
il vestito strappato che è la tua vita
John Taylor, poeta, scrittore e traduttore, e Caroline François-Rubino, pittore, lavorano insieme dal 2014. Il loro primo libro, Boire à la source / Drink from the Source, è pubblicato da Éditions Voix d’encre in marzo 2016. Il loro secondo libro, Hublots / Portholes, sarà pubblicato questa estate da Éditions L’Œil ébloui. John Taylor è anche autore di altre sei opere di racconti, di prose brevi e di poesie, di qui The Apocalypse Tapestries (2004) e If Night is Falling (2012). The Apocalypse Tapestries è stata pubblicata in italiano con il titolo Gli Arazzi dell’Apocalisse (Hebenon) et la sua raccolta di prose brevi, If Night is Falling, con il titolo Se cade la notte (Joker), i due libri nella traduzione di Marco Morello. John Taylor è editor e co-traduttore d’una ampia raccolta dei testi del poeta italiano Alfredo de Palchi, Paradigm: New and Selected Poems (Chelsea Editions, 2013). Ha ottenuto nel 2013 una borsa notevole dell’Academy of American Poets per il suo progetto di tradurre le poesie di Lorenzo Calogero — libro che è stato pubblicato: An Orchid Shining in the Hand: Selected Poems 1932-1960 (Chelsea Editions). Sito di John Taylor http://johntaylor-author.com/
Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa
Ogni linguaggio poetico ha una propria Grundstimmung (tonalità emotiva dominante), e ogni linguaggio poetico designa incessantemente «le rien du je que je suis» (R.Barthes); ogni linguaggio poetico rende evidente che il linguaggio non è il predicato di un soggetto ma è esso stesso il soggetto di questa soggettività che è assenza, e l’assenza è produzione di forme significanti che prendono il luogo della parola. Il soggetto è un vuoto che pulsa, vuoto che respinge il pieno nel momento medesimo che lo produce. Ogni poesia nasce da una mancanza di senso e di pieno e dal negativo del vuoto e dal tentativo di trovare un senso del vuoto per il tramite del pieno delle parole. È impossibile per la poesia moderna partire da un pieno, perché il pieno si dà sempre nella configurazione del vuoto. Possiamo anche dire così: ogni poesia ha una propria tonalità e direzione di senso. Ogni poesia ha, come dire, una sorta di auto coscienza, ogni poesia pone una distanza tra l’io del poeta e il poetatum, questa distanza è appunto la tonalità dominante: una vibrazione di elementi sonori che sono prima della parola.
Proviamo a dirlo in altri termini: noi tutti sperimentiamo ogni giorno il grado di estraneità a noi stessi, e questa estraneazione ha la sua ubicazione nel linguaggio poetico che adottiamo. Possiamo dire che ogni poeta espropria questa estraneità per trasferirla nel proprio linguaggio poetico? Se sì, allora questo libro di John Taylor manifesta questo fenomeno ben visibile nella disseminazione, nella discontinuità, nella frammentarietà, nella frantumazione della versificazione; si tratta quindi di espropriazione, e non di una riappropriazione di alcunché. Il linguaggio poetico è lo specchio ustorio che ci mostra il vero volto della nostra estraneità a noi stessi, è un simulatore di senso anche e soprattutto quando il senso non c’è, un simulatore di senso che scalda i motori a far luogo da una assenza, da un vuoto. Nella simulazione non è possibile «mentire» e non è neanche possibile dire la «verità», la simulazione non è un predicato di un soggetto ma è il linguaggio stesso in azione; menzogna e simulazione sono due aspetti della stessa procedura.

Il nostro abitare spaesante il linguaggio è la precondizione affinché vi sia linguaggio poetico
Il nostro abitare spaesante il linguaggio è la precondizione affinché vi sia linguaggio poetico, giacché non v’è possibilità di adire al linguaggio poetico senza questa pre-condizione soggettiva. C’è un esercizio dell’«abitare poeticamente il mondo» che è la precondizione affinché vi sia un linguaggio poetico, ma noi non sappiamo in cosa consista questo «abitare poeticamente il mondo» e non potremo mai scoprirlo se non mediante la poesia stessa. In questo «abitare spaesante» il linguaggio si ha un abbandono e un ritrovarsi, un trovarsi che è un abbandonarsi in ciò che non potrà mai essere né abbandonato né ritrovato, perché se lo trovassimo cesserebbe l’abbandono e se lo abbandonassimo lo potremmo sempre ritrovare per davvero, e non c’è maieutica che lo possa ricondurre dalle profondità in cui questa condizione è sepolta. Non c’è maieutica che ci possa garantire l’ingresso nel portale del «poetico», giacché esso non è un dato, né un darsi, ma semmai è un ritrarsi, un oscurarsi.
L’entrata in questa radura di oscurità apre all’Ego la dimensione illusoria e simulatoria del linguaggio poetico, essendo l’illusorietà il parente più prossimo al dire originario in quella linea genealogica che collega il linguaggio poetico al «dire originario» del quale abbiamo smarrito per sempre il filo conduttore e la chiave del senso. Allora, non resta che accettare tutto il peso del gravame di cui ci diceva Nietzsche per gettarlo a mare come inutile zavorra e alleggerirci alla massima potenza, accettare di impiegare i resti e gli scampoli, gli stracci e i frantumi quali elementi consentanei alla nostra condizione esperienziale.
La poesia di John Taylor è sensibilissima nel recapitare questa dis-connessione di tutte le cose, la frammentazione delle parole e del senso; ciò che resta è «solo il passaggio di una mano// il suo coinvolgimento// il suo coinvolgimento di allora/ nella tua vita».
è ciò che fu abbandonato
ciò che rimane in piedi
benché perduto.
Come un sensibilissimo sismografo John Taylor procede a tentoni con uno stile de-materializzato con una metratura rarefatta e pericolante che accetta il rischio di sbriciolarsi definitivamente all’atto della lettura, di assottigliarsi come scrittura per fare ingresso nel nulla dalla quale la poesia proviene nella sua linea genealogica e nel suo DNA. La poetica di Taylor ha qui il suo punto fondante: che si fonda sulla impermanenza della scrittura stessa, come un oggetto «abbandonato// l’impalcatura/ che cede la sua forma/ rivetto dopo rivetto/ sbarra dopo sbarra/ all’inevitabile inondazione…».
Taylor inserisce una distanza tra un verso e l’altro, tra una strofa e l’altra, e questa distanza è propriamente l’estraneazione di cui la poesia si fa carico, e non può non farsene carico se è poesia, quella medesima estraneazione che ci separa da noi stessi per adire un linguaggio più interno a noi stessi. Abitare una condizione esperienziale e abolirla subito dopo averla esperita è la risultanza paradossale del nostro essere nel mondo. È questo il nocciolo credo della esperienza poetica di questo libro: l’aver scoperto che in questo grattacielo di dis-connessioni e di disseminazione della sintagmazione frastica non v’è certezza se non nella «perdita» e nella avulsione.
Poesie da L’oscuro splendore
having left behind so much
except your first, your final weakness
persistent
like a forgotten heart
your only force left
—language, uncertain
fragments of faded homeland
(a homeland of sounds, of voiceless words) strands of stories
shreds of feelings from the greater cloth
you still imagine
with those voiceless words that do not fade into silence that beat like a heart
that sew and tear and resew
the torn garment that is your life
*
avendo lasciato indietro così tanto
tranne la tua prima e ultima debolezza
persistente
come un cuore dimenticato
come tua sola forza residua una lingua incerta
frammenti di patria sbiadita
(una patria di suoni, di parole afone) trefoli di storie
brandelli di sentimenti da un tessuto più grande
tu ancora immagini con quelle parole afone
che non si smorzano nel silenzio quel battito come un cuore
che cuce e strappa e ricuce
il vestito strappato che è la tua vita
The Five Languages
your five languages
like five streams five hills
inner landscape
*
you cup your hand to drink the water
ever something new anew
though it descends the same slope
*
words still emerge the womb unseen seen
they hesitate they doubt
motionless against the current dead branches
or trout
remembering the source
Le cinque lingue
le tue cinque lingue
come cinque ruscelli cinque colline paesaggio interiore
*
metti le mani a coppa per bere l’acqua
sempre qualcosa di nuovo da capo
anche se scende dallo stesso pendio
*
emergono ancora parole l’utero non visto
visto
esitano dubitano
immobili contro la corrente rami morti
o trote
che ricordano la sorgente
*
other words their flatness fits the thumb the first finger
you remember impossible fortune
skipping
across the rippled surface
*
where streams meet
you stand on the narrow bank
behind you is the endless wood sometimes you wish
for the silence of those trees windlessness
wish to walk away into the white shadows
*
imagining one language a cold current
another warm
from some deeper source
you are downstream from all the sources
*
altre parole
la loro piattezza s’adatta al pollice al primo dito
ti ricordi
che fortuna sfacciata saltellare
sulla superficie increspata
*
dove i ruscelli s’incontrano tu stai sulla stretta riva
dietro di te il bosco infinito a volte desideri
per il silenzio di quegli alberi assenza di vento
desideri incamminarti nelle ombre bianche
*
immaginando una lingua
una corrente fredda un’altra calda
da qualche sorgente profonda
tu sei a valle
di ogni sorgente
*

le tue cinque lingue/ come cinque ruscelli cinque colline paesaggio interiore
you know
those streambed stones they have been sheened
countless caresses of water
you must move on the sparkling
the whirlpools you must move on
*
when you come to a halt
take a rest
the sediment has risen over the stones
over the tongue of stones
or there are no more stones only movement
*
conosci
quelle pietre del fondale sono state lustrate
innumerevoli carezze d’acqua
devi proseguire lo spumeggiare i mulinelli
devi proseguire
*
quando giungi a fermarti
a riposarti
il sedimento è risalito sopra le pietre
sopra la lingua delle pietre
oppure non ci sono più pietre solo movimento
*
all the other words are water now
this water that water
you sip
you swallow still your life shapeless
like this water
like all the other words ever further
it fans out into the ocean
*
through a plain you traced five streams
now they flow together now they are formless
faraway
at the end of landscape
*
tutte le altre parole sono acqua adesso
quest’acqua quell’acqua
tu ancora sorseggi e inghiotti
la tua vita informe
come quest’acqua
come tutte le altre parole sempre più lontano
si apre a ventaglio nell’oceano
*
hai tracciato cinque ruscelli attraverso la pianura
ora scorrono insieme ora sono amorfi
via lontano
alla fine del paesaggio
*
The Lakebed
but the textures the architectures
are behind you almost all the words
just these messages mostly faded upstrokes downstrokes
only the passage of a hand its involvement
its involvement back then in your life
*
Il fondo del lago
ma le tessiture le architetture
sono dietro di te quasi tutte le parole
solo questi messaggi in gran parte sbiaditi
pennellate in su e in giù
solo il passaggio di una mano il suo coinvolgimento
il suo coinvolgimento di allora nella tua vita
*

Man Ray, foto, Lee Miller
above the unseen shaft
the imagined shaft
is what was abandoned
what remains upright though lost
abandoned
scaffolding yielding its shape rivet by rivet
bar by bar
to the inevitable flood
to the unseen imagined shaft
also filling with water a shaft recalled
a scaffolding recalled
you seek to recover them
(as you would someone dear lost from your life
as it moved onward now abruptly pauses)
to hollow out again build again
*
sopra la galleria non vista
la galleria immaginata
è ciò che fu abbandonato
ciò che rimane in piedi benché perduto
abbandonato l’impalcatura
che cede la sua forma
rivetto dopo rivetto sbarra dopo sbarra
all’inevitabile inondazione
alla non vista immaginata galleria
che pure si riempie d’acqua
una galleria ricordata un’impalcatura ricordata
tu cerchi di recuperarle
(come faresti con qualcuno che ti è caro perduto alla tua vita
mentre va avanti
ora di colpo si ferma)
per scavare ancora ricostruire
*
but now shaft and scaffolding are one
with the ending with the origin
*
so much already
has been borne away from your life
yet at the beginning there was a firmament a foundation
how they were fashioned
here and there remains visible vestige of the vestiges
when you stand before these ruins you see
you never saw
all this was pieced together
*
già così tanto
è stato portato via dalla tua vita
eppure all’inizio c’era un firmamento un fondamento
com’erano modellati resta visibile qua e là vestigio delle vestigia
quando stai di fronte a queste rovine capisci
che non hai mai capito
che tutto questo era un insieme
*
fossils remnants shreds
scattered
the visible dead the discarded
with a bit of warmth
from this unexpected sunlight
with a bit of comfort as they are half-buried in sludge
that must be soothing
but is there something like blood running through veins
in these raindrops
these mirror-like puddles
*
fossili resti frammenti
sparpagliati
il morto visibile lo scartato
con un po’ di calore da questo sole inatteso
con un po’ di conforto
mentre vengono semicombusti nella melma
che deve lenire
ma c’è qualcosa come il sangue che corre nelle vene
in queste gocce di pioggia queste pozzanghere-specchio
*
But It Was Not Yet Night
sometimes / for a while you no longer know
this dusk will be darkness at the end
an absence of light
not this soothing twilight over the snow
*
sometimes it is thicker haze
every slope almost imaginary a slope
a plain
as it happens they are there
*
Ma non era ancora notte
a volte / per un po’ non sai più
che questo crepuscolo sarà oscurità alla fine
un’assenza di luce
non questa mezza luce consolante sopra la neve
*
a volte è
nebbia più spessa
ogni pendìo quasi immaginario un pendìo
un pianoro a seconda
sono là
Marco Morello
Nasce a Torino nel 1956. Si laurea in inglese nell’80 e lo insegna da allora nelle superiori. Scrive poesie liriche dal ’72 al ’79, virando successivamente verso lidi ludolinguistici, attestati da fitta collaborazione con il Bartezzaghi di “Tuttolibri”, Accavallavacca, Anno sabbatico, ”Lessico e nuvole”. Pubblica tre raccolte di versi: Semplicità (’76), Quartine per ‘Lù (’01), e 111 haiku (‘05). Dirige per anni l’aperiodico “Poesia nella Strada” e collabora come critico e traduttore a “Hebenon”, rivista internazionale di letteratura. Sue punzecchiature letterarie, oltre a giochi di parole e poesie, sono ospitate dal foglio elettronico “il giornalaccio”.
Linguaggio come atto integrale dell’uomo prima che l’uomo accetti di dividersi nella parzialità delle proprie attività operative. E’ questa l’ “attualità” che il linguaggio “improbabile” premette a ogni momento della prassi. Diciamo insomma che l’uomo mette a ogni momento della prassi.Diciamo insomma che può parlare in quanto i poeti parlano al limite del possibile stesso del linguaggio, e ogni volta lo portano più in là, ogni volta con la difficoltà in cui mettono l’istituto linguistico aprono all’infinito per l’uomo la possibilità d’intendersi anche sul piano più comune e utilitario. Diciamo di più: se non esistessero i poeti, arriverebbe il momento in cui gli uomini, per usura, non riuscirebbero più a intendersi fra loro. 1]
Piero Bigongiari, La poesia come funzione simbolica del linguaggio, Rizzoli, 1972, p. 31
IN SOGNO
Nel paese di Oniria tutto è sogno: cielo e terra, città, strade e creature viventi, tutto è sognato da qualcuno e, a sua volta , sogna qualcos’altro, sicché la vita è l’intreccio di infiniti desidèri e visioni, che si sfiorano senza mai incontrarsi: le creature terrestri sognano di essere uccelli, gli uccelli di diventare nuvole, le nuvole astri luminosi e irraggiungibili, gli astri l’eterno spazio infinito, e lo spazio infinito sogna…un animo che lo sogni.
Sognando nessuno si accorge di sognare, di percorrere un tunnel di immagini, visioni, illusioni che non hanno nessuna relazione con l’esterno, dove, peraltro, esistono solo altri sogni, ugualmente isolati, smarriti, privi di sbocco e di senso. Per fortuna! Altrimenti tutti sarebbero invasi da un’angoscia insopportabile, accorgendosi di vivere reclusi in una folle prigione di apparenza e menzogna.
Solo di tanto in tanto qualcuno viene sfiorato da una struggente nostalgia, da un misterioso sentimento di esilio e alienazione, quando sogna la Mente da cui tutto è scaturito all’inizio, il primo sogno da cui affiorano tutti gli altri, e in qualche modo segreto e misterioso comprende che quando il primo Sognatore si desterà, tutti gli altri illusori universi si dissolveranno e forse, finalmente, tutti i sognatori si ritroveranno insieme, scopriranno la vera realtà.
Digital point nel vento
Trasformato. Tutto cade
Al di là dell’acqua.
In qualche sibilo sorvegliato
Dallo shock del silenzio.
La dedica delle valvole ha
Dannato il respiro. La spina
Esposta al chiodo di sangue.
Lo spacco continua a
Scavare le immagini e le anse
Intime sopra uno schermo
Piatto.
.
Pingback: Article de Giorgio Linguaglossa sur "L'oscuro splendore" (Mimesis Edizioni, collana "Hebenon" -
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Ricevo alla mia email questa lettera da Rossana Levati, docente di lingue classiche e di letteratura italiana ai licei e mi permetto di pubblicarla anche trattandosi di scrittura privata:
https://lombradelleparole.wordpress.com/2018/05/07/john-taylor-poesie-da-loscuro-splendore-mimesis-hebenon-2018-pp-88-e-10-traduzione-di-marco-morello-con-una-ermeneutica-di-giorgio-linguaglossa/comment-page-1/#comment-34658
«Le confido una cosa: anche nell’insegnamento del greco e del latino sono ormai in campo da anni, ma molto contestate dai “puristi”, nuove tecniche di insegnamento, del cosiddetto ” latino vivo”: trattare le lingue classiche con i sistemi della lingua parlata propri delle lingue moderne. Chi abbraccia questa nuova metodologia non riesce più a tornare indietro, è una strada senza ritorno, che fa apparire primitiva e inadeguata ogni tecnica che fino a quel momento sembrava inoppugnabile. Questo piccolo paragone per dirle che anche la sua strada, faticosamente conquistata, è una strada senza ritorno, ma non da tutti compresa. Perdura l’idea che la poesia sia il luogo del sentimento, come ho letto ieri sull’Ombra, opposto alla ragione. Mi sembra un discorso da puristi, perché certamente la poesia è il luogo dell’emozione ma ciò non esclude che sia anche il luogo di un pensiero critico e razionale. Ma tutto ciò che è nuovo appare pericoloso e sospetto, ma lei è sicuramente approdato in questi anni di ricerca di una strada poetica nuova a risultati convincenti anche se faticosamente raggiunti. Non potrà più tornare indietro ma solo procedere su questa strada della parola proposta in modo nuovo. Le dirò che faccio fatica anch’io ormai a leggere le poesie retoriche e sentimentali, mi sembrano un motore che gira a vuoto, ingrippato e senza senso…
La ringraziò davvero di cuore per la sua risposta e le auguro buon lavoro, anche se sarà sempre al centro di attacchi e polemiche di chi rimane ancorato al passato, come i latinisti che piangono perché più nessuno, con i loro metodi di lavoro, capisce una lingua che in realtà non è insegnata né fatta amare!»
(Rossana L.)
Gentile Rossana,
So benissimo che la mia attività di ricerca mi procura e mi ha procurato avversioni e ostilità da parte dei «puristi», sono tanti coloro i quali mi aspettano al varco perché si sentono minacciati (non capisco tra l’altro quale minaccia possa rappresentare una ricerca intellettuale) in quanto si sentono i detentori e amministratori della «poesia» che una tradizione morta e sepolta consegna loro. Quando invece l’unico modo per far rivivere la «tradizione» è reinventarla continuamente e sottoporla ogni giorno a critica e a rilettura.
So bene che la mia (la nostra) «è una strada senza ritorno, ma non da tutti compresa», ma ecco, come lei dice, a questo punto non posso tirarmi indietro, non posso che andare avanti nella mia (nostra) ricerca intellettuale. Del resto, anche la mia ermeneutica della poesia di John Taylor altro non è che un portare avanti la riflessione sulla «nuova poesia» che, se vuole essere poesia, non potrà che discostarsi dalla mera imitazione della «tradizione», come lei dice, «perché certamente la poesia è il luogo dell’emozione ma ciò non esclude che sia anche il luogo di un pensiero critico e razionale». La nostra ricerca è il modo migliore per consegnare alle generazioni future la poesia più autentica di oggi, perché sono convinto che la poesia italiana ed europea possa essere utile alla comprensione del nostro mondo e possa anche avere degli effetti pratici sul nostro comportamento nella vita quotidiana. La «poesia» è il luogo della responsabilità della ricerca intellettuale, e noi non possiamo venir meno di fronte alle conseguenze che questa «responsabilità» ci richiede.
Carissima Prof. Bellissimo ingrippato!
Propongo qui una poesia strepitosa della Dono…a cui manca un ermeneutica.
Digital point nel vento
Trasformato. Tutto cade
Al di là dell’acqua. In qualche
Sibilo sorvegliato dallo shock
Del silenzio.
La dedica delle valvole ha
Dannato il respiro. La spina
Esposta al chiodo di sangue.
Lo spacco continua a
Scavare le immagini e le anse
Intime sopra uno schermo
Piatto.
Grazie Ombra, grazie Dono, grazie Levati.
Concordo pienamente con questo pensiero di Rossana Levati: “Perdura l’idea che la poesia sia il luogo del sentimento, come ho letto ieri sull’Ombra, opposto alla ragione. Mi sembra un discorso da puristi, perché certamente la poesia è il luogo dell’emozione ma ciò non esclude che sia anche il luogo di un pensiero critico e razionale.”
Se fossimo tutti appena un po’ più maturi, poeticamente parlando, tali frasi sarebbero un’ovvietà che non è nemmeno necessario sottolineare. E invece, bisogna ancora ripeterle.
Conosco queste poesie di John Taylor da diverso tempo. Il suo, che è un percorso fra riflessione critica, emozione, sentimento.
A volte i paralleli colpiscono:
FROM A DEEP DWELLING
1
From a deep dwelling
you watched me go by outside:
“You have yet to reach a place of fullness.”
I have no such certainty.
Having overstepped so many boundaries
I’d long ago come to think
no boundaries mattered at all.
Always on the move,
always expecting to arrive,
till arrivals lost all meaning.
2
I used to think: before searching
for the skylight above the highest books,
let me relive the past.
It was always a tremendous jumble,
volumes crashing down
without warning.
Now the shelves are nearly bare,
workmen lugging out the last crates
brimful of becalmed waters.
What harm if by mistake
they’ve carried out the skylight, too?
3
Hot mornings I spend on a high balcony
sipping black tea.
Time and again have I turned the hourglass
upside down.
A breeze through the hallway:
the doors someone forgot to close,
are restless on their hinges
1992
Salutiamo un grande della poesia che se ne è andato: Ermanno Olmi…
Posto qui una poesia inedita di Laura Canciani.
a a.s.
https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/12/18/franco-fortini-1917-1994-poesie-da-lospite-ingrato-1986-e-una-poesia-da-composita-solvantur-1994-dallimpegno-alla-fine-della-poesia-impegnata-dagli-anni-sessanta-agli-ottanta-commento-di/comment-page-1/#comment-28770
Questa volta saliamo sul ring.
Tu, con le tue vesti lunghe rosse fruscianti
– eresiarca di un fuoco baro –
io, con vestaglietta da cucina
e un occhio già ferito
da lama spinta:
potrei indossarle tutte le scarpette rosse
che girano vive tra luci e pareti
disattente.
Round primo:
quale arbitrocritico non esulta per il colpo
“Orfeo e Euridice”?
Round secondo:
creami adesso, qui, il più piccolo
fiore rosso…
Un colpo basso, a testa bassa, feroce
contro le regole
non viene perdonato.
La folla, a tentoni, monta le corde impoetiche
in un ridere di onda d’urto
che disfa persino l’invisibilità.
Provo dolore consapevole nel prodigio
del silenzio
ma sono viva e da viva mi giunge una voce
strana, anglosassone, elegante, come crudele.
«Liberati»
«Liberarmi, da che cosa?»
«Tu lo sai»
«Sì, liberarmi da tutta la zavorra
che impedisce la santità».
giorgio linguaglossa
18 dicembre 2017 alle 12:33
Come si può notare, qui siamo in presenza di un tipo di discorso poetico che adotta il verso «spezzato»; ripeto: «spezzato». Questo è appunto il procedimento in uso nella poesia più aggiornata che si fa oggi dove il verso cosiddetto libero è stato sostituito con il verso «spezzato», singhiozzato…
E questo è il modus più proprio del poeta moderno erede della tradizione di un Franco Fortini, lui sì ancora addossato alla linea umanistica del novecento… ma Laura Canciani è una poetessa che non può più scrivere «a ridosso del novecento», semmai, oserei dire che può sopravvivere «nonostante» il novecento…
Oggi al poeta di rango può essere concessa solo una chance: il verso e il metro «spezzato»… che è come dire di una creatura alla quale abbiano spezzata la colonna vertebrale…
Robin Valtiala (1967), Poeta finlandese – una poesia traduzione dell’autore (che scrive in svedese, come ha scritto Steven Grieco Rathgeb)
Pubblico qui una poesia «normale» del poeta finlandese Robin Valtiala da lui tradotta in italiano. Anch’io sono profondamente convinto di quanto scrive Franco Volpi: «la poesia autentica si muove nelle prossimità del niente», come indica bene la poesia d’apertura di Robin Valtiala.
Robin Valtiala è nato 1967 a Helsinki, Finlandia. Appartiene alla minoranza svedese-parlante e scrive in questa lingua. Come scrittore, gli piacciono gli esperimenti che si fanno con l’immaginazione e con la lingua. Le lingue sono una passione sua. Fino ad adesso ha pubblicato 7 libri:
Bakfönster, (Finestre di dietro, poesia, 1991)
Fingerfärg, (Colore a dita, poesia, 1997)
Kontinent utan väggar (Continente senza pareti, libro di viaggi sull’America Latina, 2000)
Långa barn ska spela gamla, (I bambini alti faranno i ruoli dei vecchi, romanzo, 2003)
Mexicos uppsyn (Il viso di Messico, libro di viaggi, 2006)
Som katternas sätt att minnas (Come la memoria dei gatti, romanzo, 2011)
Barnvagn i överhastighet (2013) (Passeggino in sopravvelocità, collezione di poesia haiku, 2013).
https://lombradelleparole.wordpress.com/2018/05/07/john-taylor-poesie-da-loscuro-splendore-mimesis-hebenon-2018-pp-88-e-10-traduzione-di-marco-morello-con-una-ermeneutica-di-giorgio-linguaglossa/comment-page-1/#comment-34663
il figlio della mamma vertigine
ha perso il volo
perché guardava il mare
e il gran canyon di case
camminava su aria ben costruita
mangiava formaggio formaggio formaggio formaggio formaggio
studiava la gente per chi s’era pensata la città
si naufragò
le strade che circondano le parti alte
fanno sistematicamente impercettibilmente che si salga
entrando più dentro
di maniera che non si vede più
come le case in luoghi più alti
si collocano come possano su di quelle in luoghi alti
il corridoio stretto che passa davanti al gabinetto
dopo si torce formando un miniangiporto
nella notte uno dei quadrati vuoti dello scaffale brilla
come un tunnel
svindelmammans barn
missade flyget
för att det tittade på havet
och på stora huskanjonen
vandrade i väl uppbyggd luft
åt ost ost ost ost ost
studerade människorna som staden var menad för
strandsatte sig
gatorna som går längs de höga delarna
tar en hela tiden uppåt utan att det syns
inåt
så att man inte längre ser
hur ännu övre hus
placerar sig som det går i de övre
den smala gången förbi toaletten
kröker sig efter den till en miniåtervändsgränd
på natten lyser en av de tomma rutorna i hyllan
som en tunnel
Devo però precisare ciò che Giorgio non ha capito, che questo poeta è SVEDESE, appartiene alla minoranza svedese della Finlandia, e che (almeno) questa poesia è scritta in SVEDESE, non in FINLANDESE. Altrimenti non si rende onore a tutte le fatiche di un poeta…
Non c’è niente di più futile e banale di questa falsa – e criticamente superata -assiologia, che contrappone poesia come pura espressione di sentimenti a ricerca intellettuale o filosofica come sola possibilità di raggiungere nuovi orizzonti estetici ed epistemologici. Non sarò certo io a provocare schieramenti e contrasti polemici all’interno di una già così ristretta cerchia di interlocutori, e del resto non credo si possa seriamente contestare il valore dell’opera ormai più che trentennale di Giorgio Linguaglossa, determinante nell’ampliare e attualizzare lo scenario critico-poetico degli ultimi anni ( anche se riconosco di averlo fatto troppe volte quando entrambi eravamo più giovani, agguerriti e…bruni).
Credo molto più utile riflettere ed esperire insieme strumenti e percorsi di intuizione ed espressione che consentano di valicare dogmi, interdizioni e recinzioni che ostacolano una relazione logico-ontologica integra, olistica, non più alienata e lacerata, sradicata dalle proprie origini emotive ed affettive.
La poesia, come la musica, assume valore analgesico, apotropaico, salvifico, mantico, divinatorio rivelando – attraverso impreviste trasgressioni e trasfigurazioni simboliche – la dimensione trascendente del pensiero rispetto al linguaggio, cioè emozionale ed affettiva, che nutre e illumina, non contrasta, la ricerca intellettuale.
Propongo come esempio alcune composizioni di Ida Travi.
Il piede del bambino più piccolo
è più grande d’ogni tuo pensiero
Cosa mangia la foglia adesso?
Il pianto del bambino più piccolo
ha coperto il tuo canto, il mondo
sta strillando sull’altare
Il fiume, il salice, la porta. Il tronco spalancato
Ti cadono le foglie dalla testa, te ne accorgi?
vedrai la spalla del tuo vicino
Vedrai la spalla del tuo vicino alta nel segno nero
Nel filo di fumo azzurro vedrai quel fiume
e il monte lì vicino, vedrai un ramoscello
argento che sale, sale…
È così che testimonia il ramo
È così che il sasso ritorna alla sua storia
Ci sono vetri dappertutto, Usov
sei pieno di schegge in testa.
tutto era a posto
Tutto era a posto, tutto era perfetto
poi è venuto l’uomo con la falce
e s’è preso le nostre fragole
Allora sono scesa dalla sedia regina
alzando le braccia al cielo
Sono scesa dalla sedia regina
portando le mani al petto
Tutto era perfetto, cento colombe alte
sono volate in cielo, come un ventaglio
in cielo, le fragole antiche dormono
nel fazzoletto nuovo.
ritorna in te
Ritorna in te, togliti dalle rose
Superbe nella loro natura,
svettano nel colore
come irriducibili bandiere
Questa è la verità, Inna
non puoi discutere con le rose
hanno sempre ragione loro.
Olin, ti sbendo
Olin, ti sbendo. Tu guarda
dall’altra parte, guarda
se per caso è fiorito il braccio
e come è semplice la testa, adesso.
le mani in preghiera
Le mani in preghiera escono dal buio
ti svanisce il cerchietto sulla testa
e il vetro argentato ti chiama Inna
C’è un volto nel biancore dei ghiacciai
C’è un cuore giù nel sottosuolo
L’angelo prende con sé i bambini
li porta alla luce della candela
Ora alla luce della candela brillano immensi
davanti a noi, li vedi?
caleranno le pale dei morti
Caleranno le pale dei morti
MA IO NO!
Li vedi quegli uccelli in volo?
Io sono a conoscenza d’un mistero
so l’ordine preciso d’un mistero
Svaniranno i fiori dappertutto
ma io non svanirò. Lo giuro!
non entri nell’acqua?
Non entri nell’acqua, Attè?
Corre veloce il fiume, corre veloce
come il nostro desiderio
Desiderio?
Così lo chiameremo!
E non dirmi che non ti piace, Attè
il bambino è immortale, lo sai.
non lasciare il fiore
Non lasciare il fiore al sole, vedi bene
come tiene giù la testa, povera testa
Il cucchiaio va sotto il tovagliolo, il bicchiere
va messo lì davanti. A terra c’è la croce in controluce
Indicava col braccio
La vedi la tavola di legno scuro?
Era alto l’altare quella volta, e tu versavi lacrime
guardando giù per terra
Versavi lacrime guardando giù per terra
le mani in tasca, guardavi giù per terra.
Perché tremavi tanto? perché piangevi così?
mangi e lasci
Mangi e lasci nel piatto due cucchiai
Si staccano tre uccelli dalla testa, grandi come una mano,
sono così grandi che annullano la mano
Annullano la mano insaguinata
tanto sono io che mi chino e raccolgo quei vetri torri
sono io che mi chino, e poi mi faccio male
Questa è acqua d’un secolo fa, questo mare
lo manda il cielo
Scendono tra noi dolenti i bianchi genitori, cadono come sassi,
mentre tra noi s’innalza e s’inazzurra il muro.
la pietà
La pietà spalanca le braccia, figli e fratelli
se ne vanno via, gli alberi, gli uccelli, il mare
tutti i fiumi della terra, tutti se ne vanno via
tutti – ma tutti – se ne vanno via
Nell’inverno, quando il bianco governa la città perduta
quando il bianco governa la città perduta
una lampada, un lume a due braccia fa luce in un angolo
nell’angolo, i bianchi gabbiani migratori
non avevano mai visto una luce così.