Archivi del giorno: 21 gennaio 2020

Intervista a Massimo Pamio di Giorgio Linguaglossa su alcune questioni dell’arte di oggi, Immagine, Rappresentazione, Meta rappresentazione, Umweg, Einkleidung, Ritracciamento, Cartolina, il Poetico, la Nuova Ontologia Estetica, la Forma polittico, Poesia di Mario M. Gabriele, Giorgio Linguaglossa

Gif Sorridenti

qual è la natura della nudità che il racconto ricopre?

Domanda:

Nel tuo libro appena uscito con Mimesis, Sensibili alle forme. Che cos’è l’arte, Mimesis, 2019 pp. 164 € 18, scrivi, a proposito dell’immagine:

«È tornato prepotentemente al centro del dibattito filosofico ed estetico il concetto di immagine, da Warburg in poi (Merleau-Ponty, Pierantoni, Didi-Huberman, Wunenburger, Garroni, Belting, Bredekamp, Gasparotti, Coccia, Weigel, Kirchmayr, Schwarte, ma anche Jean Luc Nancy). L’immagine, ciò che si vede, è un sentire essere visti…».

In proposito, la «nuova ontologia estetica» sostenuta da alcuni poeti riuniti sotto l’egida dell’Ombra delle Parole, intende il polittico di immagini e la poesia-polittico come un work in progress della fortune-telling book, un coacervo di bisbidis di quisquilie e di filosofemi, di post-it, di appunti sul recto di cartoline postali, di poscritti su attaches, di appunti persi e poi ritrovati. Sembra pleonastico dirlo ma è bene ricordarlo: ad ogni nuovo concetto di immagine corrisponde un nuovo concetto di arte.

«Ciò che preferisco nella cartolina, è che non si sa ciò che è davanti o ciò che sta dietro, qui o là, vicino o lontano, il Platone o il Socrate, recto o verso. Né ciò che importa di più, l’immagine o il testo, e nel testo, il messaggio, la legenda, o l’indirizzo. Qui, nella mia apocalisse da cartolina, ci sono dei nomi propri. S. e p., sull’immagine, e la reversibilità si scatena, diventa folle – te l’avevo detto, la folle sei tu – a legare. Tu travisi in anticipo tutto quello che dico, non ci capisci niente, ma allora niente, niente del tutto, o proprio tutto, che annulli subito, ed io non posso più smettere di parlare.
Si è sbagliato o non so cosa, questo Matthew Paris, sbagliato di nome come di cappello, piazzando quello di Socrate sulla testa di Platone, e viceversa? Sopra i loro cappelli, piuttosto, piatto o puntuto, come un ombrello. In questa immagine c’è qualcosa della gag. Cinema muto, si sono scambiati l’ombrello, il segretario ha preso quello del padrone, il più grande, tu hai sottolineato la maiuscola dell’uno la minuscola dell’altro sormontata ancora da un piccolo punto sulla p. Ne consegue un intrigo di lungo metraggio. Sono sicuro di non capirci niente di questa iconografia, ma ciò non contraddice in me la certezza di aver sempre saputo ciò che essa segretamente racconta (qualche cosa come la nostra storia, almeno, un’enorme sequenza dalla quale la nostra storia può essere dedotta), ciò che capita e che capita di sapere. Un giorno cercherò quel che c’è successo in questo fortune-telling book del XIII, e quando saremo soli, ciò che ci aspetta.

[…]

Il racconto letterario è un’elaborazione secondaria e, perciò, una Einkleidung, si tratta della sua parola, una veste formale, un rivestimento, il travestimento di un sogno tipico, del suo contenuto originario e infantile. Il racconto dissimula o maschera la nudità dello Stoff. Come tutti i racconti, come tutte le elaborazioni secondarie, esso vela una nudità.
Ora qual è la natura della nudità che in tal modo ricopre? È la natura della nudità: lo stesso sogno di nudità ed il suo affetto essenziale, il pudore. Poiché la natura della nudità così velata/disvelata è che la nudità non appartiene alla natura e che possiede la propria verità nel pudore.
Il tema nascosto de I vestiti nuovi dell’imperatore [fiaba di Andersen] è il tema nascosto. Ciò che l’Einkleidung formale, letterario, secondario vela e disvela, è il sogno di velamento/disvelamento, l’unità del velo (velamento/disvelamento), del travestimento e della messa a nudo. Tale unità si trova, in una struttura indemagliabile, messa in scena sotto la forma di una nudità e di una veste invisibili, di un tessuto visibili per gli uni, invisibile per gli altri, nudità allo stesso tempo apparente ed esibita. La medesima stoffa nasconde e mostra lo Stoff onirico, vale a dire anche la verità di ciò che è presente senza velo.»1

Risposta:

Siamo al quid. Mi poni di fronte a questioni radicali. Intanto, mi riporti a temi (quello del velo e del disvelamento di derridiana memoria) che risalgono agli anni Ottanta (Armando Verdiglione, Ettore Bonessio di Terzet, Raffaele Perrotta, Alberto Cappi, Jabés, Carifi  e altri si misuravano sul tema). La verità di ciò che è presente senza velo rimanda alla rimozione che ha operato il pensiero filosofico, riguardante la verità della percezione, che costituisce il nostro modo di essere al mondo. Ed è proprio nell’analisi del fenomeno estetico, che questa verità rimossa si mostra, che la nudità del vestito dell’imperatore appare. Il più interessante pensatore del momento è a mio avviso Fabrizio Desideri, il quale, nel richiamare le tesi di Juan Pascual-Leone, sottolinea come sia “l’instaurarsi di una circolarità tra processi di attenzionalità esogena ed endogena a generare quell’esperienza percettiva della familiarità che favorisce il formarsi nella nostra mente di schemi che possiamo legittimamente chiamare estetici” (Fabrizio Desideri, Origine dell’estetico, Roma, Carocci, 2019, p. 65). Schemi o, secondo me, matrici (chimico-fisiche, che si applicano a ogni esperienza nuova, interpretabili in termini quantistici e matematici) che impongono, attraverso il sistema percettivo, prima della riduzione linguistica, una attitudine al mondo di natura “estetica” (questa parola va presa con le molle, voglio dire che la struttura del percepibile influenza la concezione del mondo – anche se in qualche maniera la riflette, proprio grazie a queste matrici. Insomma, sostengo, sull’onda di Emilio Garroni, che il nostro percepire sia un percepire-come, un percepire-attraverso, un percepire nell’oggetto il proprio percepire (la risposta emotiva, il pudore che costituisce lo svelamento), un riflettersi nella propria percezione in qualità di oggetto del mondo, per tornare infine a sé attraverso la percezione dell’oggetto che ci interroga. “Condizione di ogni logica del conoscere, la disposizione all’accordo”, rileva Desideri, “lo è in quanto Stimmung, risuonare dell’accordo (…). Tra Stimmung e Gefühl, tra intonazione affettiva (accordo) e sentimento vi è dunque relazione necessaria e in questa relazione si presuppone logicamente  un sensus communis” (Fabrizio Desideri, op. cit,. p. 70). Chiaramente, questo discorso si pone molto prima del fatto letterario, che rinvia all’imprecisione e all’imperfezione della parola di fronte allo svelamento della verità oppure, se si vuole, riferisce della umana incapacità di creare strumenti che possano veramente com-prendere la realtà che ci circonda. Restiamo chiusi nella dimensione “estetica” e ottica, linguistica e matematica dei nostri strumenti.

Domanda:

I trucchi della messa in scena letteraria

La poiesis è sempre in qualche modo servente, asservita e assolutoria. Come diceva Marx: l’arte è sovrastruttura. La poiesis rappresenta sempre il volto invisibile del potere: ne è la maschera, la maschera “estetica”, la “maschera di bellezza”, trattamento del viso.

L’arte è tutto ciò che gli uomini chiamano arte

A questa tautologica definizione sfugge un dettaglio per essere perfetta: è arte quello che un gruppo definisce essere arte (da una parte i vincenti, Cucchi, Paladino, Rotella, Chia, Pistoletto, Kounellis, Clemente, Cattelan, Beecroft; dall’altra i perdenti che alla fine non contano nulla – e ci sono tanti artisti sommi sconosciuti, oggi, come ieri).
Quindi l’arte è l’effetto di un modo sapiente messo a profitto da parte di coloro che sfruttano le opportunità offerte dal loro tempo, e comunicano, impongono la loro concezione della poiesis esprimendo la verità delle maschere o le maschere della verità… Questo modo di fare «arte» mostra lo sfruttamento, la strumentalità presente nelle democrazie rappresentative. L’arte è il modo di gustare questo piacere, che consiste nel creare sensazionalismi e personalismi e un «mondo estetico» che io preferirei definire falso, pacchiano, patinato, in una parola kitsch inconsapevole…
[…]
Per Guy Debord, l’arte, nella nuova epoca dei musei, appassisce perché la comunicazione artistica è impossibile, l’oggetto d’arte essendo divenuto un fossile da contemplare dietro una vetrina. Senonché, il gesto di un solo artista (Graziano Cecchini) che getta vernice rossa nella fontana di piazza Navona, fa il giro del mondo e ottiene quello che ormai da più di trent’anni la nostra classe politica non riesce ad attuare: il rilancio pubblicitario dei beni culturali del Belpaese. La poiesis kitchen è tutta nel gesto, in sé rivoluzionario, compiuto da un artigiano, arte anonima, sottratta alla mercificazione, alla galleria, al museo alle accademie, che perciò diventa di nuovo comunicativa. A dispetto di Debord…
Debord ci ha pure insegnato che la nostra è la società dello spettacolo, in cui l’arte diventa “evento”… l’opera è espressione del mo(n)do della comunicazione.
L’arte non fa notizia, è notizia? No, io sono del parere che l’arte non fa notizia, suo telos è restare nell’anonimato.

Rappresentazione o Metarappresentazione?

Se penso a certe figure della poesia kitchen di Marie laure Colasson: la bianca geisha, Eredia etc. a certi ritorni delle figurazioni dissestate e terremotate come nelle poesie di Francesco Paolo Intini, a certi compostaggi di varie voci della poesia di Mauro Pierno o alle figure pseudo storiche di Giuseppe Talìa (ad esempio le poesie di Germanico) etc. non posso non pensare che tutte queste figure non siano altro che Einkleidung, travisamenti, travestimenti, maschere di una nudità preesistente, di una nudità primaria indicibile, della scena primaria, della scena secondaria che richiama inconsciamente la scena primaria che non può essere descritta o rappresentata se non mediante sempre nuovi travestimenti, travisamenti, maschere, sostituzioni. Si ha qui una vera e propria ipotiposi della messa in scena della nudità primaria, secondaria, terziaria, quaternaria etc. fatta con i trucchi di scena propri della messa in scena letteraria. E se questo aspetto è centrale in tutta la nuova ontologia estetica, una ragione dovrà pur esserci. E torniamo alla domanda iniziale: siamo nella rappresentazione o nella meta-rappresentazione?

Risposta: Non c’è riposta, ma solo interrogazione. Ed ogni nuova interrogazione forgia e plasma le risposte che sono l’ossatura di altre domande. Ogni nuova immagine forgia una nuova arte. L‘arte potrà essere “enunciata” solo quando l’uomo sparirà, affermo poco dopo. La vera risposta può essere formulata soltanto quando non sarà più possibile domandare. Non esiste rappresentazione, ma solo travestimento, travisamento, tradimento, traduzione, interpretazioni di fatti (e non fatti). Fondamentalmente, essenzialmente, ogni meta rappresentazione si sostituisce alla possibilità della vera (o mera) rappresentazione.

Continua a leggere

6 commenti

Archiviato in interviste, Senza categoria