INVITO al LABORATORIO PUBBLICO GRATUITO di POESIA mercoledì, 8 marzo 2017 presso la libreria L’Altracittà di Roma, via Pavia, 106 h. 18:00 – tel fax 06 64465725 – Referente Silvia Dionisi – Programma degli interventi – Contributi per una riflessione sul Novecento

gif-roy-lichtenstein-a-parigi-la-pop-art-in-mostr-l-lxgcovLa «Nuova Poesia» non può che essere il prodotto di un «Nuovo Progetto» o «Nuovo Modello», di un lavoro tra poeti che si fa insieme, nel quale ciascuno può portare un proprio contributo di idee: questa è la finalità del Laboratorio di Poesia che la Redazione della Rivista telematica L’Ombra delle Parole intende perseguire. Sarà presente la Redazione.
L’Invito a partecipare è gratuito e rivolto a tutti e tutti saranno i benvenuti. Vi aspettiamo.
Programma di base:

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1) Giorgio Linguaglossa: Lettura e Commento di una poesia di Tomas Tranströmer. La metafora quadri dimensionale e il tempo interno.
2) Chiara Catapano: Odisseo Elytis La metafisica della luce.
3) Steven Grieco Rathgeb: Lettura e Commento di una Poesia di Antonio Sagredo.
4) Letizia Leone: Tempo e materia. Una prospettiva quadridimensionale in una descrizione veneziana di Iosif Brodskij. Letture da Fondamenta degli incurabili.
5) Donatella Costantina Giancaspero: Lettura e Commento di una poesia di Kjell Espmark (da La creazione, Aracne, 2016 trad. Enrico Tiozzo)
6) Franco Di Carlo Commento a Trasumanar e organizzar (1971) di P.P. Pasolini.
7) Donato Di Stasi Commenta il libro di Antonio Sagredo Capricci (2017) con lettura di poesie dell’Autore.
8) Ospite: Donatella Bisutti parlerà del proprio itinerario poetico.
9) Ospite: Vincenzo Mascolo parlerà del proprio itinerario poetico.
10) Interventi e Letture del Pubblico.

*

Ringraziamo la libreria L’altra Città per la disponibilità e invitiamo i partecipanti a sostenere la Libreria indipendente con l’acquisto di un libro di loro interesse.

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  1. https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/02/28/pittura-e-poesia-rosario-la-polla-gino-rago-noi-siamo-qui-per-ecuba-metafora-delle-vittime-rimane-lei-per-sempre-la-regina-il-figlio-dun-eroe-spaventa-i-vincitori/comment-page-1/#comment-18410

    Gino Rago
    QUASI UN BILANCIO DELLA POESIA ITALIANA DEL ‘900

    La poesia italiana del ‘900, da rileggere?

    Siamo ben oltre i tre lustri del XXI Secolo. Per chi agisce nel regno della poesia, come autore di versi, come critico letterario, come interprete, o anche semplicemente come lettore/amante della lirica contemporanea, è inevitabile che noi de L’Ombra delle Parole ci poniamo alcune domande, tutt’altro che oziose:

    – Cosa davvero sappiamo, che pensiamo ormai della poesia italiana del ‘900?
    – Le polemiche, i dibattiti, perfino gli scontri degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso sono ancora vivi o appartengono a un’epoca remota?
    Nei nostri giorni sono ancora immaginabili o appaiono impossibili?
    – La lingua degli ideologi di quelle stagioni (Sanguineti – Fortini – Pasolini) oggi è ancora comprensibile e/o traducibile in atti di poesia?
    – Nelle Università italiane “ sulla poesia “ si tengono corsi, si assegnano tesi di laurea, si organizzano convegni?

    Forse sì. Ma, se avviene, si tratta di eventi rari, di eccezioni.
    Eppure, alla presenza di alcuni critici letterari e di alcuni poeti a Berlino, all’Istituto Italiano di Cultura, ben tre giorni ( di conferenze, seminari, letture di testi critici e poetici ) sono stati dedicati alla nostra poesia dagl’inizi del Novecento a oggi.

    I risultati più importanti? Eccoli, in breve sintesi:

    La poesia italiana di tutto il Novecento andrebbe riletta (anche sulla poesia di questi anni non sono mancati e non mancano disaccordi). Dell’ermetismo, sia di quello eminentemente legato alla “poetica della parola” (Bigongiari-Luzi- Parronchi), sia di quello “mediterraneo” (Gatto, Bodini, Quasimodo, De Libero, Sinisgalli) non si parla più. Ungaretti vale soprattutto per la sua prima stagione lirica. Luzi resta interessante ma soltanto se letto accanto ai suoi coetanei: Bertolucci, Caproni, Sereni. I quali, secondo alcuni, (e qui il giudizio si lega alle metodologie critiche), superano in valori poetici i leggermente più giovani Zanzotto e Pasolini. Il primato di Saba e Montale resta indiscusso.

    «Sperimentalismo»,« impegno», «avanguardia», « formalismo» sono termini ed esperienze ormai fuori corso. Giovanni Giudici, considerato il vero erede di Gozzano (e Saba ) sembra quasi dimenticato. La neoavanguardia degli Anni ’60 è considerata come una costruzione soprattutto ideologica.
    Sandro Penna con Amelia Rosselli hanno più di altri influenzato le nuove generazioni. Non Marinetti (poeta-vate elettrizzato) ma Campana – Rebora – Sbarbaro sono stati i veri « poeti moderni » della poesia italiana del Novecento. Il “Postmoderno”? Su proposta di Alfonso Berardinelli, tutti l’hanno accolto come «Sperimentalismo neoclassico».

    Un sentito ringraziamento da parte di tutti è da rivolgere ad Angelo Bolaffi (direttore dell’Istituto di Cultura Italiana di Berlino) e alla Literaturwerkstatt berlinese, se non altro per la coincidenza quasi millimetrica delle conclusioni “berlinesi” con quelle emerse dai lavori proposti su L’Ombra delle Parole, dagli esordi della nostra Rivista di Letteratura Internazionale ad oggi.

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  2. https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/02/28/pittura-e-poesia-rosario-la-polla-gino-rago-noi-siamo-qui-per-ecuba-metafora-delle-vittime-rimane-lei-per-sempre-la-regina-il-figlio-dun-eroe-spaventa-i-vincitori/comment-page-1/#comment-18412

    Alfonso Berardinelli
    LA POESIA ITALIANA TRA GLI ANNI SETTANTA E OTTANTA

    […] Con Franco Fortini sembra concludersi una fase della poesia italiana che va dall’acquisizione delle poetiche simboliste all’autoriflessione politica della lirica come falsa libertà del soggetto.
    La categoria di «sperimentalismo», elaborata da Pasolini alla metà degli anni Cinquanta, costituì un momento di sintesi carica di possibilità negli anni che vanno dall’esaurimento dell’engagement neorealistico e del montalismo all’avvento delle nuove avanguardie. Il luogo di elaborazione delle ipotesi «sperimentali» fu la rivista bolognese “Officina“, una piccola rivista artigianale, dal pubblico estremamente limitato, che uscì dal 1935 al 1958 a Bologna, diretta da Roberto Roversi, Franco Leonetti e dallo stesso Pasolini. In questi tre scrittori (anche Leonetti e Roversi, come Pasolini, sono poeti e autori di opere narrative e di assemblaggi autobiografico-saggistici) la scelta definibile come sperimentale corrisponde ad un atteggiamento di opposizione, di aggressività «angry», ma anche ad una situazione di isolamento politico, in parte subìto, e in parte voluto, e fonte di continue oscillazioni.

    Della perpetua lotta e rincorsa fra una scrittura poetica disposta a qualsiasi avventura linguistica e funzionale, e una realtà odiata-amata in costante movimento, Pier Paolo Pasolini (1922-1975) ha fatto il centro surriscaldato di tutta la sua opera. Un’opera che sembrava attentissima alla costruzione di un proprio programma strutturale e strategico, e che poi si è mostrata disposta ad andare letteralmente allo sbaraglio, rischiando tutto e tendenzialmente autodistruggendosi come tale, pur di mantenere la propria «presa diretta» sul presente. Perciò la passione e l’ideologia dello «sperimentare», attraverso la «disperata vitalità» della trascrizione improvvisata, non potevano che portare Pasolini alla fine di ogni «stile» (magari intesa come rinuncia e autospossessamento dell’autore incalzato dai suoi traumi e dalle sue disperazioni personali).
    La versatilità creativa e intellettuale di Pasolini (se si considerano i limiti rimasti sostanzialmente inalterati della sua cultura: una cultura quasi esclusivamente, e anche limitatamente, letteraria, molto italiana e in fondo refrattaria alle influenze della maggiore cultura europea del novecento) ha dato vita ad un’opera eccezionalmente vasta: di narratore, di regista, di critico letterario (soprattutto con Passione e ideologia, 1960, e con Descrizioni di descrizioni, 1979, postumo), di poeta. E la poesia di Pasolini, dalle liriche dialettali e mistico-erotiche (La meglio gioventù, 1954); L’usignolo della Chiesa Cattolica, 1958) ai poemetti «civili» degli anni Cinquanta (Le ceneri di Gramsci, 1957; La religione del mio tempo, 1961) fino ai poemi-collages e agli articoli in versi (Poesia in forma di rosa, 1964; Trasumanar e organizzar, 1971) è documento di un trauma personale e storico; dovuto non solo al fallimento fatale di una ipertrofia narcisistica del soggetto-scrittore, ma anche alla involuzione della democrazia italiana, soffocata dalla meschinità conformistica della sua cultura politica e del suo ceto medio.

    In Pasolini, del resto, e in toni di violenza nostalgia, parlava un’Italia non ancora «razionalizzata» dallo sviluppo industriale: un’Italia rurale e municipale, frammentata nei suoi localismi regionali, e perciò «umile», legata alle sue origini contadine e preborghesi. Questa aderenza biologica al suolo rurale, inteso come protezione materna e come nutrimento primordiale, è presente, sebbene in forme molto diverse, anche nella poesia di Andrea Zanzotto (1921-2012). Zanzotto ha sperimentato su una base di partenza diversa: ha rinnovato la transizione orfica ed ermetica, spingendo la sua ricerca di laboratorio fino alla dissociazione molecolare delle unità del linguaggio, giocando contemporaneamente sula massima astrazione stilistica (con recuperi petrarcheschi, bucolici, arcadici) e su uno smembramento analitico che risospinge il linguaggio alle soglie dell’afasia, verso le sillabazioni e i balbettamenti infantili. Qui l’atteggiamento «sperimentale» non solo tocca i suoi limiti estremi, ma nel momento in cui, Zanzotto riesce a scrivere una stupenda lirica carnevalesca e apocalittica, mostra anche il rischio che l’esibizione del laboratorio, mostra anche il rischio che l’esibizione del laboratorio rovesci il meraviglioso spettacolo linguistico nel grigiore del gratuito e dell’inerte.

    Un caso a sé, in assoluto fra i più originali degli ultimi decenni, è quello di Giovanni Giudici (1924-2011). Con Giudici si misura la distanza che può separare un autentico scrittore in versi di questi anni da tutto quanto si è discusso, agitato e rimescolato nella cultura poetica italiana di circa mezzo secolo. Galleria ironica, funebre o sentimentale di personaggi in movimento, di situazioni grottesche e senza sbocco, in una inesausta recitazione stilistica, la poesia di Giudici (La vita in versi, 1965; Autobiologia, 1969; O Beatrice, 1972; Il male dei creditori, 1977) scavalca le scuole novecentesche, ritrova levità melodiche e attitudini realistiche settecentesche, attraversando Saba, Gozzano e Pascoli. Ma il suo protagonista è l’uomo medio dell’Italia impiegatizia, aziendale e democristiana…1]

    1] A. Berardinelli La cultura del 900 Mondadori, vol. III 1981, pp. 350, 351, 352

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  3. https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/02/28/pittura-e-poesia-rosario-la-polla-gino-rago-noi-siamo-qui-per-ecuba-metafora-delle-vittime-rimane-lei-per-sempre-la-regina-il-figlio-dun-eroe-spaventa-i-vincitori/comment-page-1/#comment-18413
    Giorgio Linguaglossa
    Anni Cinquanta-Settanta – La dissoluzione dell’unità metrica e la poesia dell’Avvenire

    Qualche tempo fa una riflessione di Steven Grieco Rathgeb mi ha spronato a pensare ad una Poesia dell’Avvenire. Che cosa significa? – Direi che non si può rispondere a questa domanda se non facciamo riferimento, anche implicito, alla «Poesia del Novecento», e quindi alla «tradizione». Ecco il punto. Non si può pensare ad una Poesia del prossimo futuro se non abbiamo in mente un chiaro concetto della «Poesia del Novecento», sapendo che non c’è tradizione senza una critica della tradizione, non ci può essere passato senza una severa critica del passato, altrimenti faremmo dell’epigonismo, ci attesteremmo nella linea discendente di una tradizione e la tradizione si estinguerebbe.

    «Pensare l’impensato» significa quindi pensare qualcosa che non è stato ancora pensato, qualcosa che metta in discussione tutte le nostre precedenti acquisizioni. Questa credo è la via giusta da percorrere, qualcosa che ci induca a pensare qualcosa che non è stato ancora pensato… Ma che cos’è questo se non un Progetto (non so se grande o piccolo) di «pensare l’impensato», di fratturare il pensato con l’«impensato»? Che cos’è l’«impensato»?
    Mi sorge un dubbio: che l’idea che abbiamo della poesia del Novecento sia già stata pensata. Come possiamo immaginare la poesia del «Presente» e del «Futuro» se non tracciamo un quadro chiaro della poesia di «Ieri»? Che cosa è stata la storia d’Italia del primo Novecento? E del secondo Novecento? Che cosa farci con questa storia, cosa portare con noi e cosa abbandonare alle tarme? Quale poesia portare nella scialuppa di Pegaso e quale invece abbandonare? Che cosa pensiamo di questi anni di Stagnazione spirituale e stilistica?

    Sono tutte domande legittime, credo, anzi, doverose. Se non ci facciamo queste domande non potremo andare da nessuna parte. Tracciare una direzione è già tanto, significa aver sgombrato dal campo le altre direzioni, ma per tracciare una direzione occorre aver pensato su ciò che portiamo con noi, e su ciò che abbandoniamo alle tarme.

    Anni Cinquanta. Dissoluzione dell’unità metrica

    È proprio negli anni Cinquanta che l’unità metrica, o meglio, la metricità endecasillabica di matrice ermetica e pascoliana, entra in crisi irreversibile. La crisi si prolunga durante tutti gli anni Sessanta, aggravandosi durante gli anni Settanta, senza che venisse riformulata una «piattaforma» metrica, lessicale e stilistica dalla quale ripartire. In un certo senso, il linguaggio poetico italiano accusa il colpo della crisi, non trova vie di uscita, si ritira sulla difensiva, diventa un linguaggio di nicchia, austera e nobile quanto si vuole, ma di nicchia. I tentativi del tardo Attilio Bertolucci con La capanna indiana (1951 e 1955) e La camera da letto (1984 e 1988) e di Mario Luzi Al fuoco della controversia (1978), saranno gli ultimi tentativi di una civiltà stilistica matura ma in via di esaurimento. Dopo di essa bisognerà fare i conti con la invasione delle emittenti linguistiche della civiltà mediatica. Indubbiamente, il proto sperimentalismo effrattivo di Alfredo de Palchi sarà il solo, insieme a quello distantissimo di Ennio Flaiano, a circumnavigare la crisi e a presentarsi nella nuova situazione letteraria con un vestito linguistico stilisticamente riconoscibile con Sessioni con l’analista (1967). Flaiano mette in opera una superfetazione dei luoghi comuni del linguaggio letterario e dei linguaggi pubblicitari, de Palchi una poesia che ruota attorno al proprio centro simbolico. Per la poesia depalchiana parlare ancora di unità metrica diventa davvero problematico. L’unità metrica pascoliana si è esaurita, per fortuna, già negli anni Cinquanta quando Pasolini pubblica Le ceneri di Gramsci (1957). Da allora, non c’è più stata in Italia una unità metrica riconosciuta, la poesia italiana cercherà altre strade metricamente compatibili con la tradizione con risultati alterni, con riformismi moderati (Sereni) e rivoluzioni formali e linguistiche (Sanguineti e Zanzotto). Il risultato sarà lo smarrimento, da parte della poesia italiana di qualsiasi omogeneità metrica, con il conseguente fenomeno di apertura a forme di metricità diffuse.

    Dagli anni Settanta in poi saltano tutti gli schemi stabiliti. Le istituzioni letterarie scelgono di cavalcare la tigre. Zanzotto pubblica nel 1968 La Beltà, il risultato terminale dello sperimentalismo, e Montale nel 1971 Satura, il mattone iniziale della nuova metricità diffusa. Nel 1972 verrà Helle Busacca a mettere in scacco queste operazioni mostrando che il re era nudo. I suoi Quanti del suicidio (1972) sono delle unità metriche di derivazione interamente prosastica. La poesia è diventata prosa. Rimanevano gli a-capo a segnalare una situazione di non-ritorno.
    Resisterà ancora qualcuno che pensa in termini di unità metrica stabile. C’è ancora chi pensa ad una poesia pacificata, che abiti il giusto mezzo, una sorta di phronesis della poesia. Ma si tratta di aspetti secondari di epigonismo che esploderanno nel decennio degli anni Settanta.

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    gino rago

    I contributi critici di Alfonso Berardinelli (“La poesia italiana fra anni Settanta e Ottanta”) e di Giorgio Linguaglossa (“La dissoluzione dell’unità metrica e la poesia dell’avvenire”) gettano nuove luci sul tentativo, che prima o poi dovrà essere affrontato, e scartocciato nelle sue linee fondamentali, di una rilettura del ‘900 poetico italiano.
    Anche se molti aspetti già compiutamente emergono sia come “conseguenze” poetiche di suggestioni e influenze lontane, sia come basi estetiche verso un nuovo corso poetico italiano. Qualche deduzione sull’orizzonte operativo della “nuova” poesia italiana quindi forse è possibile, forse può essere tentato:

    – sembra in via di liquidazione l’intimismo, almeno quello che in termini di teorie simboliste, ha permeato la lirica dai crepuscolari agli ermetici;

    – pare definitivamente in crisi l’istanza di quel realismo di matrici sociologiche e marxiste, con tutti gli estri rivoluzionari a farsi interpreti di quella massificazione a opera d’una società industriale avanzata;

    – si colgono, disseminati e sparsi qui e là, taluni semi e segni di una certa critica del linguaggio tradizionale (Crovi, Ceronetti, Pignotti) tesa alla ricostruzione d’una espressione in grado d’inglobare in sé tutti i frammenti – mitici – delle idealità perdute.

    Forse in una certa misura, con la rottura dell’unità metrica segnalata nel suo lavoro critico da Giorgio Linguaglossa, sul finire del ‘900 la lirica italiana prende atto del fatto che il “come evolversi esteticamente” per lei significasse passaggio a nuova vita, senza rimpianto per le vecchie forme passate.

58 commenti

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58 risposte a “INVITO al LABORATORIO PUBBLICO GRATUITO di POESIA mercoledì, 8 marzo 2017 presso la libreria L’Altracittà di Roma, via Pavia, 106 h. 18:00 – tel fax 06 64465725 – Referente Silvia Dionisi – Programma degli interventi – Contributi per una riflessione sul Novecento

  1. gabriele fratini

    Queste discussioni sul ‘900 poetico sono alquanto interessanti (anche se non potrò partecipare al laboratorio essendo in quell’ora su un aereo). Di fatto nel ‘900 nasce un linguaggio (moderno), come nel ‘200 era nato un linguaggio nuovo. Perciò nella mia mente amo associare questi due secoli di poesia italiana, forse i miei preferiti.
    Buon “laboro”.

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  2. gino rago

    LABORATORIO DI POESIA DE L’OMBRA DELLE PAROLE

    INVITO al LABORATORIO PUBBLICO GRATUITO di POESIA mercoledì, 8 marzo 2017 presso la libreria L’Altracittà di Roma, via Pavia, 106 h. 18:00 – tel fax 06 64465725 – Referente Silvia Dionisi – Programma degli interventi – Contributi per una riflessione sul Novecento


    Che cosa è successo nella capacità da parte del poeta di impastarsi delle
    parole scelte nel fare poetico, nell’atto reale di scrivere versi, nel corso del
    Novecento italiano (che inaugura il “Linguaggio moderno” come saggiamente segnala Gabriele Fratini) quando, restando a pochi esempi,
    si passa da:

    “Ho parlato a una capra.
    Era sola sul prato, era legata”
    di Umberto Saba
    a:
    “Taci, anima stanca di godere
    e di soffrire (all’uno e all’altro vai
    rassegnata.)
    Nessuna voce tua odo se ascolto”
    Camillo Sbarbaro
    da:
    “Meriggiare pallido e assorto
    presso un rovente muro d’orto”
    di Eugenio Montale
    a:
    “Il pensiero della morte m’accompagna
    tra i due muri di questa via che sale”
    Mario Luzi
    da:
    “Per ognuno di noi che dimentica
    c’è un operaio della Ruhr che cancella
    lentamente se stesso”
    di Franco Fortini
    a:
    “E’ difficile dire con parole di figlio
    ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio”
    da:
    “Ti attende il filo spinato, la vespa, la vipera, il nichel
    bianco e lucente che non si ossida all’aria ti attende Pitagora”
    di Edoardo Sanguineti
    a:
    “Mondo, sii, buono;
    esisti buonamente”
    di Andrea Zanzotto

    e -compiendo un gran balzo temporale, anche per non tediare –
    da:
    “Per lei voglio rime chiare,
    usuali: in -are.
    Rime magari vietate,
    ma aperte: ventilate”
    di Giorgio Caproni
    a:
    “Questa è la preghiera per un’ombra.
    Gioca a fare l’Omero, mi racconta la sua Iliade,
    la sua personale Odissea.
    Ci sono cavalieri ariosteschi al posto degli eroi omerici”
    di Giorgio Linguaglossa (3 marzo 2017, su Presenza di Erato)

    Testi poetici sotto gli occhi, che tentativi di bilanci possono essere messi in atto sull’esperienza poetica italiana dagli inizi del ‘900 a oggi, soprattutto sul piano della “forma-poesia”?
    Non è semplice. Ma non è questione oziosa. Capirlo a sufficienza forse
    significa perfino perpetuare il nostro fare poetico stesso…
    Gino Rago

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  3. Ottima disamina quella fatta da Gino Rago sui poeti del novecento che meritano uno studio attento per una riscrittura del novecento. Tra questi, però, io inserirei di diritto Gozzano e Palazzeschi che hanno avuto il merito, tra gli altri, di mettere in discussione il “ciarpame poetico”.
    Alla prima occasione utile, sarò presente ad un incontro di laboratorio con gli autori dell’ Ombra, che saluto con affetto dopo la più approfondita conoscenza fatta in occasione della presentazione del libro di poesia Capricci del Poeta Sagredo. Mi piacerebbe trattare proprio i due poeti, Gozzano e Palazzeschi., speculari.

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  4. gino rago

    LABORATORIO DI POESIA de L’OMBRA DELLE PAROLE

    INVITO al LABORATORIO PUBBLICO GRATUITO di POESIA mercoledì, 8 marzo 2017 presso la libreria L’Altracittà di Roma, via Pavia, 106 h. 18:00 – tel fax 06 64465725 – Referente Silvia Dionisi – Programma degli interventi – Contributi per una riflessione sul Novecento


    Giuseppe Talìa ha ragione. Ma a ogni mio intervento su L’Ombra sono sempre quasi stritolato dalla paura di abusare del tempo altrui e delle altrui
    energie. E cerco di limitarmi.

    E ancora, cosa si verifica nella storia del verso italiano quando si va
    da:
    “Una stella m’è apparsa
    di prima sera
    così bella
    da attrarre tutto di me”
    di Aldo Palazzeschi
    a:
    “Il bimbo guarda tra le dieci dita
    la bella mela che vi tiene stretta;
    e indugia…”
    di Guido Gozzano

    da:
    “Non onorate i vecchi,
    abbiatene pietà
    perché sono gli specchi
    di come finirà”
    di Giovanni Giudici
    a:
    “Il decalogo è chiaro, il Codice pure.
    I convenuti furono chiamati all’appello.”
    di Mario Gabriele?

    (Dino Campana non oso disturbarlo)

    In questa breve storia e disamina del verso novecentesco italiano
    si va o no dalla sintassi franta e il verso breve ad altre soluzioni estetiche,
    osservando i versi finali, qui, di Mario Gabriele e, nel commento mio precedente, quelli di Giorgio Linguaglossa?
    Quando mi permetto di scrivere anche un pur breve commento tento,
    per mia etica ferma, sempre una comparazione analitica tra versi,
    improvvisazione e dilettantismo alle mie spalle (ci riesco sempre? Non so)

    Gino Rago

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  5. Fino ad arrivare al verso giambico di Sagredo: Mi negarono i demoni una normale storia.

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  6. INVITO al LABORATORIO PUBBLICO GRATUITO di POESIA mercoledì, 8 marzo 2017 presso la libreria L’Altracittà di Roma, via Pavia, 106 h. 18:00 – tel fax 06 64465725 – Referente Silvia Dionisi – Programma degli interventi – Contributi per una riflessione sul Novecento


    Carissimi,
    voglio segnalarvi, sempre che non lo conosciate già, questo spot

    per sottolineare che rapporto parola- immagine sta cambiando anche al di fuori dello specifico letterario. Alcuni spot della Apple lo dimostrano. Si sta rinunciando all’hard selling (vendita aggressiva tramite argomenti e offerte). Ovviamente, a livello della comunicazione, si fa leva sul coinvolgimento emotivo; pur tuttavia si registra un avvicinamento a verità fino ad oggi sottaciute ( anche se opportunamente selezionate). Si parla di storytellig, un modo di fare comunicazione che sta prendendo piede in molti settori del commercio.
    Perché questo fatto dovrebbe riguardare la poesia?
    Non la riguarda, infatti, perché poesia non è falsità. Però sono dell’idea che il modo di concepire la poesia de La nuova ontologia estetica, e la maniera di scrivere che ne consegue, dovrebbe essere anche interpretato nel contesto di queste realtà nascenti: perché queste concorrono, anche se in modo indiretto, a creare interesse verso la poesia. E personalmente ho idea che presto anche la poesia uscirà dagli ambiti che le sono tradizionalmente propri.
    Scrivo qui perché non potrò esserci; del resto non essendo io un grande esperto non sarei di grande aiuto, ma certo sarei tra il pubblico.
    “Quale poesia lasciare alle tarme” sarebbe stato un ottimo titolo per l’evento. Forse un po’ troppo futurista, ma efficace.
    Auguro un buon lavoro.

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  7. gino rago

    INVITO al LABORATORIO PUBBLICO GRATUITO di POESIA mercoledì, 8 marzo 2017 presso la libreria L’Altracittà di Roma, via Pavia, 106 h. 18:00 – tel fax 06 64465725 – Referente Silvia Dionisi – Programma degli interventi – Contributi per una riflessione sul Novecento


    …E anni prima, nel percorso storico del verso italiano oggi rivisitato con
    l’adozione della cartografia psichica di Harold Bloom, cosa si è verificato
    andando
    da:
    “Né più mai toccherò le sacre sponde
    Ove il mio corpo fanciulletto giacque…”
    di Ugo Foscolo
    a:
    “Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
    E questa siepe, che da tanta parte
    Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”?
    di Giacomo Leopardi

    da:
    “La nebbia agl’irti colli
    piovigginando sale”
    di Giosuè Carducci
    a:
    “C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
    anzi d’antico: io vivo altrove, e sento…”
    di Giovanni Pascoli

    da:
    “Fresche le mie parole ne la sera
    ti sien come il fruscio che fan le foglie…”
    di Gabriele D’Annunzio
    a:
    “Perciò, già che sei vecchio, e tutti passano
    levigandoti…”
    di Carlo Betocchi

    e da:
    “Chi m’insegnò qualcosa sulla sabbia
    non fu la faccia rotta della plastica”
    di Bartolo Cattafi
    a:
    “Due sorelle sulla veranda, in vestiti giallo-sera.
    (Fuori, un giardino).”
    di Steven Grieco- R.
    Gino Rago

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    • gabriele fratini

      …e direi anche da
      “Tu sei come una giovane
      una bianca pollastra.
      Le si arruffano al vento
      le piume, il collo china
      per bere, e in terra raspa;
      di Saba

      a
      “Cathia ha il più bel culo d’Europa”
      di Moccia

      e da
      “E quel che odi poi, non sai se ascolti
      Da vie di neve in fuga un canto o un vento,
      O è in te e dilaga e parla la sorgente
      Cupa tua, l’onda vaga tua del niente.”
      di Fortini

      a
      “Questo per me è letteratura: una bestia che si insinua nei luoghi più sottili e nascosti, dove l’occhio umano non può arrivare”
      di Pierantozzi.

      Siamo al massimo, cari miei, al massimo…

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  8. donfrancesca23

    Buon lavoro!

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  9. TOPOLOGIA E ICONOLOGIA DELLE FORME ESTETICHE

    INVITO al LABORATORIO PUBBLICO GRATUITO di POESIA mercoledì, 8 marzo 2017 presso la libreria L’Altracittà di Roma, via Pavia, 106 h. 18:00 – tel fax 06 64465725 – Referente Silvia Dionisi – Programma degli interventi – Contributi per una riflessione sul Novecento


    Scrive Vincenzo Vitiello in Topologia del moderno, Marietti, Genova, 1992 pp. 266, 267 :

    «Se l’evento della parola non è il luogo stabile e sicuro, eterno del nostro esserci: se il linguaggio può morire e tende a morire – allora dobbiamo apprendere ad abitare l’evento del linguaggio, il giudizio originario, diversamente. Senza lasciarsi trasportare da esso, ma ‘sospendendolo’. Sospendere l’evento non significa annullarlo, anzi l’esatto contrario: significa portare il suo gioco all’estremo. In che modo? Curvando il tempo dei segni nello spazio dell’evento. Facendo giocare – riflettendo – un linguaggio sull’altro. […] Giuoco che non solo è prima dello spazio e del tempo (come il giuoco della différance di Derrida), ma anche ‘sospende’, ‘epochizza’ spazio e tempo, giocandoli l’uno sull’altro, l’uno con l’altro, tenendoli insieme in una contra-dizione che non dà spazio allo spazio, non dà tempo al tempo, che epochizza ogni espacement e ogni temporisation. Giuoco che impedisce all’evento di saltare di là dalla propria contra-dizione». E infine: «Custodire la lontananza: a questo mira la sospensione dell’evento».

    Oggi il pensiero filosofico post-heideggeriano volge particolare attenzione alla categoria di Evento, in ciò qui da noi in Italia abbiamo avuto un geniale precursore di questa linea di pensiero in Carlo Diano con i suoi due libri: Forma ed Evento (1967) e Linee per una fenomenologia dell’arte (1968). È questa la direzione di pensiero e la pratica che la Nuova ontologia estetica vuole perseguire. Tutto il pensiero estetico europeo più accreditato post-gadameriano è impegnato in questa direzione di ricerca. Il nostro sforzo quindi rientra in una linea di pensiero e di ricerca che affonda nella migliore e più avvertita cultura filosofica di questi ultimi decenni.

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  10. LA NUOVA ONTOLOGIA ESTETICA

    INVITO al LABORATORIO PUBBLICO GRATUITO di POESIA mercoledì, 8 marzo 2017 presso la libreria L’Altracittà di Roma, via Pavia, 106 h. 18:00 – tel fax 06 64465725 – Referente Silvia Dionisi – Programma degli interventi – Contributi per una riflessione sul Novecento


    Caro Gino,

    hai reso un bel servizio alla cultura e alla poesia. Direi che è una sintesi estremamente interessante, uno spunto per un lavoro da aggiornare e per separare “la pula dal grano”. Lo spazio che occupi non è inflattivo, anzi direi che è poco rispetto ad alcuni autori che abbondano nelle repliche ai vari commenti. Pur essendo uno studio in fieri, il tuo va seguito con attenzione in quanto mette in rilievo le varie risultanze estetiche venutesi a determinare nella poesia nel corso del tempo, e far capire anche ai ciechi della poesia, come le differenze linguistiche siano sempre la logica portante di ogni tempo. Allora, ecco che il tuo intervento finisce con l’essere la punta di un iceberg che sovrasta l’opposizione di alcuni poeti. In relazione a quanto hai espresso ed evidenziato che per me è un colpo di Winchester sui detrattori del frammento e del nuovo corso poetico, portato avanti in questo Blog. In coda a quanto tu hai evidenziato, mi piace riportare un mio punto di vista relativo alla differenziazione del linguaggio e alla “resistenza” opposta , in vario modo, da alcuni “interventisti “a favore della Tradizione e del linguaggio sopito dall’inerzia:
    La Nuova Ontologia Estetica è un dato incontestabile. Non si tratta di un evento poetico marginale. Esiste. Si è formalizzato. Ci sono atti che testimoniano la realtà di questa nuova fase poetica, messa in discussione, con ostinata opposizione da chi, con propri pregiudizi, ne mette in risalto l’inutile proposizione. E’ come scontrarsi di fronte a un muro; quello di Berlino era più friabile. Per questo credo di lasciar perdere ogni dialettica su questo tema, anche perché non abbiamo chiesto il parere né a Contini né ad Asor Rosa. Abbiamo aperto un fronte, superata la fumisteria di certi coattori della rimembranza palcoscenica e del retroattivismo statutario insieme a un neorealismo scientifico, più adatto a ipotesi soggettive che poetiche. Giuliani e Sanguineti non chiesero pareri a nessuno, quando si trattò di immettere i risultati estetici dell’Avanguardia. La loro ricerca era già uno spinterogeno contro tutta la mulineria poetica del Novecento. Un dialogo con soggetti ipoacustici, non è certamente terreno fertile per un contradditorio. Una poesia nuova, colta, ben costruita dall’esperienza e dalla sensibilità, come questa della Nuova Ontologia Estetica, non può accettare dettagli inutili come prova di un discorso semplicemente avversativo, e troppo tradizionale, che rimane all’apice del non senso.La nuova Ontologia Estetica è difficile da concepire. E’ come far leggere la Bibbia a due musulmani. Allora, ti esprimo tutta la mia riconoscenza, caro Gino, perché hai fatto opera di conoscenza e di pacifica decantazione del verso.

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  11. OSTILITA E RETICENZA DEI LINGUAGGI POETICI TRADIZIONALI

    INVITO al LABORATORIO PUBBLICO GRATUITO di POESIA mercoledì, 8 marzo 2017 presso la libreria L’Altracittà di Roma, via Pavia, 106 h. 18:00 – tel fax 06 64465725 – Referente Silvia Dionisi – Programma degli interventi – Contributi per una riflessione sul Novecento


    Dici bene caro Mario,,
    C’è una tradizionale ostilità e reticenza dei linguaggi poetici istituzionali ad accogliere le innovazioni troppo audaci. È comprensibile. Del resto come tu hai ripetuto svariate volte, non dobbiamo dare a nessuno alcuna giustificazione, sono semmai gli altri, gli opponenti che devono presentare il proprio benestare ideologico, certo non possono chiedere a noi l’approvazione a scatola chiusa della loro scatola vuota.
    Quello che più mi meraviglia è il silenzio dei giovani, questo è un dato di fatto molto grave, i giovani, dico giovani per usare un eufemismo: coloro che hanno dai 50 anni in giù, sono assenti dal dibattito e restano in agnostica attesa schierandosi per l’apparato e per l’istituzione maggioritaria del conformismo organizzato e silenzioso.
    Questo è un fenomeno molto grave.

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    • caro Giorgio, cosa dovremmo aggiungere a quanto state dicendo e dicendo e dicendo da mesi a mo’ di mantra? 41 anni tra due mesi, rientro quindi nella categoria, quindi mi permetto di rispondere con i fatti e dal basso con il mio ultimo libro non appartenere a quel “conformismo organizzato” che citi. Dunque, se i prodotti di una certa novità ci sono e comunque su di essi si tace non citandoli nemmeno, e se in Riviste che dovrebbero presentare il nuovo si leggono e rileggono sempre gli stessi articoli e i medesimi commenti da mesi, che si può fare? Leggere, rileggere, prendere atto, valutare e nel silenzio lavorare sulla nostra poesia giusto per non cadere in circolo chiuso. Mi sembra il meglio che si possa fare. Con stima, sempre.

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    • Il fenomeno grave è che poeti di un certo calibro nemmeno tentino il dialogo o l’avvicinamento a poeti più giovani. Manca completamente la voglia di dialogare tra generazioni differenti. Sono mesi, ormai, che a parte qualche sporadico caso, leggo sempre gli stessi Autori e rileggo sempre gli stessi interventi.Scusate la franchezza, ma qui c’è stato un tempo (fino a luglio 2016 per la precisione) in cui ci si formava, ci si informava, si discuteva, si accettavano tutti e soprattutto le idee di tutti in un clima dove io personalmente ho avuto modo di imparare tantissimo. Da dicembre più o meno, invece, è calato un sipario di pesantezza, di ripetitività, di autocompiacimento, di chiusura, di cancellazione commenti, di mancato dialogo, che mai avevo trovato qui sopra. Mi dispiace che nessuno abbia avuto il coraggio di parlarne prima, ma da qui sono andati via, non cacciati, ma messi alle strette da quanto sopra, poeti e pensatori che apportavano tanto alla Rivista, lasciando quest’ultima solo nell’ombra e non più nelle parole. Poi, in mail, giungono a me come ad altri, i pensieri di chi qui non trova più quella libertà che prima ci avvicinava tutti. Mi dispiace, davvero, ma anche io non ho più mordente a scrivere qui. Occorre un serio esame di coscienza sul lavoro non già poetico, ma pubblico, che si va facendo.
      Ovvio, tanto -scusate eventuali errori di passionalità – è scritto non ceto per suscitare lo sdegno di qualche starlette, ma solo nella speranza che ci si possa svegliare tutti dal letargo…

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      • correggo: Manca del tutto la volontà di dialogare.
        Ormai qui chi commenta è solo per prassi o auto-convinzione. Nemmeno si leggono gli interventi non allineati o, se si leggono, si risponde gettando sempre coppe, sempre lo stesso seme, stessi nomi, stessa musica… Caspita, così si sfiniscono anche i lettori più testardi come me. Ogni cosa termina sempre in “amen”. Forse bisogna riflettere anche su questo e non solo sui due argomenti in voga da sei mesi. Scusate lo sfogo e soprattutto la franchezza.

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  12. gino rago

    LA MAPPA POETICA DELLA NUOVA ONTOLOGIA ESTETICA

    INVITO al LABORATORIO PUBBLICO GRATUITO di POESIA mercoledì, 8 marzo 2017 presso la libreria L’Altracittà di Roma, via Pavia, 106 h. 18:00 – tel fax 06 64465725 – Referente Silvia Dionisi – Programma degli interventi – Contributi per una riflessione sul Novecento


    Nella mia personalissima, intima, direi, mappa poetica di recente formazione, che in me rivendica urgente ascolto, ho tentato di elaborare,
    proponendole con assunzione di responsabilità piena e come, si dice, alla luce del sole, tre sequenze di “storia del verso” italiano:
    – da Foscolo a Steven Grieco-Rathgeb, passando per Leopardi, Carducci, Pascoli, D’Annunzio, Betocchi, Cattafi;

    – da Aldo Palazzeschi a Mario Gabriele, passando per Gozzano e Giudici,
    per non insistere sui poeti precedentemente chiamati in causa ma che
    riguardano anche Mario Gabriele;

    – da Saba a Giorgio Linguaglossa, passando per Sbarbaro, Montale, Luzi,
    Fortini, Sanguineti, Zanzotto, Caproni.

    Le tre sequenze approdano volutamente l’una a Steven Grieco-Rathgeb,
    l’altra a Mario Gabriele, l’altra a Giorgio Linguaglossa.
    I cui versi,( le cui opere poetiche fatte, reali, oggettive, così come le abbiamo lette), in questa stagione caotica e labirintica della storia della poesia contemporanea, sono
    pienamente, compiutamente corrispondenti alle ragioni estetiche d’una
    poesia “nuova” in cui ogni parola è chiamata a farsi metafora, a farsi
    immagine, a farsi significato, scagionandola da esclusive esigenze musical-emotive.
    E questi tre poeti, nei versi scritti e già patrimonio poetico condiviso anche se non sempre amato e forse nemmeno apprezzato, incarnano le parole
    usate. Sono poeti dello scavo, del confronto, dell’indagine. Sono poeti
    “impastati” con le parole elette ad arte. Sono poeti che abitano il linguaggio
    poetico, senza attraversarlo come distratti viandanti o passeggeri spinti
    dal caso nella poesia. Per queste ragioni, ma anche per altre che qui e ora
    non cito, hanno avvertito e avvertono nelle loro esperienze poetiche di scrittura la necessità d’altre forme estetiche di poesia che più compiutamente rispondano alla diffusione del flusso delle loro verità.
    Altre voci poetiche a noi familiari e note sono mosse, animate, agitate, sostenute
    dalle medesime esigenze di ricerca estetica e hanno già prodotto lavori
    poetici di grande interesse.
    Ma questa triade, Mario Gabriele, Steven Grieco-Rathgeb, Giorgio Linguaglossa, ha spinto la parola al massimo delle possibilità della parola poetica, abitandola, intridendosene, con una cifra comune ai tre nei riguardi dei
    “personaggi” convocati nelle loro poesie: Gabriele, Grieco-Rathgeb e Linguaglossa lasciano ai loro personaggi, senza mai cristallizzarli, i due doni decisivi dell’uomo: la libertà e l’immaginazione. Per farli uscire
    da ogni gabbia, se essi vogliono. Come dev’essere nella nuova forma-poesia.
    Mario Gabriele, Giorgio Linguaglossa, Steven Grieco-Rathgeb (sotto questo specifico aspetto anche Antonio Sagredo) sono in questo tempo
    della nostra poesia “Demoni”. E i demoni devono rompere, devono frantumare, devono frammentare il già esistente.
    E la lotta fra i demoni e gli angeli della tradizione, dell’ordine, della stagnazione, già sta facendo un dolce rumore…
    I resilienti, i resistenti? In ogni campo dell’arte sono sempre esistiti. Esisteranno sempre. Del resto, è ormai parte chiara e nota a ogni studioso
    della storia della poesia italiana, cosa successe alle Giubbe Rosse di
    Firenze quando come un fulmine irruppe nel suo vestito di fustagno Dino Campana e iniziò a dire i versi di “Genova”:

    ” Sonavano i clamori vespertini
    E poi più quieti i rumori dentro la notte serena:
    Vedevo alle finestre lucenti come stelle
    Passare le ombre de le famiglie marine…”

    Chi si girò da un’altra parte; chi fece finta di non vederlo…
    E Ardengo Soffici e Papini finsero perfino d’avere smarrito il manoscritto
    campaniano… Ma da allora qualcosa si verificò per sempre nella
    lirica italiana.

    Gino Rago

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  13. Caro Giorgio sai cosa realmente distingue l’età delle persone? Il fatto che alcuni guardano sempre avanti, mentre altri si crogiolano solo nel passato in una sorta di gioco dell’oca insopportabile…vedi tu dove collocare i tanto invocati giovani, quelli che hai chiamato in causa nel tuo commento.

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  14. Giuseppe Talìa

    L’IO MALATTIA MORTALE DELLA NUOVA ONTOLOGIA ESTETICA

    INVITO al LABORATORIO PUBBLICO GRATUITO di POESIA mercoledì, 8 marzo 2017 presso la libreria L’Altracittà di Roma, via Pavia, 106 h. 18:00 – tel fax 06 64465725 – Referente Silvia Dionisi – Programma degli interventi – Contributi per una riflessione sul Novecento


    L’IO è una malattia. Una delle più grandi malattie dell’essere umano è essere troppo attaccati al proprio IO. Credere di essere un IO (Lacan). Credere di essere padrone del proprio IO e della propria esistenza è una delle forme più acute di malattia, e con malattia intendiamo la malattia dell’IO.
    L’IO alle volte si traveste da NOI, noi come comunanza: Io non sono più solo, Io sono in compagnia, IO sono IO nella misura in cui IO, allo specchio, moltiplico il mio IO, che maschero da NOI, ma in realtà è l’IO.
    Un re che si crede di essere un re è ancora più pazzo di uno che va in giro con uno scolapasta in testa (Lacan).

    Entrare in sintonia con la propria mancanza, con la propria insufficienza, rendersi conto che ciò che si è fatto e che si fa non ha nulla di assoluto e di definitivo.

    Moderazione e mediazione.

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  15. gino rago

    “(…) Altre voci poetiche a noi familiari e ormai note sono animate, mosse, agitate, sostenute dalle medesime esigenze di nuova ricerca estetica e hanno già prodotto lavori poetici di notevole interesse (Letizia Leone, Edith
    Dzieduszycki, Angela Greco, Lucio Mayoor Tosi, Lucia Gaddo Zanovello,
    Anna Ventura, Giuseppe Talia, Valerio Gaio Pedini, Flavio Almerighi, con il suo recente libro poetico italo-americano, davvero interessante, per citare una parte dei poeti proposti da L’Ombra delle Parole in tempi recenti).
    Ma questa triade…”
    N.B.
    Il presente frammento, saltato nel commento precedente dell’ 8 marzo,
    ore 18.56, è parte integrante dello stesso.
    In fede,
    Gino Rago

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  16. gino rago

    Per altre esperienze poetiche, davvero di notevole interesse (fra le quali
    quelle di Donatella Costantina Giancaspero, Mariella Colonna, Francesca Dono) sono in adozione altri percorsi, altri itinerari…
    Gino Rago

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  17. L’EVENTO COME ROTTURA E DISCONTINUITA DELLA SIMMETRIA ESTETICA

    INVITO al LABORATORIO PUBBLICO GRATUITO di POESIA mercoledì, 8 marzo 2017 presso la libreria L’Altracittà di Roma, via Pavia, 106 h. 18:00 – tel fax 06 64465725 – Referente Silvia Dionisi – Programma degli interventi – Contributi per una riflessione sul Novecento


    Giorgio Linguaglossa APPUNTI CRITICI SUL CONCETTO DI “EVENTO E DI FORMA” e SULLA “CHIUSURA DELLA FORMA” di Carlo Diano

    estratti a cura di Giorgio Linguaglossa dal libro di Carlo Diano Linee per una fenomenologia dell’arte Neri Pozza, 1968

    SUL CONCETTO DI EVENTO

    Comincio dall’evento. Evento preso dal latino e traduce il greco tyche. Evento è perciò non quicquid èvenit, ma id quod cuique èvenit. Che qualcosa accada, non basta a farne un evento: perché sia un evento è necessario che codesto accadere io lo senta come un accadere per me.

    Di evento non si può parlare se non in rapporto a un determinato soggetto e dall’ambito stesso di questo soggetto.

    La dottrina stoica ripone l’essenza della proposizione nel verbo e considera il nome secondario – laddove per Aristotele “l’uomo cammina” è uguale a “l’uomo camminante” – ha la sua origine prima nel sentimento linguistico di Zenone che era un semita.

    Come id quod cuique èvenit, l’evento è sempre hic et nunc. Un fulmine ha colpito un albero nella notte, io lo vedo al mattino: il fatto, ove sia per me un evento, non lo è se non in quanto l’evènit si fa attuale in un èvenit e l’albero non è uno dei tanti punti dello spazio ma il mio hic. (…) è chiaro che non sono l’ hic et nunc che localizzano e temporalizzano l’evento, ma è l’evento che localizza l’hic e temporalizza il nunc. (…) Nella mentalità primitiva… spazio e tempo fanno uno, ed è il tempo che è primario. Il mito ha sempre forma storica, ed è nei tempi in cui l’evènit del mito si rifà èvenit nel rito, che i luoghi e gli oggetti sacri sono sentiti per eccellenza augusti. Lo stesso vale per noi: nella nostra vita i luoghi hanno tutti una data, e sono reali solo in quanto e nelle dimensioni in cui quella data è attuale e presente come evento. Solo per questo «le cose» possono essere sentite come eventi e i nomi confondersi con i verbi. Ma sul piano obbiettivo della coscienza il rapporto si rovescia, perché lo spazio è rappresentabile.

    SULLA “CHIUSURA” DELLA FORMA

    La reazione dell’uomo a questo emergere del tempo ed aprirsi dello spazio creatigli dentro e d’intorno dall’evento, è di dare ad essi una struttura e chiudendoli dare norma all’evento.

    Forma è ciò che i greci da Omero a Plotino chiamarono eidos, ed eidos è la «cosa veduta», e assolutamente veduta. Ciò che la caratterizza è l’essere «per sé». Solo essa è per sé, e quello che è lo è in se stessa e per se stessa, ed esclude la relazione. Come tale esaurisce la sua essenza nella sua contemplabilità: tutto quello che essa è contemplabile, e ciò che in essa non è contemplabile, non è.

    Ma la contemplabilità non esaurisce la loro essenza, è solo un mezzo per attingere ciò che in esse non appare, e che per sua natura esclude ogni contemplabilità e può essere solo vissuto: sono symbola e non eide, forme eventiche e non le «forme».
    «Simbolo» (da symballein, «mettere insieme») è in origine la tessera ospitale, di cui ciascuno dei due ospiti conserva una parte. Separate, le due parti non significano nulla, il loro significato non l’acquistano se non nell’atto in cui vengono «messe insieme». Lo stesso vale per il mito e di tutte le forme date all’evento. Ciascuna di esse, resa separatamente, è una figura, ma il suo significato non è in quella figura, cì nell’unione con l«l’altro» che la giustifica e che essa ha la funzione di rifare presente. Se questo «altro» fosse rappresentabile, avremmo l’unione di due figure, e quindi l’allegoria. Ma il mito non è allegoria.
    «L’altro» è l’evento, e cioè un èvenit, che è sempre hic et nunc e sempre è centro di un periechon infinito, e che pertanto non può essere che vissuto. (..) l’hic nasce dal nunc.

    La più semplice forma di chiusura è il nome… Ma questo medesimo nome, che dà forma all’evento, permette anche di riprodurlo.

    Quanto al mito, esso è insieme «al principio» del tempo e «in ogni tempo», che è come dire nel tempo del periechon. E, poiché il mito non è «reale» se non nella «ripetizione» che ne viene fatta dal rito, e il tempo del rito coincide sempre col tempo del mito, rito e mito non sono che i mezzi per riprodurre il rapporto dell’ hic et nunc e dell’ ubique et semper vissuto in atto nell’evento. (..) Già per gli Orfici la teogonia così detta «rapsodica» pone al principio non il Chaos, ma Chronos-Kronos, e da esso deriva il Chaos e l’Etere.

    «Che cos’è il pensiero astratto?» si domandava Kierkegaard. E rispondeva: «È il pensiero in cui il pensante non c’è». E così Gentile scriveva che «gli occhi non ce li possiamo vedere che allo specchio». Né altrimenti parla Wittgenstein: «il soggetto non appartiene al ‘mondo’ ma è un limite del ‘mondo’. Dov’è mai che nel mondo un soggetto metafisico si lascia osservare? Tu dici che è come con l’occhio e il campo visivo. Ma l’occhio non lo vedi. E nulla del campo visivo ti permette di concludere che esso è visto da un occhio»1
    La forma non si deduce e non si induce: è o non è. E perciò ha valore di categoria, e l’altra è l’evento, e tra loro sono irriducibili: tutti i tentativi fatti dalla storia del pensiero per ricondurli a un unico principio, sono andati falliti, a partire da Platone, che riconfermando l’antinomia dell’àletheia e della doxa rivelata da Parmenide, ne denunciò alla fine l’impossibilità.

    L’evento dissolve le «cose» e unifica tutto. Nella sfera della forma, invece, non esistono che «cose» e tutto è separato, perché «la sostanza separa». Lo spazio e il tempo nel’evento fanno uno, ed è il tempo che è primario, che solo l’evento rompe la continuità della durata e si rivela come istante… ma questa convergenza è, insieme, divergenza, poiché l’uno dei due estremi trascende l’altro, convergenza e divergenza non si dialettizzano.

    Con la forma appaiono le «cose» e lo spazio si separa dal tempo.. Per Aristotele il mondo è nello spazio quanto alle sue parti, non lo è quanto al tutto. Fuori della figura non c’è spazio se non come «intervallo» rispetto a un’altra figura. A questo spaio è ridotto il tempo, definito da Aristotele come «numero del movimento secondo il prima e il poi». Ora, la forma di per se stessa è immobile: anche se occupa sempre nuove posizioni, giacché lo spazio esterno le è assolutamente irrelativo, e non è che mera possibilità.

    Poiché appaia il tempo secondo il prima e il poi, è necessario che una forma, per la possibilità che ha di essere in qualunque punto dello spazio, s’incontri con un’altra forma (l’urto degli atomi di Leucippo e Democrito), ma, ogni forma essendo irrelativa all’altra… l’incontro è accidentale e il tempo è contingente. Solo questo tempo si dispone sulla linea retta, e solo esso è irreversibile (factum infectum fieri nequit), e sostanzializza l’istante.

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  18. LABORATORIO L’OMBRA DELLE PAROLE
    L’EVENTO COME ROTTURA DELLA SIMMETRIA ESTETICA

    INVITO al LABORATORIO PUBBLICO GRATUITO di POESIA mercoledì, 8 marzo 2017 presso la libreria L’Altracittà di Roma, via Pavia, 106 h. 18:00 – tel fax 06 64465725 – Referente Silvia Dionisi – Programma degli interventi – Contributi per una riflessione sul Novecento


    Era importante riproporre queste riflessioni di Carlo Diano sul concetto di Evento, concetto che è divenuto centrale nella riflessione della filosofia recentissima e che già era stato riproposto dal secondo Heidegger quale concetto «più fondamentale» e «più originario»di quello di «essere».

    È chiaro che qui noi dobbiamo spezzare il cerchio della ragione sufficiente, cioè di quel pensiero che non pensa l’evento come un atto della discontinuità ma che lo pensa in un ordine di continuità. L’Evento è, per sua natura, rottura della simmetria spazio-temporale. Infatti, si può pensare in termini di simmetria soltanto a partire da un atto (o fatto) di asimmetria.

    Un pensatore come Agostino può pensare «la creazione del mondo dall’eternità da parte di Dio in quanto muove dall’assunto della normalità della situazione iniziale di simmetria e, conseguentemente, dall’eccezionalità o devianza dell’asimmetria temporale».1]

    L’evento linguistico, quello che accade all’interno di una poesia, è la poesia stessa. La poesia, il discorso poetico si dà soltanto nell’ambito della forma eventica. ovvero, all’interno della rottura spazio-temporale, dell’aprirsi di un varco, di un vuoto che rivela la nuova forma di organizzazione dell’Essere.

    Una nuova ontologia estetica come noi andiamo dicendo e facendo in questi ultimi mesi è basata su questo perno centrale attorno a cui ruotano tutte le altre categorie dell’evento e dell’essere.

    In questo brano poetico di Letizia Leone contenuto in La disgrazia elementare (2011), abbiamo un modo di darsi dell’evento. Si parla di Apollo, «lui dio pappagallo», che faceva una «grande musica totemica» e del satiro Marsia, lo sfidante. Si parla di Apollo e di Marsia ma in realtà si parla di ciascuno di noi, del problema dell’azione e della responsabilità di essa, si parla degli esiti ultimi cui può portare una azione, e quindi di una questione di vita o di morte. Il linguaggio diventa ortogonale e gibboso, naturalmente metaforico, anzi, viene impiegata in modo largo la catacresi e l’ipotiposi. La sfida tra Apollo e Marsia diventa un emblema, un evento che cambia la vita delle persone coinvolte nella contesa e di noi che leggiamo la storia. Qui il mito viene attualizzato, reso cronaca di oggi:

    Dapprima il gioco di Apollo
    fu pantomima del tuono
    grande musica totemica.
    Imitava – lui, dio pappagallo –
    i rumori robusti delle materie:
    folgori mareggiate sfregamenti
    di bestie contro cortecce.

    Marsia

    metà uomo e metà caprone, satiro peloso
    col suo flauto fiammante rubato a una dea
    giocattolo erotico,
    un congegno di magia amatoria!

    G. Marramao Minima temporalia luc a sossella editore, 2005 p. 23

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  19. gino rago

    INVITO al LABORATORIO PUBBLICO GRATUITO di POESIA mercoledì, 8 marzo 2017 presso la libreria L’Altracittà di Roma, via Pavia, 106 h. 18:00 – tel fax 06 64465725 – Referente Silvia Dionisi – Programma degli interventi – Contributi per una riflessione sul Novecento


    (…) e, infine, sempre in un itinerario di breve storia del “verso” lungo il solo Novecento lirico italiano, è possibile o no cogliere dinamiche, persino sillabazioni Interne, che ne indichino passaggi stilistici, suggestioni estetiche spinte verso altri esiti se, in un pur breve percorso, pensiamo di procedere,
    per esempio,

    da:
    “L’altro me stesso guarda il suo giardino,
    guarda le cose intorno…”
    di Marino Moretti
    a:
    “Le porte del mondo non sanno
    che fuori la pioggia le cerca…”
    di Sandro Penna

    da:
    “Tu pensi che, quando cresce il tuo male,
    si spengano i fuochi (…)
    si proibisca ai cani di latrare”
    di Angelo Maria Ripellino
    a:
    “Ho un buco nel mezzo della testa
    che non basta la bussola
    per il vento che ci fischia…”
    di Biancamaria Frabotta

    da:
    “Non farmi così sola come il vento
    che si dispera in questa notte fonda…”
    di Giovanna Bemporad
    a:
    “Mi basta uno sbatter d’occhi. E poi gli odori.
    Una vela mi tocca
    ne nasce il turbamento…”
    di Letizia Leone
    a:
    “spocchie e foglie vecchie di lacci militari.
    Achille nell’ora perduta.
    Dita disadorne giungono tra i sudici illibati..”
    di Francesca Dono
    a:
    “E tutto l’azzurro del mare, l’essenza dell’azzurro
    in se stesso riflesso…”
    di Mariella Colonna
    a:
    “Contro i muri la resa dell’estate.
    Batte in petto un tempo lento.”
    di Donatella Costantina Giancaspero

    Nelle quattro ultime voci della sequenza ( Letizia Leone, Francesca Dono,
    Mariella Colonna, Donatella Costantino Giancaspero) pur ciascuna con uno
    specifico temperamento lirico, si coglie senza sforzi interpretativi la cifra
    che suggella la differenza estetica del verso lungo il Novecento:
    l’autenticità, grazie alla quale il seme della loro Parola sa ove posarsi.

    Gino Rago

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  20. gino rago

    L’EVENTO COME ROTTURA DELLA SIMMETRIA ESTETICA, LA NUOVA ONTOLOGIA

    INVITO al LABORATORIO PUBBLICO GRATUITO di POESIA mercoledì, 8 marzo 2017 presso la libreria L’Altracittà di Roma, via Pavia, 106 h. 18:00 – tel fax 06 64465725 – Referente Silvia Dionisi – Programma degli interventi – Contributi per una riflessione sul Novecento


    Così scrive Giorgio Linguaglossa nella parte finale del commento del 10 marzo, ore 8.04 (“L’Evento come rottura della simmetria estetica”):

    “L’evento linguistico, quello che accade all’interno di una poesia, è la poesia stessa. La poesia, il discorso poetico si dà soltanto nell’ambito della forma eventica, ovvero, all’interno (…) dell’aprirsi di un varco, di un “vuoto”
    che rivela…”
    Ecco la parola-chiave: “vuoto”. Il senso, l’idea del “vuoto” a guidare l’atto
    dell’accostamento all’altrui fare poetico, a guidare l’interpretazione dei
    versi altrui.
    Detto semplicemente: il poeta deve attraversare il vuoto, deve passare attraverso ” il ” o ” un ” vuoto. Perché?
    Perché l’idolo è pieno. E la poesia è ” vuoto “. Perché questo vuoto è lo spazio dentro cui l’uomo-poeta può “esserci”. Perché Dio stesso è,
    in questo senso, “vuoto” non perché assente ma perché è lo spazio-grembo in cui può passare la vita. Tutto il resto è volto all’idolatria.
    L’altra parola-chiave che al “vuoto” s’innesta è “verità” (parola-guida
    che su L’Ombra delle Parole ha assunto non di rado il senso della
    “autenticità”, da contrapporre alla “inautenticità”, che nel discorso poetico
    può essere anche intesa come “assenza di verità”).
    Dunque, “verità”. In breve: la questione della Parola, mai come oggi, non
    dev’essere nel poeta disgiunta dalla vita e l’unica parola in grado di
    “passare” è la parola che s’incarna nel poeta, la parola che “c’entra con
    il poeta”, che si impasta nel suo verso che si fa “vero”.
    Verità della e nella poesia che metta insieme la Parola con l’esistere.
    Capacità d’attraversamento del “vuoto” e “verità” nei versi
    in grado di legare Parola e vita conducono verso una nuova ontologia estetica e, forse, verso un nuovo Canone Occidentale. “Vuoto” e “verità”
    in tutte le voci ed esperienze poetiche elaborate e indicate nella parte finale della sequenza nel commento precedente (L. Leone, M. Colonna, F. Dono,
    D.C. Giancaspero);
    ma al massimo grado vibranti nei versi di M. Gabriele, di G. Linguaglossa,
    di S. Grieco-Rathgeb, ( e altresì,a onor del vero, in taluni snodi e passaggi
    dei recenti lavori poetici di A. Sagredo e di A. Greco ).

    “I critici, nel segreto dei loro cuori, amano le continuità, ma colui che vive di sola continuità non potrà mai essere poeta.”
    Harold Bloom, da “Il Canone Occidentale”
    Gino Rago

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  21. gino rago

    “Non so che fu, se io mi trovassi in un periodo di maggior ricettività, o se
    nell’approfondimento della letteratura- frammento di primo Novecento
    avessi posto solo una più discreta attenzione: Boine mi si presentò, sodo
    e vivente nei suoi versi e nelle sue parole, presenza solida e non solida
    eco…”: sono riflessioni di Chiara Catapano, nel libro fresco di stampa
    “Giovanni Boine, Discorsi militari, Fondazione Museo Storico del Trentino,
    2017, Trento”.
    Chiudo il commento precedente, di oggi,
    10 marzo, ore 18.41, con le parole di Chiara Catapano per quel passaggio luminoso e rivelatore racchiuso
    nel minor numero di parole “giuste”: ” mi si presentò sodo e vivente nei suoi versi e nelle sue parole”. Chiara Catapano quindi coglie la piena “verità”
    d’un uomo e di un poeta dalle “sue parole”, aderenti pienamente alla sua
    esistenza dopo l’attraversamento di un vuoto, prima d’una fine prematura.
    Un esempio, severo e di luce, di scrittura ermeneutica di parole “giuste”
    quando ne bastano poche per rivelare tutto ( come nell’equivalenza
    “profumo di Vangelo- odore delle pecore…” Che altro dire?)
    Gino Rago

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  22. Grazie, Gino Rago, per aver citato Mariella Colonna, quest’ultima tra gli ultimi “operai della parola”(anche perché arrivata da poco tra voi) e che la mia amica Angela Greco si è dimenticata di nominare tra coloro che s’interessano ai giovani. E dire che il mi sono interamente dedicata per un paio di giorni ad una lettura attenta e intensa della sua “Anamorfosi”: libro che considero di grande qualità artistica e letteraria, essendo l’autrice riuscita a coniugare profondamente il vissuto reale con quello poetico e a sollevare quello reale a livello di allegoria ontologica. ( Notevole la fredda e e coerente eleganza dello stile in cui l’opera è realizzata, in netto contrasto con i contenuti spesso drammatici.) Angela cara, sai che io ti apprezzo molto come poeta e sono affezionata a te come amica, ma con la stessa forza di verità che tu invochi negli altri e soprattutto esigi da te stessa, ti invito a considerare: è vero che i poeti “maturi” devono concedere ai giovani più attenzione, ma è altrettanto vero che i giovani devono avere un atteggiamento di serena comprensione delle idee di chi ha più anni, più esperienza di vita e di poesia – letteratura- critica, anche, in alcuni casi, per aver conosciuto dal vivo le “atmosfere” culturali in cui sono vissuti i poeti del ‘900, e perciò i loro linguaggi e le loro emozioni. Spero che tu ti lascerai addolcire dal fascino della poesia e dall’amore per tutte le arti che ti caratterizza e che certo ti daranno la grande gioia amare, diffondere la bellezza di tutte le attività creative e di farle amare dai lettori del tuo magico Sasso “nello stagno”.
    Io ringrazio ancora L’Ombra delle parole… e Giorgio Linguaglossa per quello che mi ha dato insieme a tutti i poeti e letterati che hanno partecipato al laboratorio, in particolare Gino Rago alla cui poesia dedicherò altre riflessioni e notazioni critiche. Mi piacerebbe che ogni tanto qualcuno rispondesse ai miei commenti, ma se questo non accade…pazienza. Importante è apprendere e assimilare quello che ci viene generosamente elargito.

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    • ” i giovani devono avere un atteggiamento di serena comprensione delle idee di chi ha più anni, più esperienza di vita e di poesia ” concordo, ma io non ho mai attaccato le idee di nessuno, se leggi bene. Ho solo sottolineato che ultimamente il cerchio si sta stringendo solo su chi sceglie di accettare quanto proposto (magari anche solo per ottenere una certa visibilità che fuori da qui non avrebbe), la linea di poetica e pensiero dell’ultimo periodo del blog, che magari tra due mesi cambia, mentre gli altri sono quelli che non hanno capito nulla. Ecco, qui devi collocare le mie parole, non altrove e, soprattutto, non farne mai una questione personale, perché cara Mariella, quando voglio dire qualcosa a qualcuno io faccio nome e cognome e non lo mando a dire in terza persona.

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  23. Vestali e adepti sono sempre esistiti dove vi è qualcosa di importante da custodire e difendere. Per questo ci vuole pazienza. Le forme del potere sono infinite, tra questa anche la gentilezza ma, come si è fatto notare più volte, qui abbiamo tutti una in-certa età 🙂

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  24. FORSE IL CONCETTO PIU IMPORTANTE DELLA NUOVA ONTOLOGIA ESTETICA È IL CONCETTO DI EVENTO

    INVITO al LABORATORIO PUBBLICO GRATUITO di POESIA mercoledì, 8 marzo 2017 presso la libreria L’Altracittà di Roma, via Pavia, 106 h. 18:00 – tel fax 06 64465725 – Referente Silvia Dionisi – Programma degli interventi – Contributi per una riflessione sul Novecento


    Forse il concetto più importante della nuova ontologia estetica è il concetto di Evento (Ereignis) inteso come rottura della temporalità linguistica. Concetto neanche sfiorato dagli esegeti della poesia moderna e dagli addetti alla poesia. È su questo punto che vorrei attirare l’attenzione dell’uditorio, se qualcuno ha delle idee in proposito. E certo è che ogni poeta ha un suo modo di intendere la «rottura spazio-temporale» dell’evento: Steven Grieco Rathgeb ne ha uno, Lucio Mayoor Tosi ne ha un altro, Mario Gabriele ne ha un altro ancora…
    L’Evento è un istante privilegiato…

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    • gino rago

      AVENARIUS E IL SIGNOR PISTORIUS LA PARABOLA DEL MODERNO

      INVITO al LABORATORIO PUBBLICO GRATUITO di POESIA mercoledì, 8 marzo 2017 presso la libreria L’Altracittà di Roma, via Pavia, 106 h. 18:00 – tel fax 06 64465725 – Referente Silvia Dionisi – Programma degli interventi – Contributi per una riflessione sul Novecento


      Avenarius e il Signor Pistorius non dialogano da tantissimo tempo.
      Poi, rompendo gli indugi, decidono di incontrarsi in uno dei tantissimi venerdì della Capitale, di quelli nei quali l’amico parla dell’ultimo libro dell’amica/o e l’amica del più recente libro dell’amico/a.
      Alla fine di uno di questi incontri, defilandosi elegantemente, Avenarius
      chiede al Signor Pistorius: “Ma è questa udita stasera quella che si dice
      esegesi della poesia contemporanea? Quella che più diffusamente viene
      detta critica letteraria?”
      il Signor Pistorius, dopo un lieve sbandamento, risponde: “Devi
      saperlo, in nome della nostra solida amicizia devi saperlo: non sono
      guarito da quel male, da quella patologia che da sempre mi perseguita…”
      “Quale, per la precisione, a quale patologia ti riferisci ?” chiede
      allarmato e quasi in apnea Avenarius.
      “L’etimomania. E’ terribile, credimi”, soggiunge il Signor Pistorius.
      Avenarius prima tace e poi lo incalza: “A che proposito confessi questo
      male?” E il Signor Pistorius laconico risponde: ” A proposito di ciò che si dice “critica letteraria… Vedi, tutto nasce dall’orzo o dal grano o dal riso.
      Dai cereali che vanno chicco a chicco. Bisogna, dopo il raccolto, “ripulirli”
      come dice sempre un mio amico poeta di Campobasso, “dalla pula”.
      Bisogna selezionarli, sceglierli, vagliarli, per separare i chicchi buoni
      da quelli marci. E, soprattutto, per separare quelli ottimi da destinare
      alla semina da quelli buoni destinati a farsi cibo quotidiano.
      E’ il primo “vaglio critico”, con un vaglio appunto o un setaccio o un crivello. E’ il primo gesto di separazione e di giudizio.
      Sbagliare questo primo gesto può mettere in pericolo la sopravvivenza
      di una famiglia o di un intero villaggio…E i contadini furono i primi
      accorti critici…” Avenarius ascolta, intuisce, ma non è ancora sicuro.
      Poi chiede al Signor Pistorius: “E’ bello e saggio ciò che dici. Ma parlavamo prima di critica letteraria…”
      E il Signor Pistorius con un filo di voce, come un fiato sottile
      suggerisce: “La critica è proprio questo. E’ proprio quest’arte di
      scegliere, di dare giudizi, di giudicare. E vale ,credimi, con i chicchi di
      grano come anche in altri casi e in altri campi, come quelli politici,
      quelli giudiziari, quelli pratici. Ma soprattutto vale in campo estetico…”
      “Ma allora…” cerca di ribattere Avenarius.
      “Perdonami, il viaggio mi ha stancato. Se hai voglia di ascoltarmi e non ti annoio possiamo continuare un’altra volta…”
      Gino Rago

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  25. Mariella Colonna

    Angela, non mi aspettavo una risposta del genere… da te!
    credi proprio di essere fuori del cerchio dell’autocompiacimento etc…? Nessuno di noi lo è, Anche tu ringrazi sempre, ed è giusto falrlo, quando qualcuno si rivolge gentilmente a te! Ti sei domandata perchè, ad una mia osservazione sincera, tu mi hai risposto in modo così “poco gentile”? Fai anche tu meditazione e poi ne parliamo. Hai ragione, non si può essere amici soltanto di chi ci dà sempre ragione!..E poi, se i rapporti devono essere chiari, lo devono essere in tutte le direzioni. Comunque io capisco- e lo sai- il motivo della tua indignazione per l’allontanamento di poeti e amici di valore . Però, invece di girare il coltello nella piaga, non è meglio dialogare e tentare di unire invece che continuare a dividerci? Ognuno di noi ha la sua storia e il suo carattere: e non ce lo siamo scelto, è il DNA che opera in noi spesso a nostra insaputa: però abbiamo la possibilità di moderare alcuni aspetti del nostro carattere: questo mi sembra fattibile ed è un modo per accettare e integrare LE DIVERSITA’. Il pericolo è L’AUTOREFERENZIALITA’, hai ragione, e anche io e te non ne siamo immuni, ma ancora più pericolosa è la fuga dal luogo dove si lotta per le proprie idee: tu, Martino e Flavio Amerighi, POETI DI VALORE MA CON IDEE DIVERSE secondo me non dovete allontanarvi ma restare e fare chiarezza: tu infatti dici che vuoi andar via ma poi resti sul campo e questo mi fa piacere! Cara bambina, sei anche tu un geniale “enfant terrible” come altri di mia conoscenza! Ascolta la tua amica con pazienza: le amicizie vere maturano così. C’è un tono di (leggero) disprezzo nelle tue parole che non condivido: ne l’OMBRA DELLE PAROLE più che la casta (che c’è sempre tra quelli che si conoscono da più anni) c’è un GENEROSO CAOS INTERNAZIONALE INTRATEMPORALE liquido CHE IO, soprattutto ora che mi ci sto abituando, TROVO STIMOLANTE, COINVOLGENTE NON AUTOREFERENZIALE. Chi si ritiene offeso o poco ascoltato può cadere nella tentazione di “beata solitudo, sola beatitudo” o, ancor peggio, di diventare “anticasta”. Però, se c’è qualcosa di grave che io non conosco… tutti sono liberi di seguire strade diverse… E adesso riprendiamo il nostro dialogo sulle idee. e la nostra attività creativa, coraggio si va avanti!

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    • Mariella Colonna

      Angela, io avevo creduto che la mia risposta fosse andata perduta, perciò ho scritto due volte le stesse cose! (vedi sotto). Mi dispiace che tutto si sia complicato, ma non è certo per il mio intervento che si è determinata questa nuova frattura. Non avevo capito che si trattasse di una questione tanto seria…oltretutto ho anche la febbre e questo non migliora le cose. Comunque tu che sei una poetessa di alto livello, cerca di esprimerti con l’umanità e la gentilezza che fa di te ti rende la migliore amica e collaboratrice nel settore in cui lavori con tanta passione. E ora, per finire in allegria: In Francia una volta dicevano “Vive la difference!”…ma ora!

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  26. Mariella Colonna

    Angela Angela! Non me l’aspettavo proprio una risposta così da te! Ma come, tu credi di essere estranea al cerchio perfetto dell’autocompiacimento? Ci siamo dentro tutti, credimi! Ti sei “difesa” in modo sproporzionato, Angela…io avrei gradito che tu mi ricordassi in quest’occasione, non dimenticando certo la generosa ospitalità che mi hai offerto nel tuo interessante e policromo “Sasso nello stagno”! Che tu sia dispiaciuta per l’allontanamento da L’Ombra di persone e poeti di valore come Martini o Amerighi è più che comprensibile, ma girare ogni volta il coltello nella piaga non è il modo migliore per ricreare la bella unità e il dialogo che “C’era una volta”. Io purtroppo non ero tra voi in quella favola d’altri tempi, ma adesso ci sono e desidero, tu lo sai, che tutte le voci si facciano sentire: perché non è giusto abbandonare la lotta, se si crede in qualche cosa. Le conseguenze sono: l’isolamento o entrare in un atteggiamento “anti-casta”, che diventa politico. Qui siamo nel mondo della poesia che, per fortuna, ci salva dall’inquinamento dei valori e dalla violenza di rapporti disumani che tendono ad uniformare i nostri punti di vista nel “pensiero unico” dal quale è meglio stare alla larga. Per questo io ringrazio sempre Giorgio Linguaglossa: non ha paraocchi, prende il suo lavoro estremamente sul serio e mi ha insegnato molto sulla Poesia ontologica e sul frammento. D’altra parte anche tu mi hai detto di avere imparato tanto da Giorgio e so che ti dispiace di allontanarti dalla Rivista: perciò resta e, prima di dire “permalosa a me”, cerca di meditare su te stessa: non lo sarai un po’ (tanto anche tu)? Io non concepisco l’amicizia senza chiarezza, quella chiarezza che tu esigi dagli altri e da te stessa: allora? Più chiaro di così! Daaaaiii! Coraggio, quello che ci siamo dette servirà anche agli altri! Andiamo avanti, W LA POESIA e l’AMICIZIA. Ognuno di noi ha la sua storia e il suo DNA: è bellissimo essere diversi ed è bello perdonare agli altri più di quello che gli altri hanno perdonato a noi. Amen!

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  27. Giuseppe Talìa

    EVENTO, ACCADIMENTO, POSSIBILITA, ESSERE, AVVENIMENTO: LA NUOVA ONTOLOGIA ESTETICA

    INVITO al LABORATORIO PUBBLICO GRATUITO di POESIA mercoledì, 8 marzo 2017 presso la libreria L’Altracittà di Roma, via Pavia, 106 h. 18:00 – tel fax 06 64465725 – Referente Silvia Dionisi – Programma degli interventi – Contributi per una riflessione sul Novecento


    Evento: avvenimento, caso, fatto che è avvenuto o che potrà avvenire (Treccani)
    Evento per Heidegger: rottura dell’ordine del tempo. Avvenimento che produce una svolta o un’accelerazione della storia. E ancora, in “Contributi alla filosofia. Sull’evento”, il filosofo azzarda che la propria epoca sia un’epoca transizione dall’età dei grandi sistemi filosofici a un’età – ancora a venire – di edificazione di una verità essenziale che si fondi sulla parola dei poeti.
    Sempre per Mimesis Hebenon, Tommaso Ariemma in Estetica dell’Evento, teorizza una decostruzione delle teorie dell’evento e dell’arte.
    Aggiungiamo: evento tra continuità e discontinuità. A partire dagli anni ottanta del ‘900 e sotto la spinta di Pierre Nora che nel 1974 pubblica un articolo dal titolo “Il ritorno dell’evento” si arriva alla consapevolezza che la Storia non è “evenenziale” ma problematica, soggetta, appunto, alla discontinuità dovuta all’attestazione dell’evento.
    Linguaglossa avvisa che forse il concetto più importante della nuova ontologia estetica è, appunto, il concetto di evento come rottura della temporalità linguistica. Il “fatto” (participio passato), meglio diremmo “accadimento”, il punto di svolta.
    Ora, cara Angela Greco, dopo la premessa, vorrei entrare nel merito di ciò che scrivi nei commenti, e nel merito di ciò che ho letto sul blog del tuo libro di poesie Anamòrfosi. Non ho letto il tuo libro come tu, credo, non abbia mai letto un mio libro. Non ci siamo incontrati sul piano della scrittura se non attraverso gli spunti offerti dall’Ombra delle Parole. Perché, dunque, non ho lasciato nessun commento al tuo post? Semplicemente perché io non mi faccio incantare dalle sirene delle parole, privilegiando, invece, “la parole”, cioè il discorso (Lacan), quella cosa che Freud ha indicato come talking cure, riferendosi alla parola scritta. Trovo, su questa base, una discontinuità tra ciò che ho letto dei tuoi componimenti e i discorsi che fai come commenti sull’Ombra. In te c’è una fame di conoscenza. Hai individuato “maestri” e hai portato il tuo discorso poetico a una rottura significativa rispetto ai poeti della tua generazione, quelli censiti da Pordenonelegge, per esempio, dove la carta d’identità si risolve in poche domande di rito, tipo, hai un blog (sì ce l’hai); indicami almeno un paio di poeti della generazione anni settanta del ‘900 (e tutti a citare l’amico/a sempre censito/a da Pordenonelegge, meglio se pubblicato da Mondadori); quali poeti italiani ritieni siano tuoi maestri (se sei paraculo dirai Magrelli, Buffoni e Cucchi, se invece vuoi sortire l’effetto da intellettuale chic dirai Fortini e Sereni, in antitesi, forse Saba perché un maggiore nume tutelare bisogna pure indicarlo).
    Mi ritorna l’affettuoso epiteto di Mariella Colonna “bambina” perché discorrendo con Giorgio Lingualgossa, pochi giorni fa a Roma, anche io dissi di te la stessa cosa. E’ una questione generazionale? Sì, è generazionale!
    Cara Angela, c’è da interpretare tutto un secolo, il ‘900. Oltre ai nostri “versetti” dimostriamo di saper scavare a fondo nei Padri recenti, dimostriamo che siamo capaci di leggere i versi di quelli che ci hanno preceduto e di cui possiamo anche fare una parafrasi, perché ce ne danno occasione, invece di adagiarci sulle nostre misere illusioni. Fai, per esempio una parafrasi di Mario M. Gabriele e di Giorgio Linguaglossa, nei loro versi c’è tanta storia, invece di lamentarti sempre della poca attenzione (a chi? A te?) oppure, e questo mi ha infastidito non poco, di dire che ricevi tu, nella tua privatissima posta, lamentele sull’andamento della rivista. Come mai i redattori non ricevono tali lamentele ma li ricevi tu? Domandatelo e poi rifletti, anzi medita, suoi nomi e cognomi di chi ti scrive lamentandosi. E non credere, per quanto mi riguarda, che essere citato mi dia maggiore forza, tutt’altro, mi mette in difficoltà.

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    • Giuseppe Talìa

      Non so nulla di lamentele, né da chi provengano, nemmeno sul perché ci siano queste lamentele. Azzardo solo che tali lamentele provengano da chi nella nuova ontologia non trova spazio, o meglio crede di essere escluso. Non commento tali posizioni e non me ne curo. Per me nuova ontologia significa ragionare nuovamente sul secolo passato e criticare i quasi due decenni di quello nuovo.
      Però, la tua risposta “seguirò sicuramente i consigli” mi fa capire, tra le righe, che non hai nessuna intenzione di seguire i consigli. E lungi da me dare consigli, non mi interessa essere “maestro” di nessuno.
      Ma una richiesta a questo punto te la rivolgo.
      Cosa pensi della poesia di Mario M. Gabriele e di quella di Linguaglossa?
      Cosa pensi della poesia di Almerighi come quella di Borghi? E di Mariella Colonna? E di Sagredo? Tutte persone che a vario modo hanno scritto di te e sei stata pure presentata come nuova autrice della nuova ontologia estetica, mi pare. E non ho mai letto alcun tuo intervento critico, né a favore né contrario, su nessun poeta presentato sull’ombra, tranne che poche e brevi sortite.
      Dunque, scrivici, dicci, parlaci di questi autori, scrivine, illuminaci.

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    • Preciso che come amministratore della rivista cancello e cancellerò tutti i commenti che riguardano comunicazioni personali che si debbono fare via email o con altro mezzo di comunicazione, compreso quello del servizio postale.

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  28. Patrizia

    Bella domanda! Complimenti.
    Patrizia

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  29. gino rago

    “Ma verità ed etica vogliono che io non dimentichi neppure i lavori poetici,
    proposti in tempi non remoti da L’Ombra…, di Elio Pecora, di Claudio Borghi, di Salvatore Martino i quali, nella cifra non secondaria della autenticità fondano la loro intera struttura linguistica con tutta l’accurata
    ricerca stilistico-lessicale. E che della loro loro esperienze poetiche rende testimonianza d’una presenza nella storia della nostra poesia contemporanea d’innegabile valore.”

    P.S.
    Il presente brandello sarà parte integrante di tutto il mio lavoro in precedenza esposto e articolato in questa pagina.
    In fede,
    Gino Rago

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  30. gino rago

    correggo: (….) E che delle loro esperienze poetiche….

    In fede,
    Gino Rago

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  31. gino rago

    Gino Rago
    10 marzo 2017 alle 7:11
    “(…) Altre voci poetiche a noi familiari, e ormai note, sono animate, mosse, agitate, sostenute dalle medesime esigenze di nuova ricerca estetica e hanno già prodotto lavori poetici di notevole interesse (Letizia Leone, Edith Dzieduszycki, Angela Greco, Lucio Mayoor Tosi, Lucia Gaddo Zanovello,
    Anna Ventura, Giuseppe Talia, Valerio Gaio Pedini, Flavio Almerighi, con il suo recente libro poetico italo-americano, davvero interessante, per citare una parte dei poeti proposti da L’Ombra delle Parole in tempi recenti).

    N.B.
    Il presente frammento, saltato nel commento precedente dell’ 8 marzo,
    ore 18.56, è parte integrante dello stesso.
    In fede,
    Gino Rago

    Gino Rago
    13 marzo 2017 alle 20:07
    “Ma verità ed etica vogliono che io non dimentichi neppure i lavori poetici,
    proposti in tempi non remoti da L’Ombra delle Parole, di Elio Pecora, di Claudio Borghi, di Salvatore Martino , i quali, nella cifra non secondaria della autenticità fondano la loro intera struttura linguistica con tutta l’accurata ricerca stilistico-lessicale a sostenere un tessuto poetico di elevata valenza lirica.
    Autenticità che delle loro esperienze poetiche rende testimonianza d’una presenza nella storia della nostra poesia contemporanea d’innegabile valore.”
    P.S.
    Il presente brandello sarà parte integrante di tutto il mio lavoro in precedenza esposto e articolato in questa pagina, nei vari commenti apparsi su L’Ombra delle Parole del 7. 03. 2017
    In fede,
    Gino Rago

    "Mi piace"

  32. gino rago

    PERCORSI E INCROCI CON LA NUOVA ONTOLOGIA ESTETICA A CURA DI GINO RAGO

    INVITO al LABORATORIO PUBBLICO GRATUITO di POESIA mercoledì, 8 marzo 2017 presso la libreria L’Altracittà di Roma, via Pavia, 106 h. 18:00 – tel fax 06 64465725 – Referente Silvia Dionisi – Programma degli interventi – Contributi per una riflessione sul Novecento


    “(…) Così come, per onorare il vero, nei percorsi da me seguiti, e proposti
    su questa pagina de L’Ombra delle Parole, nella storia del verso lungo il corso del nostro Novecento poetico per giungere fino a quelli di alcuni lavori apparsi sulla nostra Rivista Internazionale di letteratura in tempi recenti, vanno ricordati A. Chiappetti, S. Golisch, L. Manzi, R. Bertoldo,
    A. Vaccaro, S. Caronia, C. Bordini,
    non menzionati fin qui né per negligenza né per sottovalutazione delle loro esperienze poetiche le quali, al contrario, sono d’innegabile valore poetico,
    ma per il semplice motivo che o a forma di prefazione o in forma di commenti, sui lavori di queste importanti voci poetiche, in più occasioni,
    avevo già espresso le mie convinte adesioni, e sulla validità delle loro
    ricerche e per l’alta valenza dei loro esiti estetici finali.
    Gino Rago

    P.S.
    Anche questo frammento è parte integrante del lavoro, presente su questa
    pagina de L’Ombra, a partire dal 7. 03. 2017,da riguardare come contributo a un tentativo di ri-lettura
    del Novecento poetico italiano, indagandone la storia del verso.
    In fede,
    Gino Rago

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  33. gino rago

    “(…) Differenti, per temperamenti e scelte linguistiche, i casi di Luigi Celi,
    di Silvana Baroni, di Mazzocchini, nei rispettivi lavori ospitati da L’Ombra delle Parole, in tempi recenti: tutti e tre accomunati da viva intelligenza poetica.
    Così come una segnalazione a parte richiede il poemetto “Teseo” in cui
    l’Autrice, Rossella Cerniglia, rivisita la mitologia greca con una cifra stilistica personale, davvero preziosa e su cui mi sono già espresso
    nella nota di presentazione.
    Per queste quattro voci poetiche ho segnato altri percorsi che, come quelli compresi nei commenti a precedere questo, saranno compresi
    nel tentativo del mio lavoro, del 7.03.2017, di storia del verso italiano,
    quale contributo di ri-lettura della lirica italiana del Novecento.”
    In fede,
    Gino Rago

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  34. gino rago

    “Volutamente enucleata dalle voci poetiche ospitate da L’Ombra delle Parole nei tempi più recenti, ed elencate nei vari commenti a partire dal 7.03.2017, è quella di Giancarlo Baroni, il poeta di Parma un pò appartato ma in febbrile stato di ricerca poetica, ricerca che nella raccolta
    “Le anime di Marco Polo” è in grado di darci un’alta prova di sé,
    spaziando con padronanza di lingua e cognitiva dal mito alla geografia, dal paesaggio alla storia non soltanto dei luoghi, in una sua mitologia personalissima.

    P.S.
    Anche quest’ultimo frammento è parte integrante di tutto il mio lavoro
    sul “verso” nel corso del Novecento poetico italiano.
    In fede,
    Gino Rago

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    • giancarlo baroni

      E’ per me una vera soddisfazione essere segnalato e apprezzato da un poeta della qualità di Gino Rago, che da tempo stimo per la maestria dei versi solidi e misurati.

      La poesia italiana odierna è così rigogliosa e si esprime attraverso una molteplicità tale di voci e di canali, che risulta impossibile circoscriverla e molto difficile e complicato farsene un’idea che possieda un minimo di completezza. Tuttavia non bisogna arrendersi e anzi occorre tentare di tracciare mappe possibili ma inevitabilmente parziali.
      Non mi addentro in questa specie di labirinto, non ne ho le competenze. So però di condividere l’opinione del Signor Pistorius di Gino Rago, che sottolinea l’importanza di selezionare, segliere con accuratezza, usare il setaccio. E questo vale per i critici letterari, per i poeti e per i narratori. Ricordo una frase di Beppe Fenoglio che diceva: “ogni mia pagina esce spensierata dopo una decina di penosi rifacimenti”. La naturalezza è spesso un punto di arrivo più che di partenza.

      E così, all’interno di questa vivace e a volte rumorosa pluralità, continuiamo da poeti il nostro viaggio, che riguarda allo stesso tempo conoscenza e bellezza, e per il quale Vittorio Bodini scriveva:

      Poesia, struggenti inchieste
      sulla verità dell’essere
      scegliemmo la tua scorciatoia.

      (Giancarlo Baroni)

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  35. gino rago

    Giancarlo Baroni impiega nel suo commento una delle parole-chiave decisive per il complesso, vasto, variegato panorama della nostra poesia contemporanea: labirinto. Un labirinto che mette a dura prova ogni tentativo d’una persuasa interpretazione dei versi posti alla nostra
    lettura.
    A meno che non si faccia un giusto,
    competente uso del linguaglossiano “spazio espressivo integrale” il quale,
    se impiegato a hoc, è in grado di facilitare di molto l’esercizio della scelta e del giudizio di un lavoro artistico.

    Così come ho apprezzato, nel commento di Giancarlo Baroni, l’attenzione
    (Giancarlo Baroni è stato l’unico a farlo…) accesa sull’idea di ” critica” incarnata, sebbene con ironia palazzeschiana, dal Signor Pistorius.
    Il quale Signor Pistorius, figlio della forza immaginativa di Giorgio Linguaglossa, ben sa che “criticare” coincide in arte con un fermo esercizio di scelta, di selezione, di giudizio…

    E di conseguenza di esclusioni o, meglio, di non inclusioni.
    Ma quando i valori di poesia sono presenti nei lavori di un poeta non bisogna essere rabdomanti per riconoscerli, come del resto è stato
    per me verso “Le anime di Marco Polo”.

    Gino Rago

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  36. Caro Giancarlo Baroni,

    quella dell’Ombra delle Parole è una grande quercia, si sta all’ombra, i poeti ci possono fare merenda, si può dialogare insieme.
    Benvenuto tra di noi. Portaci delle notizie dal di là.

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  37. gino rago

    Caro Giancarlo Baroni,
    mi associo all’idea di “quercia” accogliente che è L’Ombra delle parole
    di Giorgio L. e alla sua esortazione a più frequenti tue collaborazioni.
    G. R.

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