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Flavio Almerighi interroga Giorgio Linguaglossa  – “Question time sulla poesia nazional popolare”. “Due esempi di linguaggio poetico nazional popolare: Valerio Magrelli e Franco Buffoni”. “Una Domanda: Esiste, secondo lei, una critica poetica degna di questo nome? Risposta: No, non esiste.”

Flavio Almerighi interroga Giorgio Linguaglossa

Domanda: Come intende il nazional popolare in questo paese?

Risposta: Oggi il problema di una «poesia  nazional popolare» non si pone affatto e non si pone più nei termini in cui lo poneva Antonio Gramsci quando, chiuso nelle prigioni del regime fascista iniziava quella grande riflessione sul concetto di «nazional popolare». Gramsci aveva di fronte un quadro politico stabilizzato dal fascismo e un paese ancora ben lungi dall’aver iniziato un processo di industrializzazione, un paese sostanzialmente agricolo da «Grande proletaria», per usare una espressione che il Pascoli coniò per la guerra di Libia del 1911.

Oggi siamo in un’epoca di post-moderno in cui la rivoluzione industriale si è conclusa e siamo entrati già dagli anni Settanta in un’epoca di società post-industriale. La successiva rivoluzione mediatica dagli anni Novanta ai giorni nostri ha cambiato ancora una volta le carte in tavola, per cui ciò che era «nazional popolare» nel  1995, ad esempio, quando Franco Fortini pubblica Composita solvantur (1995), un libro ancora impegnato in una sorta di resistenza alla società borghese in un’ottica marxista volutamente contro corrente, oggi ci appare anacronistico. Non so come dire: al lettore di oggi tutta la letteratura antecedente gli anni Novanta appare anacronistica, un prodotto di un altro paese, cioè fuori gioco, fuori della contemporaneità, sorpassato, anacronistico. È un dato di fatto del gusto medio. E lo si vede dalla facile leggibilità della poesia degli autori delle generazioni seguenti a quella di Fortini. Un processo di semplificazione del discorso poetico che andava incontro alle esigenze di ottimizzazione e razionalizzazione del mercato e dei linguaggi poetici e narrativi. Il mercato diventa così il regolo universale della narrativa e della poesia italiane. Oggi potremmo tradurre il concetto di «nazional popolare» con quello di «opere mediatiche», nella misura in cui tutte le opere letterarie che vengono scritte e pubblicate devono fare i conti con il gusto medio di un Ceto Medio Mediatico, concetto non più di classe ma «liquido», dotato di auto trasparenza, effimero e volatile, privo di alcuna stabilità. La forsennata ricerca del best seller da parte degli uffici stampa delle case editrici risponde non solo alla esigenza del profitto ma anche alla costrizione di andare incontro ai gusti medi del Ceto Medio Mediatico, gusto per eccellenza volatile ed effimero. Insomma, oggi gli scrittori e i poeti sembrano degli acchiappafarfalle, corrono dietro il mercato muniti di un magico acchiappafarfalle.

Domanda : Più specificatamente la poesia, che è assolutamente priva di mercato, come può intendersi nazional popolare?

Risposta:  gentile Flavio, la poesia non può mai essere «nazional popolare», non lo è mai stata, se non nell’Italia umbertina, una società agricola e pre-industriale con poeti come D’Annunzio e Giovanni Pascoli. Con il fascismo la società dei poeti e degli scrittori diventa un corpo a parte, separata dal resto della società. Questo è stato il guasto più grande prodotto dal fascismo sulla nostra letteratura e sulla nostra vita nazionale (di cui facciamo le spese ancora oggi), che ha approfondito i caratteri di separatezza e di distinzione della società letteraria dalla società italiana, e l’ha relegata in un limbo artificiale e artificioso.

Oggi, cioè dagli anni Novanta in poi, si è verificato e si verifica qualcosa di analogo: la società letteraria è diventata qualcosa di liquido, di evanescente, di trasparente (nel senso mediatico del termine). Gli scrittori e i poeti vanno ognuno per proprio conto alla ricerca del successo e della visibilità, degli appoggi politici con i partiti e con le istituzioni pubbliche e private. Sono ben pochi gli scrittori che possono contare su vendite tali da renderli indipendenti. Oggi, di fatto, gli scrittori sono tali in quanto sono il prodotto di investimenti che le case editrici e le istituzioni fanno sulle singole persone, sono trattati e venduti nel mercato come rappresentanti di se stessi, come personaggi politici e pubblici, non come personaggi «privati», autori dotati di autorialità ma come autori dotati di secondarietà. Mi spiego? Sono cioè dei salariati e dei disoccupati che si arrabattano alla ricerca dei bonus e dei dividenti economici diventati con la crisi economica del paese sempre più esili ed evanescenti. Di fatto, oggi i narratori, per non parlare degli autori di poesia, sono dei disoccupati costretti all’auto finanziamento e alla ricerca di finanziamenti per la propria produzione letteraria. Sono cioè dei disoccupati che vanno elemosinando dal Potere e dalle Istituzioni pubbliche e private un finanziamento, quand’anche minuscolo e irrisorio.

Il «nazional popolare» oggi è diventato un concetto dell’archeologia. Ciò che un tempo era un prodotto ideologicamente indirizzato verso l’impegno, oggi suona alle nostre orecchie come un che di archeologico. Così, tutta la poesia che reca una traccia di volontarismo, cioè di nazional popolare, oggi ci suona con un che di malinconico cliché nazional popolare.

La scrittura. Che cos’è la scrittura? Con concetti come quelli di «traccia» e di «differenza» si riflette lo scollamento del soggetto dall’enunciato, del soggetto dal discorso, di cui diventa impensabile che il soggetto fondatore coincida con il soggetto fonatore. Non c’è più identità tra il soggetto (presuntivamente fondatore di alcunché) e il soggetto fonatore. E questa differenza, questo scarto, questo recupero impossibile del soggetto da parte del soggetto incessantemente differito e dis-locato nel movimento del discorso rispetto a quel che un tempo si credeva «originario», è la nostra costituzione ontologica. Il soggetto sarà parlato e significato in una catena di significanti, in una rete che lo impiglia e lo significa. Lacan dirà che «il significante è ciò che rappresenta il soggetto per un altro significante», espressione celebre che consacra il baratro e la scissione del soggetto da se stesso. In queste condizioni di dis-locazione del soggetto da se stesso, mi chiedo: come si fa a parlare di «nazional popolare»? Oggi siamo veramente giunti agli antipodi del pre-moderno.

Io direi che oggi è nazional popolare chi si consegna al linguaggio demotico culto, cioè a quel super linguaggio che si fa oggi in Occidente e con il quale si confezionano i prodotti letterari (romanzi e poesie).

Domanda: Alcuni esempi di poesia e poeti nazional popolari?

Risposta: Ecco due esempi di linguaggio poetico nazional popolare, Valerio Magrelli tre poesie tratte dall’ultima raccolta, Sangue amaro (2015)

Le nozze chimiche

Queste che prendo gocce
con tanta religiosa compunzione
sono i miei testimoni
per le nozze col mondo.
Soltanto grazie a loro posso stringere
un patto d’amore col mondo,
perché solo con loro reggo l’urto
della sua illimitata ostilità.
Elmo fatato: mio padre non lo aveva
e morì, prima ancora di morire,
incredulo, indifeso ed indignato,
sotto i colpi del mondo.

Sul circuito sanguigno

È come nel sistema circolatorio:
il sangue è sempre lo stesso,
ma prima va, poi viene.
Noi lo chiamiamo odio, ma è solo sofferenza,
la vena che riporta
il dono delle arterie alla partenza.

Da notare il patetico dell’ultima strofa della prima poesia, dove si accenna alla morte del “padre” perché non aveva “l’elmo fatato” che avrebbe potuto proteggerlo. Ma, caro Magrelli, gli elmi fatati esistono solo nelle fiabe! (anche mio padre è morto “sotto i colpi del mondo” dopo una vita di duro lavoro; anche altri mille migliaia di padri di altre persone sono morte “sotto i duri colpi del mondo! perché non avevano “l’elmo fatato”). Mi fermo qui. Non posso fare a meno però di sottolineare l’intreccio di patetismo e di buonismo di questo finale che vorrebbe astutamente intenerire il lettore per adescarlo nel dramma tutto intimo familistico dell’autore, ma in realtà posticcio. Beh, direi troppo facile, no?, troppo corrivo e scontato:

Elmo fatato: mio padre non lo aveva
e morì, prima ancora di morire,
incredulo, indifeso ed indignato,
sotto i colpi del mondo.

Ma arriviamo al “capolavoro” del libro, la poesia sulla figura di Nicole Minetti:

L’igienista mentale:
divertimento alla maniera di Orlan

La Minetti platonica avanza sulla scena
composto di carbonio, rossetto, silicone.
Ne guardo il passo attonito, la sua foia, la lena,
io sublunare, arreso alla dominazione
di un astro irresistibile, centro di gravità
che mi attira, me vittima, come vittima arresa
alla straziante presa della cattività,
perché il tuo passo oscilla come l’ascia che pesa
fra le mani del boia prima della caduta,
ed io vorrei morirti, creatura artificiale,
tra le zanne, gli artigli, la tua pelle-valuta,
irreale invenzione di chirurgia, ideale
sogno di forma pura, angelico complesso
di sesso sesso sesso sesso sesso.

Ed ecco un altro esempio, tre poesie di Franco Buffoni:

da I tre desideri (1984)

Il lancio

Ogni inizio è sempre difficile: suonano i violoncelli.
Ma non è il primo lancio che spaventa:
la morte di certe forme risolute
in bilico come incertezze tra gli alberi.
È quello prima del congedo,
ramo binario del sogno,
rimandato e trasmesso in veglia per ordine,
da ricoprire di foglie ogni ora.
da Quaranta a quindici (1987)

Il terzino anziano

Erano invecchiati
anche quelli della sua età
con la barba verde tra i piedi
e l’odore di maglia a righe
ma lui restava in difesa,
pesante, a sentirsi i figli
crescergli contro
e vendicarsi.
da Guerra (2005)

Sotto la statua del costruttore di navi da guerra
La più grande canoa ha il motore diesel
Attraversa persino il canale
Il ponte basso coi segni dei camion
Che tentarono di passare,
Trasporta fino a cento fantaccini
Di un rito bizantino slavo.
Il culto si era diffuso
Nelle province ecclesiastiche oltre Sava
Con la madonna al centro della pala,
La tovaglia stesa ad asciugare
E su un riquadro rosso ad ombreggiare
La marca tedesca di una radio.
«Sono ostriche, comandante?»
Chiese guardando il cesto
Il giovane tenente,
«Venti chili di occhi di serbi,
Omaggio dei miei uomini»
Rispose sorridendo il colonnello.
Li teneva in ufficio
Accanto al tavolo.
Strappati dai croati ai prigionieri.

Domanda: Secondo lei come può il movimento poetico italiano uscire dall’impasse in cui si trova?

Risposta: Pubblicando gli ottimi poeti contemporanei che pur ci sono e che abbiamo pubblicato nel blog lombradelleparole.wordpress.com

Domanda: Esiste, secondo lei, una critica poetica degna di questo nome?

Risposta: No, non esiste.

giorgio linguaglossa scettico

giorgio linguaglossa 2011

Giorgio Linguaglossa è nato a Istanbul nel 1949 e vive e Roma. Nel 1992 pubblica Uccelli e nel 2000 Paradiso. Ha tradotto poeti inglesi, francesi e tedeschi tra cui Nelly Sachs e alcune poesie di Georg Trakl. Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura «Poiesis» che dal 1997 dirigerà fino al 2005. Nel 1995 firma con Giuseppe Pedota, Lisa Stace, Maria Rosaria Madonna e Giorgia Stecher il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica», pubblicato sul n. 7 di «Poiesis». È del 2002 Appunti Critici – La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte. Nel 2005 pubblica il romanzo breve Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesia La Belligeranza del Tramonto.
Nel 2007 pubblica Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia in «Atti del Convegno: È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo», Passigli, Firenze. Nel 2010 escono La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980 – 2010) EdiLet, Roma, e il romanzo Ponzio Pilato Mimesis, Milano Nel 2011, sempre per le edizioni EdiLet di Roma pubblica il saggio Dalla lirica al discorso poetico. Storia della Poesia italiana 1945 – 2010. Nel 2013 escono il libro di poesia Blumenbilder (natura morta con fiori), Passigli, Firenze, e il saggio critico Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (2000 – 2013), Società Editrice Fiorentina, Firenze. Nel 2015 escono La filosofia del tè (Istruzioni sull’uso dell’autenticità) Ensemble, Roma, e Three Stills in the Frame Selected poems (1986-2014) Chelsea Editions, New York. Ha fondato il blog lombradelleparole.wordpress.com  – Il suo sito personale è: http://www.giorgiolinguaglossa.com

e-mail: glinguaglossa@gmail.com

Flavio Almerighi foto

Flavio Almerighi

Flavio Almerighi è nato a Faenza il 21 gennaio 1959. Sue le raccolte di poesia “Allegro Improvviso” (Ibiskos 1999), “Vie di Fuga” (Aletti, 2002), “Amori al tempo del Nasdaq” (Aletti 2003), “Coscienze di mulini a vento” (Gabrieli 2007), “durante il dopocristo” (Tempo al Libro 2008), “qui è Lontano” (Tempo al Libro, 2010), “Voce dei miei occhi” (Fermenti, 2011) “Procellaria” (Fermenti, 2013). Alcuni suoi lavori sono stati pubblicati da prestigiose riviste di cultura/letteratura (Foglio Clandestino, Prospektiva, Tratti)

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