
Quel frammezzo che è il vero centro dell’essere, ovvero, del nulla
La poesia si situa in quell’essere-in-mezzo, quello “Zwischen” di cui ci parla Heidegger. Quel frammezzo che è il vero centro dell’essere, ovvero, del nulla. Se il poeta è il vero fondatore dell’essere, è anche il vero fondatore del nulla, come ci ha insegnato Andrea Emo. La poesia è il suo progetto aperto al futuro, è il futuro aperto al presente. È il presente aperto alla Memoria del passato. È insomma quella entità che sta al mezzo delle tre dimensioni del tempo. Ed è ovvio che in questo frangente, il linguaggio della poesia non può che situarsi nello “Zwischen”, cioè in un non-luogo linguistico, in un non-luogo dell’essere.
Al poeta è assegnato il posto nel “frammezzo”, egli è il mediatore tra gli dei e gli uomini, tra il «non più» degli dèi dipartiti e il «non ancora» del dio che ha da venire (Heidegger). Che io aggiornerei così: il poeta è il mediatore tra l’essere e il nulla, rivela il nulla dell’essere e l’essere del nulla. Per questo il poeta moderno non può che essere profondamente nichilista, anche contro la sua volontà e la sua intenzione. Il poeta è un Emissario del Nulla e un Commissario dell’Essere.
Vera aspirazione della poesia è quello essere di casa e rendersi familiare (Heimischwerden) un’inquietante estraneità in cui comunque ci si trova spaesati (Unheimischsein), vero nocciolo della storicità dell’uomo nell’itinerario di un viaggio di ritorno, di un avanzare andando a ritroso.1
Le fanfare d’oro nuotano in branchi nel sole spento.
Mia madre posa una forbice sui tasti del pianoforte.
Sono due miei versi che non significano nulla di concreto, non hanno un referente, come del resto anche nelle tue poesie non c’è nulla del concreto-presente. E forse questo è il modo migliore per poter essere concreti e presenti nel presente-passato e nel presente-futuro. Questo non significare nulla è forse il miglior modo per significare qualcosa di impellente che non può essere detto con il linguaggio del presente, quello della comunicazione. Ereignis. La poesia avviene perché la poesia è evento. Ma che cosa significa questo? La mancanza di evento è l’Evento centrale della nostra epoca. A questo Heidegger non era arrivato. Così l’arte si riappropria di ciò che era andato perduto durante l’espropriazione epocale. È paradossale ma pensabile, la nuova arte, la nuova poesia eredita l’eredità della mancanza dell’evento. E con ciò muore davvero, muore quell’arte che contemplava la vecchia metafisica e l’ontologia del novecento. Scrive Roberto Terzi:«Che cos’è assegnato come compito da-pensare al pensiero raccolto nell’evento e quale può essere la maniera adeguata del dire che vi corrisponde?». La formula das Ereignis ereignet, «l’evento fa avvenire», ha innanzitutto la funzione di mettere in guardia «da come non va pensato l’evento», ma lascia aperto il problema di come pensar-lo «in positivo», problema che si riformula nella domanda: «che cosa fa avvenire l’evento? Che cos’è fatto avvenire dall’evento?»
(Giorgio Linguaglossa)
1 Cfr. M. Heidegger, Hölderlins Hymne “Der Ister” a cura di W. Biemel, in Gesamtausgabe, cit., vol.LIII, p. 22; tr. it. a cura di C. Sandrin eU. Ugazio, L’inno, Der Ister di Hölderlin, , Mursia, Milano 2003
Marina Petrillo
Ti dissi persa tra stralunate vie
mentre giaceva calco dell’ immagine
a sua insaputa.
Nel disconoscere ogni tratto dell’ umano
un Leviatano dimora in angusta forma.
A nausea di vento, in grigio amplesso
con le vie, il contemporaneo assilla in decadente stella.
Cereo, l’etere volteggia in serialità postuma
alla sua essenza.
L’ identità spinge il molteplice a frammento
e sconosce il lamentato io.
Vissute ad altra sponda, creature muovono
loro l’incanto, in sbadigliante forma appresa
in mutilata sinapsi.
Perviene mappa dell’insoluta distanza
terracquea tra i non finiti e gli estinti,
limite forse avverso alla vita.
Ad Edith, Marina P.
Marina Petrillo parla… E si chiede: che significa ‘vi è linguaggio’?, che significa ‘io parlo’?… Significa che le s-grammaticature, la dis-tassia inter-vengono nel discorso ad inter-rompere il flusso semantico e sintattico; significa che ciò che il linguaggio dice e non dice è sempre un mentire, che il linguaggio mente, è ambiguo, privo di fondo, di fondamenta, e questo dis-ancoraggio del linguaggio dal linguaggio è un dis-ormeggio del Sé da se stesso… è questo vagare tra dis-tassie combuste e s-grammaticature… Così, Marina Petrillo è costretta come una sibilla Cumana ad ordire parole e frasari senza senso alcuno, a seguire a ritroso e contro corrente il linguaggio, venire dalla traccia per ad-venire ad un luogo dove il linguaggio cessa di essere significante e rivela il nulla di cui è composto e da cui proviene.
Paradossalmente, la credente Petrillo giunge a lambire il nulla del linguaggio molto di più dei mis-credenti che ripongono una ingenua fiducia sulle virtù salvifiche del linguaggio.
I limiti del linguaggio non sono trovati al di fuori del linguaggio, in direzione del suo riferimento, ma in un’esperienza del linguaggio come tale, nella sua pura autoreferenzialità.
(Giorgio Linguaglossa)
Giorgio Linguaglossa
Ecco due mie prove di post-pop-poesia. Non saprei dire se c’è un evento. Di sicuro, siamo fuori del vecchio concetto di «rappresentazione», ormai obsoleto.
Esercizio con violino e tamburo
K. sbatte la porta. Resto là, sulla soglia, per qualche minuto.
Impalato. Poi mi scossi e guardai la porta aperta. [1]
Madame Hanska aprì tutte le finestre, «Sa, le finestre sono nere», disse.
E fece entrare le madamigelle con il grembiulino.
«Buonasera Cogito – esordì Hanska – le cose sono cambiate
negli ultimi tempi». Prese una forbice e un posacenere
e li posò sulla siepe di capelvenere e di acanti.
«Sa, c’è una tigre e un pianoforte… Ecco, metto la forbice
sul pianoforte, adesso Vivaldi può suonare.
Woland ha ordinato ai gatti di suonare, il Requiem, quello, sì.
Solo quello. La musica uccide gli uccelli», aggiunse.
«Lo specchio avrà la sua vendetta», disse Baudrillard,
«Non resta che reinventare il reale», aggiunse tra il serio e il faceto.
Era seduta in mezzo alla camera. La tigre sorrideva.
«Per oggi basta con la musica – disse – dovrebbe esercitarsi più spesso.
Impari a suonare piuttosto. La rappresentazione è finita.»
[…]
Il commissario fece un buco nel muro. «Qui c’è la refurtiva.
Sì, che da qualche parte lei esiste», disse.
«Ne sono certo». Annuii. Guardai il cielo color lavagna,
e mi lavai le mani.
Yolande è piccola,
così porta sempre scarpe con tacchi 12 e cappelli esagerati.
Sopra il cappello c’era un ombrello.
«Si chiama Yolande, ma non so chi sia…
Un tempo è stata la mia amante».
Però, era già notte. Entrai nel bosco. La pioggia era fitta, mista a neve.
Così ho preso il bus notturno per arrivare più in fretta.
Erano le tre.
Glossa
[1] Le tesi Sul concetto di storia di Benjamin si concludono con una frase paradigmatica: “ogni secondo […] era [per gli ebrei] la piccola porta attraverso la quale poteva entrare il Messia”. Questo significa che ogni momento di ogni giorno, in questa vita e in questo mondo, è il momento (“cairologico”) della decisione e dell’azione, il presente, e non il futuro, è il tempo della storia Continua a leggere