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Edipo è stato sostituito da Vivian Lamarque e dagli influencer, il Principe di Salina è stato sostituito dal commissario Ingravallo e il Presidente del Consiglio Draghi dalla Meloni con i suoi accalappiacani. Con il che l’essere si allontana indefinitamente e l’Esserci non sa più che pesci prendere, non abbiamo più un linguaggio poetico con cui trattare questi argomenti, e così il linguaggio poetico rischia di andarsene a ramengo – Poesie di Francesco Paolo Intini, Antonio Sagredo, Lucio Mayoor Tosi, Commenti di Marie Laure Colasson, Giorgio Linguaglossa

Penelope che di giorno fila la tela e di notte la sbroglia è una mentitrice, al pari del suo congiunto Odisseo che ha inventato la menzogna quale struttura ermeneutica e comunicazionale, difensiva-offensiva. Dall’itacense e da Penelope il mondo (cioè il linguaggio) ha adottato la menzogna come una forma di organizzazione del discorso (del logos). Entrambi, Penelope e Odisseo, sono i protagonisti primordiali di questa rivoluzione del mondo (leggi linguaggio). Di qui la ressa dei significati che vengono legittimati e codificati e de-legittimati e sbrogliati tramite la politica. La politica è diventato il regno del logos, della disinformatzia, delle opinioni di parte, degli interessi di parte, delle ideologie. Il logos stesso è diventato di parte. I significati sono anch’essi di parte. Credere ad un significato inconcusso è un atto di ingenuità oltre che di falsa visione del mondo. E questo inquinamento del linguaggio avvenuto in tempi primordiali lo possiamo dire noi a buon diritto dopo Auschwitz e la guerra di invasione dell’Ucraina. Ne deduco che la poiesis debba prendere le distanze critiche dal significato, da ogni significato. E andare oltre, «fuori  significato», saltare oltre l’ombra delle parole.
Fare una poiesis del significato claro e acclarato oggi lo considero un atto di ingenuità e di superstizione.

(Marie Laure Colasson)

Francesco Paolo Intini

FRITTAGLIE
La coscienza si vide trascinare in terrazza
Fu lì che scrisse agli uomini terribili.

Doveva essere bella e spaziosa come l’occhio di Giove
per accogliere i pianeti sottostanti
su tappeto rosso sangue.

Perché suonare la tromba
per delle pentole a pressione?

Scese la Luna come rappresentante di profumi
ma se ne stette in un angolo per svanire senza storia
perché nessuno poteva credere a limousine e canzoni d’amore.

Le fondamenta devono toccare il cuore
senza sfiorare la segatura del micio.

Ecco Marte che non finge correlativi
Sgomitare tra nuvole e sbarazzarsi delle radici.

Si vedono xylelle armeggiare gru
Ed ascensori progettare cannoni.
Cos’è successo al ferro dei pilastri?

Le balene bianche sembrano piuttosto irrequiete.
Di solito vendono pomate in Africa
e le recuperano su navi al largo di Venere.

Aorta che grida all’impostura:
Ah il tagliagola della vena porta ha colpito ancora!

Ulivo che non comprende la concorrenza
Dei granchi blu.

Domande che strisciano in corpi di mamba
come poliziotti dentro casa
alle cinque del mattino.

.

Lucio Mayoor Tosi

Instant poetry metafisica

Mi piace il tempo presente, ti va di parlarne?

Ascolta. Si aprono centimetri alla volta celeste.
Scrivi valore, valore. Altrimenti sposami.

Per chi voglia raccapezzarsi un po’ circa il problema dell’io, legga di Sergio Benvenuto qui:

https://drive.google.com/file/d/1Xm3mhJBdNl8AkyG0n9nsxx9KLUZ_PA29/view?pli=1

Nella poesia di Francesco Paolo Intini abbiamo la esemplificazione della destituzione dell’io sostituito dalla «metodologia delle equivalenze», ovvero, delle multipresenze che sostituiscono lo shifter dell’io all’interno delle proposizioni creando un gigantesco crash, un effetto di effetti, esplosioni terroristiche che avvengono in una città assediata senza che nessuna polizia riesca a rimettere in ordine e in sicurezza la città. È esattamente questo il Collasso del Simbolico, che non si può rappresentare se non per via indiretta e in diagonale, dove le parole vengono sottratte al logos assertorio in quanto dipendenti esclusivamente dall’entanglement e dal correlativo casuale, ovvero, dall’ossessione suicidaria delle parole.

Antonio Sagredo

Dove va la poesia contemporanea?

Va dove non c’è il Poeta. Là dove non esiste Lei stessa.
Va dove non deve andare. Va dove meno te lo aspetti.
Va dove non c’è nessun dove.
Semplicemnte: va.
Va dove c’è uno Spazio e non esiste il Tempo.
Va dove non esiste alcuna dimensione come la intendono i “terrestri”. Va dove c’è una tendenza che la giustifichi: Poesia e tendenza sono la medesima cosa. meglio creatura.
Là dove la Vita e la Morte (come la intendono gli umani-terestri)
non esistono nemmeno come parola: dove per il termine “definizione” non v’è alcuna diemnsione p spazio possibile.
Va, semplicemnte va, anche senza il Poeta che la contiene o è semplicemente assente, perché fra assenza e presenza non vi è distinzione.

Va, semplicemente va…

Doveva essere il secolo breve

Le guerre dovevano durare il tempo di un lampo. C’era ancora un orizzonte. Si pensava che l’umanità prima o poi sarebbe stata redenta. E invece il secolo non smette mai di finire. I conflitti si spostano, mutano, si verificano in ogni parte della Terra, si smaterializzano, scompaiono, ricompaiono, sembrano specchi per le allodole, e invece sono specchi ustori. E l’orizzonte non si è avvicinato nemmeno di un passo, anzi, sembra essersi allontanato (questa questione dell’orizzonte mi sembra una cosa davvero seria!), Edipo è stato sostituito da Vivian Lamarque e dagli influencer, il Principe di Salina è stato sostituito dal commissario Ingravallo e il Presidente del Consiglio Draghi dalla Meloni con i suoi accalappiacani. Con il che l’essere si allontana indefinitamente e l’Esserci non sa più che pesci prendere, non abbiamo più un linguaggio poetico con cui trattare questi argomenti, e così il linguaggio poetico rischia di andarsene a ramengo. Per cambiare di segno a questa fine che si trascina senza mai finire occorre individuare degli indizi (le prove le stiamo cercando). Siamo così giunti all’ultima spiaggia, siamo nel campo dell’Ereignis inteso come rapporto dei rapporti o relazione delle relazioni, o relazione indiziaria. Ogni differenzialità e relazionalità, per quanto pure, sono, per Agamben, già da sempre inscritte nel pensiero occidentale – almeno a partire da Aristotele. Resta però il fatto che Aristotele è stato sostituito con il ministro Sangiuliano e dal valletto Sgarbi. Resta il fatto che alla poesia oggi non resta altro che avere a che fare con gli sgarbi e gli sgorbi.
La «nuova poesia» va alla ricerca di questi minimi indizi, è una poesia indiziaria, nei suoi momenti più riusciti è uno sguardo dal di fuori, rivela l’alterità irriducibile della poesia e l’estraneità e l’intramontabilità del mondo, il mondo non tramonta mai, semmai è l’uomo a tramontare e a periclitare, sembra essere proprio qui, proprio nella forma della destituzione di ogni relazione e di ogni relatività, che si snoda, dalla forma-di-vita all’«ontologia modale», ci dice Giorgio Agamben, quella «ontologia modale» che ci rende liberi come uccellini nel bosco, che ci sottrae alla «terra» heideggeriana e ci getta nella terra di nessuno di nessuna ontologia, ovvero, di una «ontologia del pressappoco».

(Giorgio Linguaglossa)

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Appunti intorno a una gallina Nanin e a una pallottola, libro di Gino Rago, a cura di Marie Laure Colasson, Storie di una pallottola e della gallina Nanin, Progetto Cultura, 2022, La poesia kitchen è l’esempio più eclatante di una poesia rimasta senza parole. In realtà il poeta di oggi non ha nulla da dire: nessun messaggio, niente di niente tranne la scatola vuota del vuoto che è l’io, quell’io che è la quintessenza della metafisica della volontà di potenza e del mondo come volontà e rappresentazione

la realtà oggettiva del linguaggio è una realtà coscrittiva

la lingua non esprime fenomeni psicologici,
non riflette ciò che il parlante vuole, immagina o pensa,
la lingua sta fra i singoli parlanti, come l’acqua fra i pesci del mare

È la condizione di Emergenza che determina la «rivoluzione»
È la condizione di Emergenza che determina il «nuovo politico»
È la condizione di Emergenza che determina la «nuova poiesis»

(Giorgio Linguaglossa)

Cover Gino Rago Gallina Nanin

Gino Rago è nato a Montegiordano (Cs) nel 1950 e vive tra Trebisacce (Cs) e Roma. Laureato in Chimica Industriale presso l’Università La Sapienza di Roma è stato docente di Chimica. Ha pubblicato in poesia: L’idea pura (1989), Il segno di Ulisse (1996), Fili di ragno (1999), L’arte del commiato (2005),  I platani sul Tevere diventano betulle (2020). Sue poesie sono presenti nelle antologie Poeti del Sud (2015), Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2016). È presente nel saggio di Giorgio Linguaglossa Critica della Ragione Sufficiente (Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2018). È presente nell’Antologia italo-americana curata da Giorgio Linguaglossa How the Trojan War Ended I Dont’t Remember (Chelsea Editions, New York, 2019) e nella Antologia Poesia all’epoca del covid-19 La nuova ontologia estetica (Edizioni Progetto Cultura, 2020) a cura di Giorgio Linguaglossa. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nella Agenda 2023 Poesie kitchen edite e inedite (2022)  . È presente nel libro di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.  Nel 2022 pubblica Storie di una pallottola e della gallina Nanin, è nel comitato di redazione della Rivista di poesia, critica e contemporaneistica “Il Mangiaparole” ed è redattore delle Riviste on line “L’Ombra delle Parole”

.

Appunti intorno a una gallina Nanin e a una pallottola

di Marie Laure Colasson

Gino Rago con Storie di una pallottola e della gallina Nanin (Progetto Cultura, Roma, 2022) edifica una «anti-grammatica» di una «anti-avanguardia», la sola cosa oggi possibile ad un poeta che non voglia arrendersi ad un discorso di nicchia, da prigione dorata, e lo fa attraverso una ridefinizione del linguaggio poetico visto come un meccanismo di Escher teso a disarticolare le relazioni di tempo e spazio e la consequenzialità logica e unilineare nella narrazione a vantaggio di una «concezione figurativa del linguaggio poetico» la quale, smascherando la vulgata corrente della enigmaticità del mondo, la esplica, con Wittgenstein, all’evidenza della mera fatticità del mondo che il linguaggio ha solo la funzione di rappresentare mimeticamente. In questo modo, il poeta di Trebisacce opera alla stregua di un demiurgo che costruisce una propria anti-metafisica come pratica di letteralità del linguaggio e della sua condizione di prigionia che costringe il soggetto ad un perenne girare a vuoto; così operando Rago mette in piedi un macchinario celibe, smaschera, indirettamente e implicitamente, la prigione dorata della poesia elegiaca che crede ingenuamente di poter sopravvivere nell’epoca del Collasso del Simbolico e della Catastrofe permanente. In questo modo denuncia, indirettamente e implicitamente, l’illusione della narrativa del consenso cultural-mediatico che si nutre di narrazioni trolliste e usufritte funzionali alla conservazione dell’assoggettamento del soggetto e del suo linguaggio allo status quo permanente.

Soltanto la «forma-polittico»con l’impermanenza dei suoi costrutti e con i suoi meccanismi di distanziamento e di straniamento del discorso poetico attraverso tecniche retoriche d’interruzione, détournement, entanglement e peritropè, evidenzia lo stupore per un’impossibile uscita del linguaggio poetico dal linguaggio. E mostra che il Re è nudo. È lo stupore che guida le peripezie e le acrobazie della «gallina Nanin» e della «pallottola» nei loro andirivieni. La  «poesia-polittico» di Gino Rago è un work in progress della fortune-telling book, un coacervo di bisbidis di quisquilie e di filosofemi, di pos-it, di appunti sul verso e sul recto di cartoline postali, di poscritti su attaches, di appunti smarriti e poi ritrovati, di calembour e di giochi di prestigio. Tutto ciò sull’altare desacralizzato di una «gallina» e di una «pallottola» sparata a casaccio dal commissario Ingravallo, che esce dal romanzo di Gadda e se ne va a zonzo a seminare discordia ed equivoci plurimi.

L’andatura apoplettica della «nuova poesia» è fatta di vacillamenti, di zoppicamenti, di passi all’indietro (ma dove?); un passo in avanti e due all’indietro. Si va per passi laterali, per tentativi, per scorciatoie, per smottamenti laterali, e ribaltamenti e ritrosie, per tracciamenti di sentieri che si rivelano Umwege e ritracciamenti all’indietro, di lato… È che non essendoci più una fondazione sulla quale fondare il discorso poetico, anch’esso se ne va ramengo, senza un mittente e senza un destinatario, contando unicamente sulla destinazione: si invia, si destina qualcosa a qualcuno pur sapendo che non giungerà nulla a nessuno, la destinazione è priva di destino, si vive alla giornata seguendo il Principio Postale, la spedizione della cartolina, delle cartoline.

La «forma polittico» è una sommatoria di cartoline, di invii, di rinvii, di post-it, di scripta improvvisati. Si tratta di un meccanismo di invii e di tracciati destinati allo sviamento e all’evitamento, dove il messaggio, che reca impresso il desiderio, la pulsione, non arriva mai a destinazione in quanto per definizione freudiana inibito alla meta, e il Principio di Piacere che ha prodotto il desiderio approda infine al Principio di Realtà. E così facendo perpetua il meccanismo di riproduzione del capitale del piacere non ottenuto mediante la riproduzione del piacere in piacere sublimato, piacere tras-posto, tras-ferito.

Il mondo è raffigurabile ma non rappresentabile sembra dirci Gino Rago se non attraverso una struttura polifrastica aperta che si snoda mediante continui cambi di passo e di direzione e veri e propri smash, attraverso cambi di ritmo, improvvise accelerazioni e susseguenti decelerazioni nella convinzione che il soggetto è un congegno molteplice e moltiplicato che conosce la moltiplicazione e la diversificazione continue. La «struttura a polittico» non può che ripetere la «struttura del Labirinto» e la «struttura del soggetto» ed è, di fatto, una struttura circolare che ci riporta sempre al punto di inizio. Una mera illusione.

La poesia kitchen è l’esempio più eclatante di una poesia rimasta senza parole. In realtà, il poeta di oggi non ha nulla da dire: nessun messaggio, niente di niente tranne la scatola vuota del vuoto che è l’io, quell’io che è la quintessenza della metafisica della volontà di potenza e del mondo come volontà e rappresentazione. Quella metafisica è giunta al capolinea. E con essa tutta l’argenteria e l’oreficeria della poesia della tradizione lirica. Quella argenteria, però, è oggi inservibile. Un poeta consapevole lo sa, non può non saperlo.

Poesie di Gino Rago

Marie Laure Colasson interpella la scultura: l’uccello Petty
posata sopra il comodino a destra del soggiorno
dell’appartamento in affitto sito in Roma, Circonvallazione Clodia n. 21
accanto ad un volantino color turchese
e una molletta per i panni.

L’uccello Petty:
«Egregio critico Linguaglossa,
la informo che
la “Bestia” di cui parla il Conte di Kevenhüller
l’ho catturata io, è un sedicente poeta elegiaco,
una vera canaglia,
le cui auto pubblicazioni oscillano fra lo “Specchio” Mondadori
e la collana bianca dell’Einaudi,
l’ho chiusa a chiave nella toilette dell’atelier di Piero Tevini
sito in questo stabile al piano quinto.

Resto in attesa dei 49 milioni di euro a suo tempo trafugati
dalla Lega lombarda di via Bellerio;
mi sto preparando
per la cerimonia della targa all’ex Presidente della Repubblica
Carlo Azelio Ciampi …
ma che è che non è la squadra omicidi del commissariato del dott. Ingravallo
ha manomesso il nome deturpandolo,
allora la sindaca dell’Urbe,
la Raggi,
ha reclamato essere stata oggetto di un complotto
ordito dalla Lega lombarda e da Fratelli d’Italia per detronizzarla
dalla carica di sindaco
e far decollare la candidatura della leghista Irene Pivetti
– l’ex Presidente della Camera dei deputati –
per le elezioni del sindaco di Roma Capitale
e così infliggere un colpo mortale ai 5Stelle.

Il Conte di Kevenhüller
ha già ordinato alla Tesoreria Generale della Banca d’Italia
di corrispondere 49 milioni di euro
a chi colpirà la “Bestia”,
somma che verrà corrisposta al Regio Cassiere
don Antonio Porta
per il tramite del direttore dell’Ufficio Affari Riservati
di via Pietro Giordani, 18.

Allora, accade che il pentastellato Lucio Mayoor Tosi
abbia contattato il filosofo Žižek
il quale ha appena affibbiato un ceffone in pieno viso
al segretario della Lega lombarda,
tale Salvini,
ben noto al commissariato del dott. Ingravallo
in quanto reo di aver baciato in pubblico il rosario
della Madonna Santissima Addolorata
dopo aver deglutito alcuni panini alla mortadella e alla porchetta di Ariccia,
pregandolo di risolvere a suo modo la questione.
Allora, Žižek
ha telegrafato al commissario Ingravallo
intimandogli di sortire fuori dal romanzo
di Carlo Emilio Gadda
e di assumere servizio presso il commissariato della Garbatella
in subordine al commissario Montalbano
il quale ha risolto il caso chiamando in servizio operativo
nientemeno che il filosofo Giorgio Agamben
il quale ha scritto una interpellanza al Presidente del Consiglio Mario Draghi
il quale a sua volta ha ordinato al Generale Figliuolo
di intercedere presso la Santa Sede per via della
Madonna Santissima Addolorata
baciata dal nominato Salvini sul pubblico palco del “Papeete”
quando i sondaggi lo davano al 34%
mentre il nominato chiedeva «pieni poteri» per poter risanare
l’Italia…
La storia non finisce qui, potrebbe continuare, ma noi la vogliamo
interrompere qui…».

Sarà quel che sarà, ai posteri l’ardua sentenza. Continua a leggere

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