
qual è la natura della nudità che il racconto ricopre?
Domanda:
Nel tuo libro appena uscito con Mimesis, Sensibili alle forme. Che cos’è l’arte, Mimesis, 2019 pp. 164 € 18, scrivi, a proposito dell’immagine:
«È tornato prepotentemente al centro del dibattito filosofico ed estetico il concetto di immagine, da Warburg in poi (Merleau-Ponty, Pierantoni, Didi-Huberman, Wunenburger, Garroni, Belting, Bredekamp, Gasparotti, Coccia, Weigel, Kirchmayr, Schwarte, ma anche Jean Luc Nancy). L’immagine, ciò che si vede, è un sentire essere visti…».
In proposito, la «nuova ontologia estetica» sostenuta da alcuni poeti riuniti sotto l’egida dell’Ombra delle Parole, intende il polittico di immagini e la poesia-polittico come un work in progress della fortune-telling book, un coacervo di bisbidis di quisquilie e di filosofemi, di post-it, di appunti sul recto di cartoline postali, di poscritti su attaches, di appunti persi e poi ritrovati. Sembra pleonastico dirlo ma è bene ricordarlo: ad ogni nuovo concetto di immagine corrisponde un nuovo concetto di arte.
«Ciò che preferisco nella cartolina, è che non si sa ciò che è davanti o ciò che sta dietro, qui o là, vicino o lontano, il Platone o il Socrate, recto o verso. Né ciò che importa di più, l’immagine o il testo, e nel testo, il messaggio, la legenda, o l’indirizzo. Qui, nella mia apocalisse da cartolina, ci sono dei nomi propri. S. e p., sull’immagine, e la reversibilità si scatena, diventa folle – te l’avevo detto, la folle sei tu – a legare. Tu travisi in anticipo tutto quello che dico, non ci capisci niente, ma allora niente, niente del tutto, o proprio tutto, che annulli subito, ed io non posso più smettere di parlare.
Si è sbagliato o non so cosa, questo Matthew Paris, sbagliato di nome come di cappello, piazzando quello di Socrate sulla testa di Platone, e viceversa? Sopra i loro cappelli, piuttosto, piatto o puntuto, come un ombrello. In questa immagine c’è qualcosa della gag. Cinema muto, si sono scambiati l’ombrello, il segretario ha preso quello del padrone, il più grande, tu hai sottolineato la maiuscola dell’uno la minuscola dell’altro sormontata ancora da un piccolo punto sulla p. Ne consegue un intrigo di lungo metraggio. Sono sicuro di non capirci niente di questa iconografia, ma ciò non contraddice in me la certezza di aver sempre saputo ciò che essa segretamente racconta (qualche cosa come la nostra storia, almeno, un’enorme sequenza dalla quale la nostra storia può essere dedotta), ciò che capita e che capita di sapere. Un giorno cercherò quel che c’è successo in questo fortune-telling book del XIII, e quando saremo soli, ciò che ci aspetta.
[…]
Il racconto letterario è un’elaborazione secondaria e, perciò, una Einkleidung, si tratta della sua parola, una veste formale, un rivestimento, il travestimento di un sogno tipico, del suo contenuto originario e infantile. Il racconto dissimula o maschera la nudità dello Stoff. Come tutti i racconti, come tutte le elaborazioni secondarie, esso vela una nudità.
Ora qual è la natura della nudità che in tal modo ricopre? È la natura della nudità: lo stesso sogno di nudità ed il suo affetto essenziale, il pudore. Poiché la natura della nudità così velata/disvelata è che la nudità non appartiene alla natura e che possiede la propria verità nel pudore.
Il tema nascosto de I vestiti nuovi dell’imperatore [fiaba di Andersen] è il tema nascosto. Ciò che l’Einkleidung formale, letterario, secondario vela e disvela, è il sogno di velamento/disvelamento, l’unità del velo (velamento/disvelamento), del travestimento e della messa a nudo. Tale unità si trova, in una struttura indemagliabile, messa in scena sotto la forma di una nudità e di una veste invisibili, di un tessuto visibili per gli uni, invisibile per gli altri, nudità allo stesso tempo apparente ed esibita. La medesima stoffa nasconde e mostra lo Stoff onirico, vale a dire anche la verità di ciò che è presente senza velo.»1
Risposta:
Siamo al quid. Mi poni di fronte a questioni radicali. Intanto, mi riporti a temi (quello del velo e del disvelamento di derridiana memoria) che risalgono agli anni Ottanta (Armando Verdiglione, Ettore Bonessio di Terzet, Raffaele Perrotta, Alberto Cappi, Jabés, Carifi e altri si misuravano sul tema). La verità di ciò che è presente senza velo rimanda alla rimozione che ha operato il pensiero filosofico, riguardante la verità della percezione, che costituisce il nostro modo di essere al mondo. Ed è proprio nell’analisi del fenomeno estetico, che questa verità rimossa si mostra, che la nudità del vestito dell’imperatore appare. Il più interessante pensatore del momento è a mio avviso Fabrizio Desideri, il quale, nel richiamare le tesi di Juan Pascual-Leone, sottolinea come sia “l’instaurarsi di una circolarità tra processi di attenzionalità esogena ed endogena a generare quell’esperienza percettiva della familiarità che favorisce il formarsi nella nostra mente di schemi che possiamo legittimamente chiamare estetici” (Fabrizio Desideri, Origine dell’estetico, Roma, Carocci, 2019, p. 65). Schemi o, secondo me, matrici (chimico-fisiche, che si applicano a ogni esperienza nuova, interpretabili in termini quantistici e matematici) che impongono, attraverso il sistema percettivo, prima della riduzione linguistica, una attitudine al mondo di natura “estetica” (questa parola va presa con le molle, voglio dire che la struttura del percepibile influenza la concezione del mondo – anche se in qualche maniera la riflette, proprio grazie a queste matrici. Insomma, sostengo, sull’onda di Emilio Garroni, che il nostro percepire sia un percepire-come, un percepire-attraverso, un percepire nell’oggetto il proprio percepire (la risposta emotiva, il pudore che costituisce lo svelamento), un riflettersi nella propria percezione in qualità di oggetto del mondo, per tornare infine a sé attraverso la percezione dell’oggetto che ci interroga. “Condizione di ogni logica del conoscere, la disposizione all’accordo”, rileva Desideri, “lo è in quanto Stimmung, risuonare dell’accordo (…). Tra Stimmung e Gefühl, tra intonazione affettiva (accordo) e sentimento vi è dunque relazione necessaria e in questa relazione si presuppone logicamente un sensus communis” (Fabrizio Desideri, op. cit,. p. 70). Chiaramente, questo discorso si pone molto prima del fatto letterario, che rinvia all’imprecisione e all’imperfezione della parola di fronte allo svelamento della verità oppure, se si vuole, riferisce della umana incapacità di creare strumenti che possano veramente com-prendere la realtà che ci circonda. Restiamo chiusi nella dimensione “estetica” e ottica, linguistica e matematica dei nostri strumenti.
Domanda:
I trucchi della messa in scena letteraria
La poiesis è sempre in qualche modo servente, asservita e assolutoria. Come diceva Marx: l’arte è sovrastruttura. La poiesis rappresenta sempre il volto invisibile del potere: ne è la maschera, la maschera “estetica”, la “maschera di bellezza”, trattamento del viso.
L’arte è tutto ciò che gli uomini chiamano arte
A questa tautologica definizione sfugge un dettaglio per essere perfetta: è arte quello che un gruppo definisce essere arte (da una parte i vincenti, Cucchi, Paladino, Rotella, Chia, Pistoletto, Kounellis, Clemente, Cattelan, Beecroft; dall’altra i perdenti che alla fine non contano nulla – e ci sono tanti artisti sommi sconosciuti, oggi, come ieri).
Quindi l’arte è l’effetto di un modo sapiente messo a profitto da parte di coloro che sfruttano le opportunità offerte dal loro tempo, e comunicano, impongono la loro concezione della poiesis esprimendo la verità delle maschere o le maschere della verità… Questo modo di fare «arte» mostra lo sfruttamento, la strumentalità presente nelle democrazie rappresentative. L’arte è il modo di gustare questo piacere, che consiste nel creare sensazionalismi e personalismi e un «mondo estetico» che io preferirei definire falso, pacchiano, patinato, in una parola kitsch inconsapevole…
[…]
Per Guy Debord, l’arte, nella nuova epoca dei musei, appassisce perché la comunicazione artistica è impossibile, l’oggetto d’arte essendo divenuto un fossile da contemplare dietro una vetrina. Senonché, il gesto di un solo artista (Graziano Cecchini) che getta vernice rossa nella fontana di piazza Navona, fa il giro del mondo e ottiene quello che ormai da più di trent’anni la nostra classe politica non riesce ad attuare: il rilancio pubblicitario dei beni culturali del Belpaese. La poiesis kitchen è tutta nel gesto, in sé rivoluzionario, compiuto da un artigiano, arte anonima, sottratta alla mercificazione, alla galleria, al museo alle accademie, che perciò diventa di nuovo comunicativa. A dispetto di Debord…
Debord ci ha pure insegnato che la nostra è la società dello spettacolo, in cui l’arte diventa “evento”… l’opera è espressione del mo(n)do della comunicazione.
L’arte non fa notizia, è notizia? No, io sono del parere che l’arte non fa notizia, suo telos è restare nell’anonimato.
Rappresentazione o Metarappresentazione?
Se penso a certe figure della poesia kitchen di Marie laure Colasson: la bianca geisha, Eredia etc. a certi ritorni delle figurazioni dissestate e terremotate come nelle poesie di Francesco Paolo Intini, a certi compostaggi di varie voci della poesia di Mauro Pierno o alle figure pseudo storiche di Giuseppe Talìa (ad esempio le poesie di Germanico) etc. non posso non pensare che tutte queste figure non siano altro che Einkleidung, travisamenti, travestimenti, maschere di una nudità preesistente, di una nudità primaria indicibile, della scena primaria, della scena secondaria che richiama inconsciamente la scena primaria che non può essere descritta o rappresentata se non mediante sempre nuovi travestimenti, travisamenti, maschere, sostituzioni. Si ha qui una vera e propria ipotiposi della messa in scena della nudità primaria, secondaria, terziaria, quaternaria etc. fatta con i trucchi di scena propri della messa in scena letteraria. E se questo aspetto è centrale in tutta la nuova ontologia estetica, una ragione dovrà pur esserci. E torniamo alla domanda iniziale: siamo nella rappresentazione o nella meta-rappresentazione?
Risposta: Non c’è riposta, ma solo interrogazione. Ed ogni nuova interrogazione forgia e plasma le risposte che sono l’ossatura di altre domande. Ogni nuova immagine forgia una nuova arte. L‘arte potrà essere “enunciata” solo quando l’uomo sparirà, affermo poco dopo. La vera risposta può essere formulata soltanto quando non sarà più possibile domandare. Non esiste rappresentazione, ma solo travestimento, travisamento, tradimento, traduzione, interpretazioni di fatti (e non fatti). Fondamentalmente, essenzialmente, ogni meta rappresentazione si sostituisce alla possibilità della vera (o mera) rappresentazione.
Domanda:
Che cos’è il «poetico»? Si può affermare che la verità del testo è il «poetico»? E che il «poetico» sia il contenuto di verità di un testo?
La verità del testo o il testo della verità? Questo è il problema? Qual è lo statuto di verità che si propone la poesia? Pensi che la poesia vada verso un tipo di scrittura ipoveritativa?. La posta in gioco qui è molto alta: nientemeno che lo statuto di verità del discorso poetico non più fondato su una epifania e semantica del linguaggio, ma sul suo fondo veritativo, sul fondo veritativo che, ad esempio, la psicanalisi freudiana chiama la «scena primaria».
«A voler distinguere la scienza dalla finzione, si sarà infine ricorso al criterio della verità. E a domandarsi “che cos’è la verità”, si tornerà molto presto, al di là dei turni dell’adeguazione o dell’homoiosis, al valore di disvelamento, di rivelazione, di messa a nudo di ciò che è, come è, nel suo essere. Chi pretenderà da allora in poi che I vestiti non mettano in scena la verità stessa? la possibilità del vero come messa a nudo? e messa a nudo del re, del maestro, del padre, dei soggetti? E se l’imbarazzo della messa a nudo avesse qualche cosa a che vedere con la donna o con la castrazione, la figura del re interpreterebbe in questo caso tutti i ruoli.
Una “letteratura” può, dunque, produrre, mettere in scena e davanti a qualcosa come la verità. È dunque più potente della verità di cui è capace. Una “letteratura” simile si lascia leggere, interrogare, anzi decifrare a partire da schemi psicoanalitici che siano di competenza di ciò che essa produce da sé? La messa a nudo della messa a nudo, come la propone Freud, la messa a nudo del motivo della nudità così come sarebbe secondariamente elaborato o mascherato (eingekleidet) dal racconto di Andersen…».2
1] J. Derrida, La carte postale, Mimesis, . p. 39
2] Ibidem p. 414
Risposta:
In un prossimo libro che spero uscirà tra due anni, spiego che cos’è il poetico. Il poetico ha a che fare con le matrici a cui accennavo. Il poetico è uno schema con cui l’uomo si avvicina strategicamente al mondo. Costituisce una peculiarità non solo sua, ma anche delle altre creature. Il Creato è essenzialmente poetico. La verità è quanto di meno sia concepibile dall’uomo, per cui la verità coincide con l’imperfezione. Se il discorso poetico possa, a differenza di quello comune, rivelare lo statuto dell’imperfezione, dipende dalla struttura chimico-fisica del Poeta (ma anche dello scienziato o dell’uomo comune) e dalla sua qualità innata di leggere (nel)le matrici. Dove vada la poesia, non lo so, non so nemmeno se la specie umana sopravviverà alle sue nefandezze, all’avidità con cui sta consumando la bellezza del mondo e le foreste, che costituiscono il polmone del pianeta. Il respiro del pianeta si è fatto pesante e si ripercuote sul nostro respiro. Sul nostro accordo con il ritmo aereo del mondo. Stiamo soffocando la nostra anima.
Domanda:
Tu scrivi: «La morfogenesi e l’imitazione costituiscono il modello naturale dell’essere e della vita. La vita ripete la vita come se ripetesse l’origine, tutto torna a sé, la vita ripete il primo mo(vi)mento e poi, nel morire, prova di averne riprodotto e continuato una forma, modello primo e ultimo di ogni cosa. Tutto questo attraverso un fare (che procede anche per tentativi ed errori), una tecnica, che potremmo definire mimesi (o modellizzazione). Non esiste un fare, esiste un ripetersi, un rimodellarsi delle cose; nulla si fa ma tutto si ripete, si rimodella, si riforma, si sdoppia, si complica, si nega, si perde, si rinnova e da tutto questo può perfino scaturire una “nuova forma”, che però è come se fosse già esistita, già in potenza, prevista da un “codice” originario.
Procedimenti, quello del ripetersi, dello sdoppiarsi dell’uno, che ingenera errori, sviamenti, inganni e perciò scompiglia, confonde “evolve”. La legge dell’universo non consiste dunque nella lotta per la sopravvivenza, per la difesa della specie, bensì nell’attenersi di ogni creatura a un codice che viene ogni volta violato rivisto o violato, in un numero indefinito di variazioni sul tema dell’Uno, che esclude doppi; … Si tratterebbe dell’enigma metamorfotico dell’Uno, che non crea copie, bensì individui l’uno diverso dall’altro in funzione di una legge nascosta nella Sua volontà».1
1 M. Pamio, op. cit. p. 23
Lucio Mayoor Tosi afferma che con il distico sembra che i versi vengano ad «incasellarsi» in uno schema metamorfico che sarebbe il «polittico». Ed è vero, penso anch’io che il distico imponga, inconsciamente o consciamente, una ferrea disciplina all’autore; richieda un cambio di passo. Ecco il punto: il passo e il cambio di passo. Una poesia che non abbia in sé un «passo» e un «cambio di passo», è una poesia polifrastica generica come se ne legge a miliardi di esemplari. È il «passo» che detta il ritmo, e il ritmo detta il tipo di versificazione, non viceversa.
Prima viene il «soggetto polittico», bisogna lavorare sul «soggetto molteplice e moltiplicato», e solo in un secondo momento si potrà adire alla «poesia polittico», se è vero che la crisi del logos è la crisi del soggetto, è da qui che bisogna ripartire, è questo il luogo su cui occorre lavorare. Posso chiedere il tuo parere?
Risposta:
Non solo il distico può incasellare i versi in uno schema metamorfico, ma anche uno schema metrico antico o nuovo può costringere il verso entro una gabbia che ne faccia scaturire il dissidio tra suono e senso, quel dissidio genialmente analizzato da Agamben in Categorie italiane, che a mio avviso costituisce l’opera più prossima all’enigma della poesia: “E non è appunto questo che avviene in ogni autentico enunciato poetico, in cui il discorrere della lingua in direzione del senso è come percorso in controcanto da un altro discorso, che va dall’intelligenza alla parola, senza che nessuno dei due compia mai il suo intero tragitto per riposarsi l’uno nella prosa e l’altro nel puro suono? Piuttosto, in un punto decisivo di scambio, è come se i due flussi incontrandosi, imboccassero ciascuno il binario dell’altro, in modo che la lingua si trova alla fine ricondotta alla lingua e l’intelligenza rimessa all’intelligenza. Quest’inverso chiasmo – e nient’altro – è quanto chiamiamo poesia; e questo, al di fuori di ogni vaghezza, il suo arduo incrocio col pensiero, l’essenza pensante della poesia e quella poetante del pensiero” (Giorgio Agamben, Categorie italiane, Bari, Laterza, 2010, p. 43).
Domanda:
Lucio Mayoor Tosi scrive:
«Esserci e perdersi vanno di pari passo. Il logos abita il divenire, che è divenire tempo. Nel divenire, «Madame Hanska scrive una lettera al suo amante» (…) «ho tanto da dirti, / ma tutto dovrà stare qui nello spazio di questa / cartolina…». Il destinatario leggerà come districando una ragnatela; tutto sta nel fare in modo che i fili siano argentati, e/o conduttori di energia, perché l’essere non è oltre il pensare, l’ente, ma è il pensare stesso. Mentre Heidegger pensava l’ente, l’ente se ne stava pensato in quella strana maniera, propria di Heidegger».
La «struttura a polittico» è, di fatto, una struttura circolare. Se esaminiamo il primo verso della mia poesia polittico, c’è scritto:
Madame Hanska scrive una lettera al suo amante,
Albert Montgomery…
Quindi, si tratta di una lettera che Madame Hanska scrive ad un suo amante usato per tradirlo, trafugare dei segreti militari per passarli poi ai tedeschi. Penso che la poesia narri, con le categorie lacaniane, la struttura della fuga del significante dal significato e del significato dal significante (lo spostamento del segreto da una parte all’altra dei contendenti esemplifica come la trasmissione di un messaggio equivale alla trasmissione di un significante da un referente all’altro, da un ambito all’altro). Infatti, il primo verso dell’ultima strofa capovolge l’account, ribalta i piani immaginativi e simbolici, sarà un altro amante di Hanska, il principe di Homburg a scrivere una lettera a lei indirizzata:
Adesso è il suo amante, il principe di Homburg,
che scrive una lettera…
E qui il cerchio si chude. Hanska è il significato dei due significanti (dei due amanti); Hanska, come soggetto significato, è il prodotto della collisione divergenza dei due significanti (dei due amanti); e la storia, o meglio le storie che si incapsulano e si incasellano l’una dentro l’altra, o meglio, l’una fuori dell’altra, (assume) assumono la veste del significante che indica sempre qualcosa d’altro in quanto la legge del significante è che «manque à sa place», manca di un luogo, ed è costretto a peregrinare da un luogo ad un altro, da una storia ad un’altra alla ricerca di un significato-senso.
La poesia-polittico è dunque una costruzione complessa e niente affatto gratuita, non si dà gratis come la poesia monologo della tradizione novecentesca.
Scrive Lucio Mayoor Tosi:
«Oh oh, avevo ben capito che Madame Hanska era di filo argentato (e conduttore, soggetto e fonte di energia). Ma ora che comprendo l’architettura della ragnatela, del componimento – sulla poesia non discuto, figure alate e cavalieri piacciono anche a me; e il valore umano, diciamo pure terrestre, il pathos – ora, con la giusta distanza, anche questa cinematografia complessa, il polittico, mi diventa trailer di lungometraggio (di nostra poesia, in quanto trailer è frammento di). Beh, non vedo come si possa scrivere diversamente, se non abbandonando il secolo appena trascorso e le sue macerie».
Poesia di Giorgio Linguaglossa
Ad un cenno della contessa Popescu
Un’aria perlata in un bosco di cedri.
Giardino. La musa Calliope suona il flauto mentre Clio
avvicina il volto alla rosa. In lontananza,
un peristilio ad arco nella campagna romana.
All’improvviso, fa il suo ingresso trionfale la bellissima
Achamoth con le ali nere e le giarrettiere.
Ad un cenno della contessa Popescu
risuona un’aria flautata.
Un pastorello raffigurato nell’orologio meccanico che la bisnonna
ha donato a mio padre.
[…]
Dupin ha rimesso la lettera al suo posto,
sulla scrivania. La Regina è salva, Dio salvi la Regina.
Anche il Re è salvo. God save the King.
La lettera è giunta a destinazione, è tornata al mittente.
Mio padre scrive una lettera dal fronte a mia madre:
«Dalla Russia con amore. Tornerò presto».
Madame Hanska tesse con il filo argentato la tela.
C’è una scucitura, però. È qui, caro Lucio, ma lei non lo sa.
Il bocchino d’avorio con l’anello d’oro, la cipria nel portacipria,
la matita per gli occhi, il rossetto…
Qui c’è uno strappo, una lacerazione…
[…]
Il musicante da trivio ha richiuso il flauto nella custodia,
si soffia il naso, si siede al tavolino del sotoportego,
ordina un Campari. Dei nani strimpellano mandolini,
Behemoth saltella sulle zampe posteriori.
È scesa la notte, i camerieri ripiegano le tovaglie, tolgono le stoviglie.
La festa è finita. Gli avventori se ne vanno.
L’andatura atetica della «nuova poesia» è fatta di vacillamenti, di zoppicamenti, di passi all’indietro (ma verso dove?); un passo in avanti e due all’indietro. Si va per passi laterali, per tentativi, per scorciatoie, per smottamenti laterali, e ribaltamenti e ritrosie, per tracciamenti di sentieri che si rivelano Umweg e ritracciamenti all’indietro, di lato… È che non essendoci più una fondazione sulla quale fondare il discorso poetico, anch’esso se ne va ramengo, senza un mittente e senza un destinatario, contando unicamente sulla destinazione: si invia, si destina qualcosa a qualcuno pur sapendo che non giungerà nulla a nessuno, la destinazione è priva di destino, si vive alla giornata seguendo il Principio Postale, la spedizione della cartolina, delle cartoline.
Il «polittico» è una sommatoria di cartoline, di invii, di rinvii, di post-it, di scripta improvvisati. Si tratta di un meccanismo di invii e di tracciati destinati allo sviamento e all’evitamento, dove il messaggio, che reca impresso il desiderio, la pulsione, non arriva mai a destinazione in quanto per definizione freudiana inibito alla meta, e il Principio di Piacere che ha prodotto il desiderio approda infine al Principio di Realtà. E così facendo perpetua il meccanismo di riproduzione del capitale del piacere non ottenuto mediante la riproduzione del piacere in piacere sublimato, piacere tras-posto, tras-ferito.
Una poesia di Mario M. Gabriele
Ti parlo, ma non mi ascolti.
Come è andata con Omar? Si è innamorato di Salomè?
Allora si spiega tutto
perché ha ucciso il serpente a sonagli.
La signora Hanna odia i positivisti
dopo aver letto la Pontificia Opera Cristiana.
Ogni giorno cerco nella cassetta
una piuma dal cielo.
Piqueras e Sweneey
non attendono le donne di Michelangelo
All’ultima curva della strada aspetto Milena
con Panetti e Shoppers.
Guardo il vestito, la maglietta a pailettes.
Controllo i Covered Bonds e le fake news.
Tommy è venuto a potare la siepe
per lasciare il posto al ruscus di Settembre.
Mark Strand si è rifatto ai quadri di Edward Hopper
diventando spiritualista.
Guardando la camera da letto di Van Gogh
sono riuscito a dormire senza EN.
Il Servizio urbano si è rinnovato
inaugurando vicoli con l’insegna: La tomba è il bacio di Dio.
Risposta:
Non potrei rispondere, non conoscendo a pieno i testi e gli autori che mi proponi. I versi sono sicuramente interessanti e costruiti secondo un piano di destrutturazione che va a incidere sul dettato poetico. La tua encomiabile opera di eccellente e profondo studioso e di valente poeta rende vibratili le acque stagnanti della ricerca poetico-filosofica in Italia.
Questa mattina trovo un significativo incontro culturale con l’Intervista di Giorgio Linguaglossa e Massimo Pamio C’è di tutto tra domanda e risposta. Ma per entrare nel vivo della discussione occorre stare sereni, essere obiettivi, comprendere il senso dell’Arte e della poesia con tutti gli innumerevoli grovigli interpretativi. Anzi sono proprio questi ciò che rimane del nostro pensare, agire, edificare, rappresentare, esternare.
,L’uomo-poeta ha personalità, carattere, e temperamento: tutte.espressioni della psiche.La conoscenza del mondo avviene tramite la sfera cognitiva. e il pensiero. che si esternalizzano con la poesia di fronte ai processi ambientali, estetici, economici, e culturali.
La personalità finisce con l’essere una componente essenziale per definire un poeta di fronte alla realtà sintetizzata col frammento, il distico, il polittico, quali esempi estetici di tipo neurobiologico.Dalla psicoanalisi non si può deviare perché da essa emerge il concetto di inconscio e di derivazione con la psiche .All’esterno, nel senso della trasposizione dei versi riportati nei Blog o pubblicati, vi è il dualismo tra i conflitti della persona e dell’ambiente sociale che il poeta riassume in senso figurato.
La Nuova Ontologia Estetica ha rimosso l’IO essendo esecutivo della personalità svincolato dalle pulsioni dell’ES e del Super IO che maturano nella fase iniziale dell’infanzia.
In altre parole la funzione principale che caratterizza ognuno di questi elementi, è il meccanismo di identificazione diverso l’uno dall’altro. Sintetizzando si può definire l’ES come la componente biologica della personalità, l’IO come necessità dell’individuo nel rapporto oggettivo con la realtà, il Super.IO come momento dell’attività psichica con dinamismi propri.. Questo terzetto lo si può sostituire introducendo la sfera volitiva che porta con sé la pulsionalità dell’istinto dopo il postmoderno, che ha annullato le emozioni nel rapporto con persone e situazioni, a costo anche di ferire la componente individuale di ogni poeta e lettore.
Ecco allora “Il Viaggio del pensiero” verso l’Essere e il mistero del pensare.Scrive Heidegger a pag, 49 da “L’esperienza dl pensare” che “La nebbia del mondo / non raggiunge la luce dell’Essere / Noi sopraggiungiamo troppo tardi per gli Dei / e troppo presto per L’Essere”. Per questo l’uomo / è poesia già cominciata /.Ora in queste condizioni si articola tutta la poesia, quella,ovviamente che si incunea in questo fil rouge, e chi se ne allontana produce solo pseudopoesia, attrazione verbale di figurazione astratta,
Nei Contributi per la filosofia, Heidegger sottolinea come “L’uomo e il Dio sono parole-guscio (Worthulsen) prive di storia se in esse la verità dell’Essere non si porta al linguaggio. E’ proprio quest’ultimo che opera nei poeti della NOE il difficile compito di riportare le tracce del visibile e dell’invisibile tutte in funzione della essenza della verità.o più semplicemente del Nulla.
Quanto all’Intervista a Massimo Pamio di Giorgio Linguaglossa, già fonte di alta conoscenza estetica della poesia e dei complessi reticolati che la sorreggono, non possiamo che trarre vantaggio conoscitivo a supporto delle nostre conoscenze che si allargano ancora di più con questo significativo e altissimo percorso estetico fatto di progettazione anche per il futuro.
E’ morto Emanuele Severino.
Sotto gli impulsi e le pulsioni filosofiche del fondatore de L’Ombra delle Parole, Giorgio Linguaglossa e nella totale con-divisione della redazione, il nostro blog non di rado, arricchendoci, ha proposto brani del filosofo scomparso ieri. Una grave perdita per tutti la sua morte.
(gino rago)
https://lombradelleparole.wordpress.com/2020/01/21/intervista-a-massimo-pamio-di-giorgio-linguaglossa-su-alcune-questioni-dellarte-di-oggi-immagine-rappresentazione-meta-rappresentazione-umweg-einkleidung-ritracciamento-cartolina-il-p/comment-page-1/#comment-62745
La questione della poiesis come positura di «significati»
Per l’ermeneutica contemporanea, sapere è porre in luce significati a partire da presupposti che restano in ombra. Vale a dire, ogni«significato» (da intendersi in un senso molto ampio: concetto, definizione, interpretazione,rappresentazione, visione del mondo, teoria) si ritaglia su uno sfondo, ciò che l’ermeneutica chiama «precomprensione»: pregiudizi impliciti, tacite assunzioni, sensi inavvertiti, condizionamenti grammaticali, sociali e culturali che orientano e pre-determinano ogni nostra percezione e conoscenza del mondo. Gli oggetti e i contenuti del sapere sono dunque sempre storicamente determinati, relativi a categorie e paradigmi che ne forniscono la cornice invisibile e il contesto di senso implicito. Questa rete di rimandi e sottintesi, che costituisce la «precomprensione», non solo è ineliminabile ma è la condizione di possibilità del sapere in quanto tale: come non vi è figura senza sfondo, così non vi è significato, o contenuto di conoscenza,che si stagli in piena luce se non a partire da un insieme di premesse sulle quali il nascente bagliore proietta la propria ombra.
Con l’ermeneutica, il sogno di una conoscenza priva di presupposti, in grado di esibire il fondamento, il proprio terreno di validità, si è dunque definitivamente infranto, portando a ridiscutere la natura e il senso del sapere stesso. L’esercizio del sapere viene delineandosi – heieggerianamente parlando – come uno svelare velando: la luce della ragione che, illuminando, svela è la stessa che getta l’oscurità dietro di sé,
velando la propria origine e condizione di possibilità. Questo gioco di luce e ombra è, per l’ermeneutica, il modo in cui il sapere accade, è cioè il movimento, la dinamica stessa del conoscere. Anche l’esercizio della poiesis è iscritto nella stessa dinamica: è un porre «significati».
Porre in luce dei «significati» a partire da presupposti che restano in ombra, le conclusioni che la poiesis mette in luce, proprio in quanto messe in luce, sono evidentemente un significato, il cui fondamento, retrocedendo sullo sfondo, non può essere esibito. Anche l’attività ermeneutica accade, cioè, a partire dall’ombra e anche laddove essa volesse far luce dietro di sé, sulla propria zona in ombra, di nuovo, illuminando, proietterebbe l’ombra dietro di sé. Le conclusioni dell’ermeneutica si trovano dunque catturate entro la stessa dinamica che vorrebbero indicare e chiarire.Questo paradosso è la sfida che si pone al pensiero contemporaneo e con cui si trova a doversi confrontare la riflessione teoretica successiva a Heidegger.
Verso una critica della economia poetica del segno.
il design moderno si struttura secondo relazioni metonimiche che rimandano sempre ai propri elementi, senza tradire alcun tipo di trascendenza metaforica tipica della casa tradizionale. Così l’oggetto passa dall’assumere un significato a livello profondo ad una codificazione autoreferenziale basata esclusivamente sulla logica dei significanti. La casa, un tempo focalizzata verso il centro dalla presenza degli specchi, perde la propria anima unitaria nella separazione delle unità di ogni stanza, perde il proprio cuore, il proprio significato metaforico profondo. Il battito segnato dal rintocco dell’orologio antico significava il valore positivista della storia che si rifletteva nel successo sociale della famiglia borghese. Nella casa moderna invece l’oggetto antico non significa il tempo reale (o per lo meno, storicizzato), ma il tempo della moda e del design. Il riferimento è esclusivamente alla logica autoreferenziale del discorso di consumo. Qualsiasi trascendenza è abolita, sostituita da un calore funzionale, freddo in quanto significato dalla mancanza di una reale fonte di calore. È questa per esempio la logica di significazione dei colori nel design di interni – una logica di differenze interne al sistema stesso,una catena di significazione costruita sulla superficie dei significanti.
Nella nuova poesia il sistema relazionale dei significanti non si struttura secondo la logica della colonna sonora ma tende ad assumere la relazionalità tipica dei segni, la semantica tende a retrocedere a semiotica, a sistema di segni freddi e autoreferenziali. Questa economia politica del sistema poetico è qualcosa a cui la nuova poesia non può sottrarsi, anzi essa tende sempre più a posizionarsi in base al sistema raffreddato dei segni come proprio habitat ideale, in una sorta di spaesamento strutturale dei significanti che tendono a retrocedere a segni.
FRAMMENTI D’INTONACO
…
Le insegne si misero in proprio
La distruzione impersonò vecchie stive
trovò la via di fuga su petroliere al largo.
Riempire le strade di merletti indistruttibili.
Andava salvaguardato l’onore del zigrino
Troppi avannotti guastavano il buon nome dell’ Adriatico.
La marea divenne una superpotenza.
L’atomica in mano a rocce senza scrupoli.
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Il sussulto non fu solo sotto i piedi
S’incamminò sulla via Appia e venne crocifisso.
A senso rivoltato corrisposero semi di quercia.
D’ora in poi si sarebbe camminato verso l’anno mille.
Il periscopio incontrò sé stesso
Occupare il posto dell’occhio era stato frustrante.
L’obbligo di vedere non era pari
al diritto d’essere osservato.
Partimmo nel 2020 ma non giungemmo mai al 1989.
Scomparse le tracce di Spartacus e dunque soltanto ambra.
A Hiroshima un attacco di panico
si trasformò in neutroni.
Intravvedemmo pallottole indietreggiare
Riversarsi nelle mitraglie. Biglie nelle buche.
Fu un risalire ad Archimede
Un cercare di capire dove fosse il suo compasso.
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Non è che i gigli siano da meno
Si sta davanti a polline di piombo.
Piegare a verso, farne conferenza
Ubbidire al morso del calendario.
L’ordine arrivò che stavamo in trincea
Il gelo scaldava le bisacce.
Piovve un meteorite.
Ci dirottarono su un ciliegio.
Ambra e dentro formiche
In lotta contro un T-rex.
Avemmo tette per il caldo.
Allo zero sopravvisse l’inverno.
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Le epoche iniziano dalle fiamme.
Piegare un vetro, soffiarci dentro.
Non tutte le mani danno ordini alle dita
Alcune tentennano perché amano lo smalto.
A volte capita di sedersi accanto
ad uno che ha mani nelle labbra.
Qualcuno scrive la coscienza
un lettore le parole
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Il polpo s’è fatto capire
sullo stesso piano ventosa e colpo di genio
…
l’arte fa sesso sporco, la serva
ci mette la parola buona
…
Capire le traiettorie, assimilarle a versi
Una costante di Boltzman per parola.
Deriverà l’esistenza da qualche parametro
Ne trovammo tracce in un punto.
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Il rosso riempì due mani e scrisse su un muro.
Una possibilità al bianco di diventare tigre.
Perché la misura era colma e non valeva sporcarsi
Per costruire uffici, appendere lenzuola.
Il sottopasso: quanto si era combattuto per un pertugio!
Ora due occhi scrutavano, di topo combattivo, in attesa di istruzioni.
Trovarono i depositi sguarniti. Nessuna difesa per il corallo
Il porpora riprendeva a combattere. Polmoni secchi e neve arida.
Con questa bisognava sopravvivere alle rigidità.
Chi gridava alla vigliaccheria non aveva mai vissuto.
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Il ragazzo sa cosa deve fare, non c’è nulla da dire o da contrattare. I gesti sono automatici e dunque non occorre un dialogo e nemmeno molta attenzione, tanto che continua a parlare sul cell con la sua ragazza mentre innesta il bocchettone della pompa del gas sul serbatoio. Apro la portiera e lascio che un po’ del mio Lolli invada la piccola area della colonnina del metano. All’improvviso l’attenzione si focalizza su di me, su quel brano che parla di borghesia. Qualcuno dall’interno del cell ha ascoltato e fatto risvegliare l’attenzione del ragazzo. Ho la netta sensazione di trovarmi in un esperimento dove l’esistenza umana è o non è, a seconda dell’osservatore. L’aspetto interessante è che questo avvenga indirettamente, come si trattasse di un gioco di biglie messe in moto da un suono la cui origine è remota, come la luce di un microscopio.
Poco lontano una grossa civetta appollaiata su un palo dell’ illuminazione, non sa nulla di fisica, ma vola via non appena capisce di essere osservata. Chissà se ha provato la stessa mia sensazione e che pallettoni lo hanno colpito. Non poteva sentire le parole né vedere i miei gesti e l’auto procedeva senza alcun segno di distinzione tra le tante.
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Era Stalingrado conquistata, l’esploso di radice in marsina.
Fuoco germogliato nelle ossa.
Un bivacco di cemento divenne aghi e gemme
brace con l’occhio bianco davanti alla vetrina di un negozio di scarpe.
Esponeva il grigio, l’azzurro rattoppava i suoi camosci
Le narrazioni, le astronomie, i razzi tornati indenni da Orione
Erano trasformati in Volga.
Brindisi col nemico seduto in una ruga di corteccia.
Gli avvenimenti trovarono il delitto al loro interno.
L’entrata trionfale di Von Paulus.
Farfalle sulle gru emulavano geometri comunali.
Nella spinta all’universo il lebbrosario della coscienza.
Si trattava di negare la fuga alla gabbia di ferro
E rendere arancio un geco.
L’alba colmò di chiodi la buca del sole.
Il cuore di un notaio pompò linfa nei plinti blu.
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Un clown dell’era in cui erano riconoscibili, sparò a Dio.
Piovve un puzzle incomponibile.
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La prateria ricostruita su istruzione delle Erinni
Il cemento progettò un raccolto di indaco.
Il giallo dei panzer, attraversò le Ardenne,
giunse a Parigi.
Mantenne fede al giuramento.
Qualcuno volò sulla Sistina
Sostituì robinie a stipiti di zero Kelvin
Confiscò l’insegna a un Vinaio e ne fece vite.
L’aspirina di una Farmacia vergò parole di fico.
La cantina avrebbe salvato l’erba dai falsi d’autore.
Una trave tra i Cristi invocò un mantello trasparente
Imprecò contro il terrazzo sul pavimento.
…
Le lancette invertirono il passo cinese.
Capirono che si erano spinte troppo nell’intimo toro.
Girava linfa nel cuore di un notaio.
L’alba raggruppò i coriandoli nella buca del sole.
…
La costante rimanda a Trump,
L’algoritmo delle bombe.
L’albero della Libertà
e le istruzioni per risalire le Calabrie.
Si può avere buon gioco delle prestazioni.
Ci sono manette che scattano senza finanza.
Acciaio mai in prescrizione ribolle nella coscienza.
Ad un prisma la lettura analitica.
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Murales aspirano a strisce pedonali.
Peones metropolitani e resti di libero arbitrio.
Alla fermata del carcere con qualche pelo sui timpani
Il falco dietro le sbarre a ricordarci che un giorno ne usciremo.
La neve sciolta del caffè illumina il barman.
Nell’ attesa un babbuino sbircia la cronaca nera.
Se c’è stato un caso di immortalità
è bene prendere provvedimenti.
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L’aria del bar si gonfia di gesti viola. Donne gialle
Succhiano progetti finanziati, tramezzini e fine dell’età lavorativa.
Cucchiai ballano il tango con tazzine
il piedino sul bancone. Un licenziamento in discussione.
Ciascuno ha la sua vita operaia
E dunque inappropriato è il momento.
Un esercito di formiche diventa mano
Porta l’odore di caffè al Niagara.
Calcolo di frequenza associato al rumore del cuore.
Un gesto estremo, di una volontà decisa, passata per disgrazia.
Si parlerà greco all’assemblea di Austrolopitechi
Conferenza sul matrimonio infelice di Marge.
Cinetica e aspetti termodinamici
Del seme di crisantemo.
Homer spiega la cinetica dei gas.
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Il DNA in bilico su due ruote.
Quando ha imparato a spacciarsi per simbolo?
Lo stesso giorno la rosa smise il sangue
e si fece scorrere dalla linfa di gazzella.
Il meccanismo tritò i chicchi di luna nera
Per farne desiderio e versarla tra le cosce.
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Il finale tebano. La mossa varrà un premio Nobel
Trasformare, transformer, forse Tranströmer.
Calcolare la velocità. Il tracollo del Neon
Per decadenza dello stile.
Sotto cappa il taglio, un Bunsen acceso
Il capillare. Accecamento del Lume.
Nessuna delicatezza nel fare a pezzi.
Sangue di toro su spigoli vivi.
(Francesco Paolo Intini)
L’ha ripubblicato su Edizioni Noubs http://www.noubs.it.
Davvero, in questa intervista c’è una densità di pensieri sulla poiesis che basterebbe per una settimana di riflessione.