DIECI POESIE INEDITE di Ubaldo de Robertis da Parte del discorso (poetico)

rené magritte

rené magritte

 Ubaldo de Robertis è nato a Falerone (FM) nel 1942 e vive a Pisa. Ricercatore chimico nucleare, membro dell’Accademia Nazionale dell’Ussero di Arti, Lettere e Scienze. Nel 2008 pubblica la sua prima raccolta poetica, Diomedee (Joker Editore), e nel 2009 la Silloge vincitrice del Premio Orfici, Sovra (il) senso del vuoto (Nuovastampa). Nel 2012 edita l’opera Se Luna fosse… un Aquilone, (Limina Mentis Editore); nel 2013 I quaderni dell’Ussero, (Puntoacapo Editore). In corso di pubblicazione: Parte del discorso (poetico), del Bucchia Editore, 2014. Ha conseguito riconoscimenti e premi. Sue composizioni sono state pubblicate su: Soglie, Poiesis, La Bottega Letteraria, Libere Luci, Homo Eligens. E’ presente nei blogs di poesia e critica letteraria, Imperfetta Ellisse, e Alla volta di Leucade. Ha partecipato a varie edizioni della rassegna nazionale di poesia Altramarea. Di lui hanno scritto: F. Romboli, G.Cerrai, N. Pardini, E. Sidoti, A. Spagnuolo, P.A. Pardi, M. dei Ferrari, V. Serofilli, F. Ceragioli, M.G. Missaggia, M. Fantacci, F. Donatini, E.P. Conte, M. Ferrari, L. Fusi.

E’ autore di romanzi Il tempo dorme con noi, Primo Premio Saggistica G. Gronchi, (Voltaire Edizioni), e L’Epigono di Magellano, (Edizioni Akkuaria).

da Parte del discorso (poetico) di prossima pubblicazione

Ubaldo de Robertis

Ubaldo de Robertis

I

Gli incomodi pensieri ho spedito
lontano dalla vista che tra i sensi
fruisce del più ampio raggio
oltre lo spazio che tutto avvolge
oltre l’aria greve opprimente
per sentirmi redento libero
di meditare su ciò che mi attende

Ma anche il meno inquietante
al suo rivelarsi quello più fuggevole
e vago non fa che ripresentarsi.

Tutti. Tutti sono tornati
per farmi diventare cieco

 

II

E guardi il mare quieto dall’alto con occhi di gabbiano
diffidente da vicino lo vedi spumeggiare
di moti impercettibili corpi minuti si confrontano
divergono s’infrangono senza tregua ora qua ora là
in ogni orientamento in ogni dove onde luccicanti
al sole come mosse da un vento invisibile che soffia
in superficie dove nulla permane di ciò che sull’acqua cammina
niente di sé conduce l’onda marina solo l’eterno scivolare
non è un oggetto non ha argomenti la chiara identità
degli scogli delle sabbie finissime è solo un fluire di eventi
al pari del tuo corpo nudo fatto di incostanti molecole
e più l’onda s’appressa più l’animo trascende l’attimo
appena vissuto prima di sciogliersi nuovamente in mare

Chiedersi se la mente sia la rada dove ammarano
i gabbiani il porto che si lascia crudelmente insabbiare
da voci rauche grevi sentimenti in un solo pensiero
ecco perché il mondo temi oltre la boa oltre l’azzurro
profondo, il fosco remigare, l’ illusorio orizzonte.

III

Tutto lo spazio reca l’assenza
Ombre sui libri
Nemmeno Shakespeare riluce
Qui
non si nomina dio

Sono estraneo io
a tutti a tutto

Fuori piove a dirotto
ed io sto diventando un’Isola

.

.
IV

(La Terra Promessa)

Muore sulle barricate il mio tempo
nudo come l’ailanto grigio cenere
ha perso sgradevoli foglie l’inverno
si veste del pallore dei muri
l’indugio del merlo sul roseto esangue
come se non avessi mai amato
il rosso struggente della rosa
come se non avessi mai pianto
quando alta si aggirava la musica
e guardinga la poesia che le distanze colma
e si fa senso per sondare l’ambiguo raccapriccio della vita
lascia che sia finita che le voci
giungano assordite che si pieghi a terra l’albero
e si perdano gli occhi ad inseguire
la processione di formiche esultanti
il tripudio dei vermi e dei bruchi
tutti in marcia verso la terra promessa

 

magritte Un an avant sa mort, il composa «Du vert et du blanc », qui représente une vision apocalyptique

magritte Un an avant sa mort, il composa «Du vert et du blanc », qui représente une vision apocalyptique

V

Ho quasi consumato
la materia di cui sono fatto
ricadrò in avanti o all’indietro
dopo aver compiuto
il massimo tragitto
fortemente curvato
sprofonderò su di me
crollerò sotto il peso
delle mie ossa
e non potrò sfuggire
nulla di me potrà uscire
da quella porta
si può solo entrare
neppure la luce
di cui erano fatti i miei occhi
USCIRA’
non ha sufficiente velocità
per sottrarsi all’attrazione esiziale
il tempo stesso rallenterà
il suo corso
fino ad arrestarsi
qualcuno di quelli che hanno ruotato
accanto a me
prossimi all’azzurra sfera
dei miei sogni
scorterà ciò che ho soltanto immaginato
ospiterà il mio presente
il mio passato
dentro la propria sfera
verso il proprio verde lontano personale futuro

 

VI

Come furfanti s’ammassano gli anni
ma non sarà l’inverno cupo e sciatto
a schiantarti il respiro striscia il gatto
tra i tuoi piedi nudi simula sbadiglia
se ne distacca per ritornarvi lento
non sono gli arti il luogo
che il movimento avvolge morbido lieve
Il luogo è il tempo e sempre ti sorprende
l’idea di sottrarti arginando la vita
la suggestione di esistere un attimo di più
come se l’orditura dei giorni
l’uno vicino all’altro fitti stipati
possa farti dimenticare
che sarai tu a crollare muso a terra
dentro la cenere del mondo

 

ubaldo de robertis

ubaldo de robertis

VII

La luce meridiana riveste di eccessivo ardore
l’astuta moltitudine dei girasoli
lo stelo dritto fino al crepuscolo
inchiodato ognuno alla sua zolla di terra
l’ora in cui appare la paura
che si raffreddi l’ardente vita
l’esistente riaffiora dai clamori di un tempo
intermittenti languori la logorante intesa
di non parlarne prima della resa
che si consuma con servili mestizie

Le povere consumate notizie di te stesso

.
VIII

A capo chino come un’abitudine
tra vecchi caseggiati luoghi abitati
da ombre rigide ti sfiorano nessuna
che si distingua non avverti nei vicoli la distanza
dei passi che dentro vi risuonano
ovunque ti inabissi in disparte
dopo aver condiviso il tanfo dei bistrò
che attanaglia la gola

che tu voglia soffermarti o no
gli altri avvisi del tuo passare
soltanto per soliloqui

magritte rené

magritte rené

 

 

 

 

 

 

IX

Arno A Percy Shelley

Clamori di gocce che i larghi fianchi
sfiorano per nutrirsi d’ossigeno
sul greto grigio incombono verità
come rughe del volto che si specchia
in acque chiare dove cavalli scalzi
abbeverano le fronti umide e strette chiglie
da un medesimo vento sospinte
costeggiano pigramente le rive

Ho affittato una barca per scoprire alla foce
quale mare seppure sconvolto
mi darà il vantaggio di decidere
se invertire la rotta o perdermi
dove muore il fiume nell’infinita disventura

 

X

Ruotare attorno ad una stella
pianeta di luce sospesa
abbandonando il punto
L’origine

Dentro l’arcobaleno si vive
di un tepore sottile
coscienza nuova che imprime
nuova vita l’amore.

Lo sento l’amore all’ombra
delle cinque lune tenui
luminosità sulla pelle nuove possibilità

Nuove intenzioni.
Movimento cambiamento.
Attorno ruotare attorno

Nella realtà nulla accade
niente in quel punto in quel giorno
fissato per il mio ritorno

67 commenti

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67 risposte a “DIECI POESIE INEDITE di Ubaldo de Robertis da Parte del discorso (poetico)

  1. La prima considerazione è questa: che la poesia di Ubaldo de Robertis sia ancorata attorno all’endecasillabo e all’onda sonora dell’endecasillabo. La seconda considerazione è che l’onda sonora fluisce indisturbata di poesia in poesia, infatti quasi non ci sono i punti finali tra una poesia e l’altra. La terza è che nella poesia di de Robertis si intuiscono grandi spazi, i luoghi non sono mai determinati ma disseminati, sembrano trasmigrare da uno spazio all’altro, di qui la predilezione per il mare e i paesaggi marini, per eccellenza liquidi, i gabbiani, le barche, la foce etc. La luce è «luce meridiana» che investe lo spazio là dove il «tempo» sembra arrestarsi:

    il tempo stesso rallenterà
    il suo corso
    fino ad arrestarsi

    L’io sembra defluire e dissolversi e restare indeterminato. È una tipica procedura della poesia lirica; de Robertis non si propone di rivoluzionare la lirica ma di concentrare le sue forze in un discorso compatto, nel quale i versi fluiscono a solenoide, l’uno nell’altro, l’uno oltre l’altro, fino a disegnare la figura di un «labirinto» dal quale l’io non può uscire se non per trasmigrare in un altro tempo e in un altro spazio. Ecco spiegato l’impiego di certi versi all’infinito (che è una declinazione dell’inazione del verbo):

    Ruotare attorno ad una stella
    pianeta di luce sospesa
    abbandonando il punto
    L’origine

    Di qui anche l’uso di certe immagini irrrealistiche come l’arcobaleno:

    Dentro l’arcobaleno si vive
    di un tepore sottile
    coscienza nuova che imprime
    nuova vita l’amore.

    Direi, a prima vista, che è una poesia dove non avviene niente (tipico della poesia lirica) se non la fenomenologia di una attesa estatica e panica affidata a certi verbi riflessivi «si vive»…

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    • Per tutti questi motivi mi piace, potrei persino dire che mi piace molto.
      Giorgina BG

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    • Ambra Simeone

      caro Giorgio cosa c’è di diverso tra la poesia di De Robertis e quella di un Magrelli? è simile persino negli stessi attacchi, faccio alcuni esempi:

      Ruotare attorno ad una stella
      pianeta di luce sospesa
      abbandonando il punto
      L’origine
      (De Rober)

      Scrivere come se questo
      fosse opera di traduzione,
      di qualcosa già scritto in altra lingua.
      (Magr.)

      La luce meridiana riveste di eccessivo ardore
      l’astuta moltitudine dei girasoli
      (De Rober)

      La morte a volte trapela
      se còlta nei suoi gesti più abituali
      (Magr.)

      Come furfanti s’ammassano gli anni
      ma non sarà l’inverno cupo e sciatto
      a schiantarti il respiro striscia il gatto
      (De Rober)

      Come un martire esposto al transito del tempo
      l’orologio celebra il patimento
      e gli dà forma nel quieto sacrificio
      rotatorio.
      (Magr.)

      l’unica differenza molto importante però è che nella poesia di Magrelli “avviene qualcosa”, si dice qualcosa, si arriva ad un senso; mentre come dicevi tu stesso la poesia di De Robertis “a prima vista, è una poesia dove non avviene niente”. Inoltre aggiungerei che la poesia di Magrelli si è sviluppata, queste poesie esempio sono state pubblicate negli anni ’80/90 di De Robertis ammetto non ho letto altro!

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      • Gentile Ambra,
        permettimi di rilevare le differenze tra le poesie che tu confronti, rispettivamente di De Robertis e di Magrelli (differenze, non superiorità dell’uno o dell’altro, sia ben chiaro),
        *
        Nell’aspetto formale:
        *De Robertis segue uno schema metrico tradizionale, in cui si alternano endecasillabi, novenari, settenari, in strofe talora chiuse da un verso molto breve (quaternario), come presso i lirici greci.
        *I versi di Magrelli hanno ritmo, ma sono tutti o quasi di lunghezza diversa, cioè non segue nessuno schema.
        *
        Negli incipit:
        Entrambi iniziano una poesia con verbo all’infinito o un soggetto femminile preceduto dall’articolo. però anche Montale scrive: “Meriggiare…”, oppure: ” La vita…”, “La storia…” e non si può dire che egli sia simile a De Robertis o Magrelli. Idem per l’incipit “Come”, che di trova negli incipit di molti poeti celebri: “Come colombe dal desio chiamate…”.
        *
        Che succeda o non succeda qualcosa nella propria poesia è una scelta individuale.
        La data di pubblicazione del libro non influisce su ciò che ho sostenuto.
        Un caro saluto

        Giorgina

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        • Ambra Simeone

          Cara Giorgina,

          anche io non ne faccio una questione di superiorità, non saprei dire se esiste in poesia la superiorità o meno di un poeta nei confronti dell’altro, ognuno parte dai propri presupposti e arriva ai propri obbiettivi.

          Purtroppo le differenze che mi fai notare non le trovo sostanziali. Si tratta dello schema metrico dell’endecasillabo che non ha nulla di rilevante per quanto riguarda il senso del testo (anzi a mio parere lo rovina) infatti come dice Giorgio in questa poesia non avviene niente, quanto agli attacchi sono uguali come osservi anche tu, uguali a tutta una tradizione poetica del Novecento per cui mi chiedo:

          cosa c’è di realmente diverso criticamente ed esteticamente (perché io davvero non riesco a vederlo) tra questi due poeti?

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          • Cara Ambra,
            io non ho scritto quello che pensi tu, se mi scrivi che “lo schema metrico dell’endecasillabo che non ha nulla di rilevante per quanto riguarda il senso del testo”. Quando mai!
            Ho fatto una distinzione ben precisa tra metrica e contenuto (“non succede nulla”) differenziando i vari punti con gli asterischi e con gli spazi..
            Non mi aggrappo a Giorgio (in senso metaforico, ben s’intende) perché ragiono con la mia mente, pur apprezzando molto lui.
            Mio spiace ricordare che il verso “Come colombe…” non è del Novecento!!!
            Se molti, compreso Montale e altri poeti, scrivono poesie con “incipit” come quelli da te citati per De Robertis e Magrelli, ciò non significa che non ci sia nulla di nuovo sotto il sole.
            L’argomento del tuo scritto che ho criticato era la somiglianza/uguaglianza tra De Robertis e Magrelli, per restare in tema.
            L’endecasillabo non è l’unico in questione, a parte il fatto che De Robertis non scrive in soli endecasillabi come Dante nel Poema.

            Un caro saluto
            Giorgina

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      • cara Ambra,

        la mia osservazione sull’uso dei verbi all’infinito da parte di de Robertis non voleva essere una constatazione di valore ma un rilevamento di come un certo uso dei verbi all’infinito sia in connessione con una poetica precisa, ed è in relazione con il modo in cui questa poetica viene sviluppata nella concretezza della poesia che deve essere letta quella mia osservazione. Anche nell’Infinito di Leopardi non succede nulla, ma ciò non toglie che sia una grandissima poesia.
        Quello che io imputo alla poesia di Magrelli non è certo l’impiego dei verbi all’infinito, qui il capo di imputazione, se così di può dire, è altro: è la dipendenza di questa poesia dai fatti di cronaca e che essa si pone come commento ai fatti di cronaca rosa o nera che sia. E poi la poesia di Magrelli non fa testo, non è un tipo di poesia che io considero significativa o di qualità, è una poesia che si nutre parassitariamente delle tematiche che adotta. Il suo è un non-stile, una scrittura traducibile e immediatamente comprensibile, è, in sostanza, una mera informazione.
        E poi non ritengo sia utile mettere a confronto la poesia di de Robertis con quella di Magrelli, non è una cosa criticamente seria fare confronti tra un poeta e l’altro. Dal punto di vista critico ogni poeta va preso per sé.
        Con la poesia del Magrelli degli anni Novanta siamo entrati ne “la democrazia universale della rappresentazione”, ovvero, il rappresentato è il denotatum, non c’è più mistero, tutto è chiaro, tutto è informazione. Questo tratto distintivo della poesia (ma anche del cinema e delle arti visive per non dire del cinema degli anni Novanta fino ai giorni nostri) del post-minimalismo è quello che ancora oggi affascina per la sua rapidità di lettura e di decodificazione. Per fortuna, oggi, in piena crisi di recessione spirituale ci siamo accorti che quella rappresentazione informazionale era fallace, era un ideologema.

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        • Condivido in pieno lo scritto di Giorgio Linguaglossa. Aggiungo di mio che usare il verbo all’infinito permette di lasciare l’azione non definita nel tempo, quindi quasi continua nel tempo dei mortali (dire “eterna” sarebbe eccessivo).
          GBG

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        • Ambra Simeone

          caro Giorgio,

          sì è vero ogni poeta va preso a sé. Io però di fronte a una capacità formale (scrivere in endecasillabi) e ad una capacità espressiva e di potenza comunicativa metto davanti (per quanto riguarda me) la seconda! A prescindere da ciò la lettura delle poesie è stata gradevole, ma me ne sono stata tranquilla, tranquilla sulla mia sedia senza avere un minimo di tentennamenti, sapevo esattamente cosa stessi leggendo e da dove venisse, tutto qui!

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  2. Infatti, d’accordo con le osservazioni di Ambra, d’accordo con le inerenti osservazioni formalistiche (che per me non aiutano a migliorare la poesia) della signora Giorgina Busca Gernetti, e d’accordo con la più importante (per me) osservazione di Giorgio. . .”in queste poesie non avviene niente”,
    la mia osservazione è che non avviene nlente perché le poesie sono fiacche, qua e là abbastanza di tono prezioso, immagini sgangherate, e
    statiche. Il mio vecchio detto è: se non si muove non è poesia.
    La poesia di Magrelli non è mai statica.

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    • Ambra Simeone

      Caro Alfredo e caro Giorgio,

      le mie osservazioni infatti erano in pieno accordo con quanto detto che questa poesia non muove nulla di nuovo né di diverso. Il confronto era dovuto perché essendo così simili non capivo la differenza a livello critico.. e ancora non la capisco!

      Alla Signora Giorgina dico che come al solito non ha capito cosa intendevo dire, ma non fa niente! 🙂

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    • Caro Alfredo De Palchi,

      concordo con la tua affermazione secondo la quale la poesia di Magrelli “non è mai statica”. È vero, Magrelli sa benissimo che la poesia deve seguire il giro della sintassi, e l’ha capito perché lui va per intuito per una poesia come comunicazione. Ma il problema è che con questo tipo di «impronta digitale» (dizione di Magrelli) la sua poesia corre il rischio di essere un doppione dell’informazione.
      Queste poesie di de Robertis invece seguono una diversa concezione di poesia (molto più difficile da eseguire) che certo non si basa sull’informazione. Che poi abbiano delle debolezze di costruzione è anche vero, ma sono debolezze proprie di una poesia certo non magrelliana. E questo, ai miei occhi, è un suo merito.

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  3. Egregio Sig. Alfredo de Palchi,
    poiché il termine “formalistico”, come Lei ben sa, significa “osservanza rigorosa e pedantesca della forma a scapito della sostanza”, a meno che non ci si riferisca al Formalismo russo, cioè alla “tendenza critica secondo la quale il valore estetico di un’opera d’arte risiede esclusivamente nella sua forma, nel suo stile e nel suo linguaggio, e non in ciò che essa descrive o rappresenta”, Le chiedo se intendesse lanciarmi una frecciatina secondo la prima interpretazione o per caso mi attribuisse l’aderenza alla seconda teoria (non credo proprio).
    Una persona colta come Lei dovrebbe comprendere al volo che le mie precisazioni sulla metrica erano la conseguenza di ciò che aveva scritto Ambra Simeoni circa l’uguaglianza dei due poeti in questione.
    Le uguaglianze e le differenze si rilevano sia nella forma sia nel contenuto.
    Occasione mancata, egregio Sig. de Palchi.
    Ossequi
    Giorgina Busca Gernetti

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  4. A me la poesia di De Robertis (premetto che ho letto soltanto queste di lui e nessun’altra) piace, la sento vicina e affine al mio modo di sentire. Non c’è bisogno che dentro una poesia “accada qualcosa”, l’unico accadimento vero debbono e possono essere le vibrazioni (termine obsoleto ma efficace) che possono o non possono produrre in chi le ha lette. Io non ci ho trovato vibrazioni, ma anche la concretezza di chi nella poesia trova rifugio. un plauso.

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  5. Errata corrige sull’ultimo periodo del commento appena fatto.
    Io non ci ho trovato soltanto buone vibrazioni, ma anche la concretezza di chi nella poesia trova rifugio. Un plauso..

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  6. nazariopardini

    Poesia di vita, di morte, di sogno, di fuga e ritorno. Poesia che ammicca all’amore, alla terra, alle radici, e al dolore. Magari lo fa con allusioni e iperboli non sempre guizzanti. Ma tiene; ha voce; la musicalità l’accoglie e la dipana; la lega e l’accompagna per sfumarla, alfine, dentro la cenere del mondo.
    Un abbraccio e buon Natale a tutti.
    Nazario

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  7. pasquale balestriere

    Poesia sospesa e quasi assorta: non si accampa in atmosfere rarefatte ma neppure si artiglia alla terra. Segue un suo percorso anodino (assente quindi ogni dramma e ogni asperità), descrive e definisce, osserva e riflette, raggiunge esiti interessanti. Ha una sua corretta (e accentuata) gradevolezza che tuttavia lascia nel lettore la sensazione finale che gli manchi qualcosa. De Robertis opera una scelta di contenuta medietà verbale che smussa gli angoli e offre un prodotto artistico piacevole e tranquillizzante. Almeno, a quanto sembra, nei toni e nelle forme.
    P.B.

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  8. Vorrei chiarire la frase che ho usato riguardo alla poesia di de Robertis là dove scrivo che nella sua poesia «non accade niente»; anche nella poesia di un Mallarmé non accade nulla di verificabile e di accertabile, ci sono solo sfumature, vibrazioni, allusioni, come ben dice Pasquale Balestriere, ma ciò non implica un giudizio di valore, almeno da parte mia, ma è soltanto una constatazione di fatto.
    Se prendiamo la poesia di un autore ben conosciuto in questo blog, Antonio Sagredo, anche lì non accade nulla che sia verificabile o riconoscibile, siamo subito proiettati in un tipo di significazione che non si basa su eventi di fatto ma solo su eventi linguistici, semantici, metaforici.
    Se leggiamo con attenzione la poesia di de Robertis ci accorgiamo che il suo “oggetto” è qualcosa di impalpabile, di non referenziato, che il lettore deve tradurre con la propria sensibilità in una significazione valida anche per lui.

    E guardi il mare quieto dall’alto con occhi di gabbiano
    diffidente da vicino lo vedi spumeggiare
    di moti impercettibili corpi minuti si confrontano
    divergono s’infrangono senza tregua ora qua ora là
    in ogni orientamento in ogni dove onde luccicanti
    al sole come mosse da un vento invisibile che soffia
    in superficie dove nulla permane di ciò che sull’acqua cammina…

    Siamo qui davanti ad un registro linguistico e stilistico che rigetta la significazione letteralizzata. E per questo è meno riconoscibile. E qui entrano in gioco le infinite sfumature e sensibilità del lettore che deve tradurre e recepire questo diverso registro.

    Se leggiamo altri poeti come quello postato ieri come Wilson Harris, ci accorgiamo che il poeta caraibico usa un doppio registro, letteralizzato e non referenziale; UN DOPPIO BINARIO che riesce di più agevole lettura per un lettore. Ma queste sono particolarità stilistiche che ogni poeta utilizza secondo le proprie posizioni di poetica e la propria sensibilità. Si può fare poesia di qualità in entrambi i modi, a volte una via non esclude l’altra, altre volte invece la via imboccata preclude l’accesso all’altra.

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  9. Valerio Gaio Pedini

    non è il mio campo come non è il mio linguaggio: ho apprezzato poeti simili, con la dovuta distanza. Come apprezzai in passato anche Magrelli. Poi mi avventurai nella poesia slava, nel futurismo e nella poesia africana e rimasi incatenato come Prometeo. Anni fa, avevo 17 anni, ero in un parco colla mia ex, quando osservando una fontan barocca, con un nettuno scolpito, dissi che la qualità stilistica di questo tempo in realtà sta nella sua immobilità, e ciò porta ad una quantità. Ergo iniziai, comme dissi allora, a scrivere dei poemetti fermi. Non succedeva nulla. Leopardi capiva benissimo. Non succede mai nulla a noi ed è proprio in quel nulla che succede tutto e quindi si proiatta l’infinito. che cosa poteva succedere sul misero colle? nulla. allora succede tutto, nell’illusione del lettore e si rifugge quasi il pessimismo cosmico. Quello che succede in Magrelli è invece una proiezione che all’età di 17 anni e mezzo mi andava a genio: il nulla retorico, la notizietta. Nella mia silloge Amore incorente, appaiono forse due o tre commenti a fatti di cornaca. E questa direzione del minimalismo anche per i non lettori di Magrelli è ovvia, usitatissima. Mi ricordo che circa 5 mesi fa Nota, personaggio sicuramente non degno di nota, scrisse una poesia demenziale sulla guerra in medio oriente. Io di rimando scrissi che era inutile che gente che ignroava la sitesi storica dei fatti, scrivesse cazzate, nemmeno vivendole sulla propria pelle. In tutte queste direzioni c’è un brutto e bel viso: un principio fondato sull’inutilità, non il superlfuo, ma l’inutile. In questo minimalismo però vi è questo di positivo/negativo:ti dice che non ha nulla da dirti, dicendoti qualcosa (anche se poco). Magrelli invece t’illude dicendoti che ha qualcosa di urgente da dirti (la cronaca è urgente), non dicendoti niente. Meritano entrambi dei plausi (non positivi), ma dei plausi.Però voglio leggere altro!

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  10. marcello mariani

    Consiglio al De Robertis di trovarsi uno pseudonimo e di ricominciare tutto daccapo.

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  11. Giuseppina Di Leo

    Una poesia dotata sicuramente di un forte potere evocativo, ma direi anche con un’attenzione altrettanto importante rivolta al senso di precarietà delle cose, dove “Il luogo è il tempo e sempre ti sorprende” (VI). Da leggere.

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  12. marcello mariani

    E perché?:
    siamo stufi di De Signoribus, De Angelis, De Cristoforis, De Bartolomeis, D’Elia,ecc.

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  13. marcello mariani

    Infatti… e con giusta ragione e con tutto il senso del mio perché, e affinché il caso si ripeta senza il suo volere, ma per donarsi a quel ritorno che mi accecò il cuore!
    (A. S.)
    ———————————————————————-
    « Vieni a placarmi questo caos del tempo come allora, delizia della Musa
    tu che concili gli elementi tutti! Dacci la pace coi tranquilli accordi
    celesti e unisci quel ch’è diviso finché la placida natura antica
    fuori del tempo dai fermenti grande, alta e serena si sollevi. Torna
    viva bellezza tu nei cuori miseri ed alle mense ospiti, ai templi torna!
    Perché Diotima vive come i teneri boccioli dell’inverno, del suo proprio
    spirito ricca, lei anche il sole cerca, ma dello spirito il sole è già perito,
    felice il mondo, e nella notte gelida ormai tempestano già gli uragani »
    (Diotima – F. H.)

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    • Giuseppina Di Leo

      La scelta è ottima, non c’è che dire, grazie Mariani. – “e unisci quel ch’è diviso finché la placida natura antica / fuori del tempo dai fermenti grande, alta e serena si sollevi.”
      Di mio, aggiungo un pensiero (anche in relazione a ciò che ho detto prima e a ciò che ripeto in giro qua e là): ‘ma le nostre solitudini sono importanti.’

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  14. Sono poesie scritte da un ricercatore chimico nucleare, e secondo me bisognerebbe tenerne conto.
    “E guardi il mare quieto dall’alto con occhi di gabbiano
    diffidente da vicino lo vedi spumeggiare
    di moti impercettibili corpi minuti si confrontano
    divergono s’infrangono senza tregua”…
    Così il mare e così la materia nella sua struttura molecolare, nel loro continuo farsi e disfarsi.
    Mi interrogherei piuttosto sugli esiti esistenziali e sulla loro riuscita, che a mio parere non sono particolarmente fecondi e originali.

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  15. gentile Mariani, lei scrive:

    «Consiglio al De Robertis di trovarsi uno pseudonimo e di ricominciare tutto daccapo».

    Poi bacchetta di qua e di là:

    «siamo stufi di De Signoribus, De Angelis, De Cristoforis, De Bartolomeis, D’Elia,ecc.».

    Infine stronca anche il Marquez di “Cent’anni di solitudine” come uno scrittorello qualsiasi (cmq ciò non mi meraviglia visto che ha stroncato anche Iosif Brodskij e Aresenij Tarkovskij). Non le sembra che questi giudizi liquidatori debbano essere spiegati un po’ meglio? (E poi chi sono i De Cristoforis e i De Bartolomeis?, il blog non ha mai pubblicato tali poeti né mi risulta che esistano tali autori, sono forse allusioni a qualcun altro?).

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    • Carlo De Cristoforis (Milano, 1824 – San Fermo della Battaglia, 27 maggio 1859) è stato un patriota italiano, veterano delle cinque giornate, economista, pubblicò un celebre testo di teoria militare. Capitano dei Cacciatori delle Alpi, cadeva eroicamente a San Fermo, a soli trentaquattro anni.
      A Milano è intitolata a lui una galleria (Galleria De Cristoforis)
      Giorgina BG

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    • Ivan Pozzoni

      Agostino Di Bartolomei (Roma, 8 aprile 1955 – Castellabate, 30 maggio 1994) è stato un calciatore italiano, di ruolo centrocampista o libero.

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  16. marcello mariani

    Da Mariani, e a proposito per il Mayoor (che non diveti un “MInor”) : “Così il mare e così la materia nella sua struttura molecolare, nel loro continuo farsi e disfarsi.”
    ————-
    (dall’Arrabbìco – racconto picaresco di Antonio Sagredo 1977-81; p. 22)

    ————————————————————————
    Il mare, diafano e incollerito, come un deluso Pierrot, strillava e parodiava l’universo col riso riflesso e beffardo del suo immortale cliché ondoso e, imperturbabile, gettava la loquacità corrosiva contro tutti i canti e i moli, gli inni e le rocce, le canzoni e i fari, le preghiere e le terre. Il mare, il nonno, lo considerava come un inutile ritornello: quest’acqua che mai variava i suoi colori non lo seduceva affatto, non credeva alle leggende che su di esso l’uomo si era inventato, non credeva al suo potere di malìa, non credeva ai suoi canti nelle profondità, non credeva ai suoi misteriosi abitatori, non credeva alle stelle che nel suo seno spegneva i loro ofìdi amori, e non credeva affatto all’ innocenza della sua fama, la sua gloria fu usurpata al canto, e non credeva insomma al mare, ignota creatura. Non credeva agli dei, non credeva alle madreperle ai coralli agli occhi di luna e di sole, no!, non credeva alla sua potenza eterna che non sa… la morte!, non credeva e non credeva, e non credeva e si sfiancò il cervellaccio con le riflessioni, e le rivolte interiori lo stancavano più che inebriarlo: troppo era stato detto sul mare, troppo era stato lodato, troppo era stato amato, troppo era stato odiato troppo era stato cantato, troppo, era…

    …ed ecco, io spero che sarete là dove il cuore ama il mare…

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  17. Ho chiuso il commento con: “La poesia di Magrelli non è mai statica”. Se non fosse stato messo in discussione da Ambra, con le sue osservazioni, non avrei pensato a Magrelli in questo caso.
    Giorgio può fare confronti da critico, io li faccio da lettore insoddisfatto, ascoltando sempre la prima mia impressione.
    Anch’io ho letto I testi senza conoscere l’autore, e non mi occorre leggere l’opera completa per dare un parere. Leggo che in maggioranza i commenti, arzigogolati o no, e abbastanza positivi, sono di autori che marcano divergendo dall’uno all’altro la stessa qualità. Versi nati morti, nonostante siano ben ordinati.Il perché di questa mia affermazione, della quale sono convinto, è che si continua a pubblicare e leggere (molto meno convinto) lavori defunti. A me non interessano, Tuttavia, ammiro coloro che apprezzano le poesie di Ubaldo de Robertis. E mi piace che sia difeso, perché come mi comporto le mie impressiponi non cerco di venderle. A me non interessa il ripetere delle forme e stili di antiquariato. Anch’io sono stufo dei troppi “De” che plagano la mia carriera, ma mi voglio aggiungere perché non èsolo per goustizia, ma perché si confronti l’opera dei vari “De” con la mia opera. Giorgio ha offerto alcune possibilità di farmi stangare e apprezzare, e dei rari commenti nessuno se n’è accorto. Cosa vuol dire? Che la mia poesia non piace a coloro che apprezzano I vari “De” e amici. Ed io ne sono onorato.
    Non sto incollato al computer che so usare male, dico alla Signora Giorgina Busca Gernetti, altrimenti avrei già risposto.
    Non mi sfugge la sua gioia di darmi una lezione, che ascolto volentieri perché ragiona da enciclopedica e ha ragione. Fretta e vista quasi da orbo, non rileggo per coreggere refusi e ciò che mi detta la mente. Non è una scusa. Ammetto di non essere preciso o di ricordare ogni cosa, non mi metto in gara con nessuno,enessina, anche perché date titoli nomi e differenze d’interpretazione di certi vocaboli (come”formalistico”) non li vado consultare dentro vocabolari etc. etc.; comunque, come ho detto, accolgo la lezione. Grazie.
    Per quanto riguarda la metrica non ho pensato al commento della Signora Giorgina Busca Gernetti, e tanto meno di lanciarle una frecciata. Che la Signora non sia di continuo permalosa. Io non ho sempre ragione.

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    • Gentile Alfredo de Palchi,
      La ringrazio per le parole cortesi. Chiarisco solo che non sto sempre attaccata al computer perché ho molte altre cose da fare.
      Se in questi giorni ci sto è per trascrivere le mie poesie per il libro da pubblicare, poesie che compongo scrivendo a mano su un quaderno.
      Con stima
      Giorgina Busca Gernetti

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  18. marcello mariani

    Gentile Alfredo De Palchi, (e gentitli tutti VOI),
    Le scrivo non per scusarmi, ma per dirLe che a non avevo pensato al Suo cognome, affatto! Perchè? Perché tanto è la mia stima per Lei,che non ho pensato minimamente alla Sua persona, ma a certa mediocrità. Tra laltro, forse sono stato troppo crudo con De Robertis – che dalle foto – mi pare simpatico, e poi come sottolinea Mayoor è uno scenziato – cosa che m’era sfuggita – e che questo me lo rende simpaticissimo: uno scenziato che scrive versi è sempre una curiosità di cui tener conto, anche senza pinze! E allora mi scuso con tutti. Sagredo poi mi ha rimproverato il fatto che ho, senza il Suo permesso, riportato una citazione da un suo lavoro; e allora doppiamente colpevole io mi metto in ginocchio nonostante la mia veneranda età: dunque un giudizio senile: uno scherzo del mio cerebro.
    E auguri di buon auspicio al De Palchi.
    M. M.

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  19. marcello mariani

    Gentile Alfredo De Palchi, (e gentitli tutti VOI),
    Le scrivo non per scusarmi, ma per dirLe che a non avevo pensato al Suo cognome, affatto! Perchè? Perché tanto è la mia stima per Lei, che non ho pensato minimamente alla Sua persona, ma a certa mediocrità. Tra l’altro, forse sono stato troppo crudo con De Robertis – che dalle foto – mi pare simpatico, e poi come sottolinea Mayoor è uno scienziato – cosa che m’era sfuggita – e che questo me lo rende simpaticissimo: uno scienziato che scrive versi è sempre una curiosità di cui tener conto, anche senza pinze! E allora mi scuso con tutti. Sagredo poi mi ha rimproverato il fatto che ho, senza il Suo permesso, riportato una citazione da un suo lavoro; e allora doppiamente colpevole io mi metto in ginocchio nonostante la mia veneranda età: dunque un giudizio senile: uno scherzo del mio cerebro.
    E auguri di buon auspicio al De Palchi.
    M. M.

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  20. antonio sagredo

    “Tutti sono tornati / per farmi diventare cieco”: sono riconoscente all’Ubaldo D. R. … e dopo aver letto questi suoi ultimi versi, mi è nato un verso “finale” per me ( e il ritorno mi accecò il cuore”), e che farà parte dell’ultima poesia che ancora non ho fatto (faber). Dunque col mare e atmosfere intorno dell’Ubaldo io mi ritrovo perché ho respirato aria di marina, così salubre che sono stato sfiorato dai suoi gabbiani (questi gabbiani che m’hanno ricordato una grande pittore-poeta americano, ignoto a quasi tutti, Mardsen Hartley!). Dunque dissento da quanto ha scritto il carissimo vegliardo Marcello, che talvolta farebbe bene a tacere e dire basta alla sua lingua e alla sua memoria che… furono splendide! L’Ubaldo deve continuare a far versi e se ancora più ariosi sarò felice di respirarne l’aria. E a proposito così il mio mare faunesco quando ero giovane:
    —–
    Fui un giorno lisca, pinna marina e ala,
    osso bucato di liberi uccelli: natura era me
    ed io lei… ma essenze mutarono – come?
    Fu incanto? Canto? – il poeta non sa!

    a.s
    Roma, dicembre 1969
    ————————————–
    n.b. il Marcello, un teppista della lingua, mi suggerisce via e-mail il cognome
    Ubaldo Rotis

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  21. Gentile Giorgina Busca Gernetti,
    ho detto “non sto incollato al computer”, per non dire che sono occupato ad altre cose, come lei stessa. Mi occcupo di piccole e grandi cose inutili ma necaessarie. Di natura positivo, niente mi abbatte e niente mi spaventa nonostante sia scassato dagli effetti collaterali dell’età che ho.
    Però sono stufo del blog, siamo sempre i soliti proverbiali quattro cani e tre gatti (che cani e gatti mi perdonino se si sentono offesi). E sono stufo di istigare autori di lavori che non concordano con la mia visione poetica, e con commentatori. . .Tuttavia. In un suo commento,rivolto a me, mi fece sentimentale dove dice che le moine le fa al suo gatto. . . ancora sorrido del piacere che il gatto si trova in buone mani. Inoltre, per ultimo, mi rallegra che le poesie le scriva a mano su quaderni––esercizio abbandonato, anche da me che bruciai tutti i miei quaderni per cancellarmi. . . Avevo 25 anni, e sono ancora qui, ma al computer.
    ––––––––––
    Gentile Marcello Mariani,
    Ii venerando adp ringrazia il venerando mm per i complimenti che fortemente merito, e per avermi isolato dal gruppo “De” che pure merito solo per avere il “De”, però ho voluto inserirmi, non per umiltà. Sono così ottimista che non ci sarà un critico che voglia cogliere sul serio la mia sfida. . . non ci sarà, per evitare un casino di proporzione esagerata, che per evitare nel 21mo secolo di ammettere che ì poeti di cui si parla, non sono nemmeno in tono con il 18mo secolo. Piaccia o non piaccia, c’è un “De” che, sospetto con benevolenza e amicizia, mi ostacola. Gli altri contano ben poco, lo dico con spiacente franchezza, non con disprezzo crudele. Quindi, anche lei, Marcello Mariani, non si scusi, non si senta colpevole di aver calpestato i versi dell’autore UDR; pensi che il colpevole è l’autore stesso che ha accettato di farsi leggere. Quando ci si fa vedere ci sono conseguenze. Per altri, come vediamo, è bravissimo. Personalmente non ce la faccio a fare complimenti se il materiale non mi convince. E quel genere di poesia non mi interessa. Ma per alcuni può apparire geniale. Ricordiamo qualsiasi antologia di rimatori del Duecento e Trecento (lasciando in disparte i soliti rarissimi maestri) in cui non c’è una scintilla di poesia.
    ––––––––––
    Carissimo Antonio, stupisci con il tuo carattere di dover migliorare una frase, un pensiero, una parola; ora di due versi, nei combini uno e migliore. Eppure sono contento che tu possa trovare ispirazione nelle poesie di Ubaldo D.R.; la poesia che non hai ancora fatto splenderà di aria marina, di onde, di nuvole, di gabbiani. . . belli con “meaning” i tuoi quattro versi. Ma alla mera descrizione ariosa di quelli di U.D.R., mi permetto di farti notare una differenza non epidermica.
    ––––––––––
    Nessuna certezza
    dalla spiritualità arcaica del mare––
    gesticolo le braccia al cielo che affonda
    sbilanciato nei verdi avvallamenti

    mutazione cosciente
    vescica rovesciata metamorfosi
    per un abisso d’alghe e pesci,
    non mi differenzio––sono
    l’escrescenza che si lavora in questa
    epoca
    e dovunque bocche di pesci
    aguzze su altri pesci

    il mare un vasto cratere
    e fissi al remoto I pesci graffiti
    non guizzano dove sradicato
    il gabbiano è l’unica dimensione
    conscia
    dell’inarrivabile bagliore.

    (primi anni 1960)

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    • caro Alfredo De Palchi,

      il fatto che Sagredo confezioni, tramite una variante, da un verso di UDR un proprio verso e lo voglia inserire in una propria poesia che non ha ancora scritto è la riprova che la sua poesia segue il filo del significante, è una poesia dipendente dal “gioco” dei significanti. Un concetto di poiesis che abbiamo conosciuto nel corso del tardo Novecento, e che forse (mi permetto) ha nuociuto alquanto alla poesia italiana perché ha introdotto l’equivoco pensiero che non si potesse fabbricare in Italia poesia adulta che non fosse stata sperimentale. Cosa voglio dire? Dico semplicemente che la poesia di Sagredo è confezionata in consonanza con le concezioni tardo novecentesche post-sperimentali basate sull’autonomia della catena del significante il cui capostipite più evoluto, abile e influente è stato indubbiamente Andrea Zanzotto con “La Beltà” del 1968. Questa la genealogia. E andava detto. Anzi, va ogni giorno ripetuto.

      Una cosa appare chiara a chi abbia orecchie per intendere: che la poesia del presente e del futuro non passa più (se mai c’è passata) attraverso l’autonomizzazione della catena del significante e che bisogna andarsela a cercare altrove. E qualcosa c’è stato nella poesia italiana degli ultimi tre quattro decenni che si è mosso in questa direzione, ci sono state delle opposizioni, non è vero che il pensiero maggioritario (nelle Accademie e nelle Università) non sia stato contrastato, sono tanti i poeti di valore che hanno posto un alt e un altolà a questa deriva concettuale (e in tal senso anche la poesia di Magrelli ha avuto un lato positivo, non lo nego, anche se poi ha introdotto un elemento di deterioramento ancora forse più grave: una scrittura poetica fatta di secondarietà; ma questo è già un altro discorso). Quello che volevo sottolineare è che è finita da lunghi lustri in Italia la poesia del significante (per fortuna) e che attardarsi su quella impostazione di fondo comporta restare periferici, marginali, e comporta continuare a fare una poesia di stanca derivazione epigonica.

      E veniamo al testo che hai postato datato anni ’60. È un testo, come può vedere chiunque sappia leggere una poesia, che non si basa sulla catena del significante ma che va per altra strada: va per intensificazione e slittamento di immagini e di parole immagini. Voglio dire questo: che la tua poesia già allora (Anni Sessanta) era già fuori moda, non si accodava alla concezione maggioritaria basata sui giochi del significante e sulla autonomizzazione del significante ma deviava, in modo consapevole, verso una poesia fitta di intensificazioni e di accelerazioni tra le parole e le immagini. Non mi meraviglia quindi che la tua poesia sia stata non compresa in Italia. Il fatto è che non poteva essere compresa per via di quella griglia concettuale (e anche di altro, ma qui soprassediamo) che tendeva a rivalutare altre impostazioni, da quella tardo sperimentale a quella che prediligeva una poesia degli oggetti, alla poesia presuntivamente vista come impegno o civile…

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  22. Gentilissimo Alfredo de Palchi,
    La ringrazio sinceramente per la cortesia con cui mi ha scritto e per l’espressione “in buone mani” relativa al mio gatto che si gode le moine facendo le fusa.
    E’ raro trovare una cortesia così fine in questi tempi imbarbariti!
    Quanto allo scrivere le poesie a mano sul quaderno, non sento ancora mio il computer così come la penna, quindi la scrittura sulla tastiera è riservata solo alle comunicazioni e ai commenti sui blog, ma a questi ultimi non sempre perché purtroppo dissemino refusi.
    I miei più rispettosi saluti ed auguri di buone cose, anche di buone feste ormai vicine
    Giorgina Busca Gernetti

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  23. antonio sagredo

    Risposta a Linguaglossa 13 dic. 2014
    ————————————————————————–
    “la sua poesia [di Sagredo] segue il filo del significante, è una poesia dipendente dal “gioco” dei significanti.” , così dichiara Linguaglossa, ed è un errore madornale!!! Sono trentacinque anni che non seguo più quel filo”, e invece mi sono diretto verso la origine stessa del cosi detto significante per, in qualche maniera, attraversarlo/e – spero indenne – il punto – suo- ZERO… e allora – da allora – mi trovo e mi ritrovo in uno stato che annulla qualsiasi progetto di significante… che non m’importa più e che combatto poi che in esso non c’è più Poesia! Sono indietro e dietro a qualunque causa di origine di qualsiasi genere di Poesia: non m’importa più nulla! C’è soltanto un cuore che non batte più per un ritorno a un dopo-significante e che non si può più accecare! Così è l’attore/autore che acceca il testo scritto, per non farsi accecare! E indietreggia, e indietreggia sino a che non approda a qualcosa… come questi miei versi, che più volte ho pregato qualche poeta di spiegarmeli:

    Liberati dal Tempo resteremo infine orfani felici
    in un dove che Padri e Figli non sapranno mai
    che quella riva è un altro uomo, ma una fiumana immobile
    scorre mirando del mio corpo il non agire… e poi non più.
    (2004)
    —————————————————————————–
    Irreparabile e ferita è questa stanza
    dove tu sverni una passione inconsueta,
    un tradire il tempo che non fu mai il tuo
    per un’inezia, per uno scarno dissentire.
    E vola via un infimo resto del tuo essere
    che mai una riva seppe accogliere devota
    ai sacri gesti del tuo svanire sulle scene.
    (2005)
    —————————————
    … per approdare (quest’anno 2014, non più io, e forse nemmeno i miei versi e tanto meno la mia Poesia… su qualcosa che con la Terra non ha più a che fare, non ha da spartire nulla)…su qualcosa come:
    ————————————————–

    Gli svolazzi della mia mente erano capricci di stiletti spuntati a malincuore,
    da una accidia di laguna vedevo un puntino azzurro come tanti da Saturno
    – era la terra che miravo! – e non sapevo il suo millennio quel giorno estivo
    di lei che mi sorrise con Cassini. Quale gioia la conoscenza che compresi

    dai miei occhi, e come Dio fosse a sua volta una creazione della Rota,
    l’emorragia di una clessidra ai tempi della mia innocente trasparenza.
    Le contrade come una sinfonia d’infanzia in quel sarcofago: tabernacolo pinto
    da epitaffi e necrologi… per fissare, in una partitura, gli anelli della Storia.
    ——————————————-
    all’ora terza del 29 gennaio 2014
    ————————————
    n.b : e qui, soltanto forse, lo scienziato Ubaldo de Robertis, può comprendermi!
    Basta così!
    Antonio sagredo

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    • Giuseppe Panetta

      Caro Sagredino, amico, è da un po’ di tempo che giri e rigiri questi versi “Liberati dal Tempo resteremo infine orfani felici
      in un dove che Padri e Figli non sapranno mai..”
      Azzardo: Tolstoj (?). Potrei sbagliarmi ma sento l’affinità.

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  24. antonio sagredo

    No! Quel “lurido vecchio”, come lo chiamavano i suoi contadini. Affinità con quello? Ma lo avete hai mai letto – e non dico quelle ritenute le sue opere maggiori, ma quelle minori dove si celano i suoi desideri più sordidi! Spero che sia una provocazione la sua, e non una cosa seria, perché se così mi dispiaccio. — Nel 1984 partecipai a una serie di conferenze: Il Poeti e la Follia, dove dicevo di un suo testo “Le memorie di un folle”: lo beffeggiai spietatamente: il pubblico ovviamente incazzato! (vada a internet e digiti: Baio della Porta – Tolstoj). — Pasternàk non poteva fare a meno di Tolstoj, e infatti scrisse quel polpettone del Dottor Živago! – Majakovskij lo riteneva un povero vecchio imbecille! —- Si, giro e rigiro gli stessi versi, ma sono/ quelli che possiedono delle singolarità, e tutti i Poeti: da prima di Omero in poi fanno così… Dante si ripete centinaia di volte, e perché io no?! Che stupido azzardo!
    Affettuosi saluti a. s.

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    • Valerio Gaio Pedini

      Ricordo intoltre i problemi che ebbe co i due amici nemici Cechov e Turgenev, con cui troncò i rapporti, dopo essersi messe le mani addosso. Turgenev, ormai derelitto in francia componeva la sua opera più sconosciuta “Le poesie in prosa” , ed in particolari poesie si leggono insulti al Leone di turno. Altro discorso fu quello con Anton, naturalmente narcisista (lo si desume anche leggendo una qualsivoglia sua opera teatrale), che naturalmente è il nonno dell’atturale regista e teorico del teatro cechov. avanguardista del teatro contemporaneo.

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    • Giuseppe Panetta

      Ellallà, non sapevamo di questa avversione verso il Tolstoj. Ci scusiamo.

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  25. Caro Giorgio Linguaglossa, benché esca dalla camera da letto alle sei del mattino ed rientri verso la mezzanotte, il mio tempo di fare tante cose è rallentato, eppure trascorre molto in fretta. Così arrivo ormai sempre in ritardo anche a commentare.

    Apprezzo il tuo intervento esplicativo. Le varietà poetiche, pseudo avanguardiste, del secondo novecento, neanche le classificai nel mio mondo personale. Le avanvarguardiette le precedetti nel 1948 con Il poemetto “Un ricordo del 1945”, e pubblicato da Vittorio Sereni nel 1961 nel primo numero della nuova rivista “Questo e altro”; precedette di almeno dieci–quindici anni “I Novissimi” e le avanguardiette seguenti. Quel mondo finse di non averlo letto, e confermò il mio l’amico Leonardo Sinisgalli a New York durante le nostre camminate quotidiane per oltre un mese. Il poemetto menzionato, in uno stile psicologico nuovo per me, finì nel silenzio per non dare voce allo sconosciuto scrittore. Vivevo fuori d’Italia. Non avevo possibilità di farmi sentire, in più mi rifiutavo di chiedere qualcosa a qualcuno. Però ora dico che le menate dei “Novissimi”, avanguardiette, e cosiddette teorie o ricerche poetiche che descrivi, entrarono in un orecchio per uscire dall’altro. E perché, durante gli anni 1950 e 1960, la mania della scelta ideological fece suicidare un poeta che conobbi, apprezzai , e pubbicai ; si uccise perché il partito comunista gli rifiutò la tessera. Tutti gli scribacchini di quel periodo capirono che per fare carriera bisognava avere la tessera “fascista” della sinistra. Immagina se io, tipo disintegrato dovunque, mi sforzo a firmare una tessera politico-sociale quando non ho mai pensato di appartenere a gruppi letterari, clubs, nemmeno al Pen Club(chiarisco: non quello italiano) di New York che più volte mi invitò.

    La mia poesia non ha un unico stile, in essa si trovano scritture diverse tra le quail c’è l’unica d’avvero avanguardia “Sessioni con l’analista”, 1964–1966 (1967), e altri lavori. Le mie intuizioni e scoperte le praticavo scrivendole, non da chiacchierone alla P.P. Pasolini e compagni che di psicologia ne davano notizia di loro stessi senza creare nulla. Chiacchiere. “Sessioni con l’analista” non si impose perché gli addetti ai lavori non intendevano riconoscere sopra la loro la mia importanza; e in maggioranza i recensori, che non capirono il linguaggio, su vari giornali beffeggiarono quella importanza. Silvio Ramat, onesto
    ma confuso sullo stile e sulla materia, pubblicò su La
    Nazione e su La Fiera Letteraria recensioni non positive. Con Ramat che non conoscevo di persona ed io diventammo amici, e si convertì alla mia poesia circa quarant’anni dopo; con Marco forti, positivo, c’era stima reciproca; voglio dire che nonostante i sberleffi idioti di recensori chiusi nel scatolame accademico più declassato, io non perdetti sonno e voce, non disperai, mi comportai con indifferenza.
    Voglio ricordare che alcuni mesi fa su L’ombra della parola” un tuo magnifico articolo illustrava uno o due testi delle“Sessioni con l’analista”. Nessuno cI fece caso, i princiopali motivi sono: 1) non piace stile forma e soggetto a chi apprezza testi, e poetizza allo stesso modo, che io .definjsco invecchiati alla nascita; 2) non piace a chi non comprende nulla di stile forma e soggetto.

    Non ho problemi con le poetiche, apprezzo ogni stile forma e soggetto se l’insieme è poesia, non scialba preziosa costruzione. I problemi attuali sono ancora quelli di coloro che invasero buona parte desertica della seconda metà del novecento e oltre, proseguendo ad ammalare la scrittura delle recenti generazioni di imitatori. Ovviamente ci sarà nel sottobosco affollato un migliore, un nuovo, un poeta-artista. Un pittore, si dice anche dell’imbianchino, ma un creatore si dice dell’artista-pittore. Artiste-peintre. Vive la différence!

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    • Commento di Giorgio Linguaglossa

      Brodskij ha scritto: «dal modo con cui mette un aggettivo si possono capire molte cose intorno all’autore»; ma è vero anche il contrario, potrei parafrasare così: «dal modo con cui mette un sostantivo si possono capire molte cose intorno all’autore». Alfredo De Palchi ha un suo modo di porre in scacco sia gli aggettivi che i sostantivi: o al termine del verso, in espulsione, in esilio, o in mezzo al verso, in stato di costrizione coscrizione, subito seguiti dal loro complemento grammaticale. Che la poesia di de Palchi sia pre-sintattica, credo non ci sia ombra di dubbio: è pre-sintattica in quanto pre-grammaticale. C’è in lui un bisogno assiduo di cauterizzare il tessuto significazionista del discorso poetico introducendo, appunto, delle ustioni, delle ulcerazioni, e ciò per ordire un agguato perenne alla perenne perdita dello status significante delle parole. Ragione per cui la sua poesia è pre-sperimentale nella misura in cui è pre-storica. Ecco perché la poesia di De Palchi è sia pre che post-sperimentale, nel senso che si sottrae alla storica biforcazione cui invece supinamente si è accodata gran parte della poesia italiana del secondo Novecento. Ed è estranea anche alla topicalità del minimalismo europeo, c’è in lui il bisogno incontenibile di sottrarsi dal discorso poetico maggioritario e di sottrarlo ai luoghi, alla loro riconoscibilità (forse c’è qui la traccia dell’auto esilio cui si è sottoposto il poeta in età giovanile). Nella sua poesia non c’è mai un «luogo», semmai ci possono essere «scorci», veloci e rabbiosi su un panorama di detriti. Non è un poeta raziocinante De Palchi, vuole ghermire, strappare il velo di Maja, spezzare il vaso di Pandora.
      Così la sua poesia procede a zig zag, a salti e a strappi, a scuciture, a fotogrammi psichici smagliati e smaglianti, sfalsati, sfasati, saltando spesso la copula, passando da omissione ad interdizione.

      (Giorgio Linguaglossa)

      Potessi rivivere l’esperienza
      dell’inferno terrestre entro
      la fisicità della “materia oscura” che frana
      in un buco di vuoto
      per ritrovarsi “energia oscura” in un altro
      universo di un altro vuoto
      dove
      la sequenza della vita ripeterebbe
      le piccolezze umane
      gli errori subordinati agli orrori
      le bellezze alle brutture
      da uno spazio dopo spazio
      incolume e trasparente da osservarla io solo
      rivivere senza sonni le audacie
      e le storpiature
      persino le finestre divelte
      i mobili il violino il baule
      dei miei segreti
      tutti gli oggetti asportati da figuri plebei
      miseri femori.

      (21 giugno 2009, da Paradigm, Chelsea Editions, 2013)

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  26. Grazie, Giorgio, per il tuo commento criticamente indovinato che fa capire a me, l’autore, il mio lavoro. Grazie.

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  27. ubaldo de robertis

    Nei versi di un poeta furono rilevate: Insistite astrusità metaforiche di ascendenza barocca. Immagini che non significano niente (Oliver Storz?) La riduzione della natura a schema geometrico. Uno che trasforma il mondo delle apparenze in qualcosa di pietrificato (Ruhmkorf?) Poesia che non intende comunicare nulla, sottraendosi alla relazione col mondo. Ed era bravo, Paul Celan!
    La mia quinta composizione: Ho quasi consumato la materia, è riferita a ciò che avviene in prossimità di un Black Hole. In quella regione dello spaziotempo, con un campo gravitazionale così forte e intenso, finché il corpo riesce a sottrarsi la situazione è terribilmente statica. Nessun dinamismo. Esso si può avvertire nell’attimo in cui il corpo viene risucchiato dentro il cratere. Viene risucchiata anche la luce. E tutto, immediatamente, ritorna statico; si ferma il tempo/arriva la morte. Il fatto è che ogni avvenimento al quale si assiste, anche molto meno complesso, anche minimo, può essere compreso semplicemente assistendovi. Di per sé la materia non è inerte, ha una sua specifica fluttuazione fra tutte le possibili oscillazioni. Materia e movimento non sono separati. Caro Giorgio, perché il tema dell’acqua e del mare? Perché l’acqua cattura oscillazioni; è la sostanza che risuona con chiunque, e la risonanza è qualcosa importante in biologia, ma la società si è costruita con leggi diverse a quelle della biologia: le leggi dell’economia. Per l’economia il principio fondamentale è la competizione/sopraffazione (pensare all’editoria). Come afferma il prof. Emilio del Giudice, la risonanza, che è la legge della biologia, è l’esatto contrario della competizione/concorrenza. Del Giudice un altro de, del…, ma il bravo M. Mariani ha postato il 16 dicembre 2014 una gradita risposta sull’Ombra, in: Pier Paolo Pasolini intervistato da A. Onorati, dove scrive: Carissimo Ubaldo, il Mariani La stima come non può nemmeno immaginare… il fatto che ho “storpiato” il Suo cognome è indice per me di affettuosità.
    Torno alla poesia. Scrivere in forma lirica è già una scelta, parlare di latenza è una scelta. Scegliere di puntare sull’indefinito, sulla indeterminatezza, quando gran parte dei poeti va verso la comunicazione è una scelta. Ubaldo de Robertis

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  28. caro Ubaldo De Robertis,

    condivido pienamente la tua scelta per una poesia che non vada verso la «comunicazione», per quella ci sono i media, non c’è bisogno della poesia. In un certo senso la poesia che va verso la comunicazione obbedisce anch’essa alle leggi dell’economia, quindi non è poesia autentica ma simil poesia. Dobbiamo tornare alla fisiologia, alla biologia, a una concezione della poesia che sia fisiologica e biologica. Ma questo lo scriveva già Mandel’stam 100 anni fa, come ben sa Sagredo. Purtroppo, ci sono (e ci sono stati) in giro un grandissimo numero di superficiali intellettuali che volevano fare i poeti i quali vogliono fare (e hanno creduto di fare) la rivoluzione linguistica con le leggi dell’economia linguistica !? Un errore madornale…

    In questa accezione, grandissima parte della cultura e della poesia italiane (di cui il capostipite è Magrelli) adotta senza battere ciglio una concezione della poesia come «democrazia universale della comunicazione».

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