Giorgio Linguaglossa
A proposito della poetry kitchen o poesia buffet, Il Teatro delle Maschere e il collasso dell’Ordine Simbolico
I sistemi del capitalismo del mondo occidentale hanno posto una evidenza: il Covid19 ha reso evidente un triplice collasso: collasso economico, collasso ecologico e collasso dell’Ordine Simbolico. Le conseguenze di questo triplice collasso sono, allo stato, inimmaginabili, e non potranno non riflettersi anche sulla poiesis.
La poetry kitchen o poesia buffet, il momento più avanzato della nuova ontologia estetica, forse è una anomalia, forse una perturbazione atmosferica ed ha, nei due corni problematici, in Mario Gabriele e in Gino Rago, due rappresentanti autorevolissimi della vasta gamma di possibilità espressa dalla poetry kitchen o poesia buffet; all’interno di questa gamma c’è posto anche per il rigoroso pseudo-limerick di Guido Galdini, ovviamente condito con gli ingredienti kitchen: rosmarino, peperoncino, prezzemolo, sale e pepe, sale di montagna e mineralizzato, curcuma e cannella, aceto balsamico di Modena e vino trevigiano frizzante brut con acqua del lavabo.
Gino Rago ha preso a soggetto della sua poesia, prima una «pallottola», adesso la «gallina Nanin» della cover della Antologia di poesia, poetry kitchen; la poesia di Mario Gabriele è alle prese con il problema di «conoscere il Signor H», di qui tutte le vicissitudini dei vari personaggi che intervengono sulla scena o nella filmografia della sua poesia.
Penso che l’opportunità offerta dalla poetry kitchen sia ampia e innovativa. Questa è l’officina che sta facendo la più innovativa poesia italiana da settanta anni a questa parte. Non è una mia opinione, è un fatto che i concorrenti detrattori non riconosceranno mai.
Finché la «scena» si porrà come un «luogo» dove l’attore o gli attori si spacciano per Altro e per Altri, si creerà una prospettiva favorevole alla irruzione dell’Immaginario sulla «scena». È una poetry kitchen un po’ pirandelliana, lo ammetto. Siamo nel regno dell’Illusorio e dell’Immaginario dove torniamo per un po’ tutti bambini, dove una sedia deve fungere da aeroplano, dove viene detto chiaramente che una sedia è un aeroplano. È stato detto da Mallarmé che a teatro, sulla scena, non succede niente di reale; è vero, e noi prendiamo il detto del poeta francese alla lettera. Gli struggimenti del muscolo cardiaco dell’io ci sono indifferenti e insignificanti.
Siamo in un Teatro delle Maschere. Davanti ad una poesia kitchen dobbiamo dismettere l’abito mentale mimetico ed abbandonarci ad uno non-mimetico. Non è un problema di «credenza», non è questione di credere nelle «maschere» come illusione, crediamo nelle maschere in quanto illusione. La maschera non si spaccia per quello che non è ma ha il potere di evocare le immagini della fantasia: una maschera di lupo non ci fa paura in quanto lupo, ma come immagine del lupo che il lettore prende per verosimile. Il verosimile come garanzia della verità che non c’è. Identificarsi con una illusione è cosa ben diversa dall’essere ingannati da una illusione. Il distinguo è fondamentale. La poesia kitchen è tutta qui, in questo semplicissimo espediente. Chi lo capisce, fa poesia kitchen, chi non lo riconosce, non farà mai poesia kitchen ma qualcosa d’altro che ha a che fare con l’abito mimetico-aristotelico, con il Sublime, con il quotidiano, etc. Comunque, con un’altra cosa.
Guido Galdini Continua a leggere