«Il tema dell’addio. L’addio è una piccola morte. Ogni addio ci avvicina alla morte, si lascia dietro la vita e ci accorcia la vita che ci sta davanti. Forse il senso della vita è una sommatoria di addii. E forse il senso ultimo dell’esistenza è un grande, lungo, interminabile addio».
Kikuo Takano
Sempre una voce
Sempre una voce
ti ha avvisato: “Se piangi
vai oltre il dolore.
E ti accorgi che nell’addio
c’è l’incontro”.
Così ti parlava Dio, sfiorandoti
con la mano la schiena.
Sempre una voce
ti ha avvisato: “Con pazienza
aspetta, e per meglio guardare
impara a chiudere gli occhi”.
Così ti parlava Dio, con una lieve
carezza sui capelli.
Quando nel dolore piangevi
senza poter far nulla
quel Dio lo avevi accanto,
a volte ti portava sulle sue spalle.
Se ti dico
Se ti dico che è la destra,
mi rispondi: “Anch’io la destra”,
se ti dico che è la sinistra
mi ripeti: “Anch’io la sinistra”.
E così insieme abbiamo atteso l’alba.
Solo l’addio che entrambi ci eravamo detti
era il desiderio dell’uno per l’altra
e assai fortemente stringeva l’uno all’altra
e noi, senza neppure toccarci,
eravamo stupiti da tanto desiderio.
“Siamo stati stupiti come bambini…”
E ora tu mi disprezzi
“sì, ti odio
perché l’hai contemplata come in estasi
senza svegliarmi con uno schiaffo
anch’io abbagliata da quella visione”.
Senza darti uno schiaffo.
un pesante schiaffo.
E noi, in quell’istante,
eravamo già oltre quella “domanda”;
tu avresti potuto pronunziare il tuo addio,
io avrei detto il mio
e con questi nostri addii
avremmo potuto iniziare
ogni notte e ogni mattina.
Ma ancora mi chiedi:
“Non poteva quell’addio
prender congedo dall’addio?”
Ed io ancora ti ripeto
quando diversa è la “domanda”,
che sparisca quella “domanda”.
Abbiamo fatto esperienza non d’amore
ma di tempo, il tempo vuoto,
e l’abbiamo accettata come un fatale contrassegno.
Avesti dovuto capirlo anche tu.
Ma alla fine che cosa vuol dire?
Se mi confronto con te,
scuoti il capo in modo banale
e banalmente mi rimproveri.
Erano inutili quei giorni,
inutili quelle lotte.
Oggi sentiamo come peccato
l’esperienza dopo aver recuperato
ciò che abbiamo vissuto.
Oh, la spola della tessitura!
È un terribile filo: più costruisce la trama
più si sfila l’altra parte del bandolo
E passano i giorni in cui mi capita
di dipanare sempre fil filo.
(da L’infiammata assenza Ediz del Leone, 2005 cura e trad di Yasuko Matsumoto e Renato Minore)
Octavio Paz
La luce sostiene – lievi, reali –
il picco bianco e le querce nere,
il sentiero che avanza,
l’albero che resta;
la luce nascente cerca il suo cammino,
fiume titubante che disegna
i suoi dubbi e li trasforma in certezze,
fiume del’alba su palpebre chiuse;
la luce scolpisce il vento sulle tende,
fa si ogni ora un corpo vivo,
entra nella stanza e guizza,
scalza, sul filo del coltello;
la luce nasce donna in uno specchio,
nuda sotto un diafano fogliame
uno sguardo la incatena,
la dissolve un palpebrare;
la luce palpa i frutti e palpa l’invisibile,
brocca dove bevono chiarori gli occhi,
fiamma tagliata in fiore e candela in veglia
dove la farfalla dalle ali nere si brucia:
la luce apre le pieghe del lenzuolo
e i risvolti della pubertà,
arde nel camino, le sue fiamme divenute ombre
si arrampicano sui muri, edera di desiderio;
la luce non assolve né condanna,
non è giusta e non è ingiusta,
la luce con mani invisibili innalza
gli edifici della simmetria;
la luce se ne va per un varco di riflessi
e ritorna a se stessa:
è una mano che si inventa,
un occhio che si guarda nelle sue invenzioni.
La luce è tempo che si pensa.
(da Il fuoco di ogni giorno Garzanti, 1992 trad. Ernesto Franco)
Salvatore Toma
Testamento
Quando sarò morto
che non vi venga in mente
di mettere manifesti:
è morto serenamente
o dopo lunga sofferenza
o peggio ancora in grazia di dio.
Io sono morto
per la vostra presenza.
*
Presso mezzogiorno
mi sono scavata la fossa
nel mio bosco di querce,
ci ho messo una croce
e ci ho scritto sopra
oltre al mio nome
una buona dose di vita vissuta.
poi sono uscito per strada
a guardare la gente
con occhi diversi
(da Canzoniere della morte, Einaudi, 1999)
Mariella De Santis
Porta d’ingresso
fummo una porta d’ingresso, un numero civico
che fatico a rammentare, un passaggio in taxi
per le vie di Roma che dell’autunno scroscia
nel grembo delle donne la sottile decadenza.
Non altro nascondono le poetabili foglie d’oro
o le muffe dei funghi se non quel simile umore
che a corpo ancora non freddo si netta
per decente inumazione.
.
Le cose che vanno
Le cose che vanno
non sempre hanno il tempo
di tiepidi addii,
a volte poi sembra vadano
invece restano per sempre
a morire con noi.
.
Punti cardinali
verso sud, dove più tu sei lontano, ci sono io
a est la tua gioia che è sempre per domani
a nord ti fermi anche se vorresti andare
forse a quel sud guardando, da cui fuggo io
e non ci incontriamo mai se non nelle punte
ad ovest di due letti solitari. Continua a leggere