifestano attraverso questo elemento di sorpresa che coglie il soggetto alla sprovvista, che, come nel motto di spirito, apre uno spazio fra il detto e il voler-dire. Come nei sogni, dove l’io è disperso, dissolto, frammentato fra i pensieri e le rappresentazioni che lo costituiscono, così l’inconscio è quella istanza soggettiva in cui l’io sperimenta la propria mancanza. Come aveva intuito Freud: l’inconscio, dal lato dell’io non sono è un penso, un penso-cose, esso è formato da Sachevorstellung, è costituito da rappresentazioni di cose. La formula «penso dove non sono» è la formula dell’inconscio, che si rovescia in un «non sono io che penso». È come se «l’io dell’io non penso, si rovescia, si aliena anche lui in qualcosa che è un penso-cose».

Il «fantasma», il revenant inaugura quella dimensione della mancanza che si costituisce nella struttura grammaticale priva dell’io, cioè della dimensione della parola come luogo in cui il soggetto «agisce».A questo punto apparirà chiaro quanto sia necessario un indebolimento del soggetto linguistico affinché possa sorgere il «fantasma». Nella «nuova ontologia estetica» non c’è più un soggetto padronale che agisce… nella sua struttura grammaticale l’io si è assottigliato o è scomparso. O meglio, il soggetto viene parlato da altri, incontra la propria evanescenza.

 

Nunzia Binetti

 Carissimo Giorgio, ho letto con piacere ed attenzione le tue considerazioni e penso che in questi versi che ora propongo( scritti diversi anni fa) sia condensato il tuo pensiero sulla poesia Nuova. Anche il titolo riflette ,stranamente, il tuo dire circa la NOE. Ne sono alquanto stupita e credo che ” inconsciamente” il mio ribellismo alla poesia della tradizione sia davvero esploso nel momento in cui scrissi il componimento seguente. E’ stata una fortuna per me imbattermi nella linea di pensiero dell’Ombra che ringrazio.

Pulsioni

Caffè, si beve amaro al pomeriggio. .
Singhiozza il tempo nella sera.

Tachicardia dei falò accesi dai guardiani
nei cantieri neri.

Fuochi fatui nei cimiteri. I mostri delle notti
per i pendii scoscesi tesi all’eterno. (Terrore!).

Afrore di botti aperte al consumo.
-Non valgo per te neanche una mela-

La prospettiva della morte, tentazione
o spinta propulsiva.

E’ il femminile di ciò che è contingente
o guerra.

Giorgio Linguaglossa

Cara Nunzia,
penso che sia evidente che la tua ricerca espressiva era già orientata, tanti anni fa, nella direzione di ricerca di un rinnovamento delle forme espressive nella quale è impegnata la nuova ontologia estetica. Le cose sono nell’aria che respiriamo, vivono nel tempo, e un artista di livello non può non percepire dei bisogni nuovi, non può sottrarsi all’esigenza di esprimersi con un nuovo linguaggio più adatto, più consono ai tempi. La poesia dell’io, la poesia confessione, la poesia della ricerca dell’io nelle adiacenze della propria identità, ecco, tutte queste strade si erano già esaurite ai primi anni novanta del novecento. Già in quegli anni era chiaro che non si potesse continuare all’infinito a fare poesia di ricerca dell’io e di introspezione psicologica. Il libro di esordio di Magrelli, Ora serrata retinae (1980) aveva già esaurito le residue possibilità espressive che prendevano ad oggetto le problematiche dell’io e delle sue adiacenze. Maria Rosaria Madonna, la più intelligente e dotata poetessa degli anni novanta, con Stige (1992) [ora in Stige, Tutte le poesie (1990-1996) Progetto Cultura, 2018 pp. 150 € 12] liquida tutte quelle soluzioni psicologico-adiacenziarie e sceglie di esprimersi con una «neolingua» inventata di sana pianta, un connubio tra il latino chiesastico tardo antico e un italiano in bozzolo, antico o antichizzato.

Riporto un brano di E.M. Cioran:

«Non è bene che l’uomo si ricordi a ogni istante di essere uomo. Già è male concentrare l’attenzione su se stessi; ma è peggio ancora concentrarla sulla specie, con uno zelo da ossessi: significa attribuire alle miserie arbitrarie dell’introspezione un fondamento oggettivo e una giustificazione filosofica. Finché ci si limita a torturare il proprio io, si può sempre pensare che si ceda a un capriccio; ma quando tutti gli io diventano il centro di una rimuginazione senza fine, indirettamente si ritrovano generalizzati gli inconvenienti della propria condizione ed eretto a norma, a caso universale, il proprio accidente».1]

1] E,M, Cioran, La chute dans le temps, Gallimard, Paris, 1964, trad it a cura di Mario Andrea Rigoni, La caduta nel tempo, Milano 1994 p. 1

Nunzia Binetti

 A me pare che la nuova poesia proposta dalla NOE sia paragonabile alla composizione dodecafonica in ambito musicale. La musica dodecafonica ha, infatti, una struttura fortemente frammentaria, allusiva, priva di una unità discorsiva o armonica al contrario della musica classica tradizionale . Mi piacerebbe sapere se qualcuno di voi pensi allo stesso mio modo o se il parallelo che avanzo sia fuori strada. Molto belli i versi qui proposti. Bravi tutti gli autori. In particolare vorrei complimentarmi con la Giancaspero e la Marina Petrillo.

Giorgio Linguaglossa

Un autore mi ha mandato queste definizioni della poesia di Emilio Villa. Copio e incollo:

«poesia è evanescenza, condanna a vita, … liberté sur parole, … guida cieca a un antico enigma, … poesia è trattazione dinamica e sussultoria, … poesia è la più scampagnata cosmologia scucita, strafelata, sdrucita, …poesia è dimenticarsi dimenticanza, … poesia è se-parare sé dal sé, … poesia è costrizione al remoto, … poesia è sfondamento, … poesia è bruciare – partorire nello stesso gesto, … ricordare di transesserci di traverso a spartiacque, … poesia è impotenza infinita, … poesia è intersezione interiezione intersezione interruzione,… poesia è una carognata, scarto strombo sterro, … poesia è diagonale, … poesia è pigrizia irrigidita, … è terrore sul fondo delle retoriche, … poesia è liberazione dalla conoscenza, … poesia è sfrenamento, sfaso, minaccia potenziale, spacco, rapina, distruzione, … poesia è aggressione, … poesia è lotta contro la notte, … poesia è attrito con la pelle del Drago, ecc…”
Ma poi conclude con un colpo di spugna: “poesia è così / è così e così /
e così via.”».

Io penso che di questo passo si potrebbe continuare per centinaia, migliaia di pagine a dire cos’è la poesia senza arrivare a capo di nulla. Il problema, da critico e da lettore umile e semplice è non «che cos’è la poesia», ma «che cos’è questa poesia qui che sta scritta in questo libro qui».
Tutto il resto è vento.

La «struttura polittico» è una struttura prospettica.

Francesco Paolo Intini

Alcune annotazioni sulla poesia “Tre colpi dal piano di sopra “di Donatella Giancaspero

Mette sullo stesso piano la perfezione dell’arte pianistica col “fai da te” del ripristino del mobile rotto, con l’affissione di un quadro al muro da parte di sconosciuti abitanti del piano di sopra.

La comunicazione attraverso i muri rappresenta un dato interessante e fondamentale del rapporto tra individui massificati.

Si comunica per interferenze. Il pensare è costituito da figure d’interferenza. Portano messaggi codificati che spesso esprimono rabbia, indifferenza, insopportabilità fondati su presupposti inconsci da inautenticità ma non solo.

In altra forma però pensare per interferenze è anche il modo per catturare la poesia altrui. In questo senso cessa il bisogno di scoprire il significato, la lettera, il senso delle scelte proposte. Resta il bit della volontà di esserci o se si preferisce il quanto d’energia tra una nota e l’altra di ogni spartito, che scalda ed eccita l’attività mentale di chi legge.

Il distico di Lorenzo Pompeo rivisitato da Gino Rago è di tipo dichiarativo illocutorio:

Un vascello fantasma appare e scompare,
lampeggia tra le costellazioni.

È una immagine a se stante che si lega al contesto in quanto enunciato conchiuso in sé ma dialogante e collegato con tutti gli altri enunciati.
Questo per chiarire quale è il procedimento della nuova ontologia estetica.

Se prendiamo un brano quale che sia di una poesia di Cucchi ci accorgiamo subito che esso è di tipo argomentativo con al centro l’io normografo e ottico che tutto ricomprende e tutto regola come un panopticon della mappa della descrizione. Leggiamo:

Che paesaggio, piano, indifferente,
serenamente bigio nell’oceano,
nelle sue piccole bianche casine silenziose
e io, la spuma tranquilla alle mie spalle,
in appoggio, slittavo in un sorriso nel vento
di improvvisa adesione. Non totale
adesione, ma quasi.

Si tratta di due concezioni opposte: l’una che pone l’io al centro del «paesaggio» e della descrizione, l’altra che pone l’io in posizione sussidiaria o laterale, che lo de-centralizza; ed è quello che fa la poesia della nuova ontologia estetica.

Penso sia chiaro che si tratta di due concetti di poesia completamente agli antipodi, da cui derivano due modi molto diversi di impostare il discorso poetico, uno incentrato sulla ontologia poetica del secondo novecento, l’altro incentrato su una nuova idea di ontologia estetica.

 

 

 

23 commenti

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23 risposte a “Poesie di Lucio Mayoor Tosi, Nunzia Binetti, Il Punto di vista di Giorgio Linguaglossa, La rivoluzione dello spazio espressivo formale-integrale della nuova forma-poesia, Commenti di Francesco Paolo Intini

  1. Carlo Livia

    ” Ciò che è stato compreso, non esiste più.”
    Paul Eluard

    ” Dice verità chi dice ombra.”
    Paul Celan

    ” La poesia è l’amore realizzato
    del desiderio rimasto desiderio. ”
    Renè Char

    Estendendo a tutto l’essere le osservazioni del principio di indeterminazione di Eisenberg sulle particelle subatomiche, tutto ciò che viene subordinato al pensiero concettuale, alla dimensione logocentrica del linguaggio-pensiero formalizzato dai codici tradizionali, viene snaturato, alterato, la sua risultanza epistemologica annientata. La poesia è una reazione, un tentativo di liberazione da questa illusione e mistificazione.

    SETTE RASSEGNAZIONI

    Il figliastro insolubile torna dall’Enigma, eterno, senza vita. In uranio arricchito, inossidabile.

    La madre obliqua tiene al guinzaglio due amanti vegetali, oscillanti.

    La musica celeste, completamente nuda, gira l’angolo, il padre sventola sui fili, l’attimo indurito lotta sull’argine, acceca, ordina l’arresto.

    L’erba triste sorregge il panico, io precipito dall’anestesia clericale, fasciato da minuscole domeniche sorridenti.

    Dopo il diluvio la notte dei camaleonti. La parola rigonfia muore senza vergogna: non ha mai goduto.

    Sguardi stranieri escono dal groviglio, avanzano le donne folli, senza corpo, spargendo feritoie, sotterranei, cieli falsi.

    Col sogno avanzato dalla sposa, circondano la fine.

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  2. Nunzia Binetti

    Piaciutissima la tua poesia, Carlo Livia !

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  3. La differenza tra una poesia ben scritta della vecchia ontologia del tardo novecento e una della nuova ontologia estetica la si può cogliere mettendo a confronto una poesia di Cucchi con questa di Lucio Mayoor Tosi, ma non tanto per decidere chi è più bravo di chi, quanto per comprendere appieno che si tratta di due cose assolutamente lontane ed estranee. In Tosi abbiamo un linguaggio nuovissimo, frutto di una personalissima appropriazione delle nuove categorie estetiche; in Cucchi abbiamo una replica delle categorie estetiche del secondo novecento senza alcuna innovazione sostanziale e formale.

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  4. Alfonso Cataldi

    La badante ha un’altra gatta da pelare
    nel fumo della polvere da sparo.

    «Caricate. Urrà !!»
    Thomas Picton si concede la sua ultima disattenzione.

    In abito borghese. I trattori parcheggiavano di forza le autovetture
    fra gli ulivi. La campagna del primo maggio

    «Credo che faccia al caso mio»
    tutto sembrava umano, ma era codice scritto

    coscienza che cresce nel subway
    a cavallo tra il biondo e il meticcio.

    Terra di altezze sfolgoranti
    e uomini veloci: il richiamo è veemente

    non occupa spazio: si espande
    oltre i dialetti e le piazze.

    Cosa è successo? Un salto
    da un’astronave a un’altra

    tre particolari Playmobil fissati male
    finiscono nel dimenticatoio.

    Una cuspide infantile conficcata nel polpaccio
    chiede ancora
    «Tamburi, giochiamo a guardia e ladri?»

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  5. L’ha ribloggato su RIDONDANZEe ha commentato:
    Linguaglossa: riporto un brano di E.M. Cioran:

    «Non è bene che l’uomo si ricordi a ogni istante di essere uomo. Già è male concentrare l’attenzione su se stessi; ma è peggio ancora concentrarla sulla specie, con uno zelo da ossessi: significa attribuire alle miserie arbitrarie dell’introspezione un fondamento oggettivo e una giustificazione filosofica. Finché ci si limita a torturare il proprio io, si può sempre pensare che si ceda a un capriccio; ma quando tutti gli io diventano il centro di una rimuginazione senza fine, indirettamente si ritrovano generalizzati gli inconvenienti della propria condizione ed eretto a norma, a caso universale, il proprio accidente».1]

    1] E,M, Cioran, La chute dans le temps, Gallimard, Paris, 1964, trad it a cura di Mario Andrea Rigoni, La caduta nel tempo, Milano 1994 p. 1

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  6. Il mattino che insegue la chiazza
    illumina suo malgrado la folla. Sta bene.

    Nei disordini dei numeri ha fatto bungee jumping. Un percorso inverso.

    È tornata una psoriasi in cammino. Un corteo instabile con andamento lento.

    La forbice del distacco alla disputa insorge.
    Le Mammolette Non Portano Più Fiori.

    GRAZIE OMBRA.

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  7. Scrive Lucio Mayoor Tosi:

    Non vedo l’ora di avere al governo una miss

    in gabardine, che sappia il fatto suo. Una che pare uscita
    dal fon ma decisiva sull’orientamento dei social. Come farsi
    venire il cancro e quali rimedi.

    Scrive Alfonso Cataldi:

    Una cuspide infantile conficcata nel polpaccio
    chiede ancora
    «Tamburi, giochiamo a guardia e ladri?».

    Scrive Carlo Livia:

    La madre obliqua tiene al guinzaglio due amanti vegetali, oscillanti.

    Scrive Mauro Pierno:

    È tornata una psoriasi in cammino. Un corteo instabile con andamento lento.

    Francesco Paolo Intini nel suo brillante commento nel post di oggi, scrive:

    «Si comunica per interferenze. Il pensare è costituito da figure d’interferenza.»

    Prendo lo spunto da quest’ultima osservazione di Francesco Intini per osservare che per il 95% del nostro essere nel mondo noi siamo esposti continuamente alle «figure di interferenza». Quando guardiamo il televisore, ascoltiamo la radio, guardiamo lo smartphone in metropolitana, quando siamo in un autobus a Roma o a Torino o a Canicattì, quando ci troviamo in un bar affollato, quando stiamo dal barbiere a farci tagliare i capelli, quando siamo in una sala d’aspetto di uno specialista in cardio chirurgia, o nelle sale d’aspetto di un aeroporto o di una stazione ferroviaria, quando andiamo ad ascoltare un terrificante slam poetry, quando andiamo a fare la spesa al mercato, e via di questo passo, noi siamo esposti di continuo alle «figure di interferenza»; innumerevoli interferenze avvengono anche quando siamo rinserrati nella nostra solitudine negli anonimi palazzi romani a dodici piani, attraverso i muri, come ben rappresentato nelle poesie di Donatella Giancaspero. In realtà, nella nostra vita quotidiana siamo esposti a innumerevoli «figure di interferenza» e continuare a pensare la forma-poesia come un monologo di un Robinson Crusoe in un’isola deserta (come avviene nella poesia di Cucchi), è una finzione e una falsificazione del mondo reale nel quale viviamo. La poesia di uomini solitari che monologano intorno alla propria solitudine ad interrogare le stelle, è una finzione, anzi, peggio, è kitsch. La nuova poesia non può continuare ad avallare questa ridicola insulsaggine, la nuova poesia non può non accettare le condizioni poste dalla nuova civiltà telematica e globale ed assume le «figure di interferenza» come una categoria ineliminabile dalla nuova poesia e come un dato di cui non ci si può sbarazzare con un atto di bacchetta magica. Il mondo è cambiato, e, di conseguenza, anche la forma-poesia è cambiata, e la NOE non può che rappresentare, con mezzi poetici, questi cambiamenti storici ed epocali.

    Scrive Michel Meyer:

    «nei manuali sul linguaggio e la semantica, si studiano le proposizioni come entità logicamente autonome, e ciò è evidente. L’autonomia, tutta relativa come si è visto precedentemente, è anch’essa un prodotto, il frutto di una dinamica. Di conseguenza, non si può affrontare la questione del senso al di fuori dell’idea di discorso, e anche, per completezza, del discorso detto di finzione, Quale test migliore della letteratura, per verificare una teoria del linguaggio che vuol essere totalizzante? Allora troveremo forse nei teorici della letteratura la concezione del senso generalizzato che cerchiamo? La risposta è sfortunatamente negativa, e questo per un’eccellente ragione. Molto spesso coloro che si occupano di letteratura procedono – in nome della scienza, e dunque del rispetto dell’empirico, beninteso – analiticamente, come i nostri linguisti del capitolo precedente. Studiano delle opere isolatamente,. o degli autori. Non c’è affatto bisogno di una visione filosofica del linguaggio per operare in questo modo, no? E sempre in questo ambito, si presupporrà una metodologia della lettura che non si dovrà esplicitare, e ancor meno giustificare. Le opere non parlano forse da sé? Le cose sono senza dubbio un po’ cambiate, appunto con l’autoreferenzializzazione della letteratura di cui abbiamo già parlato prima. La letteratura si è presa sempre più come proprio oggetto e ha messo il proprio linguaggio alla ribalta della critica letteraria. E qui, è sorto un altro scoglio: quello di una teoria del linguaggio modellato sul linguaggio della finzione. Come Frege aveva in mente l’univocità e l’oggettività del linguaggio matematico-sperimentale quando parlava di logos, Derrida, a esempio, ha una concezione letteraria del logos, fondato sulla non-referenzialità del linguaggio, sulla sua natura non univoca, retorica, tropologica; figurativa, in una parola. Ma si tratta di una retorica argomentativa: i segni si rimandano indefinitamente gli uni agli altri…».1]

    1] M. Meyer, De la problématologie. Philosophie, science et langage, Bruxelles, 1989, trad it. Problematologia, Parma, Pratiche editrice, 199i p. 317

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  8. In Compagnia di Beckett

    Samuel Beckett: «Giunge una voce dal buio a qualcuno.
    Immagini»

    Una voce. Un ascoltatore. Il buio.
    Il rito perduto nella caverna.

    Beckett:«Evoco la mancanza del rito.
    Fuoco. Musica. Danze. Parole rituali.

    Dei. Cavalli o bisonti sulla roccia nella caverna.
    Tutto il villaggio che danza pregando.

    Totalità simbolica. Immobilità nello spazio.
    La gravità. Uomini non morti

    Perché uomini che mai hanno vissuto.
    La voce al buio resiste,

    Ritornerà l’era dei poeti,
    Godot… Metà God, metà Charlot… »

    (gino rago)

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  9. Gentile Redazione de L’Ombra delle Parole, Cari poeti de L’Ombra,

    ho desiderato nel breve componimento in distici In compagnia di Beckett fare quattro passi con l’autore irlandese perché Samuel Beckett è stato l’unico grande del Novecento letterario universale a comprendere la necessità di ripristino del legame teatro-poesia.

    Tutto il suo teatro è stato l’impegno di evocare, tragicamente, il rito (perduto) avvertendone la mancanza.

    Tornare cioè alle origini, che è poi ciò che a suo tempo il nostro Linguaglossa in suo scritto indicava come necessità di ricreare il mito-poesia, non il mito in poesia, ma la poesia stessa come mito.

    E le origini per Beckett era ricordare che il teatro greco, e non soltanto, nasce nella caverna con un fuoco, un sacerdote che pronuncia le parole del rito, con l’intero villaggio che prega e danza di fronte ai tori, o ai bisonti, o ai cavalli, disegnati sulla pietra della stessa caverna:
    un rito propiziatorio nella totalità simbolica.

    Soltanto il polittico poetico in distici può aspirare a questa totalità, tornando alle origini del rapporto teatro-poesia onnicomprensivo (polittico, non componimenti lunghi o brevi in distici…)

    (gino rago)

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  10. Di fatto, nella poesia NOE, e forse particolarmente nel polittico, il discorso poetico che si compie – tramite reportage, missiva, telefonata, o quant’altro – costituisce un artificio. L’intero discorso è un artificio, la cui funzione consiste nell’unire tra loro elementi casuali, distanti e discontinui. Le «interferenze».
    Resta una parvenza, traccia od ombra dell’idea di discorso.

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  11. Stanza n. 27

    Poesie di Lucio Mayoor Tosi, Nunzia Binetti, Il Punto di vista di Giorgio Linguaglossa, La rivoluzione dello spazio espressivo formale-integrale della nuova forma-poesia, Commenti di Francesco Paolo Intini

    Sulla borchia di ottone c’è scritto:

    «Girone dei morti assiderati». Entro.
    Ombre bianche sono alle prese con dei simulacri.

    Altissimi soffitti, corridoi ciechi, corridoi curvi,
    tante lampadine appese ai fili della luce.

    Un travestito cammina su alti trampoli
    in giarrettiere e calze velate in compagnia di un trampoliere.

    Sonnambuli camminano e si vedono camminare.
    Ridono. E tornano in sé.

    […]

    Simulacri prendono congedo dagli abiti.
    Un Re senza testa è seduto sul trono.

    Un dio raccoglie la testa del Re.

    Una Regina cavalca con il cavaliere di coppe.
    Un fante raccoglie la testa del Re.

    Uomini entrano dentro gli specchi,
    e ne escono bambini.

    […]

    Gli oggetti della mia infanzia.
    Lo sgabello che pensavo fosse un trono.

    L’ombrello che pensavo fosse uno scettro.
    L’esercito dei bottoni di madreperla.

    La stanza dei giochi infantili. La finestra aperta.
    La finestra chiusa.

    Dalla finestra della stanza n. 27
    qualcuno spara un proiettile,

    il quale attraversa il muro, esce dalla porta
    e colpisce alle spalle mia madre che raccoglie la cicoria.

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  12. Nunzia Binetti

    Una NOE realizzata in modo lodevole. La lateralità del sé, in stanza n.27, ha prodotto versi importanti e addirittura coinvolgenti , in cui si affacciano frammenti di memoria, che definirei, sussultori. Ciò che mi domando, Giorgio, è se una forma- poesia così nuova, come la NOE, possa incontrare un gruppo di lettori in grado di comprenderne l’efficacia e la filosofia che ha contribuito a fondarne il metodo, metodo per il quale ci battiamo contro un esercito di infedeli , per non definirli ancor peggio,disseminati ovunque si volga lo sguardo. Complimenti per questi tuoi versi.

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  13. annaventura36@hotmail.com

    Miei cari, come mai siete tanto pessimisti? Che dovrei dire io, allora,che sono vecchie e sola, protesa su un lembo di spiaggia assediata dal mare?Eppure, la vostra assenza/presenza ancora riesce a consolarmi.I vostri successi sono anche miei, i vostri troni hanno ai piedi uno sgabelletto su cui io mi appollaio.Come le gallinelle di mare,tante da riuscire a imbiancare gli scogli neri

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  14. Tenera e grande Anna Ventura

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    • Cara Anna,
      dalla narrazione non si può uscire, non ancora. E c’è una distanza da colmare, verso la saggezza, gioia e ironia. E’ lento il distacco dall’angoscia, bisogna prima attraversare il vuoto, coglierne la pienezza… tutte quelle cose che i filosofi, pur non essendo, sanno bene.

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  15. La Regina-dei-cartoni a Via Marsala dialoga con Giorgio Linguaglossa

    […]
    Samuel Beckett: «Giunge una voce dal buio a qualcuno.
    Immagini»

    Una voce. Un ascoltatore. Il buio.
    Il rito perduto nella caverna.

    Beckett:«Evoco la mancanza del rito.
    Fuoco. Musica. Danze. Parole rituali.

    Dei. Cavalli o bisonti sulla roccia nella caverna.
    Tutto il villaggio che danza pregando.

    Totalità simbolica. Immobilità nello spazio.
    La gravità. Uomini non morti

    Perché uomini mai vissuti.
    La voce al buio resiste,

    Ritornerà l’era dei poeti,
    Godot… Metà God, metà Charlot… »
    […]
    Linguaglossa scambia lo sgabello per un trono:
    “E’ un trono vero, non è uno sgabello…

    E’ mio. E’ il trono della Regina-dei-cartoni
    a Via Marsala-Stazione Termini…

    Ma qui non c’è un come.
    Non ci sono né un dove né un quando.

    Il significante qui non ha significato.
    Le parole non sono più in nessun contesto.”

    Linguaglossa: “Mia Regina-dei-cartoni-a-Via-Marsala,
    quale per te il senso della vita…?”

    “Passare il tempo…En attandant Godot.
    Ma ieri non è arrivato, oggi non arriva…”
    […]
    Una foglia nuova su un albero,
    Vladimiro a Estragone:

    «Avresti dovuto essere un poeta».

    Estragone: «Lo sono stato. Si vede, no?
    Non vedi gli stracci?

    Le mie parole sono state stracci».
    […]
    Picasso nelle grotte:
    «Dopo Altamira la pittura è solo decadenza.

    Religione-Arte-Poesia. Registri entanglati.
    Mescolamento di pause e silenzi.

    Citazioni di teologia. Turpiloqui.
    Fili metafisici. Incomunicabilità….»
    […]
    Morandi fa la corte alla Regina-dei-cartoni.
    A Via Marsala allinea brocche-bottiglie-tazze.

    Linguaglossa di nascosto prega per un’ombra.
    La Regina-dei-cartoni-a-Via Marsala:

    “La vita…Passer le temp
    En attendant Godot”

    (gino rago)

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  16. Talìa

    A proposito di Valvole di Lucio Mayor Tosi, mi piace quando Lucio viene rapito dallo stato di grazia poetica e si abbandona alla narrazione per cui il vasetto di conserva una volta aperto sprigiona liquidi, pezzi di frutta, muffe, zuccheri e qualche pinzillacchera buttata lì come fosse ciliegina denocciolata, mentre il nocciolo, masticando, te lo ritrovi con maestria nella sincope. La sincope in Tosi è spesso data da una brusca interruzione come nel caso di questi versi : ” È da un po’. Che piove.”.

    I testi di Tosi non sono in mp4 quanto piuttosto in vinile con la puntina che salta da un brano all’altro e, paradossalmente, il discorso non ne risente, anzi acquista in significato, tra uno straccio o stralcio e una pinzillacchera ben piazzata “Su i freschi pensieri che l’anima schiude / novella.”

    C’è metodo, pensiero e tecnica perché “Fa di più l’orgasmo
    ragionato, il primato della gazzella sul divenire scosceso
    di una certezza.”

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    • Che dire, Giuseppe. Grazie. Anche per avere apprezzato, come è accaduto a me, la pinzillacchera: Su i freschi pensieri. Ma “il primato della gazzella” non è merito mio, dev’essere passato il fantasma di qualcuno più bravo. Magari eri tu. Io ho già il mio daffare a cercare di tenermi in equilibrio con le parole: nel giardino zen, sbagli una mossa e sei perduto.

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      • Talia

        Il primato della Gazzella, se non ricordo male è di Rago.

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        • Se così, aspetto conferma. Ma è anche di un vecchio proverbio. Sta nel deragliamento: si colga la rinnovata intenzione. E non sta a me dire della leggerezza. Chiaro che non eri tu, era una gentilezza il “più bravo”.

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          • Nunzia Binetti

            Posto questo testo, appena rivisto. Ho adottato il distico che ha contribuito a snellire la versificazione. Credo. Un buon fine settimana a tutti.

            “Ricordarsi di guadare, a sera, la luna”
            un appunto sul post-it di ammalata d’halzeimer .

            Chi lo lesse ne pianse .
            Non guardata, pianse anche la luna .

            La memoria va afferrata per capelli, come un uomo
            che annega ed il fiume mormorava vittoria,terminata la guerra,

            ma la pesca di trote nel Piave ha imparato
            che neppure tra ulivi esiste una pace.

            Le cicale,un frinire e gli ulivi, gli ulivi ; Ascoltarne il linguaggio, .
            le parole, mai comprese da noi stoppie,

            discendenza di Dedalo, che mordiamo il pianeta ,
            aspirando a infestare ogni altro universo .

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  17. nu

    Nel primo mio verso è presente un refuso : guadare. Quel guadare sta per ” guardare”. Bellissima la nostra lingua… basta una lettera in meno, all’interno di una parola significante, a trasformarne il senso del tuo pensiero.

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