Paolo Ruffilli Variazioni sul tema Aragno, 2014 pp. 252 € 12
Paolo Ruffilli è nato nel 1949. Ha pubblicato di poesia: Piccola colazione (1987; American Poetry Prize), Diario di Normandia (1990; Premio Montale e Premio Camaiore), Camera oscura (1992), Nuvole (con foto di F. Roiter; 1995), La gioia e il lutto (2001; Prix Européen), Le stanze del cielo (2008), Affari di cuore (2011); Natura morta (Poetry-Philosophy Award). Di narrativa: Preparativi per la partenza (2003); Un’altra vita (2010); L’isola e il sogno (2011). Di saggistica: Vita di Ippolito Nievo (1991), Vita amori e meraviglie del signor Carlo Goldoni (1993); La Regola Celeste – Il libro del Tao (2004).

Paolo Ruffilli
Commento critico di Giorgio Linguaglossa
L’opera poetica di Paolo Ruffilli, fin dalla sua prima prova (Piccola colazione, 1987), è stata caratterizzata dalla adozione del verso breve, dal “parlato” e, più che da tematiche, da variazioni su un unico tema: la persona e le persone amate, il loro essere state parte di noi e il nostro essere stati parte di loro. Il “parlato poetico” di Ruffilli ha una fluidità insieme oratoria e a colloquiale, un lessico sobrio, direi quasi prosastico, sempre preciso indirizzato al referente, caratterizzato da una meta ironia più che dalla ironia. Forse è questo il punto di distinzione di Ruffilli rispetto ai poeti che lo precedono sulla via generazionale (per esempio Valentino Zeichen e Patrizia Cavalli). Già di per sé questa mutazione segna una svolta rispetto allo stile “modernistico”, concentrato, ascetico, spesso orfico, ontologico, caratteristico della generazione dei poeti che è venuta in seguito (Giusepe Conte, Tomaso Kemeny, Rosita Copioli e altri). Ma il ritorno dello stile orfico, diciamo così, non è stato in grado di influenzare più di tanto la poesia italiana del tardo Novecento. Dicevamo dello stile “parlato” della poesia di Paolo Ruffilli: infatti tale predilezione stilistica la si incontra sia nella sua poesia come anche nella sua prosa saggistica. In entrambe Ruffilli è un uomo che “parla”. Si potrebbe dire che la sua stessa poesia è in larga misura saggistica versificata e animata dall’energica regolarità degli schemi metrici (ottonari, settenari, senari alternativamente commisti anche a novenari).
La poesia per Ruffilli non è certo magia fonosimbolica, piuttosto è considerata come una opportunità di stabilire un dialogo tra l’autore e il lettore. Nelle sue intenzioni una delle finalità della poesia consiste nel disincantare e disintossicare, raccontando una storia, rievocando una foto, commentando un ricordo.
Oserei dire che il «parlato poetico» di Ruffilli non aspira a essere un sostituto, un surrogato fonosimbolico della realtà, e non è neanche una poesia degli oggetti, anche se gli oggetti ci sono eccome. È piuttosto, del tutto consapevolmente, un commento alla realtà, più osservata a distanza, da fuori e dall’alto, che direttamente vissuta. Ruffilli non è un poeta dell’essere, ma un poeta del pensare, della cogitazione. Nella poesia di Ruffilli le parole non vogliono essere nomenclatura delle cose, né influire su di esse. La coscienza della separazione fra linguaggio e realtà è un presupposto che lo scrittore non dimentica mai. La poesia resta un evento del pensiero e del linguaggio; non cambia niente di ciò che sta intorno a sé. Pensieri e cose, lingua e mondo sono dimensioni separate ma comunicanti. I pensieri del “parlato” si nutrono dei ricordi, di foto, di sensazioni tattili, olfattive, di impressioni etc., e il “parlato” diventa di colpo aforismatico, gnomico, e il registro estetico ne guadagna.
È la cancellazione
progressiva delle
presenze care o note,
il conto che comincia
a non tornare. Il
margine sempre più
sottile, man mano
che si fanno falle
e vuoti tra le file.
È proprio da queste collisioni interne tra piani del linguaggio che si dipanano le sfumature del senso. Osserviamo una foto, rievochiamo un ricordo di famiglia, ed ecco che mille significati vengono comunicati in pochi versi scanditi con grande felicità prosastica. Leggendo questo libro verrebbe da dire che la Poesia sia figlia della migliore Prosa, forse è questo il segreto del “parlato” di Ruffilli, il quale sa che i poeti sono tutto tranne che i «misconosciuti legislatori del mondo», come dicevano i romantici. La poesia va cercata e trovata là dove noi non pensavamo di trovarla: in qualche vecchia foto di famiglia, in qualche ricordo che misteriosamente ci torna alla mente, tra le cianfrusaglie dei cassetti di famiglia, negli oggetti persi e poi ritrovati, oppure semplicemente nel tempo trascorso.
(Giorgio Linguaglossa)

A penna, sul bianco
del cartone,
è appuntata la data:
18 maggio del ‘908.)
(Con l’elmo a punta
e la mantella,
sul cavallo finto.
Contro lo sfondo
cupo, di foresta.
Una mano sul fianco
e l’altra a sostenere
la sciabola, su,
tra testa e spalla.
Ride con qualcuno,
davanti, che – si
suppone l’accompagna.
A penna, sul bianco
del cartone,
è appuntata la data:
18 maggio del ‘908.)
*

(A mezzo busto,
in coppia:
lui con il cappello
di feltro nero
e una sciarpetta doppia
di seta bruna
stretta al collo,
lei un camicione
a strisce da pipistrello
fin sotto al mento.
Uniti, sì, per distrazione.
Guardano, ciascuno
in una direzione.
Si capisce
che tirava vento.)
Lei non voleva,
ma mio nonno d’accordo
con la sua famiglia
preparò le carte
e la sposò,
la vigilia di Natale
del diciotto.
Lei faceva sempre,
suo malgrado, quello
che le si chiedeva.
Fu nella vita,
ciò che non voleva:
serva e moglie
tradita. Sopportò
che il marito
avesse due case
e che le mantenesse
con il suo lavoro.
Non ebbe nulla o
poco di quanto
più sognava.
E pure quel decoro
che sperava
le restò impedito.
Sempre e ovunque
andando, con il dito
sulle mappe,
a caccia del tesoro.
nonostante la parte
che, comunque, manca
al sogno di infinito.
*

labirinto (In fila sullo/ stretto pontile/ dell’imbarco:/ la bambina con i segni/ della maglia, sua/ madre col busto eretto,
(In fila sullo
stretto pontile
dell’imbarco:
la bambina con i segni
della maglia, sua
madre col busto eretto,
il padre in cima
a tutti, nella
tavola inclinata
sul mare che li abbaglia
al varco della sera.
E, dietro, in ancora
lo stemma dei Savoia
trema sulla vela.)
Lui monarchico
in casa socialista,
era la pecora nera
della famiglia.
Sua moglie, sarta,
lo spingeva dicendo
che ci avrebbe
guadagnato più rispetto.
Lui, che era stato
ardito e, poi fascista
della prima ora.
Con un gruppo di amici
si vedeva, per vincere
la noia, a dividersi
l’Europa sulla carta.
Ammazzato con gli altri
sull’argine del fiume,
una mattina presto.
Scovato, dentro al cesto
con le piume d’oca,
sulle tracce della
figlia mentre gioca nel
cunicolo della cantina,
discesa e risalita
fino alla rovina.
*

labirinto aleph
(Quasi calvo,
un viso tondo
segnato da due baffi
folti e scuri.
Nella giacca
di fustagno,
con la striscia
di velluto nero
sul risvolto.
Il padre di mio padre.)
Quest’uomo che non ho
mai conosciuto
e dal quale dipende
la mia vita.
mancato a torto,
credevo, poco o molto
al nostro appuntamento.
Di lui sapevo a stento
che, restato vedovo,
si era risposato
a dispetto di suo figlio
e che, colpito da trombosi,
era rimasto a letto
anni e poi era morto. Continua a leggere →
POESIE DI PAOLO RUFFILLI da Variazioni sul tema (Aragno, 2014) Commento di Giorgio Linguaglossa
Paolo Ruffilli Variazioni sul tema Aragno, 2014 pp. 252 € 12
Paolo Ruffilli
Commento critico di Giorgio Linguaglossa
L’opera poetica di Paolo Ruffilli, fin dalla sua prima prova (Piccola colazione, 1987), è stata caratterizzata dalla adozione del verso breve, dal “parlato” e, più che da tematiche, da variazioni su un unico tema: la persona e le persone amate, il loro essere state parte di noi e il nostro essere stati parte di loro. Il “parlato poetico” di Ruffilli ha una fluidità insieme oratoria e a colloquiale, un lessico sobrio, direi quasi prosastico, sempre preciso indirizzato al referente, caratterizzato da una meta ironia più che dalla ironia. Forse è questo il punto di distinzione di Ruffilli rispetto ai poeti che lo precedono sulla via generazionale (per esempio Valentino Zeichen e Patrizia Cavalli). Già di per sé questa mutazione segna una svolta rispetto allo stile “modernistico”, concentrato, ascetico, spesso orfico, ontologico, caratteristico della generazione dei poeti che è venuta in seguito (Giusepe Conte, Tomaso Kemeny, Rosita Copioli e altri). Ma il ritorno dello stile orfico, diciamo così, non è stato in grado di influenzare più di tanto la poesia italiana del tardo Novecento. Dicevamo dello stile “parlato” della poesia di Paolo Ruffilli: infatti tale predilezione stilistica la si incontra sia nella sua poesia come anche nella sua prosa saggistica. In entrambe Ruffilli è un uomo che “parla”. Si potrebbe dire che la sua stessa poesia è in larga misura saggistica versificata e animata dall’energica regolarità degli schemi metrici (ottonari, settenari, senari alternativamente commisti anche a novenari).
La poesia per Ruffilli non è certo magia fonosimbolica, piuttosto è considerata come una opportunità di stabilire un dialogo tra l’autore e il lettore. Nelle sue intenzioni una delle finalità della poesia consiste nel disincantare e disintossicare, raccontando una storia, rievocando una foto, commentando un ricordo.
È la cancellazione
progressiva delle
presenze care o note,
il conto che comincia
a non tornare. Il
margine sempre più
sottile, man mano
che si fanno falle
e vuoti tra le file.
(Giorgio Linguaglossa)
A penna, sul bianco
del cartone,
è appuntata la data:
18 maggio del ‘908.)
(Con l’elmo a punta
e la mantella,
sul cavallo finto.
Contro lo sfondo
cupo, di foresta.
Una mano sul fianco
e l’altra a sostenere
la sciabola, su,
tra testa e spalla.
Ride con qualcuno,
davanti, che – si
suppone l’accompagna.
A penna, sul bianco
del cartone,
è appuntata la data:
18 maggio del ‘908.)
*
(A mezzo busto,
in coppia:
lui con il cappello
di feltro nero
e una sciarpetta doppia
di seta bruna
stretta al collo,
lei un camicione
a strisce da pipistrello
fin sotto al mento.
Uniti, sì, per distrazione.
Guardano, ciascuno
in una direzione.
Si capisce
che tirava vento.)
Lei non voleva,
ma mio nonno d’accordo
con la sua famiglia
preparò le carte
e la sposò,
la vigilia di Natale
del diciotto.
Lei faceva sempre,
suo malgrado, quello
che le si chiedeva.
Fu nella vita,
ciò che non voleva:
serva e moglie
tradita. Sopportò
che il marito
avesse due case
e che le mantenesse
con il suo lavoro.
Non ebbe nulla o
poco di quanto
più sognava.
E pure quel decoro
che sperava
le restò impedito.
Sempre e ovunque
andando, con il dito
sulle mappe,
a caccia del tesoro.
nonostante la parte
che, comunque, manca
al sogno di infinito.
*
labirinto (In fila sullo/ stretto pontile/ dell’imbarco:/ la bambina con i segni/ della maglia, sua/ madre col busto eretto,
(In fila sullo
stretto pontile
dell’imbarco:
la bambina con i segni
della maglia, sua
madre col busto eretto,
il padre in cima
a tutti, nella
tavola inclinata
sul mare che li abbaglia
al varco della sera.
E, dietro, in ancora
lo stemma dei Savoia
trema sulla vela.)
Lui monarchico
in casa socialista,
era la pecora nera
della famiglia.
Sua moglie, sarta,
lo spingeva dicendo
che ci avrebbe
guadagnato più rispetto.
Lui, che era stato
ardito e, poi fascista
della prima ora.
Con un gruppo di amici
si vedeva, per vincere
la noia, a dividersi
l’Europa sulla carta.
Ammazzato con gli altri
sull’argine del fiume,
una mattina presto.
Scovato, dentro al cesto
con le piume d’oca,
sulle tracce della
figlia mentre gioca nel
cunicolo della cantina,
discesa e risalita
fino alla rovina.
*
labirinto aleph
(Quasi calvo,
un viso tondo
segnato da due baffi
folti e scuri.
Nella giacca
di fustagno,
con la striscia
di velluto nero
sul risvolto.
Il padre di mio padre.)
Quest’uomo che non ho
mai conosciuto
e dal quale dipende
la mia vita.
mancato a torto,
credevo, poco o molto
al nostro appuntamento.
Di lui sapevo a stento
che, restato vedovo,
si era risposato
a dispetto di suo figlio
e che, colpito da trombosi,
era rimasto a letto
anni e poi era morto. Continua a leggere →
7 commenti
Archiviato in poesia italiana contemporanea
Con tag giorgio linguaglossa commenta la poesia di Paolo Ruffilli, POESIE DI PAOLO RUFFILLI da «Variazioni sul tema», variazione sul tema di paolo ruffilli