Jacopo Ricciardi, sgorbiature, acrilico su carta 50×70 cm.
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Tre Poesie di Mimmo Pugliese
La dimensione kitchen è un continuo scavare nella realtà che ci circonda. Un universo condito non solo di logica esperienziale ma anche, se non soprattutto, di fantasia. Un circuito che si caratterizza laddove non c’è molto da raccontare ed in questa fase storica , piuttosto liquida, trova piena cittadinanza. Può apparire un controsenso ma non lo è affatto.
Abbiamo la sensazione di essere circondati da cose, da forme, da situazioni che soddisfino in pieno i nostri desiderata e ci sentiamo quasi protetti da tutto ciò. Questo tempo tecnologico ha abbattuto distanze, ha sviluppato nuovi saperi, creato altri linguaggi. Per il bene di tutti. A vantaggio di tutti.
Naturalmente è processo che appaga e nei confronti del quale si deve avere ampia gratitudine. Epperò, intorno alla meraviglia del quasi tutto e subito, il tessuto rappresentato dai lemmi concreti del percorso di ognuno di noi va pian piano assottigliandosi.
Quanto poco a poco viene lasciato alle spalle spesso non trova adeguata sostituzione e la sua perdita genera una inconsapevole povertà. In tale contesto sforzo necessario è provare a riempire gli spazi lasciati vuoti dal vorticoso evolversi delle quotidianità. E la modalità kitchen risponde esattamente a questo compito.
Non recupera il passato fine a se stesso, plasma il futuro attraverso occhi tecnologici superando di slancio il punto di osservazione egocentrico. Siamo noi, ognuno di noi e tutti insieme, il motore che fa girare il mondo: anche per mezzo della poesia.
La poetry kitchen ci introduce in una dimensione altra. La sua è un’espressione di libertà che partendo dal senso comune delle parole utilizzate le sbriciola in millanta altre eccezioni e significati, tali da indurre chiunque a dare una propria interpretazione. L’insieme delle interpretazioni non diventa patrimonio di ogni singolo ma costruisce una rete, una colonia che allarga l’ identità nella quale riconoscersi.
Non lancia messaggi, è essa stessa il messaggio. L’assoluta libertà che la contraddistingue è scevra da vincoli o standard linguistici rigidi. E’ per tutti e vuole essere di tutti e va oltre al detto shakespeariano “la rosa è sempre una rosa”. No, la rosa non è solo la rosa, la rosa è tutto quello che ognuno vuole che sia.
È questa la libertà che sottende alla modalità kitchen. Può apparire banale ma nella sua semplicità costituisce un’autentica rivoluzione che spazza via un intero blocco poetico che mal si concilia con il tempo che stiamo vivendo e che ci sopravanzerà.
Il passato lo conosciamo, lo abbiamo dentro di noi. Maneggiamo il presente con espressioni, strumenti ed esperienze del nostro tempo. È questo il bagaglio che consapevolmente utilizziamo per abitare il futuro affinché in esso non ci siano vuoti da colmare. (m.p.)
POESIA CIRCOLARE
Quando si svegliano i fenicotteri
le auto della Polizia hanno già tagliato la notte
la luna bussa sulle tazzine di caffè
sdraiate su binari di travertino
per la foglia lobata è già domani
e starnutisce sui ragni che si accoppiano
sugli steli del gelsomino
quinto nella classifica dei sommelier di mari
seduti in fila indiana sui muri a secco
con vista su pale eoliche
che staccano biglietti per il cinema
davanti al quale armieri ed eremiti
attende di entrare per vedere
quando si svegliano i fenicotteri
le auto della Polizia hanno già tagliato la notte
la luna bussa sulle tazzine di caffè
sdraiate su binari di travertino
per la foglia lobata è già domani
e starnutisce sui ragni che si accoppiano
sugli steli del gelsomino
quinto nella classifica dei sommelier di mari
seduti in fila indiana su muri a secco
con vista su pale eoliche
che staccano biglietti per il cinema
davanti al quale armieri ed eremiti
attende di entrare per vedere
quando si svegliano i fenicotteri
le auto della Polizia hanno già tagliato la notte
la luna bussa sulle tazzine di caffè
sdraiate su binari di travertino
per la foglia lobata è già domani
e starnutisce ai ragni che si accoppiano
sugli steli del gelsomino …………. (continua)
ROMBI DI NUVOLE
Da est rombi di nuvole
sui cannoni
sfiorano biciclette vanitose
Rimbalzano sui baffi del vulcano
i lemmi del rododendro
che hanno parentesi sul costato
Striminzite geometrie
dalle unghia lunghe
sbattono sulla bocca di notti bianche
Nella stanza degli attrezzi
non sa dove andare l’orologio
quali algoritmi ubriacare
Ulivi di cera
ricoprono di neve
le braccia dello scalpello
Querce che non sanno parlare
aspettano orizzonti
e uccelli che inghiottono luminarie
Parole sepolte nell’acqua
ai suoi piedi si avvinghia una valigia
vuota
VETERA
Sul campo il televisore in bianco e nero
viene schierato in una posizione ibrida
Ha cerume e fiuto di volpe
il grammofono del nonno sotto la pioggia
L’appalto delle strisce continue sulla strada
è stato vinto dal ferro da stiro a carbone
Nella cabina telefonica in centro città
germoglia l’albero dei cruciverba
Il battaglio nutre cicale di mare
ha perso la testa per la donna cannone
L’autoradio della 2 cavalli è un rigagnolo
nei vicoli abbaiano cani senza coda
La soggettività non è mai «autentica», è sempre impura, contaminata; fin dall’inizio è impregnata di impersonale, perché solo la lingua pubblica (cioè di nessuno, arbitraria e presoggettiva) le offre i dispositivi grammaticali per formare l’“io”, Lacan: «Lalangue sert à de toutes autres choses qu’à la communication». Il pre-individuale precede la soggettività, ergo la lingua del pre-individuale è più vera di quella della soggettività.
La pratica poietica kitchen serve a far emergere, seppur in modo obliquo e in controluce, il punto cieco di ogni significazione. È la différance dal significato ossificato che serve alla pratica decostruttiva del testo della tradizione. La decostruzione della tradizione non vuole semplicemente svelare dietro alla storia del senso l’operare silente di una traccia rimossa, non è un’operazione che ha come fine quello di porre il problema della différance, è esattamente il contrario: è porre il problema della différance dalla tradizione, è l’evocarla e il mettersi sulle sue tracce che ha il proprio fine; la de-costruzione della tradizione è intesa come ethos che sospende i significati ossificati per non frequentarli in modo irriflesso. La torsione diventa ripescaggio di frasari del registro convenzionale; mettersi sulle tracce della tradizione scomparsa è un espediente pratico-poietico Questo pensiero della pratica poietica è un esercizio di torsione, la si riconosce per il suo fare, le sue procedure, il suo orizzonte di fuori-senso. (g.l.)
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di Maria Rosaria Madonna
In un articolo degli anni Dieci intitolato “Sull’interlocutore”, Osip Mandel’štam fa una notazione geniale, dice questo: che non ci sogneremmo mai di accendere una sigaretta dalla fiamma della lampada ad olio in quanto, molto più semplicemente, siamo abituati ad accendere la sigaretta dalla fiamma di un accendisigari. Questo Mandel’štam lo dice per far capire che noi nella vita di tutti i giorni seguiamo delle abitudini gestuali e linguistiche senza che ce ne avvediamo, che diamo per scontate, seguiamo in maniera inconscia certi gesti e usiamo certe frasi in maniera inconscia in base a «credenze» (Ortega y Gasset) e a quelle che Heidegger definisce «precomprensioni».
Analogamente avviene in poesia. Scriviamo in base a delle «credenze» linguistiche, a delle convenzioni stilistiche e a delle «precomprensioni» di modi di fare e di scrivere che abbiamo già digerito nella memoria; si tratta di atti memorizzati che compiamo «naturalmente», in modo riflesso. Quello che mi colpisce con favore è, ad esempio, che i nuovi poeti cechi non scrivono più in base alle «credenze», alle convenzioni stilistiche, alle abitudini linguistiche invalse ma che cerchino nuovi modi, nuove modalità linguistiche e stilistiche, più «normali», più vicini alla sensibilità della lingua naturale che parliamo ogni giorno. E questo lo ritengo un valore inestimabile, il linguaggio poetico deve scendere dal suo piedistallo e portarsi verso la comunità, sì, magari diventare un po’ pop. Insomma, deve entrare in cucina, aprire il frigorifero e vedere cosa c’è da mangiare oggi. La soggettività è fame di qualcosa che diventa «voce», è qualcosa di linguisticamente articolato, è letteralizzazione di fonemi in una «voce» in un linguaggio e in una polis. L’uomo può fare esperienza delle passioni soltanto mediante il linguaggio, la «voce» e la polis, luoghi che dispiegano la sua dimora etica, luoghi che non confinano in alcun principio ineffabile bensì nel linguaggio che l’uomo abita il cui luogo è nella articolazione fra linguaggio, voce e polis. La poetry kitchen con le sue varianti fa esattamente questo, si comporta come il virus Covid che produce sempre nuove varianti, è una poesia pop: si rivolge al pubblico, vuole essere assimilata prima che compresa, vuole che il pubblico se ne appropri, e la dimentichi. La condivisione non interessa alla poesia kitchen; kitchen è una modalità, non una assiologia, è una possibilità del linguaggio, una fantasy, una fantasizzazione non una realizzazione, non sta dalla parte del reale, ma da quella dell’Anti-reale.
(g.l.)
Francesco Paolo Intini
GIROTONDO QUASI OBLIQUO
Tutti intorno all’uomo nero.
Toh! Ecco un attimo di giornata,
trancio di tonno e chiusura lampo
è la mazurka di periferia…
E dunque la donzelletta vien dalla campagna.
Bella. Dolce e chiara la chioma di polpessa
E quest’è! Una lettera di presentazione.
Il curriculum di poeta o la chimica del Plutonio?
Hai fatto il master?
A cosa t’è servito il ginger?
Un Munch e due Van Gogh per penitenza
e dopo due molari un canino cariato.
Oppie apre un varco nella Bastiglia. Boletus Satana
senza riguardi per Cappuccetto Rosso.
Dov’è il lupo cattivo? E Gay-Lussac?
Einstein in porta. Filini tira al pioppino
Meglio se trifolato.
Meglio se occhialuto e palombaro.
Rimetti l’Artico al suo posto che poggio i piedi.
Ora sen va per l’Adriatico, un pied-à-terre il porto di Bari
Sbarcano Fantocci, saranno in mille, di sicuro a cento all’ora.
Nel blu dipinto di …fiu
Ulisse vide i proci mangiarsi gli archi
Cocca al dente e freccia del tempo.
Non c’è ordine a Itaca.
La punta si fa il giro del palazzo. Punge Polifemo
il sangue all’ occhio per un calcolo di millesimi.
La maggioranza al colesterolo.
Due o tre piume sollevano un coso ad Alamogordo.
Un Chianti un po’ più amaro in una botte.
Che colpa ha uno spaghetto scotto?
E l’elettrone rispetto al positrone?
“Il navigatore italiano è giunto nel nuovo mondo
E gli indigeni?
Ottima la pasta al dente.
Anche la melanzana è cotta e fritta.
giorgio linguaglossa
11 agosto 2021 alle 9:43
Potremmo definire la poetry kitsch di Francesco Intini come archeologia anarchica della superficie kitsch del mondo di oggi. Ecco la formula di Intini Kitsch + Caos = Anarchia – La <em>lalangue</em> di Intini proviene dalla Immaginazione e dalla fantasizzazione, non dalla mente, così l’autore è, giuridicamente, inimputabile perché sottratta alla categoria giuridica della imputazione che sottende tutto il nostro vocabolario; inimputabile in quanto proveniente da un soggetto «incapace di intendere e di volere». Come noto, i pazzi sono inimputabili, e perciò non possono essere giudicati in base alle norme sanzionatorie del codice penale. È una strategia di sopravvivenza delle parole che si vogliano sottratte alla categoria della imputabilità. Le parole diventano kitsch e basta, cessano di funzionare secondo il referente di turno in quanto funzionarie della imputazione e della logica giuridica della semantica, e così ritornano libere e volatili. L’Anarchia delle parole inimputabili salverà il mondo. Questo è il motto di Intini.
«È nel linguaggio e mediante il linguaggio che l’uomo si costituisce come soggetto; poiché solo il linguaggio fonda nella realtà, nella sua realtà che è quella dell’essere, il concetto di “ego”. La “soggettività”di cui ci occupiamo in questa sede è la capacità del parlante di porsi come “soggetto”. Essa non è definita dalla coscienza che ciascuno prova di essere se stesso (nella misura in cui se ne può dare conto, tale coscienza non è che un riflesso), ma come l’unità psichica che trascende la totalità delle esperienze vissute che essa riunisce, e che assicura il permanere della coscienza. Noi riteniamo che questa “soggettività”, che la si consideri da un punto di vista fenomenologico o psicologico, non importa, non è altro che l’emergere nell’essere di una proprietà fondamentale del linguaggio. È “ego” chi dice “ego”. In ciò troviamo il fondamento della “soggettività”, che si determina attraverso lo status linguistico della “persona”».1
1 E. Benveniste, <em>Problemi di linguistica generale</em>, tr. it., Il Saggiatore, Milano 1994, p. 312.
inedito dalla raccolta Il Signor K. ha preso le sembianze di Clint Eastwood
(metaforologia e metronomia italiana del Covid19)
Backstage di Stanza n. Zero
Il Signor K. ha preso le sembianze di Clint Eastwood,
ha ingoiato due compresse di Mibumal,
si è lavato i denti con il dentifricio AZ15 extra white,
si è rasato la barba con il rasoio Gillette tripla lama,
si è guardato soddisfatto allo specchio
e ha preso possesso dell’appartamento sito in via Pietro Giordani 18,
l’abitazione del noto critico Giorgio Linguaglossa.
«Cari amici, inauguriamo l’era glaciale.
Che è ‘sta roba?
– ha detto K. aprendo un libro dalla biblioteca del critico –
si mangia? con il coltello e la forchetta?,
ammesso e non concesso
che un fotone prenda contemporaneamente il percorso di destra
e di sinistra
che Ella chiama “la frattura metafisica della presenza!”
Prendiamo il gatto di Schrödinger che è in una sovrapposizione quantistica
di gatto-sveglio
e gatto-addormentato,
e resta tale fino a quando non osserviamo il gatto.
Eh?, Lei che ne dice, Cogito?».
Proprio in quel mentre una tigre con la gamba ingessata
e la tgirl Naomi Colt, zeppe n. 22, fanno ingresso nel bar “Fulmini e saette”
sito in via Pietro Giordani
stanno prendendo un caffè con Madame Pompadour e Miss Aldington
l’amica di Marcel Duchamp
proprio sotto l’Ufficio Informazioni Riservate,
di quel cialtrone di Linguaglossa…
parlano dell’autoannientantesi nulla che è il nulla, un toysex,
e dell’essere che altro non è che il nulla
travestito da tgirl.
«Filip Filipovič Preobraženskij in “Cuore di cane”,
– romanzo di Michail Bulgakov –
dice: “Ja ne ljublju proletariat”
(“A me non piace il proletariato”).
Ebbene, Cogito, neanche a me piace il proletariato né la borghesia
e neanche la piccola borghesia mediatica,
tantomeno gli intellettuali.
Non sono elementi da prendere sul serio.
Le sue poesie, caro Cogito, sono belvederi, intrattenimenti
di manigoldi,
pachtwork derisori, collage di aforismi e banalità di banausici,
frasi estorte a portaborse e a rubacuori,
frasari manipolati, cialtronerie, assiomi furfanteschi,
pseudo verità…
ciarlatanerie, refrain, ciarpame, ciottoli,
montaggio di pezzi smontati,
citazioni pseudo accattivanti, furfanterie, piaggerie, accattonerie,
deposito di luoghi comuni e luoghi di intellettuali,
entretien di brani incollati?, che cosa sono?,
ditemi voi,
monologhi sotto forma di dialoghi?, dialoghi
sotto forma di monologhi?,
collezione di aforismi?,
collezione di fantasmi?
confessioni? ».
«Una reciproca esclusione del significante e del significato»,
replica Cogito da una boccata di fumo.
«To pragma auto (la cosa stessa),
è questa stessa negatività che non nega né afferma
alcunché».
Come accade in certe interviste
Lady Beyoncé è uscita dal televisore tutta nuda come mamma l’ha fatta
e ha preso a litigare con la pornostar Amanda Fox
e lo stallone Billy Box.
Sissy Nyxi begins to prepare herself for her daddy
afferra il minivestito in latex dall’attaccapanni e ha preso a deambulare
sugli altissimi trampoli davanti alla webcam…
«Tutto ciò, a conti fatti, non è della minima importanza
non è nulla, anzi, meno di nulla
in fin dei conti
il pluriverso misura soltanto alcuni sestilioni di miliardi di anni luce
ciononostante
anch’esso è qualcosa meno di nulla…»
pronuncia il Mago Woland con l’accappatoio azzurro sulle spalle
appena uscito dalla vasca idromassaggi
Siamo davvero fortunati a vivere in un paese come l’Italia. La rappresentazione che è uscita fuori dall’ultima elezione del Presidente della Repubblica italiana è un magnifico esempio di una scena fitta di retroscene: lunghi coltelli, agguati, finte smarcanti, nomi dati in pasto ai leones, peones, retroscena lividi, backstages, burattini e burattinai che vanno al passo dell’oca, veti incrociati, pupazzi e pupari, lupi che pensano da pecore, pecorelle che pensano da lupi, pecorelle smarrite, draghi e mattarelli, cialtroni smargiassi e cialtronerie, refrainerie, furfanterie, accalappiacani e aquiloni, pentole e scolapasta, castronerie battezzate da aforismi filosofici, mezze misure e mezze maniche di mezzi busti, volponi e peperoni, grilli parlanti e coccodrilli…
Un magnifico repertorio per la poetry kitchen, non c’è che dire!
Comunico che la poetessa Cristina Annino ieri ci ha lasciato.
Scrive Mimmo Pugliese:
La poetry kitchen ci introduce in una dimensione altra. La sua è un’espressione di libertà che partendo dal senso comune delle parole utilizzate le sbriciola in millanta altre eccezioni e significati, tali da indurre chiunque a dare una propria interpretazione. L’insieme delle interpretazioni non diventa patrimonio di ogni singolo ma costruisce una rete, una colonia che allarga l’ identità nella quale riconoscersi.
Non lancia messaggi, è essa stessa il messaggio. L’assoluta libertà.
caro Mimmo,
mi trovo in perfetta sintonia con il tuo modo di pensare e fare poesia kitchen, l’assoluta libertà della fantasia, è questo l’elemento principale e fondante. Le vicissitudini e le adiacenze dell’io non interessano né l’autore né il lettore. Questo è il tuo (nostro) motto.
In un’epoca in cui la fantasia viene denegata e dimidiata, la tua poesia si incarica di mettere in vetrina questa qualità dell’homo sapiens. In particolare, ho notato che hai acquisito una maneggiabilità del fare poesia che ha dell’encomiabile.
Cara Marie Laure, ho appena riletto questa tua risposta all’interessante spunto proposto dal nostro Mimmo Pugliese e condivido entrambe le vostre riflessioni, molto pertinenti e nelle quali trovo perfettamente incarnati alcuni aspetti fondamentali della Poetry kitchen e più in generale direi dell’intero progetto Noe.
Trovo peraltro che l’assunto iniziale di Mimmo – “la poetry kitchen ci introduce in una dimensione altra” – sintetizzi in modo egregio quello che a mio modo di vedere è il principio creativo stesso della poetry kitchen, il fatto cioè di introdurre la poesia ad un’alterità, che dovrebbe essere poi consustanziale alla stessa idea di poesia, di una poesia vera intendo, depurata dalle derive arrivistiche, velleitarie cui la poesia si è sempre più asservita negi ultimi cinquant’anni, funzionale solo alla creazione di ridicoli (tanto più in considerazione della nicchia che la poesia occupa a livello di mercato) piccoli scranni; un’alterità nella quale evidentemente, come giustamente sottolinei, il vissuto personale dell’autore non conta, ma penetra solo “di rimbalzo”.
Da antropologo di formazione, mi viene però un dubbio, per così dire, “fondante”: e se come accade nell’antropologia – in qualche modo il “regno” del logos sull’alterità – questa dimensione altra in cui i segni, i paesaggi, i contorni superficiali della quotidianità vengono risemantizzati, non sia solo il tratteggio di una sorta di irrealtà in contrapposizione a quella apparente, ma sia invece il disvelamento della realtà profonda e quindi alla fine quella più autentica? Ho sempre trovato, e me ne convinco sempre più andando avanti, che la poesia kitchen (ma aggiungerei l’intero modello Noe già a partire dalla poetica del frammento) abbia questa straordinaria valenza sotto forma di propagazione di onde profonde, che trovo ancor più pregnante, in quanto non si limita all’enunciazione della sua pars destruens, già di per sé poeticamente avvincente, ma propone una visione construens, palingenetica della poesia (e di riflesso quindi dell’uomo moderno) che ne costituiscono il vero valore aggiunto; del resto le stesse esperienze recenti della politica (non amo in generale ricorrere frequentemente ad accostamenti legati alla politica, ma mai come in quest’epoca considero che l’arte ed il pensiero debbano fornire un’alternativa al disastroso quadro che la politica ci propina) insegnano che limitarsi – anche con intenti in partenza nobili chiaramente – a distruggere senza essere portatori di un reale progetto rigeneratore, non solo non approda a nulla, ma rischia esattamente di giungere al risultato opposto e cioè di rafforzare ancor di più i parametri vigenti.
Un caro saluto.
Il reale è diventato in sé un manufatto psicopatologico»
afferma il filosofo Žižek.
«L’anagramma, l’ipogramma, il palindromo, l’acrostico, l’inversione,
la rima, l’assonanza, la consonanza, lo smash,
il distico, il tristico, il polittico, la strofa, la catastrofe, l’apocatastasi,
il pastiche, il patchwork
sono non soltanto categorie dell’estetica e della poetica
ma anche della psicopatologia
della vita quotidiana.
C’è qualcosa di sbalorditivo nella metalepsi.
Il politico è diventato un campo di azione per la metalessi.
C’è predestinazione perché c’è procrastinazione»,
postillò Žižek,
lasciando di stucco il commissario Montalbano
il quale così replicò:
Il Signor Cogito has said al filosofo Žižek:
«Really we are sorry to see you go
Your email address has been removed from our mailing list».
Indicherei, accanto alle altre cifre emergenti dagli interventi di Marie Laure Colasson e di Mimmo Pugliese, e soprattutto a quelle che si impongono nella lettura dei mini-saggi di Giorgio Linguaglossa sulla poesia in stile kitchen, la serendipità come altra cifra estetica dei montaggi poetici di Francesco Paolo Intini, di Mimmo Pugliese, di Maria Rosaria Madonna e dello stesso Linguaglossa: cercando altro, o nulla cercando, questi autori di composizioni in stile kitchen, trovano o scoprono altro.
La serendipità non è soltanto una sensazione.
Da uno scritto che qui in parte riporto (non ne ricordo l’autore/autrice) è possibile un processo di illimpidimento e di allargamento di conoscenze sulla serendipità e dei suoi sviluppi nel corso della storia delle arti, della letteratura e soprattutto nel campo tecnologico-scientifico:
“[…]La serendopità è diventata parte integrante della ricerca scientifica, oltre che della vita di tutti i giorni.
Infatti, molto spesso le scoperte più importanti avvengono mentre si cerca altro: Colombo che scopre l’America cercando le Indie, le sorelle Tatin che inventano l’omonima torta dimenticando di inserire nel forno l’impasto di base della crostata di mele, l’astronomo Herschel che cerca comete e trova il pianeta Urano, la Pfizer che – invece di una cura contro l’angina pectoris – inventa il Viagra…”
Insomma, se anche i poeti o i filosofi o gli artisti non della parola sapessero già che cosa cercare, non avrebbero più bisogno di cercarlo…
Basterebbe per tutti loro trovare conferme nel già esistente, (come per anni è stato nella pseudo poesia italiana e anche europea, da Carducci, Pascoli e D’Annunzio ai giorni nostri ).
Fatto che decisamente si differenzia rispetto all’opportunità anche fortunata di ottenere una nuova “scoperta” basandosi sull’intuizione, sulla immaginazione, ma anche sulla disciplina, sul confronto con altre esperienze letterrio-poetiche.
O, appunto, sulla serendipidità.
caro Gino,
mi fa piacere che tu abbia rimarcato l’importanza fondamentale che la procedura serendipica introduce in tutte le attività umane, e non vedo perché la si debba escludere dalla poesia.
Accade che il soggetto vada alla ricerca dell’oggetto piccolo a, ma, invece di trovare l’oggetto che cercava ne trova un altro, diverso, inaspettato. È questa la caratteristica della procedura serendipica: si cerca un oggetto e se ne trova un altro che non ci aspettavamo. Una mia amica che impazziva per Marlon Brando una volta è andata a vedere gli western all’italiana di Sergio Leone e si è innamorata di Clint Eastwood. La vita quotidiana e le attività umane tutte rispondono al medesimo concetto: l’inaspettato conferisce un nuovo significato al vecchio, e il vecchio si presenta con un nuovo volto.
… si cerca una parola… e se ne trova un’altra… la sorpresa è dietro l’angolo, ma bisogna avere una mente aperta e libera, il che non è da tutti. Anzi, le persone sono terrorizzate dall’imprevisto, si appellano alla madonna addolorata, al crocefisso, ad Allah e a ogni amuleto che hanno in tasca…
Nel linguaggio in modalità kitchen è evidente che ciò che in esso emerge è un «residuo» dell’oggetto designato, un «residuo» dell’oggetto del godimento che sottrae al soggetto una parte del proprio godimento rendendolo perduto.
L’objet petit a di Lacan, è l’oggetto perduto a causa dell’azione del Grande Altro, il Simbolico, ma proprio in quanto perduto è l’oggetto-causa del desiderio che può solo avere sede nell’Altro.
Il soggetto desidera in quanto inconsciamente deve sempre ricercare l’oggetto a minuscolo perduto, che potrà trovare solo nell’Altro poiché dall’Altro gli è stato sottratto. L’objet petit a si configura come un puro vuoto che funziona da significante dell’oggetto-causa del desiderio, come ciò che inizialmente fa azionare il desiderio umano senza fondamentalmente rappresentare nulla.
Per Žižek alla base del significato c’è il desiderio subliminale che conferisce pienezza all’oggetto del significato presente nel soggetto come «residuo».
Il puro pretesto presente nei testi kitchen è dunque un tropo retorico, un espediente sklovskiano che ha la funzione di mettere in moto la «storia» perché effettivamente, in sé, la «storia» non è nulla, non significa nulla, se qualche residuale significato ha, ce l’ha per il soggetto in quanto significato «residuale». Il significato è sempre un «residuo» dell’irraggiungibile objet petit a.
Il soggetto è dunque sempre lateralizzato, è deprivato di esperienza soggettiva, vede le cose come appaiono e ne viene ingannato, è sempre privato del fantasma fondamentale che garantisce il nucleo stesso della soggettività, e ciò in quanto non possiamo mai farne una esperienza consapevole. Il soggetto può solo fare esperienza dell’«oggetto piccolo a». Questa privazione richiama immediatamente all’emergenza dell’inconscio in quanto esso fa riferimento imprescindibile a una trascendenza intrinseca al soggetto stesso che non coincide mai con l’identità dell’io. Si ha quindi un soggetto interno al soggetto che trascende il soggetto stesso fondandolo come soggetto evanescente.
Per esempio, nel titolo di una mia raccolta inedita, Il Signor K. ha preso le sembianze di Clint Eastwood, è in azione la triade di Freud: l’Io ideale, l’ideale dell’Io e il Super-Io. Si può riassumere questa triade così: Io ideale (Clint Eastwood) sta per l’immagine di sé idealizzata dal soggetto, ossia il modo in cui vorrei essere; ma l’ideale dell’Io non è altro che il Grande Altro (sempre Clint Eastwood) che mi sorveglia e mi spinge a dare il massimo per conseguire il mio obiettivo in vista di un qualche ideale; il Super-Io (sempre Clint Eastwood) è questo stesso agire visto dalla istanza vendicativa e censoria. L’operazione messa in piedi dalla modalità kitchen della scrittura poetica è nient’altro che il capovolgimento derisorio della triade freudiana che viene azzerata e mostrata nella sua sostanziale vacuità significazionale e metafisica: il discorso triologico del Grande Altro viene smascherato e mostrato nella sua vera nudità.
Il Super-Io si impone come l’opposto rispetto all’ideale dell’Io, come colui che esercita l’istanza censoria in nome del Padre versus il tradimento nei confronti della legge del desiderio, ma è grazie a questa istanza se diventiamo consapevoli di aver tradito il nostro desiderio in favore del Grande Altro.
Ed è qui che la «castrazione simbolica» ha la sua vittoria nei confronti della jouissance. Ciò che infatti viene imposto dall’ordine Simbolico primeggia all’interno del soggetto rendendolo vuoto ed evanescente.
Un evento è ciò che buca il Simbolico in quanto non può essere colto dal linguaggio, dal significante, in tal senso un evento è traumatico in quanto non simbolizzabile, ciò che si sottrae all’apparato linguistico; il fatto è che esso si determina come punto in cui la simbolizzazione non ha successo. L’evento può essere colto soltanto mediante i «residui» del linguaggio, ciò che viene espulso dal linguaggio è idoneo ad acciuffare l’evento, mai il linguaggio può adempiere a questa funzione se non mediante i suoi «residui». Ecco perché nella poetry kitchen coesiste una pluralità di eventi diversissimi che si raccolgono in una testualità senza che possa intervenire un atto della razionalità strumentale, appartenendo essi ad una dimensione dove il linguaggio, con la sua razionalità sintattica e semantica, viene meno e mostra le sue fenditure, i suoi buchi, le sue smagliature.
Hegel individua la follia del soggetto nella «notte del mondo»:
La «notte spaventosa» è quel foro interno alla soggettività che viene alla luce quando il Simbolico erompe in una fessura che si allarga improvvisamente fino a coinvolgere la stessa possibilità del soggetto di suturare in qualche modo quella scissura mediante una ricostituzione simbolica e il ripristino del Reale. Questo è propriamente il trauma. L’evento traumatico affiora allorché il Simbolico viene lacerato violentemente in un punto, e tutto il Reale precipita in quell’abisso terrificante e primordiale. È la catastrofe. Il soggetto precipita nel fallimento della sua stessa rappresentazione.
1 F. Hegel, Filosofia dello Spirito jenese, tr. it. a cura di Cantillo G., Laterza, Roma-Bari 1983, p. 70-71.
Kitchen poetry.
Eh sì, ora col tennis ci giochiamo chi l’ha visto.
Saltano giraffe, come in poesia le filastrocche
di mia nonna, in difesa, davanti ai monti, quel silenzio.
Poi al supermarket. Poi ancora versi.
Torniamo ragazzi. Giochiamo in un’ora tre minuti a palla.
Ci dichiariamo intenso amore. Anni, minuti secondi,
veloci e lenti. Numeri. Istanti fotografici, permanenza in flash.
Tutta la vita, ciliegie e manine d’assalto.
Al trentesimo verso sarà quasi poesia da concorso.
A sessanta vinciamo Indianapolis. Volteggi da santo spirito,
finali da cerimonia. Ma qui action poetry senza (una) personalità.
Lettori a sbafo. Traveggole. Insieme sulle spine.
LMT
Ogni tanto mi va di scrivere poesie kitchen. La verità è che mi sono stancato di fare discorso poetico. Quel che si può dire in un verso, o quel che dice un verso, non andrebbe poi ri-cercato, protratto e ripetuto per esigenze di maniera (qualsiasi), o per inerzia o per libido. Il gioco stanca (qualsiasi). Stanca la mancanza di intenzione, perché l’intenzione è la parte oscura del piacere (scrivere / leggere). Ma l’intenzione non è rivelata all’autore, che la scopre, se va bene, scrivendo (l’autore non sa del prossimo verso). Qui siamo oltre il contenuto, è ovvio; ma l’intenzione va salvaguardata, altrimenti, letta una poesia, non si avrà tempo per degustare, percepire un’emozione, né dar seguito con un respiro.
Ritrovo nelle poesie di Intini l’intenzione, caratteristica sua, deliberante, in qualche modo sentenziosa. Non così Mimmo Pugliese, mi pare, che non avrebbe alcuna intenzione oltre quella di praticare surrealismo di parola (non di immagine, la qual cosa io preferisco). La sua POESIA CIRCOLARE era anche nei miei esperimenti, datati 2013. Molto piacevoli da scrivere. Poi smisi perché la scrittura circolare contiene un trucco, una prestidigitazione. A scrivere è il pilota automatico… come disegnare comodamente con Photoshop. Ma vale la penna di sondare, non puoi sapere dove ti porterà.
caro Lucio,
è vero, la poetry kitchen ha smobilitato il discorso poetico, lo ha decostruito, lo decostruisce di continuo. Nessuno di noi fa più un discorso poetico, ognuno se lo fa per se stesso e se lo cuoce e se lo deglutisce. Il bello della modalità kitchen è che ciascuno può pescare nella propria soggettività (evanescente) quello che vuole, al contrario dei poeti elegiaci che partono dal principio di affidarsi alle virtù balsamiche della soggettività salvatrice.
Questa poesia è veramente felice, perché scritta con un linguaggio individualissimo, scritta durante un terremoto della 9a scala Mercalli. Sei stato per caso in Indonesia? (attento allo tsunami!).
Noi tutti facciamo poesia ma senza prenderci sul serio, si fa poesia perché è un nulla di nulla e non conta nulla. Almeno questo lo diciamo. Senza sublime e senza le furbizie degli elegiaci.
Caro Lucio, ti comprendo perfettamente poiché anch’io, come scrivevo in un mio intervento di alcuni mesi fa, non sento più di comporre poesia nel senso convenzionale del termine, mentre affermo di scrivere poesia kitchen (consapevole di dover ancora scalare delle pareti per giungere alla sua vetta) ed onestamente non mi ritrovo sinceramente a condividere l’idea di un’appartenenza all’etichetta del cosmo “poesia” comunemente inteso.
Dirò di più: avevo praticamente smesso di scrivere poesia, dedicandomi maggiormente ad altri ambiti intellettuali, fino a quando l’incontro con la Nuova Ontologia Estetica e dell’Ombra delle Parole, mi ha consentito di individuare una nuova accezione di poesia, nella quale far confluire la mia Weltanschauung.
Devo dire in effetti, che mi trascino ancora una certa rarefazione nella scrittura, sento di dover avere un’ispirazione potente prima di prendere in mano carta e penna, ma sento altresì una maggior vitalità ispirativa, viatico senz’altro verso una maggior continuità di scrittura.
Un abbraccio.
ATTENZIONE IL CONCETTO DI “METAVERSO” CHE NOI POETI CONOSCIAMO DA MILLENNI CI VIENE IN QUESTI TEMPI RUBATO DALLA ELETTRONICA E DAI DIVERSI STRUMENTI CIBERNETICI … A OTTOBRE IN USA è STATA DICHIARATA LA GUERRA ALLA POESIA MONDIALE E A TUTTE LE SUE REALTA’ E SURREALTA’ E CREAZIONI IMMAGINATIVE, ANCHE FUORI DELLA MENTE A COMINCIARE DAL LINGUAGGIO “TRASMENTALE” CHE NOI ABBIAMO GIA’ REALIZZATO PIU’ DI 100 ANNI FA – iL LINGUAGGIO “ZAUM” SIGNIFICA “fuori della mente” INTENDENDO UNA REALTA’ CHE ESISTE DAVVERO FUORI DELLA MENTE E CHE OPERA COME FOSSE VERA: I POETI TRASMENTALI SONO STATI I PRIMI A CREARE UN LINGUAGGIO POETICO TRASMENTALE, CHE SE IN ORIGINE ERA AVVERTITO SOLTANTO COME “RUMORE DI FONDO”TIPICO DELLA POESIA, DA 100 ANNI è UN FATTO REALE E CONCRETO… ADESSO SI VUOLE CHE VENGA DIFFUSO A TUTTI, MA NON SARA’ PIU’ UN “MERAVERSO”!!!!
Un dinosaure radioactif de la Mongolie
s’allonge sur une chaise longue Louis Philippe
Une nébuleuse entièrement cabossée
transperce un regard divergent à un croisement
*
Un dinosauro radioattivo della Mongolia
s’allunga su una sdraia Luigi Filippo
Una nebulosa interamente ammaccata
trafigge uno sguardo divergente ad un incrocio
Oggi mi sembra che il problema del soggetto sia tornato d’attualità. Chi è il soggetto postmoderno? Quali sono le modalità del suo parlare nelle società de-politicizzate del neoliberalismo occidentale? Con chi parlava il soggetto postmoderno del Laborintus (1957) di Sanguineti? Con quale interlocutore parlava la poesia di Attilio Bertolucci?, La poesia di Bertolucci, penso a La camera da letto (1984, 1988) che ci consegna la memoria del suo passato familiare e ce la consegna in un romanzo in versi, richiede una grande lentezza nella lettura, un lettore attento, consapevole della distanza storica; quella di Sanguineti prevede una grande velocità di lettura e un lettore meno concentrato, ma sempre consapevole della continuità della storia e degli stili. La poesia paragiornalistica che verrà dopo Satura di Montale richiede una grande velocità, può essere letta mentre parliamo al telefono o mangiamo un tramezzino al bar e si rivolge ad un lettore distratto, è una poesia che ha dis-messo il passato, la storia. Come mai questo fenomeno? Che cosa è cambiato nella poesia moderna? Che cosa è cambiato nella connotazione del soggetto postmoderno? Con chi parla la poesia post-montaliana (post-Satura, del 1971)? Quale è l’«interlocutore» della «nuova poesia» nelle nuove condizioni del capitalismo glocale? Il soggetto postmoderno caduto in uno stato di autoassegnazione narcisistica costantemente spinto verso una paranoica ricerca di un Altro dell’Altro nel Reale, è diventato un soggetto psicogeno a deriva paranoica. Le nuove forme di soggettività postedipiche generano un crescente bisogno di assoggettamento a fronte della perdita del grande Altro. Di qui il problema: con chi parla il soggetto della poesia (postmoderna?) kitchen di Mimmo Pugliese e Francesco Paolo Intini? A mio avviso la poesia kitchen non parla più con nessun interlocutore, perché la storia è stata derubricata in storialità e il soggetto postedipico è diventato il nuovo superconduttore mediatico che si consegna integralmente ad una autoassegnazione narcistica in via di dissoluzione verso forme di razionalizzazione paranoiche e psicasteniche.
Caro Giorgio,
colgo, senza pretesa alcuna, l’interrogativo.
Ritengo che il soggetto della poesia Kitchen non parli a nessuno per parlare a tutti. Un ossimoro che depotenzia lo schema circoscritto dell’immediatezza.
Esso ha casa in ogni angolo del pianeta e con pazienza, ma senza fretta, da ogni angolazione può essere riconosciuto ed interpretato. Parla. E’ un sale inconscio, condimento di ogni singola pietanza che alimenta i deserti postedipici di una umanità divenuta vieppiù oggetto
Porsi il problema dell’interlocutore non è di poco conto. Esso implica che in qualche modo ci sia una direzione dei propri versi, lungo la quale si muova una specie di tir col carico di significati e che alla fine dell’autostrada si trovi qualcuno a cui consegnare la merce. Penso che gran parte della poesia moderna sia riconducibile a questo schema lineare che vede le vicissitudini dell’io coincidere con le aspettative di chi legge. Ma cosa è possibile ottenere da un corto di tal genere? Quando leggo cose così provo davvero noia e un senso di fastidio incoercibile. Per questo provo a lavorare all’interno di un’ arte che sia in grado di proporsi nella regione degli scarti di calore per riportarli indietro, accoglierli in un senso che non va esattamente nella direzione degli eventi ma in quello che vede il volto nascosto della luna e con essa interloquisce. Ecco, lì mi sento a casa:
…Scopro orme di capriolo sulla neve.\Lingua senza parole. (Tomas Transtromer)
Ciao
POSTILLE
Cominciò tutto con una scia verde sull’Italia
Ma era una battuta idiota che sfuggiva all’LHC.
Al pontile la scelta dello stile primavera-estate
Quando sarà pronto vestirà i cormorani.
Né troppo magri, né troppo umani ma duri
Come i versi del maiale a testa in giù.
L’Asl ha qualcosa di spaventoso da presentare.
Parlerà dell’estinzione delle rubriche telefoniche.
Il cucciolo di T-Rex strilla da mattina a sera
Finirà con un tampone in gola e un contratto capestro.
Un protone sull’albero del fico annuncia la primavera
Un occhio per cateto e nel corpo un cilindro acuto.
Attesa per oggi la disponibilità dei mandorli
a vaccinare i boccioli ed esporli al sole.
Costruisci qualcosa, il toro non può circolare.
Tra gli uffici trovi sempre chi pianta banderillas.
Concluderà i lavori l’ orbitale del giorno:
due versi uguali a una platea di positroni
e la macchina dei valori a produrre latticini.
(Francesco Paolo Intini)
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