Archivi del giorno: 30 luglio 2014

POESIE EDITE E INEDITE SUL TEMA DELL’ADDIO (Parte VI) Kikuo Takano, Octavio Paz, Salvatore Toma, Mariella De Santis, Anthony Robbins

magritte golconda

magritte golconda

«Il tema dell’addio. L’addio è una piccola morte. Ogni addio ci avvicina alla morte, si lascia dietro la vita e ci accorcia la vita che ci sta davanti. Forse il senso della vita è una sommatoria di addii. E forse il senso ultimo dell’esistenza è un grande, lungo, interminabile addio».

 

 

Kikuo Takano è nato a Niibo, nell'isola di Sado, Giappone, nel 1927

Kikuo Takano è nato a Niibo, nell’isola di Sado, Giappone, nel 1927

Kikuo Takano cop

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Kikuo Takano

Sempre una voce

Sempre una voce
ti ha avvisato: “Se piangi
vai oltre il dolore.
E ti accorgi che nell’addio
c’è l’incontro”.
Così ti parlava Dio, sfiorandoti
con la mano la schiena.

Sempre una voce
ti ha avvisato: “Con pazienza
aspetta, e per meglio guardare
impara a chiudere gli occhi”.
Così ti parlava Dio, con una lieve
carezza sui capelli.

Quando nel dolore piangevi
senza poter far nulla
quel Dio lo avevi accanto,
a volte ti portava sulle sue spalle.

 

Se ti dico

Se ti dico che è la destra,
mi rispondi: “Anch’io la destra”,
se ti dico che è la sinistra
mi ripeti: “Anch’io la sinistra”.
E così insieme abbiamo atteso l’alba.
Solo l’addio che entrambi ci eravamo detti
era il desiderio dell’uno per l’altra
e assai fortemente stringeva l’uno all’altra
e noi, senza neppure toccarci,
eravamo stupiti da tanto desiderio.

“Siamo stati stupiti come bambini…”
E ora tu mi disprezzi
“sì, ti odio
perché l’hai contemplata come in estasi
senza svegliarmi con uno schiaffo
anch’io abbagliata da quella visione”.

Senza darti uno schiaffo.
un pesante schiaffo.
E noi, in quell’istante,
eravamo già oltre quella “domanda”;
tu avresti potuto pronunziare il tuo addio,
io avrei detto il mio
e con questi nostri addii
avremmo potuto iniziare
ogni notte e ogni mattina.

Ma ancora mi chiedi:
“Non poteva quell’addio
prender congedo dall’addio?”
Ed io ancora ti ripeto
quando diversa è la “domanda”,
che sparisca quella “domanda”.
Abbiamo fatto esperienza non d’amore
ma di tempo, il tempo vuoto,
e l’abbiamo accettata come un fatale contrassegno.
Avesti dovuto capirlo anche tu.

Ma alla fine che cosa vuol dire?
Se mi confronto con te,
scuoti il capo in modo banale
e banalmente mi rimproveri.
Erano inutili quei giorni,
inutili quelle lotte.
Oggi sentiamo come peccato
l’esperienza dopo aver recuperato
ciò che abbiamo vissuto.
Oh, la spola della tessitura!
È un terribile filo: più costruisce la trama
più si sfila l’altra parte del bandolo
E passano i giorni in cui mi capita
di dipanare sempre fil filo.

(da L’infiammata assenza Ediz del Leone, 2005 cura e trad di Yasuko Matsumoto e Renato Minore)

 

Octavio Paz (1914-1998)

Octavio Paz (1914-1998)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Octavio Paz

La luce sostiene – lievi, reali –
il picco bianco e le querce nere,
il sentiero che avanza,
l’albero che resta;

la luce nascente cerca il suo cammino,
fiume titubante che disegna
i suoi dubbi e li trasforma in certezze,
fiume del’alba su palpebre chiuse;

la luce scolpisce il vento sulle tende,
fa si ogni ora un corpo vivo,
entra nella stanza e guizza,
scalza, sul filo del coltello;

la luce nasce donna in uno specchio,
nuda sotto un diafano fogliame
uno sguardo la incatena,
la dissolve un palpebrare;

la luce palpa i frutti e palpa l’invisibile,
brocca dove bevono chiarori gli occhi,
fiamma tagliata in fiore e candela in veglia
dove la farfalla dalle ali nere si brucia:

la luce apre le pieghe del lenzuolo
e i risvolti della pubertà,
arde nel camino, le sue fiamme divenute ombre
si arrampicano sui muri, edera di desiderio;

la luce non assolve né condanna,
non è giusta e non è ingiusta,
la luce con mani invisibili innalza
gli edifici della simmetria;

la luce se ne va per un varco di riflessi
e ritorna a se stessa:
è una mano che si inventa,
un occhio che si guarda nelle sue invenzioni.

La luce è tempo che si pensa.

(da Il fuoco di ogni giorno Garzanti, 1992 trad. Ernesto Franco)

 

Salvatore Toma

Salvatore Toma

salvatore toma copertina

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salvatore Toma

Testamento

Quando sarò morto
che non vi venga in mente
di mettere manifesti:
è morto serenamente
o dopo lunga sofferenza
o peggio ancora in grazia di dio.
Io sono morto
per la vostra presenza.

*

Presso mezzogiorno
mi sono scavata la fossa
nel mio bosco di querce,
ci ho messo una croce
e ci ho scritto sopra
oltre al mio nome
una buona dose di vita vissuta.
poi sono uscito per strada
a guardare la gente
con occhi diversi

(da Canzoniere della morte, Einaudi, 1999)

 

Mariella D Santis, foto Dino Ignani

Mariella D Santis, foto Dino Ignani

Mariella DeSantis copertina

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mariella De Santis

Porta d’ingresso

fummo una porta d’ingresso, un numero civico
che fatico a rammentare, un passaggio in taxi
per le vie di Roma che dell’autunno scroscia
nel grembo delle donne la sottile decadenza.
Non altro nascondono le poetabili foglie d’oro
o le muffe dei funghi se non quel simile umore
che a corpo ancora non freddo si netta
per decente inumazione.

.

Le cose che vanno

Le cose che vanno
non sempre hanno il tempo
di tiepidi addii,
a volte poi sembra vadano
invece restano per sempre
a morire con noi.

.

Punti cardinali

verso sud, dove più tu sei lontano, ci sono io
a est la tua gioia che è sempre per domani
a nord ti fermi anche se vorresti andare
forse a quel sud guardando, da cui fuggo io
e non ci incontriamo mai se non nelle punte
ad ovest di due letti solitari. Continua a leggere

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