La poetry kitchen è un ossimoro, in greco, oxymoron vuol dire acuta follia, Poesia di Francesco Paolo Intini, Alina ovvero trottole pattinano sul fuoco, Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, Scultura aerea di Marie Laure Colasson

Marie Laure Colasson Scultura aerea, legamenti e cartoni colorati, 2018

[Marie Laure Colasson, Scultura aerea, legamenti e cartoni colorati, 2018]

Francesco Paolo Intini (1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016) e Natomale (LetteralmenteBook, 2017). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e “Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie”. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017). Nel 2020 esce per Progetto Cultura Faust chiama Mefistofele per una metastasi. Una raccolta dei suoi scritti:  NATOMALEDUE” è in preparazione. 

Francesco Paolo Intini

Sul principio di risparmio energetico

È da quando il principio di risparmio energetico è stato enunciato che mi tormenta e affascina. Vorrei considerarlo solo un punto di vista teorico ma la spinta a dubitarne si arresta dinnanzi alla ricchezza di informazioni in esso contenuto. All’atto pratico l’ebollizione è semplicemente un’azione tumultuosa in cui i mille Lazzari presenti nell’acqua si uniscono a sollevare il coperchio di aria. Un atto rivoluzionario insomma che la massaia o chi per lei ha imparato a sfruttare a comando, salvo scottarsi le mani o la bocca.

Un massimo di energia che rappresenta una massa d’urto contro le pareti del povero amido che si vede penetrare da un popolo affamato. Una volta dentro la fortezza, non c’è modo di sfuggire alla disfatta e alla distribuzione delle ricchezze in parti uguali. Per ottenere questo risultato bisogna saccheggiare i magazzini colmi, in cui il padrone di casa ha organizzato i suoi beni. Non c’è altro modo che mettere a soqquadro l’ordine costituito da un volere di natura che osserva regole stabilite e tramandate di generazione in generazioni.

Che tutto questo avvenga sotto gli occhi inconsapevoli della pacifica massaia e persino della pubblicità mi meraviglia non meno della poesia che nasce in presenza di scope e buste della spazzatura. Quale l’origine? Penso al rumore di fondo della statale poco lontana, alla miscela di pausa e moto della lavastoviglie, al valzer del piatto nel microonde, al fracasso silenzioso del metano arso vivo molecola dopo molecola come streghe ed eretici, alle voci familiari del risveglio mattutino, al borbottare della caffettiera e a quello più deciso del gatto che non trova suo figlio nel cortile.

Onde, che navigano in cucina, interferendo tra loro, mescolando odori a sapori, modulando pensieri e ricordi indipendenti l’uno dall’altro, afferrando questa o quella questione filosofica, senza ordine prestabilito, soltanto quello di un verso e una pausa, una cresta e una valle che procede portandosi dietro una nozione, un fatto storico, una favola, un’illusione, una legge scientifica che si allarga all’infinito e di cui è possibile averne traccia soltanto scrivendo.

Ecco, il principio del risparmio energetico è anche una via per il recupero di questa energia che altrimenti andrebbe completamente dispersa.

E la poesia?

Un tesoro nascosto che viene messo a disposizione di tutti, distribuita in parti uguali. Basta metterla tra le labbra per riconoscere il sapore di caffè o di pasta cotta al punto giusto, senza dolcificanti, adulteranti e conservanti.

ALINA OVVERO TROTTOLE PATTINANO SUL FUOCO

Eredia sogna di assomigliare a un quadro di Vermeer (…)

“La bianca geisha beve un puro élixir artigianale
si ritrova a undici anni sul ramo di un fico
mangia qualche frutto maturo mentre disegna uccelli sul suo taccuino”
(…) [Marie Laure Colasson]
….

Alina crea musica per Don Quijote
E il conto dei reincarnati non torna.

Suo il volo su un ramo d’oro e dunque
la medaglia che afferra il petto.

Alla domanda:- tu come vorresti rinascere
la gabbia rispose “cardellino”

ma si aprì un cratere sotto i piedi
per rivedere la lava del 79.

In effetti il cruscotto e le mani attaccate
vedevano un buco sul sedile del guidatore

il posto delle domande era accanto al crick
nel portabagagli ci si eleva facilmente.

:-Un’ombra seduta vale quanto un uomo?
Che serve saperlo all’estinzione?

Tutti questi sforzi per allargare
una bolla che si gonfia da sola.

Dio creò le rotatorie abbandonando i semafori.
Ora si tratta di capirne il motivo.

C’è sempre una luna verde che non cede il posto
E soprattutto crede di avere il rosso nelle vene.

: -Non mi guardano i cartelloni con la tigre.
Si esprimono meglio i pini su via Napoli

E se intervengono i colombi, è per dire
Che il neon non si mescola all’ asfalto.

Il trucco è negli occhi di Cabiria
Sotto ponte Adriatico

Nemmeno il conto dei buchi torna. Bisognerebbe stuccarli
E aspettare un miliardo di notti per farli secchi.

Ma il tempo sa come andarsene in fretta.

Il diamante sul comò mostra una crepa nelle risposte.
Il lungo periodo ha generato domande insostenibili.

Perdere acqua, sfiorire sotto gli occhi
Cotto a zero Kelvin e a cielo morto.

Quest’anno le galline partoriranno stelle
e viceversa la Via Lattea Rodolfo Valentino.

Anche la certezza si mescola ai pini.
Crea bolle e mostra che ogni tronco è un prisma.

Il gatto nero s’è dissolto nello scafo
All’ avvio modulava un lamento materno.

Ma non mosse un artiglio
per afferrare una ragno di TV.

Alina invece ha un salto triplo
Per fotoni del big bang.

Il risultato? Un Sole nella cucina
di passaggio tra frigo e lavatrice.

Uno degli Universi paralleli
al Botero sul divano, ovvio.

Giorgio Linguaglossa

Scrive Francesco Paolo Intini:

Pronto? Qui è via Omodeo, mi passa Brooklyn?

Si tratta di una permutazione: si sostituisce il nome o il pronome personale con un oggetto in-animato. Di permutazione in permutazione, di sostituzione in sostituzione, di s-postamento in s-postamento, di postazione in postazione è questo il metodo che impiega l’autore. Voi direte: piuttosto monotono. Sì, rispondo, monotono, ma vero, non fa sconti, non si stempera in compromessi e in patteggiamenti. Il metodo è la posizione nel mondo del soggetto. Scelta una posizione nel mondo, quello che ne deriva è un certo metodo, una «implantologia di elementi» come dice Mario Gabriele. La posizione nel mondo è il luogo dove il soggetto soggiorna, indica il modo di es-sere e di comportarsi, descrive un ethos, un’etica.

La poetry kitchen ha un concetto fortemente etico del fare.
Non è compito della poetry kitchen fondare scuole, istituire peripati o gerarchie poetiche, commerciare o negoziare o rappresentare alcunché, né entrare in relazione con alcunché; la poetry kitchen non si pone neanche come mera risorsa stilistica o come un contenuto veritativo che non c’è, ma come effetti di un contenuto veritativo che rimane occultato, effetti di effetti, riflessi di riflessi. Si pone semmai come un fuori questione della poiesis. La poetry kitchen può essere considerata una pratica, né più né meno, un facere. Così è se vi piace.

La poetry kitchen è un ossimoro. In greco, oxymoron vuol dire «acuta follia». C’è, infatti, dell’acuta follia a mettere insieme termini in apparenza così distanti e inconciliabili come il pop, cioè il popolare, e la poesia, la disciplina più elitaria, almeno se la si pensa in termini di disciplina di nicchia riservata ai professionisti della «poesia». Ma, se si esce da questa visione angusta e mortifera che concepisce la poesia come un discorso fatto da cerchie ristrette di professionisti auto nominatisi «poeti» per cerchie ristrette di altri auto nominati «poeti» che non sempre si capiscono tra di loro, ecco che allora l’ossimoro non sarà più tale.

17 commenti

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17 risposte a “La poetry kitchen è un ossimoro, in greco, oxymoron vuol dire acuta follia, Poesia di Francesco Paolo Intini, Alina ovvero trottole pattinano sul fuoco, Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, Scultura aerea di Marie Laure Colasson

  1. mariomgabriele

    “Il tempo sa come andarsene in fretta” per questo la Colasson coglie il meglio degli elementi per fissare nelle sue poesie la percussione di vibrazioni temporali e psichiche dando il focus ad una sequenza, e ad una scena in cui si inserisce una polivalenza di intrecci come momento chiave della mini o maxi storia nella quale siamo immersi.La scaletta dei versi è in continua fibrillazione, da qui una chiara dimostrazione che equivale ad una grande capacità di sintesi.

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  2. La poetry kitchen è un ossimoro, in greco, oxymoron vuol dire acuta follia, Poesia di Francesco Paolo Intini, Alina ovvero trottole pattinano sul fuoco, Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, Scultura aerea di Marie Laure Colasson


    Scrive Francesco Paolo Intini:

    Quest’anno le galline partoriranno stelle
    e viceversa la Via Lattea Rodolfo Valentino.

    Scrive un filosofo dei nostri giorni:
    «L’illusione che si ripresenta a ogni frase è che il nome e la cosa coincidano e che il soggetto parlante sparisca non come enunciante della frase ma perché vi ha preso completamente dimora. L’unico modo che abbiamo di maneggiare questa illusione non è farla sparire, ma – al contrario – riconoscerla, farla pesare sulla frase: attraverso il margine di paradossalità che resta praticabile, in un gioco inevitabilmente in perdita e che deve saperlo di esserlo».1

    Certo è che Francesco Intini è allergico ad offrire soluzioni spendibili o attese remunerate come fa la poesia dello zero idrometrico e dello zuccherificio di oggi che ci affligge e ci annoia. Certo, le attese del discorso sono importanti, ci facilitano il compito di dare una lettura moralizzatrice e convenzionale del mondo: ci aspettiamo sempre che il mondo vada nella direzione dei nostri pregiudizi, e così stiamo tranquilli. Intini invece ci consegna un costrutto verbale dove le attese sono disattese, disintegrate, de-urbanizzate, de-localizzate, de-misticizzate, delle parole mitridatizzate; ci dice che quelle attese di «quelle» parole vanno invece disattese, che tra una parola e l’altra va inserita una distanza, un distanziamento psicologico e sociale in quanto la parola comune è portatrice di un virus contro il quale non abbiamo ancora un vaccino efficace.

    Questo gioco del rimpatrio della parola nella sua lettera è fatto per stordire il lettore, per stordire una lingua divenuta un tranello nel quale l’homo sapiens corre il rischio di cadere. Ogni parola va fatta giocare nell’eterna oscillazione tra l’Immaginario e il Simbolico, e, in questa oscillazione, va fatta cadere, non a filo a piombo, ma «fuori dal significato»; bisogna imprimere, attraverso il rimpatrio, una deviazione, un clinamen alla parola, ad ogni parola in modo che essa venga s-postata dal suo luogo «naturale» (il significato) verso il quale naturalmente tende, ed indirizzata ad un altro luogo che non avevamo previsto, che non conoscevamo. E questo è salutare, è un esercizio che ci evita l’impostura e la menzogna del linguaggio consolidato. E questo è il compito precipuo della poesia, oggi.

    «Se non si esce mai davvero dalla logica del pensiero che pensa in bianco e nero, il problema è allora non come uscirne (il che si convertirebbe in una sanzione senza appello) ma come starci dentro. Come ospitare un giallo in una logica del bianco e nero».2

    1 P.A. Rovatti, Abitare la distanza Raffaello Cortina Editore, 2007, p. XXIX
    2 Ibidem p. 33

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  3. Al giorno d’oggi, riuscire ad essere normali può farti vincere un Nobel. Complimenti a Louise Glüc. .

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    • EWA TAGHER

      Caro Lucio, ho fatto il tuo stesso pensiero: stamattina Linguaglossa ha scritto “Non è compito della poetry kitchen fondare scuole, istituire peripati o gerarchie poetiche, commerciare o negoziare o rappresentare alcunché, né entrare in relazione con alcunché; la poetry kitchen non si pone neanche come mera risorsa stilistica o come un contenuto veritativo che non c’è, ma come effetti di un contenuto veritativo che rimane occultato, effetti di effetti, riflessi di riflessi. Si pone semmai come un fuori questione della poiesis.” Ecco noi tutti siamo proprio fuori questione. Complimenti a Franco Intini nelle vesti di Alina!

      Vuoi sapere come passo il tempo?

      Cammino sul prato davanti, fingendo

      di diserbare. Dovresti sapere

      che non diserbo mai, in ginocchio, sradicando

      ciuffi di trifoglio dalle aiole fiorite: in realtà

      sto cercando coraggio, qualche indizio

      che la mia vita cambierà…

      Louise Glück, New York 22 6 1943

      da “L’iris selvatico”

      traduzione Massimo Bacigalupo

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      • Guido Galdini

        Se non sbaglio è il primo poeta statunitense a ricevere il Nobel, escludendo Eliot (che al tempo del premio era cittadino inglese) e Bob Dylan (poeta sui generis).
        E dire che gli USA non si sono fatti mancare immensi poeti, da Pound (che mi rendo conto ere improponibilie) a Wallace Stevens e W.H. Auden (che ha fatto il cammino inverso di Eliot), tanto per citare i primissimi che mi sono veniti in mente.

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        • Donne Premio Nobel per la Letteratura:

          Louise Glück è la sedicesima donna ad aver vinto il Premio Nobel per la letteratura per la sua immaginazione un’immaginazione narrativa. La prima donna ad aggiudicarsi il prestigioso riconoscimento fu Selma Lagerlöf, nel 1909.

          Le 16 donne Premio Nobel per la Letteratura
          Le donne Premio Nobel per la Letteratura e le motivazioni di tutte e sedici le vincitrici.

          Selma Lagerlöf (1858-1940). “Per l’elevato idealismo, la vivida immaginazione e la percezione spirituale che caratterizzano le sue opere”.

          Grazia Deledda (1871-1936). Ha vinto il Nobel nel 1926 “per la sua ispirazione idealistica, scritta con raffigurazioni di plastica chiarezza della vita della sua isola nativa, con profonda comprensione degli umani problemi”.

          Sigrid Undset (1882-1949). La scrittrice norvegese ha vinto il Nobel nel 1928 “principalmente per la sua imponente descrizione della vita nordica durante il medioevo”.

          Pearl Buck (1892-1972). “Per le sue ricche ed epiche descrizioni della vita contadina in Cina e per i suoi lavori autobiografici” (Nobel nel 1938).

          Gabriela Mistral (1889-1957). Siamo nel 1945 e il Nobel per la letteratura va a lei “per la sua lirica, ispirata da forti emozioni, che ha fatto del suo nome un simbolo delle aspirazioni idealistiche dell’intero mondo latino americano”.

          Nelly Sachs (1891-1970). Vinse il Nobel nel 1966 insieme a Shmuel Agnon. La motivazione del premio a Nelly Sachs è la seguente: “per la sua scrittura lirica e drammatica eccezionale, che interpreta il destino d’Israele con resistenza commovente”.

          Nadine Gordimer (1923-2014). Ha vinto il Nobel nel 1991 perché “con la sua scrittura epica magnifica – nelle parole di Alfred Nobel – è stata di notevole beneficio all’umanità”.

          Toni Morrison (1931-2019). È il 1993 e il Nobel va a Toni Morrison “che in racconti caratterizzati da forza visionaria e rilevanza poetica dà vita ad un aspetto essenziale della realtà americana”.

          Wislawa Szymborska (1923-2012). La poetessa ha vinto il Nobel nel 1996 “per la poesia che con ironica precisione permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti di realtà umana”.

          Elfriede Jelinek (1946). La scrittrice austriaca vince il Nobel “per il flusso melodico di voci e controvoci in romanzi e testi teatrali, che con estremo gusto linguistico rivelano l’assurdità dei cliché sociali e il loro potere”.

          Doris Lessing (1919-2013). “Cantrice dell’esperienza femminile che con scetticismo, passione e potere visionario ha messo sotto esame una civiltà divisa”. È questa la motivazione con la quale le viene assegnato il Nobel nel 2007.

          Herta Müller (1953). Ha vinto il Nobel nel 2009 perché “ con la concentrazione della poesia e la franchezza della prosa, dipinge il panorama dello spodestato”.

          Alice Munro (1931). A lei il Premio Nobel 2013 perché “maestra del racconto breve contemporaneo”.

          Svetlana Alexievich (1948). Ha vinto il Nobel nel 2015 “per la sua opera polifonica, un monumento alla sofferenza e al coraggio nel nostro tempo”.

          Olga Tokarczuk (1962). Ha vinto il Nobel 2018 (assegnato nel 2019) “per un’immaginazione narrativa che con passione enciclopedica rappresenta l’attraversamento dei confini come forma di vita”.

          Louise Glück (1943). Il Nobel le è stato assegnato nel 2020 “per la sua inconfondibile voce poetica che con austera bellezza rende l’esistenza individuale universale”.

          *

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  4. Circa 50.000 anni fa gli abitanti di una caverna in Africa del Sud organizzano il proprio spazio vitale, fabbricano manufatti più o meno come facciamo noi oggi, e quello che fanno lo fanno seguendo criteri estetici più che di funzionalità…

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  5. mariomgabriele

    Giorgio, che ne dici del Nobel dato a Louise GlucK?
    Hanno premiato la poesia tradizionale confermando che altre strade non sono percorribili, mentre in Italia noi proponiamo la NOE con la Poetry Kitchen,la Poesia Buffet, Pop-Spot, Pop-Bitcoin, e Pop-Jazz? Siamo da considerarci fuori gioco ? o siamo arrivati a frantumarci con i frammenti e a rivedere ogni cosa asfissiati da molti detrattori alcuni dei quali nei loro Blog non fanno che inquinare la nostra poesia?.Se la NOE è tutto questo bisogna stare attenti nel proporre testi decelebrali dando più risorse alla nostra poesia.

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    • caro Mario Gabriele,

      che vuoi che ti dica? Il Nobel alla americana Louise Glück era nell’ordine delle cose dopo il passo falso del Nobel conferito a «Bob Dylan (poeta sui generis)», come scrive giustamente Guido Galdini. Inoltre, la giuria del Nobel è composta da persone che hanno una media di 85 anni, e a quell’età non c’è più voglia di rischiare, i gusti si sono consolidati e sedimentati, ogni novità viene vista con grande sfiducia se non con sospetto, e il risultato finale è questa immobilità del gusto complessivo della giuria; questa scontatezza delle sue scelte era ampiamente prevedibile, e pensare che negli Stati Uniti c’è un poeta che per diapason è cento volte superiore alla mite e timida voce di Louise Glück, un certo Clarles Simic. Ma si sa che Simic è un poeta scomodo, visto come un protestatario, un intellettuale non propriamente allineato con l’idea di poesia che hanno i membri della giuria del Nobel che è quella un po’ vecchiotta e ammuffita di una ontologia poetica che vede la poesia come lirica un po’ sliricizzata quanto basta, una lirica che ha il suo focus sulle vicende dell’amore tradito e della umanità infingarda e fasulla.
      Cosa vuoi che ti dica della poesia di Louise Glück? Mi sembra una poesia un po’ telefonata, certo ben scritta, ma con alcune cadute, anzi, con frequenti tonfi come quel verso:

      Nessuna disperazione è come la mia disperazione…

      che fa oggettivamente ridere. Si tratta di una vecchia e antiquata concezione della poesia, che comunque ci può stare, Louise Glück scrive le sue cose migliori negli anni ottanta e novanta, è una poesia esistenzial quotidiana, una poesia d’amore (mi vengono i brividi…). Certo, in confronto Charles Simic è un gigante, ma si sa che i giganti danno fastidio, sono ingombranti, troppo ingombranti per l’attempata giuria del Nobel. Ma non mi sorprende questa incapacità, questo non essere all’altezza dei membri della giuria del Nobel ad esprimere dei verdetti sulla poesia contemporanea; il messaggio che si vuole dare con questa assegnazione mi sembra molto ovvio ed evidente: la completa ininfluenza della poesia nel mondo contemporaneo, l’inadeguatezza della poesia ufficiale a parlarci dei problemi del nostro mondo; e leggendo le poesie di Louise Glück questo aspetto risulta evidente.

      Ma questo non significa che noi non dobbiamo continuare nel nostro lavoro di svecchiamento della poesia delle «società signorili di massa» del mondo occidentale, come sono state brillantemente definite da un economista italiano. La poesia di Louise Glück è il miglior ornamento che la società signorile di massa di oggi si può agghindare sul petto a mo’ di trofeo, è una poesia decorativa e funzionale alle attese del pubblico benestante mediatizzato e atrofizzato e in falsa coscienza che fa pubbliche donazioni ai poveri e agli orfanelli degli orfanotrofi e che vuole essere confortato, corroborato e consolato della propria falsa coscienza e del proprio squallore. Questa poesia corrisponde perfettamente al canone delle buone maniere e del buon apprentissage, come dire, della figura del poeta nell’organizzazione delle strutture della persuasione delle società signorili di massa.

      La poetry kitchen è ovviamente un’altra cosa, la nostra poesia non ha nulla a che vedere con questo reliquario di tematiche liturgiche, non abbiamo altra scelta che proseguire nel nostro lavoro, ben sapendo che troveremo ferree resistenze da parte della poesia istituzionale. Ma questo lo sapevamo già.

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  6. Louise Glück ha ricevuto il Premio Nobel per la letteratura 2020 «per la sua inconfondibile voce poetica che con l’austera bellezza rende universale l’esistenza individuale». Nata a New York nel 1943, Louise Glück ha collaborato con le più importanti riviste americane ed ha vinto nel 1993 il premio Pulitzer per L’iris selvatico. La sua poesia è caratterizzata dall’intimismo, dalle vicende dell’interiorità infirmata e ferita dal mondo. È stata paragonata alla poesia di Emily Dickinson. Louise Glück ci dice cose che già tutti conosciamo, ci parla della condizione esistenziale della soggettività colta nella quotidianità; i suoi protagonisti preferiti sono gli oggetti, quelli di uso quotidiano.

    Mattutino

    Padre irraggiungibile, quando all’inizio fummo
    esiliati dal cielo, creasti
    una replica, un luogo in un certo senso
    diverso dal cielo, essendo
    pensato per dare una lezione: altrimenti
    uguale… la bellezza da entrambe le parti, bellezza
    senza alternativa… Solo che
    non sapevamo quale fosse la lezione. Lasciati soli,
    ci esaurimmo a vicenda. Seguirono
    anni di oscurità; facemmo a turno
    a lavorare il giardino, le prime lacrime
    ci riempivano gli occhi quando la terra
    si appannò di petali, qui
    rosso scuro, là color carne…
    Non pensavamo mai a te
    che stavamo imparando a venerare.
    Sapevamo solo che non era natura umana amare
    solo ciò che restituisce amore.

    Aprile

    Nessuna disperazione è come la mia disperazione…

    Non avete luogo in questo giardino
    di pensare cose simili, producendo
    i fastidiosi segni esterni; l’uomo
    che diserba cocciuto tutta una foresta,
    la donna che zoppica, rifiutando di cambiar vestito
    o lavarsi i capelli.

    Credete che mi importi
    se vi parlate?
    Ma voglio che sappiate
    mi aspettavo di più da due creature
    che furono dotate di mente: se non
    che aveste davvero dell’affetto reciproco
    almeno che capiste
    che il dolore è distribuito
    fra voi, fra tutta la vostra specie, perché io
    possa riconoscervi, come il blu scuro
    marchia la scilla selvatica, il bianco
    la viola di bosco.

    Fine dell’estate

    Dopo che mi vennero in mente tutte le cose,
    mi venne in mente il vuoto.

    C’è un limite
    al piacere che trovavo nella forma…

    In questo non sono come voi,
    non ho risoluzione in un altro corpo,

    non ho bisogno
    di un riparo fuori di me…

    Mie povere ispirate
    creazioni, siete
    distrazioni, in ultimo,
    puri inceppi; siete
    alla fine troppo poco simili a me
    per piacermi.

    E così candide:
    volete essere ripagate
    della vostra scomparsa,
    pagate tutte con qualche parte della terra,
    qualche ricordo, come una volta eravate
    compensate per il lavoro,
    lo scriba pagato
    con argento, il pastore con orzo
    per quanto non è la terra
    a durare, non
    queste schegge di materia…

    Se apriste gli occhi
    mi vedreste, vedreste
    il vuoto del cielo
    specchiato in terra, i campi
    di nuovo nudi, senza vita, coperti di neve…

    poi luce bianca
    non più travestita da materia.

    Tramonto

    La mia grande felicità
    è il suono che fa la tua voce
    chiamandomi anche nella disperazione; il mio dolore
    che non posso risponderti
    in parole che accetti come mie.

    Non hai fede nella tua stessa lingua.
    Così deleghi
    autorità a segni
    che non puoi leggere con alcuna precisione.

    Eppure la tua voce mi raggiunge sempre.
    E io rispondo costantemente,
    la mia collera passa
    come passa l’inverno. La mia tenerezza
    dovrebbe esserti chiara
    nella brezza della sera d’estate
    e nelle parole che diventano
    la tua stessa risposta.

    Primogenito

    Le settimane passano. Io le ripongo,
    Sono tutte uguali, come barattoli di minestra scorticati…
    I fagioli inacidiscono nel pentolino. Guardo la cipolla
    isolata
    Che galleggia come Ofelia, incrostata d’unto:
    Tu svogliato, giochi col cucchiaio.
    E adesso? Ti mancano le mie premure? Il tuo cortile matura
    In un padiglione di rose, come un anno fa quando suore di servizio
    Mi spingevano lungo la corsia…
    Tu non potevi guardare. Vidi
    L’amore convertito, tuo figlio,
    Sbavare sotto vetro, affamato…

    Mangiamo bene.

    Oggi il mio macellaio spunta il suo coltello esperto
    Sul vitello, la tua passione. Io pago con la mia vita.

    Inizio di Dicembre a Croton-on-Hudson

    Lance di sole. Lo Hudson si
    Scheggia di ghiaccio.
    Sento i dadi d’osso
    Della ghiaia nel vento scricchiolare. Pallida
    D’osso, la neve recente
    Aderisce come pelliccia al fiume.
    Stasi. Partivamo per consegnare
    Regali di Natale quando scoppiò la gomma
    L’anno scorso. Sopra le morte valve pini cimati
    Da un temporale stavano, i rami spogli…
    Ti voglio.

    Secondi

    Anelavo, essendo restata così a lungo
    Vuota, a quel che lui aveva, durezza
    Che (mio figlio già un ragazzo)
    Ancora mi risucchiava verso quell’anello, quella benedizione.
    Sebbene sapessi come in lui sia
    Debolezza: oziando nel gin
    Tesse qualche minaccia obliqua finché
    Mi storcerà un braccio, o ciò che dico – mio figlio
    Sta già rigido sull’uscio, vedendo tutto,
    E poi quel pugno veloce sferza il mio unico
    Bambino, la mia vita… Certo che m’importa.
    Guardo le vicine che accorrono
    Coi loro punti di vista. Ora enorme di torta la loro
    Faccia bianca levita sopra la sua tazza; sorridono,
    Donne infossate, succhiando il loro tè…
    Lascerei che la casa andasse in fiamme per questo fuoco.

    Louise Glück, tre poesie
    tradotte da Nicola Gardini

    Louise Glück
    Pubblichiamo la traduzione di Nicola Gardini di tre poesie tratte da The Wild Iris (1992).

    Il papavero rosso

    Il massimo
    è non avere
    mente. Sentimenti:
    oh, quelli ne ho; mi
    governano. Ho
    un signore in cielo
    che si chiama sole, e mi apro
    per lui, mostrandogli
    il fuoco del mio cuore, fuoco
    come la sua presenza.
    Che altro può essere una simile gloria
    se non un cuore? Oh, sorelle e fratelli,
    eravate come me una volta, tanto tempo fa,
    prima di essere umani? Vi
    concedeste di aprirvi
    una volta per poi non aprirvi
    mai più? Perché in verità
    adesso io sto parlando
    come voi. Io parlo
    perché sono distrutta.

    Vespro

    Una volta credevo in te; ho piantato un fico.
    Qui, in Vermont, paese
    senza estate. Era una prova: se l’albero viveva,
    allora tu esistevi.

    Questa logica dice che non esisti. O esisti
    esclusivamente nei climi caldi,
    nella torrida Sicilia, in Messico, in California,
    dove crescono inimmaginabili
    albicocche e fragili pesche. Forse
    vedono la tua faccia in Sicilia; qui, vediamo appena
    l’orlo del tuo vestito. Devo addestrarmi
    a dare una parte dei pomodori a John e a Noah.

    Se c’è giustizia in qualche altro mondo, a quelli
    come me, che la natura spinge
    a vite di astinenza, dovrebbe toccare
    la parte più abbondante di tutte le cose, di tutti
    gli oggetti della fame, l’insaziabilità
    essendo lode di te. E nessuno loda
    più appassionatamente di me, con
    desiderio più dolorosamente frenato o più merita
    di sedere alla tua destra, se esiste, partecipando
    del perituro, il fico immortale,
    che non viaggia.

    I gigli bianchi

    Mentre un uomo e una donna fanno
    un giardino tra loro come
    un letto di stelle, qui
    fanno passare la sera d’estate
    e la sera diventa
    fredda del loro terrore: potrebbe
    finire, sarebbe capace
    di devastazione. Tutto, tutto
    può perdersi, nell’aria odorosa
    le strette colonne
    che salgono inutilmente e, di là,
    un ribollente mare di papaveri –

    Taci, mio amato. Non mi importa
    quante estati vivo per tornare:
    questa sola ci ha dato l’eternità.
    Ho sentito le tue mani
    seppellirmi per liberare il suo splendore.

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  7. antonio sagredo

    Louise Gluck….
    poesia anoressica, malata di classicismo di pessimo gusto, frattaglie di sentimenti a buon mercato…
    …una bestemmia metterla a fianco di Emily Dickinson, di questa ne prende gli avanzi metafisici e li usa per i suoi collages pragmatisti di bassa lega…
    a chi interessano i suoi amori? – o quando afferma “il mio pensiero canta e forma il mio stile”, come se fosse la prima ad averlo detto!
    … è poetessa di quarto ordine… al confronto con Helle Busacca o Madonna e della stessa Annamaria De Pietro scompare del tutto!
    Devo continuare?

    a. s.
    ———————–
    Cosa resta di me dopo il sangue…

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  8. Mi assumo in pieno la responsabilità di ciò che dico.
    L’esperienza poetica di Louise Glück (lo rivelano i testi proposti senza ombra di dubbio) per me presenta quelli che da tempo ed alla luce del sole sto dichiarando essere i due grandi limiti, le due invincibili gabbie del consolidato “fare poetico” d’ogni latitudine e d’ogni tempo e cioè:

    – l’Io poetante a forte tinta lirica;
    – il tono fondamentalmente elegiaco.

    L’Io e il clima elegiaco della poesia contemporanea, compresa quella della Glück, da tempo li ho irreversibilmente ripudiati: sono stati e per me rimangono i limiti del fare poesia.

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    • Dei Nobel assegnati negli ultimi dieci anni (2010/2020) di questo secolo l’unico Nobel per me totalmente condivisibile è stato e rimane quello del 2011 assegnato a Tomas Tranströmer e alla novità indiscutibile della sua poesia la quale, come scrissero gli accademici di Svezia nella motivazione, attraverso le sue immagini dense, limpide, offre e offrirà nuove vie d’accesso alla realtà.

      Bastano da soli questi quattro ossimori a dire della novità di questo poeta in grado di chiudere un mondo e di aprire e/o indicare nuove piste alla poesia del dopo Tranströmer:

      Un sentiero che si richiude dietro a ogni passo.
      Una bevanda effervescente in bicchieri vuoti.
      Un altoparlante che diffonde silenzio.
      Un libro che può essere letto solo al buio.
      *

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  9. INEDITO DI MARIO M. GABRIELE DEL 15 APRILE 2020

    Andando per vicoli e miracoli
    ritrovammo l’albergo e il trolley.

    Non si dà nulla per certo, neanche prendere contatti
    con il gobbo di Notre Dame per suonare le campane.

    Bisognava partire.
    Tu non vuoi più le carezze?

    Il fatto è che se ci mettiamo a seguire Ketty
    non leggeremo Autoritratto in uno specchio convesso.

    I Simpson si riconoscono per il colore giallo.
    Giulia ne ha fatto una raccolta di figurine acriliche.

    Tutto rotola e va in basso. Sale e scende.
    Linee nere e linee rosse.Si cerca il punto originario.

    Cerca di distrarti! Prova a chiamare
    le cugine di Sioux City.

    Ti suoneranno l’ukulele
    ricordandoti C’era una volta l’America.

    Oh bab, baobab, invocò il nigeriano
    alla fermata del Pickup.

    Controlla tutto e bene nel trolley.
    Vedi se c’è anche questa sera il Roipnol.

    giorgio linguaglossa says:
    aprile 26, 2020 at 9:22 am

    Proprio nel momento in cui l’erede di Giovanni Agnelli, il topastro John Elkann, ha liquidato il direttore di “La Repubblica” sostituendolo con un fedelissimo moderato pony express del moderatismo internazionale Molinari, e comprato l’asset per un pugno di dollari, possiamo comprendere come il capitale internazionale disdegni le testate giornalistiche «diverse» e comunque «critiche» del sistema-Capitale. Il problema è che si preannuncia in Italia, in Europa e nel mondo occidentale un acutizzarsi della crisi e dello scontro in atto tra i ricchissimi e il nuovo proletariato internazionale che ama visceralmente i Bolsonaro, i Trump, i Salvini, le Meloni, gli Orban, i Putin… Le democrazie liberali sono a rischio di sopravvivenza, questo è chiarissimo anche in Italia dove l’accoppiata fascista-leghista Salvini-Meloni lancia accuse incandescenti contro un governo parlamentare che sta affrontando la crisi più grave del novecento e del post-novecento.
    In questa situazione alla poesia viene sottratto il terreno da sotto i piedi, le parole diventano sempre più difficili, scottano, non possono più essere maneggiate, i poetini e le poetine alla Mariangela Gualtieri e alla Franco Arminio vengono citati sulle pagine della stampa e dei media per le loro poesiouole sul Covid19 e sull’ambaradam dello sciocchezzaio, mentre un poeta laureato di Milano discetta sulla fine della «società letteraria» d’un tempo, e altri autopoeti parlano di «Bellezza» e altre amenità consustanziali allo stupidario di massa di oggi.
    In questa situazione, che cosa può scrivere un poeta che vive nel paese più a rischio democratico d’Europa come l’Italia? Può solo scrivere con sconcertante umiltà: «Tutto rotola e va in basso», per concludere:

    Controlla tutto e bene nel trolley.
    Vedi se c’è anche questa sera il Roipnol.

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  10. mariomgabriele

    caro Giorgio, la situazione attuale mi porta a immaginare il futuro diviso tra ricchezza e povertà. Poi penso anche a mia nipote. Beh! mi dico,ha soltanto 12 anni, arriverà alla fine di questo secolo.Da qui ad allora come si comporterà il potere economico? Nella mia mente scorre l’immagine di Blade Runner e di una fantascienza noir per l’umanità, senza più Libertà e Lavoro decimate, come fa oggi il Covid 19.

    Freud riteneva la repressione un fatto inevitabile, anticipando la fine degli stati borghesi-liberali.senza più la dialettica dell’Illuminismo, la Cultura, la Poesia e la teoria critica della società. Vivrà, come un impero, solo la ragione oggettiva nel controllare il sistema demografico, la morale, la natura.

    La rivoluzione proletaria non risorgerà mancando le armi per attuarla. Ciò porterà ad una soccombenza di idee rivoluzionarie. La quantità e la qualità del lavoro saranno controllate su misura mentre il plusvalore andrà ai vari Bill Gates e a quelli di Davos.
    Spero che ciò non avvenga ma il futuro sarà senz’altro da Medioevo.
    Grazie del testo poetico riportato che spero lo faccia anche tu con la tua poesia assente su l’Ombra da qualche mese e forse più.

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  11. milaure colasson

    Le poesie di Francesco Paolo Intini e di Mario Gabriele ci riscattano dalla povertà generale e dalla banalità della poesia di Louise Glück… certo c’è una distanza grandissima tra la poetessa americana e i poeti kitchen o pop corn. I tempi amano visceralmente il conformismo e la normografia se anche la giuria del Nobel prende di tali abbagli vuol dire che la situazione è drammatica. Ma non perdiamoci d’animo, pur se in una isoletta contornata da un mare di banalità, non abbiamo altra scelta che andare avanti con vitalità. Domani mattina apparirà un post interamente dedicato alla poetessa americana Louise Glück, e ci ritorneremo sopra.
    Un saluto a tutti.
    Milaure

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