Angela Passarello, nata ad Agrigento, vive e lavora a Milano. Ha insegnato nelle scuole elementari lingua francese e la lingua italiana agli alunni stranieri, nelle scuole medie. Crea forme con l’arte ceramica e narrazioni pittoriche. Ha pubblicato le raccolte di racconti Asina Pazza (ed. Greco @ Greco1997), di poesie La Carne dell’Angelo (ed. Joker, Novi Ligure 2002), le prose poetiche Ananta delle Voci Bianche ( I Quaderni di Correnti,Crema2008). È presente nelle antologie: Versi Diversi (edizioni Melusine, Milano 1998), Poeti per Milano (Viennepierre, Milano1998), Rane e L’Uomo, Il Pesce e L’Elefante per I Quaderni di Correnti. Ha collaborato con La Mosca di Milano. Ha fatto parte del gruppo delle Melusine. E’ stata cofondatrice e redattrice della rivista Il Monte Analogo.
Abbiamo già detto che Rupe Atenea è una collina che guarda i templi che digradano dall’altra collina di Agrigento. Due colline dunque, quella artigiana della nonna e della mamma infermiera, insomma, quella della città, che non può che pensarla diversamente da quella contadina.
E lo si capisce da Lia (il nome di una bella ragazza) che abita a Landaru, una frazione della Valle dei Templi :
Un nastrino ocra lega la tua treccia
neri lisci sembrano fili di seta i tuoi capelli
cosa rara in quest’epoca di lacche di tinture
con la messa in piega somigliavi a una signorina di città
La sera con le redini della mula il padre
veni ccà, chi facisti, i capiddi ti tagliasti? Dibbusciata
fammi a vidiri, levatillu da testa u’ fazzulettu, livatillu
gridava alle ombre nel buio du Laerdaru.
Dato che in ambiente contadino era proibito tagliarsi i capelli – era sintomo di indocilità, ribellione, trasgressione – il padre così l’apostrofò, tentando anche di frustarla con le redini.
Abbiamo poi tue testi inevitabili, onesti, perché rivelano un’ assoluta indifferenza alla morte animale che ora non c’è più, ma che c’era, altroché se c’era, quando anche la vita dell’uomo (per fame o per guerra), era in costante pericolo.
E lo conferma la poesia che segue e ha per titolo la chiesetta delle Forche, sconsacrata, con un suo campetto ripulito e due reti metalliche che “indicano ai giocatori la mira”, sopra ciò che ormai pochi sanno, ma che un tempo era la fossa comune.
Dunque una Morte, come quella spagnola o messicana , che è sempre presente, a due passi da noi tutti.
Con la roccia ippogrifo, abbiamo di nuovo la presenta del mito, del trascendente, “li aspettava sul suo dorso/ stretti l’un l’altro i bambini/ […] “sembrava guardarli con la sua forma animale/ di sera poggiata sul prato”.
L’ultimo poemetto del volume è: a mia madre, e ha titolo flashback:
davanti al Duomo con il piccione
che becca il granoturco dalle nostre mani
messe in posa dal fotografo d’occasione
la prima volta che siamo arrivate a Milano
[…]
non ho potuto fare a meno di citare questa prima strofa, perché essendo una foto ricordo di Milano, non si può fare a meno di pensarla ad Agrigento, e così diviene simbolica anche del fatto che la mente della poesia, la mente che fa poesia di Angela Passarello sia sempre là. Non qua.
(Giulia Niccolai)
Angela Passarello da Piano Argento edizioni del verri 2014 pp. 90 € 12
il gelataio
di gelataio ce n’era uno solo
dentro una casetta arrangiata
solo le tegole del tetto erano vere
di terracotta coperte di muschio
il gelato si comprava per le feste
alla mandorla aveva scaglie
simili alle foglie dell’albero in fiore
.
.
il lattaio
in una mano stringeva il bidone di latta
nell’altra il misurino forgiato con lo stagno
la sera al ritorno dal giro dei clienti
il lattaio si fermava sulla piazza a recitare
i versi di Cielo d’Alcamo ai pochi rimasti
nessun libro o scrittura solo voce e poesia
nel discendere per la via la sua ombra
si allungava sulle pareti delle case
.
la gobba
le sere di Natale giocavano d’azzardo
al primo piano nella casa della gobba
a zecchinetta a sette e mezzo a teresina
il banco non perdeva mai
le eleganti figure disegnate sulle carte
sembravano proteggerlo
Dono dei vicerè
diceva con voce stridula la gobba
indicando alle perdenti il mazzo sul tavolo
.
il cantastorie
accompagnava con il corpo la voce
mentre cantilenava miserie delitti
il sorriso segnava di amaro il suo volto
certe volte tra le parole recise si coglieva
un episodio di fuga della Chanson de geste
.
signorina Gallo
la sua voce rauca nel buio della sera
attraversa la persiana chiusa
chiede dei morti dei sopravvissuti
nel fitto buio mi raggiunge
centenaria dagli artigli aperti
farfuglia date nomi di vecchi abitanti
dal vicolo degli Ospitalieri di Malta
echi voci arrivano
salaam aleikum salaam aleikum
Lia
Un nastrino ocra lega la tua treccia
neri lisci sembrano fili di seta i tuoi capelli
cosa rara in quest’epoca di lacche di tinture
con la messampiega somigliavi a una signorina di città
La sera con le redini della mula parlante
veni ccà, chi facisti, i capiddi ti tagliasti? Dibbusciata
fammi a vidiri, levatillu da testa u’ fazzulettu, levatillu
gridava alle ombre nel buio du Lardaru*
*Lardaru è una contrada di campagna nelle vicinanze della Valle dei Templi
.
garofani
i garofani rossi nei vasi sul balcone
li annaffiava con orgoglio ogni mattina
diceva che la natura dei petali aiutava
l’ anima dei defunti al cimitero
i primi giorni del trapasso
inondavano Piano Argento di profumo
.
telefunken
arrivavano la sera con la sedia di saggina
i vicini per vedere le puntate di Canne al Vento
sullo schermo della ventunpollici appena installata
con il sonoro la luce i personaggi
nel chiaroscuro della stanza i commenti
si facevano portatori di nuovi rinascimenti
il ferro da stiro
lo muoveva nero nero
sulla superficie di lenzuola di camicie
dai fori il chiarore dei carboni
percorreva valichi piste fra le pieghe
impugnava con forza il manico antico
girava la punta solcava angoli lati
diceva dal piego dipende la forma
gli indumenti lisi li ricomponeva
nell’ordine da lei stabilito
flashback
davanti al Duomo con il piccione
che becca il granturco sulle nostre mani
messe in posa dal fotografo d’occasione
la prima volta che siamo arrivate a Milano
ti rivedo sicura attraversare la Piazza
lanci con un soffio sulla mano un bacio
alle guglie verso la bela Madunina
Quando sei partita nella tua lettera settimanale
scrivevi
mia cara figlia noi stiamo tutti bene così spero di te
Nella mia non ti dicevo dei miei smarrimenti
né di rivoluzioni in corso nella città
.
La pazza del tirassegno
la vecchia con la schiena curva e il cane
uscivano di rado
apparivano sul sentiero della rupe
il cane la precedeva marcando il territorio
la vecchia sovrastata da un fagotto di stoffa sbiadita
entrambi ritornavano poi verso la casa diroccata
al confine con il tempio di Demetra