Archivi del giorno: 20 luglio 2014

LA MEDITAZIONE POETICA DI WALLACE STEVENS (1879-1955). Due poesie da “Note verso la finzione suprema” PROGETTO UMANO E ‘PROGETTO DEL SOLE’ di Franco  Toscani

wallace stevens

wallace stevens

 da Note verso la finzione suprema, Titolo originale Notes toward a supreme fiction (1942)  trad. Nadia Fusini

IX

The poem goes from the poet’s gibberish to
The gibberish of the vulgate and back again.
Does it move to and fro or is it of both

At once? Is it a luminous flittering
Or the concentration of a cloudy day?
Is there a poem that never reaches words

And one that chaffers the time away?
Is the poem both peculiar and general?
There’s a meditation there, in which there seems

To be an evasion, a thing not apprehended or
Not apprehended well. Does the poet
Evade us, as in a senseless element?

Evade, this hot, dependent orator,
The spokesman at our bluntest barriers,
Exponent by a form of speech, the speaker

Of a speech only a little of the tongue?
It is the gibberish of the vulgate that he seeks.
He tries by a peculiar speech to speak

The peculiar potency of the general,
To compound the imagination’s Latin with
The lingua franca et jocundissima.

IX

Dal farfuglio del poeta al farfuglio
Del volgare va la poesia avanti e indietro.
Va e poi torna, o è insieme

In entrambi? E’ un lampo improvviso,
O il concentrato bagliore di un giorno piovoso?
Esiste una poesia che mai giunge alla parola

E una che vaneggia impaziente?
La poesia è sia particolare che generale?
C’è una riflessione qui, che appare

Come un’evasione, una cosa che non si comprende
O non si comprende bene. Ci sfugge forse
Il poeta, in un elemento che non s’afferra?

Ci sfugge, questo ardente, asservito oratore,
Il portavoce delle nostre barriere più ottuse,
Esponente per virtù di parola, l’attore

Di una parola solo in parte lingua comune?
E’ l’oscuro farfuglio del volgare che cerca.
Vorrebbe, grazie ad una parola speciale, dire

La speciale potenza del generale.
Combinare il latino dell’immaginazione
Con la lingua franca et jocundissima.

wallace stevens harmonium

X

A bench was his catalepsy, Theatre
Of Trope. He sat in the park. The water of
The lake was full of artificial things,

Like a page of music, like an upper air,
Like a momentary color, in which swans
Were seraphs, were saints, were changing essences.

The west wind was the music, the motion, the force
To which the swans curveted, a will to change,
A will to make iris frettings on the blank.

There was a will to change, a necessitous
And present way, a presentation, a kind
Of volatile world, too constant to be denied,

The eye of a vagabond in metaphor
That catches our own. The casual is not
Enough. The freshness of transformation is

The freshness of a world. It is our own,
It is ourselves, the freshness of ourselves,
And that necessity and that presentation

Are rubbings of a glass in which we peer.
Of these beginnings, gay and green, propose
The suitable amours. Time will write them down.

X

Una panca faceva da palco al suo trance, Teatro
Del Tropo. Sedeva nel parco. L’acqua
Del lago era piena di segni artificiali,

Come uno spartito, un’aria più rarefatta,
Un’atmosfera fugace, in cui cigni diventavano
Serafini, santi, mutevoli essenze.

Il vento d’occidente era la musica, il moto, l’energia che spingeva
I cigni in curve lente, una volontà di mutamento,
Una volontà di disegnare volute nel vuoto.

C’era una volontà di mutamento, una necessità,
Un’urgenza, un’offerta, una specie di mondo volatile,
Troppo coerente per essere negata,

L’occhio d’un vagabondo in metafore,
Che ci cattura. Ma il caso non basta.
Il vigore della trasformazione è

Il vigore di un mondo. È il nostro,
Siamo noi, il nostro stesso vigore,
E quella necessità e quell’offerta

Sono i graffi sul vetro appannato da cui spiamo.
Di questi inizi, ingenui e gioiosi, presenta
I confacenti amori. Il tempo li tradirà.

1. ‘Suprema finzione’ e incanto del mondo. Il romantico

Sugli uomini la pressione della realtà rischia di diventare talmente intollerabile e oppressiva da impedire ogni effettiva capacità di distacco, autonomia e contemplazione. Il poeta, come fratello e amico degli altri mortali (un amico particolarmente affettuoso e soccorrevole), deve essere in qualche modo capace di sottrarsi a tale pressione, alla sua cogenza e violenza, ma al tempo stesso egli è parte del reale, la grandezza della poesia non conduce certo a negare il valore e lo spessore della realtà. Anzi, come “ambasciatore dell’immaginazione”, il poeta ha un unico compito, scrive Wallace Stevens (1879-1955) nel saggio Imagination as value (1949): “i grandi poemi del paradiso e dell’inferno sono già stati scritti, ma rimane da scrivere il grande poema della terra” (AN 216).

????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????? Non si può dire che Stevens non avesse, anche come uomo e nel suo lavoro, un senso solido della realtà. Com’è noto, il grande poeta americano fece un’importante carriera dirigenziale ad Hartford nel Connecticut, in cui risiedette per tutta la vita e da cui si allontanò pochissimo, solo per motivi di lavoro, per brevi vacanze in Florida o per rapide scappate nelle librerie e gallerie di New Jork. Egli divenne vicepresidente di una delle massime compagnie di assicurazione americane, la “Hartford Accident and Indemnity Company” (il suo ramo specifico professionale era l’assicurazione del bestiame trasportato al mercato), dove lavorò sino agli ultimi anni di vita. A proposito del suo rapporto col denaro, c’è un epigramma dal significato inequivocabile: “Money is a kind of poetry” (OP 165, AN 16).

Wallace-Stevens-Walk-Blackbird-1 Ora, Stevens riuscì a coniugare questo suo pragmatismo tipicamente americano a una straordinaria, vitalissima e feconda passione poetica. Il senso della realtà, per non scadere a realismo cinico e opportunistico, non può non risolversi – pensiamo qui al Musil de L’uomo senza qualità – nel senso della possibilità: a questo serve, fra l’altro, l’immaginazione poetica.
Wallace-Stevens-Quotes-1 Stevens distingue tra l’“evasione in senso peggiorativo” o elusione (che si ha quando il poeta è slegato dalla realtà e l’immaginazione non aderisce ad essa) e l’ “illusione benigna” (la “suprema finzione” della poesia), che arricchisce il mondo e aiuta tutti gli uomini a pensare e a vivere (cfr.AN 38,104-7;CP 120,L 402-3). A questo proposito Massimo Bacigalupo ha osservato che la “suprema finzione” stevensiana può essere utilmente messa in relazione al grande tema leopardiano dell’ “illusione” (cfr. AN 26). Per Leopardi, tutto il bello e il buono di questo mondo sono “pure illusioni”, senza le quali però non vi può essere poesia e si afferma la barbarie tra i popoli . Egli scrive nello Zibaldone : “Pare un assurdo, e pure è esattamente vero, che, tutto il reale essendo un nulla, non v’è altro di reale né altro di sostanza al mondo che le illusioni. (…) in ogni sentimento dolce e sublime entra sempre l’illusione, ch’è il più acerbo dolore il vedersi togliere e svelare” (Z 56). Per lui, il vero filosofo, che non è un illuso ed è lucido a proposito del reale, ama le illusioni, al contrario del falso filosofo che le disprezza (cfr. Z 477).

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 Se gli uomini credessero di più in “supreme illusioni” o “enti immaginari” come la generosità, la sensibilità, la giustizia, la fedeltà, la corrispondenza di amorosi sensi, etc., per Leopardi nel mondo vi sarebbe certamente meno infelicità; gli uomini sensibili continuerebbero a seguire delle illusioni, “perché nessuna cosa è capace di riempier l’animo umano, ma non è meglio una vita con molti piaceri illusorii, che senza nessun piacere? non si vivrebbe meglio se nel mondo si trovassero queste illusioni più realizzate, e se l’uomo di cuore non si dovesse persuadere non solo che sono enti immaginari, ma che nel mondo non si trovano più neanche così immaginari come sono? in maniera che manchi affatto il pascolo e il sostegno all’illusione. E dall’altro lato, non c’è maggiore illusione ovvero apparenza di piacere che quello che deriva dal bello dal tenero dal grande dal sublime dall’onesto. Laonde quanto più queste cose abbondassero, sebbene illusorie, tanto meno l’uomo sarebbe infelice.” (Z 113-4).

Wallace-Stevens-Quotes-2 Pur disilluso e amaro sulla nostra condizione, Leopardi così non cessa di invitarci con forza a una vita più ricca e felice. Con l’immaginazione l’uomo coglie una seconda dimensione degli oggetti: “All’uomo sensibile e immaginoso, che viva, come io sono vissuto gran tempo, sentendo di continuo ed immaginando, il mondo e gli oggetti sono in certo modo doppi. Egli vedrà cogli occhi una torre, una campagna; udrà cogli orecchi un suono d’una campana; e nel tempo stesso coll’immaginazione vedrà un’altra torre, un’altra campagna, udrà un altro suono. In questo secondo genere di obbietti sta tutto il bello e il piacevole delle cose. Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione.” (Z 1196).

sunny-breakfast

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 A queste fini osservazioni di Leopardi fa eco Stevens, in Esthétique du mal (pubblicata nel 1945 in plaquette e poi raccolta nel volume del 1947 Transport to Summer ), allorché si sofferma sui rischi di immiserimento della percezione e di perdita della sensibilità corsi dallo sguardo superficiale dei realisti incapaci d’incanto: “Perdere sensibilità, vedere quel che si vede,/ come se la vista non avesse le sue accortezze miracolose,/ udire solo ciò che si ode, un solo significato,/ come se il paradiso del significato cessasse/ di essere paradiso, questo vuol dire immiserirsi./ Questo è il cielo spogliato delle sue fontane” (H 378-9).
L’invito è qui esplicito al pieno dispiegamento e all’esercizio di quei sensi umani “educati e raffinati” che valorizzava Ludwig Feuerbach nel secolo XIX. Continua a leggere

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