MARINA IVANOVNA CVETAEVA (1892-1941) POESIE SCELTE NUOVA VERSIONE a cura di Donata De Bartolomeo e Kamila  Gayazova – Scrive di lei Iosif Brodskij ne Il canto del pendolo «Sul piano formale è considerevolmente più interessante di tutti i sui contemporanei, compresi i futuristi, e le sue rime sono più inventive di quelle di Pasternak»

Pasternak e Mayakovsky
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Marina Ivanovna Cvetaeva (Zvetaeva), in russo: Мари́на Ива́новна Цвета́ева (Mosca, 8 ottobre 1892 – Elabuga, 31 agosto 1941). Scrive di lei Anna Achmatova: «Spesso Marina inizia una poesia con un do di petto». A 18 anni pubblica (1910) Album Serale, la sua prima raccolta di poesie. È l’esordio di un autentico talento: il libro viene recensito dai principali poeti dell’epoca. È  bella, ricca, intelligente, anticonformista. Scriverà centinaia di poesie, diciassette poemi, otto drammi in versi, opere di narrativa e saggistica oltre ad uno scambio epistolare con Rainer Maria Rilke e Boris Pasternak, suo grande platonico amore impossibile. Pasternak le scrive nella sua Autobiografia un commosso riconoscimento: «La verità è che bisognava leggerla attentamente. Quando lo feci rimasi senza respiro per l’abisso di purezza e forza che si spalancava… In breve non è un sacrilegio dire che ad eccezione di Annenskij, Blok e con qualche riserva Andrej Belyi, la Cvetaeva prima maniera era precisamente ciò che avrebbero voluto essere e non furono tutti gli altri simbolisti messi insieme».
Scrive di lei Iosif Brodskij ne Il canto del pendolo «Sul piano formale è considerevolmente più interessante di tutti i sui contemporanei, compresi i futuristi, e le sue rime sono più inventive di quelle di Pasternak». Nella sua poesia c’è una sorta di partitura musicale. Scrive Marina ai suoi lettori: «Il mio libro deve essere eseguito come una sonata. I segni sono le note. Sta al lettore realizzare o deformare». Nel 1911 sposa Sergej Efron a cui fa una promessa che manterrà nonostante i suoi amori collaterali etero e saffici: «Ti seguirò come un cagnolino».
Nel 1912 esce la seconda raccolta, Lanterna magica, e nel 1913 Da due libri. Nel 1917 inizia la rivoluzione, Efron si arruola tra le guardie bianche, e di lui non si saprà più nulla. Assiste ad ogni umiliazione fino ad elemosinare il cibo per sé e le due figlie Alja e Irina che morirà a due anni in un orfanatrofio per denutrizione. Nel 1922 fugge a Praga per raggiungere il marito. Nasce il terzo figlio, della cui paternità si dubita e al quale lei si lega morbosamente. A Praga scrive molte opere importanti: Dopo la Russia, L’accalappiatopi, Il poema della montagna e Il poema della fine. Nel ’25 la famiglia è a Parigi dove vivono di stenti grazie ai lavori domestici di Marina presso varie famiglie. Efron si arruola ai servizi segreti russi ed è accusato di aver partecipato ad un omicidio. Fugge a Mosca con la figlia Alja che condivideva i principi rivoluzionari. Marina resta fedele alla sua antica promessa: «Ti seguirò come un cagnolino». Nel 1939 Marina li raggiunge a Mosca con Mur. In tempo per salutarli poco prima che vengano arrestati.
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mandel'stam foto segnaletica nel lager 1938

osip mandel’stam, foto segnaletica nel lager 1938

Marina invia nei campi di concentramento dove si trovano il marito e la figlia lettere e pacchi con stivali, berretti, scialli, carote essiccate: «a immergerle nell’acqua bollente rinvengono, Alja ricordati che contengono vitamine». Inizia la guerra, i nazisti invadono la Russia, Marina con il figlio nel 1941 sono evacuati a Elabuga, nella Repubblica autonoma di Tataria. Fa domanda per ottenere un posto di lavapiatti in un mensa del Fondo letterario e non lo ottiene. Mur si lamentava della vita che conducevano, pretendeva un abito nuovo ma il denaro che avevano bastava appena per due pagnotte. La domenica 31 agosto del 1941, rimasta da sola a casa, la Cvetaeva salì su una sedia, rigirò una corda attorno ad una trave e si impiccò. Lasciò un biglietto, poi scomparso negli archivi della milizia. Nessuno andò ai suoi funerali, svoltisi tre giorni dopo nel cimitero cittadino, e non si conosce il punto preciso dove fu sepolta. Domenica 31 agosto 1941 rimasta sola a casa, sale su una sedia e si impicca a una trave. Ha 49 anni. Lascia un biglietto d’addio e d’amore profondo: per Mur che la disprezzava per la sua sciatteria e per la sua dubbia reputazione. L’epitaffio era già stato scritto, autografo, il 3 maggio 1913 a 20 anni:
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«… Leggi – di ranuncoli
e papaveri colto un mazzetto –
che io mi chiamavo Marina
e quanti anni avevo… Solo non stare così tetro,
la testa china sul petto.
Con leggerezza pensami,
con leggerezza dimenticami»
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Qualche tempo fa commentando l’uso/abuso delle lineette da parte di una poetessa, pubblicata sulla Rivista internazionale L’Ombra delle Parole, Antonio Sagredo invitava alla lettura di Marina Cvetaeva da lui definita «maestra» nell’uso delle lineette.
L’input è stato da me raccolto e condiviso con Kamila  Gayazova che ha contribuito a questo lavoro con la consueta passione e professionalità.
I testi originali sono stati reperiti in Socinenija (Opere) – 2 v. Mosca,  1988 ed in parte sui numerosissimi siti in lingua russa espressamente dedicati alla Cvetaeva.
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“La lettura è innanzitutto con-creazione… Sei stanco della mia cosa, vuol dire che hai letto bene e – hai letto una cosa buona. La stanchezza del lettore non è una stanchezza che svuoti, ma creativa. Con-creativa. Fa onore al lettore e a me”.
(Marina Cvetaeva, Poet o kritike (Un poeta a proposito della critica) – Sovestkij pisatel’ – Mosca, 1965)
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(Donata De Bartolomeo)

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marina cvetaeva 1914

Marina Cvetaeva, 1914

Poesie di Marina Cvetaeva

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Mi piace che siete malato ma non di me,
mi piace che io sono malata ma non di voi,
che mai la pesante sfera terrestre
scivolerebbe sotto i nostri piedi.
Mi piace che si può essere spiritosa –
Indisciplinata – e non giocare con le parole
e non arrossire per una asfissiante ondata
toccandosi con le maniche con leggerezza.
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Mi piace anche che voi in mia presenza
abbracciate tranquillamente un’altra,
non condannatemi a bruciare
nel fuoco dell’inferno perché non vi bacio,
perché il mio tenero nome, mio caro, non
menzionate né di giorno né di notte – invano …
Perché nel silenzio di una chiesa
non canteranno mai sopra di noi “alleluia”!
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Grazie a voi col cuore e con la mano
perché voi – senza neanche saperlo! –
mi amate così tanto: per la mia quiete notturna,
per la rarità degli incontri nelle ore del tramonto,
per le nostre non passeggiate sotto la luna,
per il sole non sulle nostre teste,
perché voi siete malato – purtroppo! – non di me,
perché io sono malata – purtroppo! – non di voi.
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SOTTO UN CAREZZEVOLE PLAID FELPATO
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Sotto un carezzevole plaid felpato
chiamo il sonno di ieri –
Cosa è stato? Di chi è la vittoria?
Chi è lo sconfitto?
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Tutto ripenso di nuovo,
per tutto di nuovo mi torturo.
In questo, per cui non conosco le parole,
consisteva forse l’amore?
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Chi era il cacciatore? Chi la preda?
Tutto diabolicamente al contrario!
Cosa ha capito, facendo a lungo le fusa,
il gatto siberiano?
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In questo duello di ritrosia
chi, nella mano di chi stava solo la palla?
Quale cuore – il vostro forse, forse il mio
volava al galoppo?
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E tuttavia – cos’è stato allora?
Cosa voglio e cosa rimpiango?
Continuo a non capire: ho forse vinto?
Forse sono stata sconfitta?
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FRIVOLEZZA – CARO PECCATO
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Frivolezza! – caro peccato,
caro compagno di viaggio e mio caro nemico!
Tu hai spruzzato nei mie occhi il riso
e nelle mie vene hai spruzzato la mazurca.
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MI hai insegnato a non conservare l’anello nuziale
con qualunque persona la Vita mi avrebbe sposato!
Iniziare a casaccio dalla fine
e finire ancor prima dell’inizio.
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Essere come uno stelo ed essere come acciaio
nella vita dove noi così poco possiamo …
Curare la tristezza con la cioccolata
e ridere in faccia ai passanti!
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1915
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AD ANNA ACHMATOVA
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Un corpo sottile, non russo –
sui tomi.
Lo scialle dai paesi turchi
è sceso, come un manto.
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Vi si può rendere con una sola
linea nera spezzata.
Il freddo – nell’allegria, la calura –
nel vostro sconforto.
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Tutta la Vostra vita è un brivido
e si compierà – ma in che modo?
La nuvolosa – plumbea – fronte
di un giovane demonio.
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Conquistare qualsiasi persona terrena
per lei è un gioco!
E il verso disarmato
mira al cuore.
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Nell’ora assonnata del mattino –
mi sembra alle quattro e un quarto –
io mi sono innamorata di Voi,
Anna Achmatova.
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(1915)
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Pasternak_croppedpasternak 5
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Sole bianco e basse, basse nuvole,
lungo gli orti – oltre la bianca parete – un camposanto.
E sulla sabbia file di spaventapasseri di paglia
sotto traverse dalla statura umana.
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E, spenzolando attraverso pali di steccato,
vedo: strade, alberi, soldati in disordine.
Una vecchia, una fetta di pane cosparsa
di sale grosso accanto al cancello mastica e mastica …
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Cosa hanno fatto queste grigie case per farti arrabbiare,
Signore! – e a che pro’ tenere sotto tiro il cuore a così tante persone?
Il treno se n’è andato ed ha ululato ed hanno ululato i soldati
ed ha coperto di polvere la strada dietro di sé …
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No, morire! Non nascere mai sarebbe stato meglio
di questo ululato dolente, compassionevole, galeotto
sulle belle donne dalle ciglia nere. Oh, cantano
adesso i soldati – oh, Signore, mio Dio!
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ECCETTO L’AMORE
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Non amavo ma piangevo. No, non amavo tuttavia
solo a te ho indicato nell’ ombra il volto adorato.
Tutto nel nostro sogno non assomigliava all’amore:
né ragioni né indizi.
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Solo noi ha salutato questa immagine dalla sala serale,
solo noi – tu ed io – le abbiamo portato un verso lamentoso.
Il filo dell’adorazione ci ha legati più forte
dell’innamoramento – degli altri.
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Ma l’impeto è passato e dolcemente qualcuno si è avvicinato
che non poteva pregare ma amava. Non affrettarti a condannare!
Ti ricorderò come la più tenera nota
nel risveglio dell’anima.
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Tu vagavi in questo animo triste come in una casa non chiusa.
(Nella nostra casa, in primavera …) non definirmi quella che ha dimenticato!
Io ho riempito di te tutti i miei minuti tranne
Il più triste – quello dell’amore.
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Essere tenera, matta e chiassosa
-bramare di vivere!-
Essere affascinante ed intelligente,
incantevole!
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Più tenera di tutti quelli che sono e sono stati,
non conoscere la colpa …
-oh, indignazione, perché nella tomba
tutti noi siamo uguali!
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Diventare ciò che non è caro a nessuno,
-oh, diventare come ghiaccio!-
senza sapere ciò che è stato
né ciò che verrà,
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dimenticare come il cuore si è spaccato
e si è di nuovo saldato –
dimenticare le proprie parole e la voce
e lo splendore dei capelli.
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Il braccialetto di turchese antico
sul piccolo gambo
su questa sottile, su questa lunga
mia mano …
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Come avesse abbozzato una nuvoletta
da lontano,
dalla manina di madreperla
prendeva la mano.
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Come saltavano le gambe
al di là della siepe,
dimenticare come vicino, lungo il cammino,
un’ombra correva.
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Dimenticare l’ ardore nell’azzurro,
come sono quieti i giorni …
-Tutte le proprie birichinate, tutte le tempeste
e tutti i versi!
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Il mio miracolo compiuto
scaccerà il riso.
Io, l’eternamente-rosata, diventerò
la più bianca di tutti.
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E non si apriranno – così deve essere –
oh, abbi pietà!
né per un tramonto, né per uno sguardo
né per i campi
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le mie palpebre abbassate
-nemmeno per un fiorellino!
Terra mia, perdona per sempre,
per tutti i secoli.
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E tuttavia si scioglieranno le lune
e si scioglierà la neve
quando volerà via questo giovane,
incantevole secolo.
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*
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Aleksandr Blok 7.
Non penso, non mi lamento, non discuto.
Non dormo.
Non aspiro
né al sole né alla luna né al mare
né alla nave.
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Non mi accorgo di quanto fa caldo tra queste pareti,
di quanto verde c’è nel giardino.
Da tempo il dono desiderato ed atteso
non aspetto.
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Non mi rallegra né il mattino né la corsa
sonora del tram.
Vivo, senza vedere il giorno, dimenticando
la data e il secolo.
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Sulla fune, che sembra intagliata,
io – sono un piccolo danzatore.
Io – ombra dell’ombra di qualcuno. Io – sonnambulo
di due oscure lune.
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*
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OSIP E. MANDEL’STAM
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Da dove questa tenerezza?
Non sono i primi – questi ricci
che liscio ed ho conosciuto labbra
più oscure delle tue.
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Spuntavano e si spegnevano le stelle,
da dove questa tenerezza? –
spuntavano e si spegnevano gli occhi
dinanzi ai miei stessi occhi.
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Inni ancora migliori
ho ascoltato nella notte oscura,
incoronata – oh tenerezza! –
sul petto stesso del cantore.
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Da dove questa tenerezza
E cosa farne, malizioso
adolescente, cantore errante
dalle ciglia che più lunghe non si può?
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(1916)
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*
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Si è svegliata la strada. Guarda, stanca
con gli occhi aggrottati delle finestre mute
sui volti assonnati, rossi per il gelo
che scacciano con i pensieri il sonno caparbio.
.
Coperti di brina gli alberi neri –
con la traccia misteriosa dei divertimenti notturni,
nel broccato più splendente stanno cupi
come fossero morti tra i vivi.
.
Balugina il grigio cappotto sgualcito,
il berretto con il fregio, il volto rattristato
e le mani rosse, premute contro le orecchie,
e un grembiulino nero con un fascio di libri.
.
Si è svegliata la strada. Guarda, accigliata
con gli occhi aggrottati delle finestre mute.
Addormentarsi, potersi dimenticare con pensiero consolante
che sogniamo la vita e questo – è un sogno!
.
(27 aprile 1920)
.
*
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Io ho parlato ed un altro ha sentito
ed ha bisbigliato ad un altro, un terzo ha capito
mentre un quarto, prendendo un bastone di quercia,
è uscito nella notte – verso un’azione eroica. Il mondo su questo
ha composto una canzone e con questa stessa canzone
sulle labbra – o vita! – vado incontro alla morte.
.
(6 luglio 1918)
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*
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mandel'stam stalin

Stalin

A BORIS PASTERNAK
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Dis-tanze: verste, miglia…
Ci hanno dis-trutti, dis-tanziati
perché non facessimo rumore
nei due diversi estremi della terra.
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Dis-tanze: verste, lontananze…
Ci hanno scollati, dissaldati
e due mani hanno allungato, crocifiggendo,
e non sapevano che questa è una lega
.
di ispirazioni e tendini …
non ci hanno resi nemici – ma dis-persi,
ci hanno fatti a strati …
una parete e un fossato.
Ci hanno separati, come aquile-
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cospiratori: verste, lontananze …
Non ci hanno separati – ci hanno sparsi.
Lungo i tuguri delle latitudini terrestri
ci hanno scaraventati come orfani.
.
Quale ormai ma quale marzo?!
Ci hanno frantumati – come un mazzo di carte!
24 marzo 1925
Nostalgia della patria! Da tempo
smascherata seccatura!
Mi è completamente indifferente
dove essere completamente
.
sola, per quali sassi a casa
trascinarmi con la borsa della spesa
in una casa che nemmeno sa che è mia
come un ospedale o una caserma.
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Per me fa lo stesso tra quali
persone rizzare il pelo come un leone
prigioniero, da quale ambiente umano
essere sloggiata – immancabilmente –
.
verso me stessa, nell’individualità dei sentimenti.
Come un orso della Kamciatka senza lastra di ghiaccio
dove non acclimatarmi (e non mi sforzo!),
dove umiliarmi – per me fa lo stesso.
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Non mi farò illudere nemmeno dalla lingua
materna, dal suo latteo richiamo.
Mi è indifferente in quale lingua
non essere compresa da chi incontro!
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(da un lettore, di tonnellate di giornali
divoratore, mungitore di pettegolezzi …)
Lui – è del ventesimo secolo,
mentre io arrivo ad ogni secolo!
.
Stordita, come una trave
che è rimasta da un viale,
per me sono tutti uguali, per me tutto è uguale
e, forse, più uguale di tutto
.
quello che era nativo – più di tutto
da me tutti i segni, tutti i marchi,
tutte le date – sono stati cancellati con un colpo di mano:
l’anima, nata da qualche parte.
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Il mio paese non mi ha protetta così
che la più penetrante spia
lungo tutta l’anima – tutta di traverso!
non troverà un neo!
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Qualsiasi cosa mi è estranea, ogni tempo è per me vuoto,
tutto è la stessa cosa e tutto è uguale.
Ma se lungo la strada un arbusto
si alza, soprattutto – un sorbo …
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(1934)
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*
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Si è svegliata la strada. Guarda, stanca
con gli occhi aggrottati delle finestre mute
sui volti assonnati, rossi per il gelo,
che scacciano con i pensieri il sonno caparbio.
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Coperti di brina gli alberi neri –
con la traccia misteriosa di divertimenti notturni,
nel broccato più splendente stanno cupi
come fossero morti tra vivi.
.
Balugina il grigio cappotto sgualcito,
il berretto con il fregio, il volto rattristato
e le mani rosse, premute contro le orecchie
ed un grembiulino nero con un fascio di libri.
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Si è svegliata la strada, accigliata
con gli occhi aggrottati delle finestre mute.
Addormentarsi, poter dimenticare con pensiero consolante
sogniamo la vita e questo – è un sogno!
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(27 aprile 1920)
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Io ho parlato ed un altro ha sentito
ed ha bisbigliato ad un altro, un terzo – ha capito
mentre un quarto, prendendo un bastone di quercia,
è uscito nella notte – verso l’azione. Il mondo su questo
ha composto una canzone e con questa stessa canzone
sulle labbra – oh vita! – vado incontro alla morte.
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*
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cvetaeva-468.
Chi è fatto di pietra, chi è fatto d’argilla –
Io invece sono fatta d’argento e brillo!
La mia occupazione – è il tradimento, il mio nome – Marina,
io – sono l’effimera spuma del mare.
.
Chi è fatto d’argilla, chi è fatto di carne –
a costoro la bara e le lastre tombali …
-battezzata nella fonte marina – e nel mio
volo continuamente infranta!
.
Attraverso ogni cuore, attraverso ogni rete
batte il mio arbitrio.
Io – vedi questi ricci scomposti? –
non sono fatta del sale della terra.
.
Mi frango sulle vostre granitiche ginocchia
e da ogni onda – risuscito!
Evviva la schiuma – l’allegra schiuma –
l’alta schiuma del mare!
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(1920)
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*
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Tu, che mi hai amata con l’inganno
della verità – e con la falsa verità,
tu , che mi hai amato – che oltre
non si va! Oltre la frontiera!
.
Tu, che mi hai amata più a lungo
del tempo – gesto della mano divina!
Tu non mi ami più:
la verità in cinque parole.
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(1923)
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I giorni lumache che strisciano,
… cucitrice giornaliera di linee …
Che mi importa della mia stessa vita?
Non è la mia, dal momento che non è la tua.
E mi importano poco le sciagure
personali … una mangiata? Una dormita?
Che mi importa del mio corpo mortale?
Non è il mio, dal momento che non è il tuo.
.
(Gennaio 1925)
.
*
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La mia strada non passa accanto alla casa – la tua.
La mia casa non passa accanto alla casa – di nessuno.
E tuttavia smarrisco il cammino,
(soprattutto – in primavera!)
e tuttavia mi struggo in mezzo alla gente
come un cane sotto la luna.
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Ospite ovunque gradita!
Non faccio dormire nessuno!
Gioco col nonno ai dadi
e col nipote – canto.
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Le mogli non sono gelose di me:
io – voce e sguardo.
E per me nessun innamorato
ha costruito un palazzo.
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Mi fanno ridere le vostre
grazie non richieste, mercanti!
Innalzo da sola in una notte
ponti e regge.
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(Ma quello che dico – non lo ascoltare!
Tutte chiacchiere – di donne!)
Io stessa al mattino distruggerò
la mia creazione.
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Palazzi – come un covone di paglia – nulla!
La mia strada non passa accanto alla casa – la tua.
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cvetaeva6

Marina Cvetaeva

Il nomadismo del mondo è iniziato nelle tenebre:
sono loro che brancolano lungo la terra notturna – gli alberi,
sono loro che fermentano come vino dorato – i grappoli,
sono loro che vagano di casa in casa – le stelle,
sono i fiumi che cominciano il cammino – controcorrente!
Ed io ho voglia sul tuo petto – di dormire.
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(1917)
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LA TRIPLICE ALLEANZA

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Noi, dietro la timidezza del volto,
celiamo dell’altro.
Noi siamo cuori ribelli.
Noi siamo giovani. Siamo in tre.
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Durante la lezione siamo così silenziosi
tanto ardenti nel maneggio.
Abbiamo versi simili
e sogni unici e medesimi.
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Servire la libertà – è il nostro motto
e finire come eroi.
Abbiamo giurato sull’ombra di Schiller.
Noi siamo giovani. Siamo in tre.
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(1909-1910)
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*( NdT) Si riferisce a Mandel’stam, Pasternak e se stessa.
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Morendo, non dirò: sono stata.
E non ho rimpianti e non cerco colpevoli.
Ci sono al mondo fatti più importanti
di tempeste appassionate ed avventure amorose.
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Tu, che hai bussato con l’ala su questo petto,
giovane colpevole dell’ispirazione,
io ti ordino: – sii!
Io – non smetto di obbedire.
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(1918)
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Ma chi se ne importa!
Siate pecore!
Andate in branchi, in stuoli
senza un sogno, senza un pensiero proprio
dietro Hitler o Stalin:
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mostrate dai corpi fatti a pezzi
la stella o le croci celtiche.
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(23 giugno 1934)
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A mamma
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Nel vecchio valzer di Strauss
noi abbiamo udito il tuo sommesso appello,
da quel momento ci sono estranei tutti i vivi
e consolante il fugace combattimento delle ore.
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Noi, come te, salutiamo i tramonti
ebbri della vicinanza della fine.
Tutto quello di cui siamo ricchi nella sera migliore
tu ce lo hai messo nel cuore.
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Inchinandoti ai sogni infantili senza stancarti
(senza di te soltanto la luna li guardava!)
hai guidato i tuoi piccoli oltre
i pensieri e le azioni di una vita amara.
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Dai primi anni ci era vicino chi soffriva,
noioso il riso ed estraneo il tetto familiare …
La nostra nave non salpò in un buon momento
e naviga secondo il capriccio di tutti i venti!
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Sempre più pallida l’isola celeste – l’infanzia,
noi siamo soli sul ponte.
Si vede che tu, mamma, alle tue figlie
hai lasciato in eredità la tristezza.
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(1907-1910)
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Agli Ebrei
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Chi non ti ha calpestato – e chi non ti ha fuso,
oh, roveto ardente di rose!
Unica cosa che lasciò sulla terra
di incrollabile su di se Cristo:
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Israele! Si avvicina un secondo
tuo impero. Per tutti i centesimi
voi ci avete ripagato col sangue: Eroi!
Traditori! Profeti! Mercanti!
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In ciascuno di voi – persino in quello che a lume di candela
conta l’oro nel sacchetto –
Cristo parla più forte che in Marco,
Matteo, Giovanni e Luca.
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Per tutta la terra – da un capo all’altro –
crocifissione e deposizione dalla croce
con l’ultimo dei tuoi figli, Israele,
in verità seppelliremo Cristo.
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(1916-1924)
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È ora! per questo fuoco –
Sono vecchia!
• L’amore – più vecchio di me! –
-Di 50 gennai
montagna!
-L’amore – ancora più vecchio: –
vecchia come un equiseto, vecchia come un serpente,
più vecchia delle ambre lituane,
più vecchia di tutte le navi trasportate
più vecchia! – delle pietre, più vecchia dei mari…
Ma il dolore, che sta nel petto,
è più vecchio dell’amore, più vecchio dell’amore…
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(1940)
Donata De Bartolomeo è nata a Taranto e vive a Roma, ha tradotto poesie di Osip Mandel’stam, Anna Achmatova, Arsenij Tarkovskij, Aleksandr Blok, Cvetaeva e altri poeti e narratori russi.

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  1. MARINA IVANOVNA CVETAEVA (1892-1941) POESIE SCELTE NUOVA VERSIONE a cura di Donata De Bartolomeo e Kamila  Gayazova – Scrive di lei Iosif Brodskij ne Il canto del pendolo «Sul piano formale è considerevolmente più interessante di tutti i sui contemporanei, compresi i futuristi, e le sue rime sono più inventive di quelle di Pasternak»


    Quello che risalta alla lettura di queste poesie di Marina Cvetaeva splendidamente tradotte da Donata De Bartolomeo, è la grande “facilità” del verso della Cvetaeva, un dono che solo a pochissimi poeti è dato in un secolo, quella facilità che è leggerezza del parlato. Marina Cvetaeva forse può definirsi colei che ha inventato il parlato nella poesia europea. Lei parla come scrive e scrive come parla. È questo che fa di un poeta grande un classico, quando la sua lingua avrebbe potuto essere parlata da chiunque. Un poeta è grande quando scopre una lingua e la mette a disposizione di tutti. È questo il criterio base per individuare un grande poeta. Il grande poeta “scopre” una lingua che era lì da sempre, ma nessuno la vedeva, nessuno la usava. Il grande poeta “fonda” una lingua.

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  5. La domenica 31 agosto del 1941, rimasta da sola a casa, la Cvetaeva salì su una sedia, rigirò una corda attorno ad una trave e si impiccò.
    Lasciò un biglietto, scomparso adesso negli archivi della milizia. Nessuno andò ai suoi funerali, svoltisi tre giorni dopo nel cimitero cittadino, e non si conosce il punto preciso dove fu sepolta.
    In dolce memoria per questo grande talento con un grazie a chi l’ha tradotta

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  6. Maria Grazia Ferraris

    Grazie per questo contributo alla poesia e all’opera di questa enorme poetessa. Da non dimenticare nè nella sua vicenda artistica nè in quella drammatica personale. Mi piace aggiungere un’altra poesia che illumina la sua visione di “poesia”e la polifonia delle sue voci- le mutevoli incarnazioni dell’io- il proliferare delle sue molteplici maschere poetiche.-
    Il poeta- paria
    Ci sono al mondo esseri superflui,
    creature in più, aggiunte senza peso.
    ( Assenti dagli elenchi e dai prontuari,
    inquilini dei pozzi più neri.)

    Ci sono al mondo esseri cavi, esseri presi
    a spinte, muti: letame
    e chiodo per gli strascichi di seta.
    Ripugnano anche al fango delle ruote.

    Ci sono al mondo diafani, invisibili:
    (screziati dal marchio della lebbra!)
    ci sono Giobbe che potrebbero invidiare
    Giobbe…ma ai poeti, a noi poeti,

    noi paria e pari a Dio-
    è dato, straripando dalle rive,
    rotti gli argini,rubare
    anche le vergini agli dei’ (’23)

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  7. gino rago

    Emozioni. Commozione. Riflessioni. Gratitudine. Una pagina che si stampa nella memoria. Si fa stato d’anima.
    Ottima prova di Donata De Bartolomeo. Goccia di rugiada sulla paglia, poi,
    il rilancio dei versi della Marina C. a opera di Maria Grazia Ferraris:
    “… rubare/ anche le vergini agli dèi ”
    Gino Rago

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  8. antonio sagredo

    Carissimo Almerighi grazie dell’informazione- ma non era una casa, era una “catapecchia”
    dirò qualcosa domani, spero, su Marina.

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  9. Steven Grieco-Rathgeb

    Il commento di Almerighi mi ricorda la lacerata commemorazione della Tsvetaeva nella poesia “Elabuga”, di Arseny Tarkovsky che fu in qualche modo un discepolo spirituale di lei (più ancora che di Akhmatova). Elabuga è la piccola città, lontanissima da Mosca o Lenigrado, dove Cvetaeva era confinata dal regime sovietico, e dove si tolse la vita:

    Зову – неoтзывается, крепко спит Марина.
    Элабуга, Элабуга, кладбищенскаяа глина.

    E ce n’è un’altra bellissima, sempre di Tarkovskij, che inizia, Я слышу, я не сплю, зовеш меня, Марина, (Io ascolto, io non dormo, mi chiami, Marina,).

    Mi fermo qui, Perché questo blog ha un Sagredo e uno Statuti che sapranno tradurle benissimo. Io leggo il russo, e ho tradotto Blok in inglese in passato per una rivista canadese, ma altri lo fanno meglio di me. Volevo soltanto ricordare questo legame fra i due poeti, non si sa quale più sventurato, visto che Tarkovsky dovette aspettare fino a tarda età per vedersi degnamente pubblicato come poeta russo nella sua stessa patria. Molto fece per lui anche il figlio, Andreij, che citò diverse poesie di Arsenij nei suoi meravigliosi film.

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  10. Steven Grieco-Rathgeb

    E certamente Tarkovsky potrebbe essere tradotto anche dalle due eccellenti traduttrici-curatrici di questo post. Che infatti hanno portato una boccata di aria fresca nelle vicende della Tsetaeva in traduzione italiana, troppo a lungo appannaggio di traduttori ormai storici.

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  11. antonio sagredo

    Cercherò di riportare
    Cercherò di riportare notizie poco note, e per ora>>>
    >>> mia nota 180 pag. 67 al Corso su Mandel’stam di A.M.Ripellino, 1974-75
    ——————————————————————————
    Fa pensare a Mozart; e si dice che pure la Cvetaeva finì in una fossa comune; comunque non furono mai individuati precisamente i luoghi dove furono sepolti. — A proposito del suicidio della Cvetaeva, scrive E. Feinstein (parlando con Lidija Čukovskaja): “L’ultimo biglietto che la Cvetaeva scrisse a Mur [nomigmolo di suo figlio, che sarebbe morto il 18 giugno 1944] è di una tristezza quasi insostenibile: “Perdonami. Andare avanti sarebbe stato peggio… Sono terribilmente malata, non sono più me stessa. Ti amo pazzamente. Di’ al babbo [Sergej Efron] e a Alja [sua figlia], se li vedrai, che li ho amati fino all’ultimo minuto, e spiega loro che ero arrivata a un punto morto”.(p. 241); ancora Feinstein: “ La figlia Alja accusò lo scrittore Aseev di aver provocato la morte della madre e disse: “È un assassino, e il suo delitto è più grave di quello commesso da d’Anthes”, [il barone alsaziano che aveva ucciso Puškin in duello]. Lidija Čukovskaja racconta [alla Feinstein] che la Cvetaeva le disse:” Non troverò nulla [a Čistopol, vicino a Elaguba, luogo dove si impiccò]. Anche se trovassi una stanza non mi darebbero un lavoro… Dimmi, per favore, perché pensi che valga ancora la pena di vivere?”, e che quando [Lidija] sentì la notizia della morte della Cvetaeva, l’Achamatova ne fu desolata. (pgg.240-241). A Mosca, all’inizio del 1941, le due poetesse si erano incontrate due volte; forse questo incontrò fu organizzato da Pasternàk nella casa degli Ardov [amici intimi della Achmatova; la Cvetaeva a Mosca non aveva dimora], con i quali stabilì l’incontro dopo una serie di telefonate. (p. 227). Continua ancora la Feinstein : “ Viktor Ardov ricorda che le aprì la porta [alla Cvetaeva] e poi guardò le due donne che si stringevano la mano e andavano nella stanzetta in cui stava la Achmatova. Rimasero lì sole per quasi tutto il giorno, e l’Achmatova non parlò mai di quel che si erano dette; osservò solamente che la Cvetaeva sembrava semplicemente una persona normale, molto preoccupata per il destino della propria famiglia. S’incontrarono di nuovo il giorno dopo, questa volta nell’appartamento di Nikolaj Chardžiev, e lì chiacchierarono e bevvero vino”. (p. 228) .. Le pagine citate sono tratte dal saggio di Elaine Feinstein, Anna di tutte le Russie, op. cit.

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  12. antonio sagredo

    Lo spunto di questo secondo intervento (ne potrei dire a decine di decine!) è tratto dalla poesia di Pasternak del 1917 “Un’alba ancora più afosa” e si riferisce a ” Una fila di prigionieri che, trasferiti da un campo all’altro, chiedono da bere ad una donna che incontrano, o ad una infermiera” (commento di Ripellino)

    da mia nota 303,pag. 137 sul Corso su Mandel’štam di A.M.Ripellino 1974-75

    —————————————–
    “Questa situazione ritroviamo nel Dottor Živago. – Anche se questa poesia è del 1917, Pasternàk già intuiva la terribile realtà che sarebbe giunta distruggendo ogni cosa, come conseguenza della Rivoluzione. Come non poteva, dopo, non sapere Pasternàk, dei gulag staliniani? E prima di questi, a fortiori, dei campi di lavoro di Lenin, già dai primissimi anni ’20? Queste domande è inutile rivolgerle a Mandel’štam, che ne ha fatto esperienza personale tragica. Più intricanti, interessanti delle domande, sarebbero state davvero le risposte di Majakovskij (che era informatissimo su tutto ciò che avveniva in Russia), per quanto riguarda il solo Lenin, a cui dedicò un poema; forse non si era reso conto appieno della realtà tragica che sarebbe avvenuta dopo la Rivoluzione, e che già era in atto ben prima del 1930, anno della (uccisione?) morte del poeta. Ma quanti dei maggiori poeti e artisti russi sapevano la realtà, e quanti fecero finta di niente? Non voglio dire che Pasternàk e Majakovskij distolsero lo sguardo: non era affatto nel loro carattere. Resta il fatto, che furono pochi scrittori come, p.e., Šalamov* e Mandel’štam, che ebbero il coraggio di affrontare di petto Stalin. [* Varlam T. Salamov (1907-1982) si fece 21 anni di lavori forzati, dapprima in una città degli Urali e poi nella terribile Kolyma (I racconti di Kolyma); scrive a Pasternàk nel 1952 che lo onora pubblicamente. Riceve grande stima da Nadežda Mandel’štam e da Solženicyn]. Pasternàk invece, a Parigi nel 1935, incontra la Cvetaeva e le confessa che è stato costretto ad essere presente a questo Congresso internazionale degli scrittori, e le dice: ”Non ho osato rifiutare; è il segretario di Stalin in persona che mi ha invitato. Ho avuto paura”. E ancora, sul desiderio della poetessa di ritornare in Russia le risponde: “Marina non andarci! A Mosca fa freddo. È piena di correnti d’aria!”. La poetessa è distrutta da queste affermazioni… Pasternàk perde valore per lei, e alla sua amica praghese Anna Tesková confessa:” Il mio incontro con Pasternàk è stato un non-incontro”. (da Henri Troyat, Marina Cvetaeva, L’eterna ribelle, ed. le Lettere 2002, p.183). Sappiamo che la poetessa ritornerà in Russia e che lotterà come sta già da tempo lottando un suo fratello altro in poesia: Osip Mandel’štam: entrambi * saranno uccisi. Ma è antipatico questo Troyat, come del resto la Berberova, che dà la colpa a Pasternàk, come se questi fosse stato una concausa della morte di alcuni poeti: niente di più falso e ignominioso! Boris Pasternàk aiutò i suoi amici-poeti per quanto poteva farlo, per quanto gli era possibile farlo, e le testimonianze sono decine. Il poeta Aseev (l’amico fraterno di Majakovskij) p.e. non aiutò affatto la Cvetaeva ad Elaguba (era vicinissimo a questa località), e Pasternàk non tralascia di rimarcarlo appena saputo della morte della poetessa. Se Pasternàk ricevette una telefonata da Stalin e ne ebbe paura, la Cvetaeva, umiliandosi per ricevere un aiuto (credo fosse una sua simulazione) scrisse ai boia Stalin e Berja (1939) senza avere risposta alcuna. Dei grandi poeti soltanto la Achmatova e Pasternàk sopravvissero
    all’epoca di Stalin, ma questa è già un’altra storia.”
    —————————————–
    * tutti i suicidi dei poeti rusi sono degli omicidi
    ———————————————
    E a proposito della traduzione delle poesie della Cvetaeva non posso che plaudire, poi che i versi della poetessa sono ostici per chi solo voglia che siano tali, e invece non è così per chi è capace di profonda empatia nei suoi riguardi. Spero di aver il tempo di riportare altre mie note che riguardano i rapporti che intercorsero fra Achmatova, Pasternak, Mandel’štam, Majakovskij… avendo come centro di riferimento il “poeta” Cvetaeva.

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  13. Forse soltanto nella poesia della Cvetaeva e in quella di Osip Mandel’štam si avverte con chiarezza un presagio, il tinnire della melancolia, come l’eco della consapevolezza che l’epoca del futuro non porterà buone novelle, che un’epoca è finita e un’altra sta per iniziare sotto auspici infausti. Entrambi troveranno la morte, e così sigilleranno per sempre la loro poesia con una bara. Altri poeti, come Pau Celan e Giacomo Leopardi, in modo assolutamente diverso, andranno incontro al loro destino. Ma nel destino che sta dentro le parole dei loro versi, c’è un ospite indesiderato: la malinconia.

    Sono sufficienti questi due versi di Celan per sigillare una stazione esistenziale e stilistica:

    io però preferisco le clessidre affinché tu possa sbriciolarle
    quando ti dirò la menzogna dell’eternità.

    E che dire di questa riflessione di Leopardi?

    Se v’ha oggi qualche vero poeta, se questo sente mai veramente qualche ispirazione di poesia, e va poetando seco stesso, o prende a scrivere sopra qualunque oggetto, da qualunque causa nasca della ispirazione, essa è certamente malinconica, e il tono che il poeta piglia naturalmente o seco stesso o con gli altri nel seguir questa ispirazione (e senza ispirazione non v’è poesia degna di questo nome) è il malinconico” (Zibaldone)

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  14. (da un lettore, di tonnellate di giornali
    divoratore, mungitore di pettegolezzi …)
    Lui – è del ventesimo secolo,
    mentre io arrivo ad ogni secolo!

    Penso che in queste poesie, Marina Cvetaeva risolva il frammento – le parentesi quadre di GL – nel migliore dei modi.

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  15. antonio sagredo

    Destini di poeti che ‘incrociano fin dall’inizio della rivoluzione (e anche prima, di certo) – riporto mia nota 10, pag 9 dal Corso su Majakovskij del 1971-72 di A. M. Ripellino.
    ——–
    “. L’Achmatova gli dedicò nel 1940 una poesia dal titolo “Majakovskij nel 1913″; dicono i primi due versi:” Non ti ho conosciuto al tempo della gloria/ricordo solo la tua alba burrascosa/…”. La poetessa riferisce: ”Ho conosciuto Majakovskij nel ’12… Dovevo vedere qualcuno per certi affari al Luna Park e ci andai. Là mi presentarono anche Vladimir Vladimirovič: Giovane, scialbo. Mi chiese con molta insistenza di andare alla prima, ma io non potevo… non ricordo più perché”; in Lidija Čukovskaja, Incontri con Anna Achmatova, 1938-41, Adelphi 1990, p. 113. La prima era di certo quella della tragedia omonima Vladimir Majakovskij. Ma nel febbraio del 1915 la poetessa aveva cambiato opinione su Majakovskij, quando lo sentì declamare i versi della sua poesia A Voi al cabaret “Il Cane Randagio”; così lei afferma: “lui stava calmissimo sul palco, era molto bello, fumava il suo sigaro mentre il pubblico gli urlava insulti”; in Elaine Feinstein. Anna di tutte le Russie, La Tartaruga edizioni, 2006, p.76-77. A maggio del 1940 riferisce a Lidija Čukovskaja che la vita quotidiana, domestica, dopo i rivoluzionari anni, di Majakovskij “era a un livello non molto alto” come quello di coloro con cui viveva: i Brik: Osip e Lilja. L’indifferenza di questi due per la pubblicazione postuma di opere di Majakovskij, equivaleva all’indifferenza di Majakovskij per le opere da pubblicare, postume, di Chlebnikov. Dice la Achmatova: “Così parlava di un amico [Chlebnikov], del suo maestro… Dov’è allora la differenza tra lui e i Brik? Una differenza c’è, e grande, ma sta altrove: nel suo grandissimo talento. Per il resto sono eguali. Esattamente come loro, lui poteva essere oscuro, e doppio, e falso… Ma questo non gli ha impedito di diventare uno dei maggiori poeti russi del XX° secolo”, in Lidija Čukovskaja, Incontri…, op. cit., pgg.150-151. [L’acrimonia della Achmatova per i Brik, specie per Lilja, forse era dovuta al fatto che Punin, (il suo terzo “marito” per la poetessa, “ma non furono mai formalmente sposati”, in E. Feinstein, op. cit. p. 148) aveva avuto rapporti sessuali anche con la compagna di Majakovskij]. – Ma definire “canchero” Majakovskij come ha fatto Paolo Nori vuole significare aver compreso poco dell’uomo, e ancora meno del poeta, o viceversa. Il fatto è che non si è capaci di dare giudizi imparziali, così come in qualche modo han dimostrato, p.e., la Achmatova e la Cvetaeva, che nonostante avessero subito gravi offese da Majakovskij seppero amarlo egualmente; ma questo affetto solo tra i poeti può esistere, specie se grandi e russi per giunta; non può esistere questa comprensione da parte di un qualsiasi Paolo Nori, allo stesso modo di una qualsiasi Maria Ivanovna! – [ “la Cvetaeva conobbe Majakovskij nel gennaio 1918 (la poesia A Vladimir Majakovskij fu scritta la vigilia della serata poetica tenuta dal poeta il 19/9/1921 al Museo Politecnico di Mosca). In seguito incontrò Majakovskij a Parigi e lo difese dagli attacchi degli emigrati. È nota una sua lettera del 3/12/1928 al poeta, che poi volle includere nella sua mostra del 1930 <>. Alla morte di Majakovskij la Cvetaeva reagì con un ciclo di poesie a lui dedicate e ne scrisse nel saggio <>, 1932]; dalla nota 1 p. 81 in: M. I. Cvetaeva-Poesie, Rizzoli 1967, a cura di Pietro Zveteremich.
    Boris Pasternàk, Schizzo autobiografico, Feltrinelli 1967, a cura di S. D’Angelo, pgg.84-85.
    —————————————————————————
    sempre dallo stesso Corso>>>
    >>> qui lo spunto alla mia nota 184, pag. 150 è dato dal poema !Uomo” di Majakovskij (fra l’altro dice di due incontri fra questi e la Cvetaeva)
    ——————–
    “Veramente è l’ultimo capitolo s’intitola: “Majakovskij ai secoli”, poi segue l’epilogo “Ultimo”. Alla lettura che fece Majakovskij – ultimi giorni di gennaio del 1918 – del suo poema Uomo: “nell’appartamento del poeta A. Amari erano presenti K.Balmont, V.Ivanov, A.Belyj, Ju. Baltrušajtis, D. Burljuk, V. Kamenskij, I, Ehrenburg, V. Chodasevič, M. Cvetaeva, B. Pasternàk, A. Tolstoj, P. Antokolskij, V. Inber, il poeta indiano Sura-Vardi ed altri….Appena Majakovskij ebbe terminato di leggere dal suo posto si alzò A. Belyj, pallido dall’emozione…forse lo vedeva e udiva per la prima volta…V. Ivanov a volte annuiva con aria benevola, Balmont si struggeva visibilmente, Baltrušajtis come sempre era impenetrabile, Marina Cvetaeva sorrideva, mentre Pasternàk lanciava sguardi rapiti a Vladimir Vladimirovič. Belyj ascoltava non come ascoltano tutti, ma con ansia freneticamente… balzò in piedi così agitato da non poter quasi parlare. La maggior dei presenti condivideva il suo entusiasmo. Eppure Majakovskij si adirò per un appunto freddo, cortese, uscito di bocca a qualcuno. Gli accadeva sempre così: pareva non accorgersi delle rose, andava a cercare le spine (Ehrenburg)”. In V. Katanian Vita di Majakovskij, op.cit. pgg. 64-66. Se ricordo bene nella stessa serata (dai Cetlin?) la Cvetaeva lesse il suo Zar-fanciulla. Qui vale la pena di riferire un incontro tra la Cvetaeva e Majakovskij riportato dalla biografa Viktoria Schweitzer in Marina Cvetaeva –I giorni e le opere, Mondadori 2006, n. 74 p. 546. Recita: [ ”Questo è quanto la Cvetaeva scrisse a Majakovskij sul quotidiano Evrazija del 24 novembre 1928: A Majakovskij – Il 28 aprile del 1922, alla vigilia della mia partenza dalla Russia, la mattina presto, per un Kuzneckij most completamente deserto incontrai Majakovskij: Allora, Majakovskij, che cosa devo dire all’Europa da parte vostra? [risposta di Majakovskij]: Che la verità è qui.] – Il 7 novembre 1928, a sera tardi, uscendo dal Café Voltaire. Alla domanda: Che cosa vuol dire della Russia dopo aver sentito Majakovskij? Ho risposto prontamente: Che la forza è là – Marina Cvetaeva]. Anni dopo la Cvetaeva subì un attacco davvero molto feroce (“una cosa da disprezzare”) da parte di Majakovskij il 26 settembre del 1929 intervenendo all’Assemblea plenaria della RAPP (Associazione degli scrittori Russi Proletari). Vedi i particolari nel Corso su Mandel’štam, 1974-75 di A.M.Ripellino, n. 115 p. 40. Mancavano pochi mesi al suo suicidio, sentiva, presentiva, presagiva la fine della sua storia personale e di poeta: era in una fase finale sempre più iconoclasta e di ripiegamento su se stesso. Ma prima di Majakovskij e dello stesso Mandel’štam lo aveva compreso il visionario Blok! Questi, acceso da preveggenza, comprese come sarebbe andata a finire in Russia! Nei suo Taccuini scrive a più riprese: ”Non so se ci sia stata una rivoluzione(25/5/1917);”Se addirittura non ci fosse stata rivoluzione, cioè, se ciò che è accaduto non fosse s tata una rivoluzione e se il popolo rivoluzionario si fosse in effetti solo sbracato intorno a quello stesso dolce presso cui si era adagiata la burocrazia, ciò renderebbe più profonda la tragedia russa”. (26/5/1917), in Carte Segrete, n. 31, 1976, p.54 (trad. Rita Giuliani). Pure Majakovskij (10 anni dopo Blok) nella sua visita a Varsavia nel maggio del 1927, parlando coi “futuristi” polacchi, in specie con Aleksander Wat (definito”letterato e traduttore”), non faceva che ripetere: “Aveva ragione Blok! Aveva ragione Blok!”, già intendendo e intuendo che anche per lui
    s’avvicinava la resa dei conti con la burocrazia del potere sovietico.”

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  16. antonio sagredo

    vedi sopra:(attacco di Majakovskij contro Cvetaeva e Achmatova)
    Corso su Mandel’štam, 1974-75 di A.M.Ripellino, – mia nota n. 115 p. 40
    ————————————
    “Vi è forse da parte della Achmatova una sottintesa polemica con Majakovskij, che si proclamava “l’ultimo poeta” nella sua tragedia omonima Vladimir Majakovskij (un verso dice: Dalla guancia non rasa delle piazze/gocciando come una lacrima inutile,/io,/forse,/sono l’ultimo poeta). Il 19 gennaio 1922 l’Achmatova aveva subito un feroce attacco (insieme ad altri famosi poeti) da parte di Majakovskij (in vena iconoclasta) durante una sera a Mosca (al Museo Politecnico) sul tema “L’epurazione (o pulizia?) della poesia contemporanea, dichiarando che per la sua “intimità da camera”, non poteva più essere chiamata poetessa “nel senso più ampio della parola”. Ne fecero le spese quasi tutti: acmeisti, immaginisti, ecc. “Ebbe solo parole di simpatia per Esenin, presente in sala, nonostante la decisione degli immaginisti di boicottare l’epurazione”,[in Vasilij Katanian, Vita di Majakovskij, Editori Riuniti, 1978, p.122; citazione da una nota nel diario di D.A. Furmanov]. Majakovskij il 26 settembre del 1929 intervenendo all’Assemblea plenaria della RAPP (Associazione degli Scrittori Russi Proletari) attaccò ancora più ferocemente la Cvetaeva come “una cosa diretta contro l’Unione Sovietica, diretta contro di noi, che non ha diritto all’esistenza, e che è nostro compito renderla il più possibile disprezzabile e non istruire su di essa”, in Majakovskij, Opere, vol. 8, Editori Riuniti, 1972, pgg. 365-366. Ma le due poetesse amarono sconfinatamente Majakovskij perché, come Pasternàk e pochi altri, ne conoscevano la grande fragilità e gli perdonavano ogni cosa: sapevano che era un grande poeta, e questo bastava. — In Confessioni di un teppista Esenin scriveva :”Che vostro figlio in Russia è fra i poeti il più grande”; e nella poesia omonima cantava “Io sono l’ultimo poeta contadino”. La stessa Achmatova che in un verso proclama: “Nessuno, adesso, potrà mai ascoltare le canzoni” attesta in qualche modo, o forse troppo chiaramente, che l’epopea dei grandi poeti, suoi contemporanei, è alla fine, e che bisogna dunque tirare le somme (fare i confronti) della poesia di poco prima della Rivoluzione e con quella di dopo, poi che i tempi dei tormenti torbidi sono già in atto; è che alla poesia russa comincia a mancare definitivamente la parola, la voce, e la gola per cantare! — Sulla raccolta di saggi di “Sulla poesia” Mandel’štam avverte che ne “fanno parte alcuni brevi articoli, scritti in diversi periodi tra il 1910 e il 1923 e uniti da un pensiero comune. Nessuno di questi articoli vuol avere carattere letterario: temi e richiami letterari vengono utilizzati solo come esempi casuali. Articoli occasionali, non collegati dal pensiero comune agli altri, sono stati esclusi da questa raccolta. O.M., 1928; in La quarta prosa, op. cit. p. 46.”

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  17. Dò una notizia in anteprima. Presto la Rivista, sempre nella traduzione di Donata De Bartolomeo, pubblicherà un inedito assoluto, delle lettere scambiate tra Marina Cvetaeva e Arsenij Tarkovskij che dimostrano che tra i due poeti c’è stato un rapporto d’amore. Sono lettere di una bellezza struggente di due grandi anime della poesia russa

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    • ubaldo de Robertis

      Quando su questa Rivista comparvero per la prima volta alcune mie poesie, qualcuno a corto di argomenti, idee, trovò il modo di ironizzare sul cognome: “basta con i De” fu scritto a più riprese. Me ne ricordo oggi quando ci apprestiamo a ricevere un altro assoluto dono dall’ottima De Bartolomeo. Un altro De….qualcuno dovrà ingoiare amaro.
      ubaldo de robertis

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    • Steven Grieco

      Bravo Giorgio! Sono felice che farai esplorare anche questo lato di Arseny Tarkovsky, che troppo spesso e’ stato accomunato alla Akhmatova, cosa giusta, ma che non esaurisce per niente la complessita’ del nostro Arseny e dei suoi rapporti con la Tsvetaeva. E spero che i bravi traduttori dal russo dell’Ombra tradurranno le poesie, Elabuga e Ja slyshu, ne spliu, zabyosh menia, Marina, da me citate ieri. Grazie mille.

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  18. Nella Cvetaeva la spiritualità preclude, almeno in parte, la mediazione, e la sua corporeità di dissolve nella parola: ‘vivere come scrivo’. Lo stile essenziale arriva a esiti sconvolgenti; pare che la realtà sia spinta oltre i limiti naturali, e soltanto la poesia che de-scrive ‘sgorga inarrestabile’ ed è ‘senza ritorno’.

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  19. antonio sagredo

    colui che ironizzava sul “De” lo conosco benissimo: convivo ogni giorno con lui, e con lui condivido le insonnie creative e le follie circensi

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  20. antonio sagredo

    non somiglio certamente a quel cazzetto di Montale!
    Che fu bacchettato sonoramente dal Ripellino poi che commentò il Pasternak dello Zivago senza capirci un cazzo!
    E allo stesso modo Pasolini a proprosito di Vladimir Holan.
    ————————–
    Ora dunque a tutti Voi , che fino ad ora non avete dato segno di vita/lità circa l’interesse per i miei interventi… devo continuare a offrirVi “vasi a Samo o nocciole ad Atene”? O volete soltanto “perle”?.
    —-
    Alle care due slaviste i miei saluti affettuosi… attendo con impazienza Marina e Arsenio.

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  21. antonio sagredo

    Ubaldo che mentre scrivevo mi ha preceduto di 4 minuti è esentato…

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  22. Donata De Bartolomeo

    Anche a nome di Kamila ringrazio tutti per l’attenzione con cui è stato accolto questo nostro lavoro. Come ha anticipato Giorgio a giorni uscirà sull’Ombra questo lavoro sui rapporti tra la Cvetaeva e Arsenij Tarkovskij: ci saranno le due poesie citate da Steven Grieco, che fanno parte di un ciclo di versi dedicati alla Cvetaveva. Da oltre venti anni mi occupo con autentica passione di questo straordinario poeta (non me ne voglia l’ottimo Sagredo che non condivide questo giudizio) che, a mio avviso, meriterebbe di essere più conosciuto dagli amanti della poesia.
    Per quanto riguarda le polemiche sui “de”, rispondiamo con i fatti: Ubaldo de Robertis con le sue splendide poesie ed io con le mie traduzioni…
    Ancora grazie e buona lettura

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  23. antonio agredo

    Carissima Daniela,
    credo che poi, dopo aver letto moltissimo altro – oltre quello allora pubblicato nel blog – e documentato a dovere su Arsenij Tarkovskij fino a trovare una intervista al figlio Andrej che reputava il padre il più grande dei poeti russi (giudizio filiale che deve esere circoscritto, pur conservando oggettivamente il valore alto di poeta) … credo di essermi ricreduto con Te e con me stesso. Ne parlai con altri slavisti (che Tu conoscerai di fama) e mi confermarono che Il Tarkovskij ha subìto troppo la fama di altri, ma che il tempo – credo sia già giunto – gli ha trovato il posto che si merita e giutamente.
    Riguardo ai “De” forse allora non fu colto il lato ironico della mia battuta, che come altre volte ho detto (e realizzato nei miei versi) fa parte del mio lato “circense”; ma che ancora si insiste seriamente mi pare fuor di luogo…
    “lasciatemi divertire” !!!
    saluti a tutti

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  24. antonio agredo

    “ma che ancora si insiste”… (si insista)…. in prosa sono deboluccio.
    ———————————————–
    A Daniela e Kamila Gayazova dedico questa poesia:

    I ricordi beati dei poeti

    sulla Montagna dei Passeri
    dove mai sono stato
    né mai ho pestato un’ala
    io vidi le vostre dita
    intrecciarsi come fiocchi invernali,
    carezze crollavano come chicchi di sinistre stelle!

    Se ne andavano in slitta i due poeti
    sapevano le destinazioni egiziane:
    il riposo in un’algida fossa mozartiana,
    la Marina sul molo dei Nodi scorsoi.

    Cantavano con avanzi di grida e parole la propria epoca,
    conteggiavano dal passato il martirio dei loro giorni luciferi.

    La corda e la trave smaniavano per un collo
    che non soffriva ancora – che ancora non si offriva!
    L’esilio dantesco come un deterrente sognava
    un requiem, un trionfo d’ossa, una fine comune.

    Una nera carrozza notturna brillava di neri stivali,
    non più cortese si fermò sotto un fanale d’orange
    in Via della Mortalità dell’Arte:
    c’era posto soltanto per milioni di poeti…

    il primo – ucciso per asfissia ovvero mancanza d’aria – il cigno
    il secondo – ucciso dagli stenti il prigioniero d’assonanze
    il terzo….
    ecc. ecc.

    ma il Tempo si ritrasse come un verme….

    oggi Basquiat Jean-Michel è evirato dai colori

    non c’è scampo
    per i suoni, e la parola!

    Antonio Sagredo

    Roma, 25 maggio 2014
    —————————————–

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    • Donata de bartolomeo

      Caro Antonio, anche a nome di kamila ti ringrazio della dedica. Sono contenta che ti sia ricreduto su tarkovskj ma…mi chiamo donata non Daniela.
      Con sincero affetto donata

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  25. ant.s

    Cara Donata,
    scusami… è che sono talvolta preda e bersaglio di tante voci, comunque entrambi sono due nomi stupendi… poi, devi sapere, che da parecchio tempo non scrivo versi, e questo mi debilita su tutto il fronte dei miei combattimenti, che sono continui e assillanti – ho una età tale che dovrei fare un riepilogo di quanto ho scritto, e se lo faccio forse scoprirò di non aver scritto abbastanza, ma non è questo il punto.. il punto è che ho sempre scritto senza alcuna restrizione tranne me stesso, e forse è la ragionevole fra tutte le libertà prigioniere che mi sono state concesse.
    as

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  26. antonio sagredo

    assillante per ersempio con me è il Mandel’stam di Ripellino…. rimando da mesi alcune piccole correzioni alle mie stesse note… non mi fido di alcune conclusioni di Brodskij su questo poeta come su tanti altri. Ma su Mandel’stam quanto scrive lo slavista è ben più appassionatamente coivolgente…. e sono certo che quanto sapeva di questo poeta lo slavista
    tanto meno ne sapeva il Brodskij…

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  27. gabriele fratini

    Cvetaeva e Achmatova si confondono nei miei ricordi in un’unica nuvola di noia. Oddio, anche Brodskij Mandel’stam e Pasternak non è che siano proprio dei simpaticoni, ma hanno qualcosa in più. Siamo lontanissimi comunque, secondo me, dalla genialità dei protagonisti dell’Ottocento russo e anche dal futurismo russo. Tutto ciò che viene dopo ne vive in qualche modo un po’ di rendita (come noi italiani con il Rinascimento del resto). Ultimamente mi pare che questo blog guardi un po’ troppo a est, come a un mitologico Eldorado dove le pepite sono quasi finite e sempre più rare.

    Ora, proferita la mia modestissima opinione che forse urterà qualche slavista, spero che il buon Sagredo non esiga da me il suo periodico tributo di sangue. 🙂

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  28. antonio sagredo

    gentile Fratini
    dunque Cvetaeva e Achmatova Mandel’stam e Pasternak senza le tecniche della versificazione futurista non sarebbero apparsi mai perciò non sono affatto “lontanissimi” dal futurismo : lo vissero ognuno a suo modo – più Pasternak anche se più tardi cercò di rinnegare questa ascendenza specie da Chlebnikov): gli altri tre poeti appartennero in parte alla formazione finale simbolista (senza essere simbolisti) in parte non poterono fare a meno di avvicinarsi al futurismo – chi come acmeista (Achmatova e Mandel’stam) chi come la Cvetaeva – senza una precisa ascendenza se non classicamente tradizionale- assorbendo tutte le tecniche possibili: dal primo e secondo simbolismo all’ameismo (moltissimo legata a Mandel’stam) : tutti questi – non scordiamo Esenin – non scordiamo il costruttivismo ecc. – da tenere presenti l’evoluzione delle altri arti –
    (Majakovskij è centrale) – rimandano la loro discendenza da Puskin (e anche prima come Majakovskij con Derzavin-fine settecento inizio ottocento) e dalla sua Pleiade (il periodo d’oro)… bisogna aspettare la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento per dire del secolo d’argento con i geniali simbolisti Belyj e Blok che amarono moltissimo i futuristi (questi appresero molto dai questi simbolisti e altri specie come conoscenza della cultura europea). Non vado più a fondo per non stancare i malintenzionati… poi venne il periodo di bronzo dopo gli stermini staliniani
    dei poeti… e qui davvero siamo a livelli decisamente inferiori… con la caduta del comunismo ufficiale la poesia russa è davvero in discesa come se quella caduta avesse distrutto il motivo di esistere dei poeti stessi: come a dire che la poesia russa non può fare a meno del potere per esistere: si sono combattuti per secoli… e ora cosa e come fare con Putin ? si domandano – a proposito ripeto leggetevi lettori del blog il volume di Marco Sabbatini…. basta così

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