
Talvolta tuttavia si trascorreva l’estate in città facendo sul viale insieme ad altri orfani/ la coda
Petr Král nasce a Praga il 4 settembre 1941, in una famiglia di medici. Dal 1960 al ’65 studia drammaturgia all’Accademia cinematografica FAMU. Nell’agosto del 1968 trova impiego come redattore presso la casa editrice Orbis. Ma, con l’invasione sovietica, è costretto ad emigrare a Parigi, la sua seconda città per più di trent’anni. Qui, Král si unisce al gruppo surrealista, che darà un indirizzo importante alla sua poesia. Svolge varie attività: lavora in una galleria, poi in un negozio fotografico. È insegnante, interprete, traduttore, sceneggiatore, nonché critico, collabora a numerose riviste. In particolare, scrive recensioni letterarie su “Le Monde e cinematografiche” su “L’Express”. Dal 1988 insegna per tre anni presso l’”Ecole de Paris Hautes Études en Sciences Sociales” e dal ‘90 al ’91 è consigliere dell’Ambasciata ceca a Parigi. Risiede nuovamente a Praga dal 2006.
Petr Král ha ricevuto numerosi riconoscimenti: dal premio Claude Serneta nel 1986, per la raccolta di poesie Pour une Europe bleue (Per un’Europa blu, 1985), al più recente “Premio di Stato per la Letteratura” (Praga, 2016).
Tra le numerose raccolte poetiche, ricordiamo Dritto al grigio (Právo na šedivou, 1991), Continente rinnovato (Staronový kontinent, 1997), Per l’angelo (Pro Anděla, 2000) e Accogliere il lunedì (Přivítat pondělí, 2013). Curatore di varie antologie di poesia ceca e francese (ad esempio, l’Anthologie de la poésie tcheque contemporaine 1945-2002, per l’editore Gallimard, 2002), è anche autore di prosa: ricordiamo “Základní pojmy” (Praga, 2003), 123 brevi prose, tradotte in italiano da Laura Angeloni nel 2017, per Miraggi Edizioni. Attivo come critico letterario, cinematografico e d’arte, Petr Král ha collaborato con la famosa rivista “Positif “e pubblicato due volumi sulle comiche mute.

Anche da Parigi si partiva in seguito non era necessario sapere alla ricerca di che cosa perché fosse necessario
Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa
Una vastissima parte, anzi, la quasi totalità delle nostre esperienze sono esperite senza che la «coscienza» intervenga in prima persona, ma semmai essa interviene in modo autonomo e automatico. Rarissimi sono i casi della nostre esperienze nei quali interviene una mente cosciente cui abitualmente diamo il nome di «io». Questo fatto è evidentissimo quando guidiamo una automobile. Durante l’attività di guida possiamo conversare amabilmente con il nostro vicino, possiamo pensare alla lezione che abbiamo appreso il giorno prima, senza per questo che la guida ne venga disturbata, è come se ci fossero due «coscienze» una in stato di sonno che organizza la guida e una in stato di veglia, che ripensa al libro che abbiamo studiato il giorno prima. Di fatto, è evidente che noi guidiamo con una «coscienza automatica». Di fatto, la «coscienza» è del tutto inutile per lo svolgimento delle attività e dei calcoli di tutti i giorni, anzi, a volte l’impiego della coscienza potrebbe rallentare il calcolo delle azioni che stiamo facendo, come accade al un pianista che muove tutte e dieci le dita in modo meravigliosamente armonico senza che intervenga la coscienza a governare i movimenti delle dieci dita e dei pedali del pianoforte. In tutte queste attività la coscienza è perfettamente inutile, anzi, è superflua.
L’io non è la sede della coscienza, come comunemente si crede, l’io è una metafora che indica uno spazio mentale dove noi, per semplicità, poniamo l’accadere di alcune cose con il coinvolgimento della coscienza. Ma ciò è inesatto, la «coscienza» non ha sede nell’io, anzi, verosimilmente essa non ha una propria residenza, non ha un «luogo» e un indirizzo dove abita. Possiamo pensare alla coscienza come una nuvola che sta in tutte le cose, ma non è necessario affatto pensare che le cose abitino in questa nuvola, essa nuvola c’è e non c’è… interviene solo in alcuni rarissimi casi…
«Una parola così poco metaforica come il verbo inglese “to be” (essere), fu generata da una metafora. Essa deriva infatti dal sanscrito bhu, (crescere o far crescere), mentre le forme inglesi am, (io sono), e is, (è), si sono evolute dalla stessa radice del sanscrito asmi (respirare). Fa piacere scoprire che la coniugazione irregolare del verbo inglese più banale conserva un ricordo del tempo in cui l’uomo non possedeva una parola a sé per «esistenza» e poteva dire solo che qualcosa «cresce» o «respira». Ovviamente, noi non siamo coscienti che il concetto di essere è generato in tal modo da una metafora riguardante la crescita e la respirazione. Le parole astratte sono antiche monete le cui immagini concrete sono state logorate dall’uso nel continuo scambio del discorso». 1]
Nelle poesie che seguono di Petr Král abbiamo un mirabile esempio di scrittura poetica «semiautomatica», pensata sul filo di una coscienza non cosciente, o meglio, della coscienza semiautomatica che è in atto in noi in ogni momento della nostra giornata, ed anche nei sogni. La scrittura poetica di Petr Král è molto vicina a quella cosa che noi pensiamo debba essere la poesia di oggi: una scrittura che nasce dalla memoria semiautomatica della coscienza irriflessa, fitta di polinomi frastici instabili, nei quali sarebbe tempo perso andare a cercare il senso delle singole proposizioni o dell’insieme con un occhiale neoverista e neorealista, come è in uso nella tradizione della poesia italiana degli ultimi decenni. La promiscuità degli attanti e delle locuzioni che ne derivano è una caratteristica fondante di questo tipo di forma-poesia.
1] Julian Jaynes, Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza, Adelphi, 1976 p. 74
Herméneutique de Giorgio Linguaglossa – (traduzione di Edith Dzieduszycka)
Une large part, je dirais même la quasi totalité de nos expériences s’effectue sans qu’intervienne la “conscience” en première personne, mais a lieu de façon autonome et automatique. Rares sont les cas qui concernent nos expériences au cours desquelles intervient un esprit conscient que nous appelons habituellement “je”. Ceci est particulièrement évident lorsque nous conduisons une voiture. Ce faisant nous pouvons bavarder aimablement avec notre voisin, penser à la leçon apprise le jour avant, sans que pour autant notre conduite en souffre; il semblerait donc qu’il existe deux “consciences”, l’une en état de sommeil qui s’occupe de la conduite, l’autre en état de veille, qui repense au livre que nous avons étudié le jour avant. Il est donc évident que nous conduisons sous l’effet d’une “conscience automatique”. La “conscience” est ainsi complètement inutile au développement des activités et des calculs quotidiens; l’emploi de la conscience pourrait au contraire ralentir le calcul des actions que nous sommes en train d’accomplir, comme il arrive au pianiste qui remue les dix doigts de façon merveilleusement harmonieuse sans qu’intervienne la conscience à gouverner ses dix doigts e les pédales du piano. Pour toutes ces activités la conscience est parfaitement inutile, elle est même superflue.
Le “je” n’est pas le siège de la conscience, comme nous le croyons généralement; le “je” est une métaphore qui indique un espace mental où, par simplicité, nous posons sur le mme plan le fait que se produisent certaines choses et la participation de la conscience. Mais cela est inexact, la “conscience” ne siège pas dans le “je”, vraisemblablement elle ne possède au contraire aucune résidence propre, ni un “lieu” ou une adresse où résidter. Nous pouvons penser à la conscience comme à un nuage présent en toutes choses, mais il n’est absolument pas nécessaire de penser que les choses habitent ce nuage, ce nuage existe, sì e no, il n’intervient que dans certains cas extrêmement rares…
“Une parole aussi peu métaphorique comme le verbe anglais “to be” (être), provient d’une métaphore. Elle dérive en effet du sanscrit bhu (croître ou faire croître), tandis que les formes anglaises am (je suis) e is (est), ont évolué à partir de la même racine du sanscrit asmi (respirer). Il est agréable de découvrir que la conjugaison irrégulière du verbe anglais le più banal conserve un souvenir du temps où l’homme ne possédait pas une parole en soi pour “existence” et pouvait seulement dire que quelque chose “croît” ou “respire”. Nous ne sommes évidemment pas conscients du fait que le concept d'”être” nait ainsi d’une métaphore concernant la croissance et la respiration. Les paroles abstraites sont des monnaies anciennes dont les images concrètes sont consumées par l’usage continuel du discours et de ses échanges”.
Dans les poésies ci-dessous de Petr Král nous avons un excellent exemple d’écriture poétique “semi-automatique”, pensée sur le fil d’une conscience non consciente, ou mieux encore, de la conscience semi-automatique qui fonctionne en nous à chaque instant de la journée, et également dans les rêves. L’écriture poétique de Petr Král est très proche de ce que nous pensons être la poésie d’aujourd’hui: une écriture qui nait de la mémoire semi-automatique de la conscience non reflétée, pleine de polynômes ….. instables, dans lesquels il serait inutile de perdre son temps à la recherche du sens de chaque proposition ou de l”ensemble, enfourchant des lunettes néo-véristes et néo-réalistes, comme celles employées dans la tradition de la poésie italienne des dernières décennies. La promiscuité des attants et des locutions qui en dérivent est une caractéristique fondamentales de ce type de forme-poésie.
Ce qui s’est passé de Petr Král, con pitture di Vlasta Voskovec, 2017.
Et voilà soudain il ne reste pas grand-chose Nadia fut trouvée noyée
sous une écluse Prokop a fini de respirer malgré la bouteille d’oxygène
Karel Š. a disparu à jamais dans la forêt
Moi-même d’un seul coup d’œil retourné depuis les boîtes à lettres
vers l’escalier j’ai vu se dissiper d’emblée quarante ans de vie en France
Avec l’arrivée de Miloš vint une animation nouvelle une fois
il s’est levé pour marcher d’un pas incertain parmi les verres sur la table
sans savoir lui-même jusqu’où
Prokop pendant les séances de vendredi s’appuyait au mur
et pratiquait le théâtre tel qu’il l’a toujours voulu faire
dans ses seules paroles et grimaces
L’essentiel était de rendre rayonnante la rouille du monde
ou du moins d’être là quand en fin d’été
avec le soleil elle rentrait de biais dans les salles d’un bois
*
Ed ecco che all’improvviso non rimane gran ché Nadia fu trovata annegata
sotto una chiusa Prokop ha finito di respirare malgrado la bombola di ossigeno
Karel Š. è scomparso per sempre nella foresta
Io stesso in un colpo d’occhio ritornato indietro dalle cassette della posta
verso le scale ho visto dissiparsi così quarant’anni di vita in Francia
Con l’arrivo di Miloš accadde una nuova animazione una volta
si alzò per camminare con un passo incerto tra i bicchieri sul tavolo
senza sapere egli stesso fin dove
Prokop durante le sedute del venerdì si appoggiava al muro
e praticava il teatro come ha sempre voluto farlo
con le sue sole parole e smorfie
L’essenziale era di rendere raggiante la ruggine del mondo
o almeno di essere lì quando alla fine dell’estate
con il sole tornava di sbieco nelle stanze d’un bosco
*
Il fallait disperser par le monde
même la mémoire sursaturée faire passer la mémorable
[goutte d’un sang partagé fraternellement
sur son doigt devant le poussiéreux JE sans maître
dans un tunnel du métro parisien
De Paris aussi on partait par la suite il n’était pas nécessaire de savoir à la quête de quoi
pour que ce soit nécessaire
traîner la nuit vers Barcelone par des autoroutes désertes
dans un miroitement à perte de vue de flocons de neige
et d’étoiles çà et là longer en route des pêcheurs inconnus un boucher préludant dans un [verger à un affrontement décisif
avec sa propre planète de viande suspendue
au voyage de retour voir les miroirs
dressés au seuil des maisons près des frontières
Parfois cependant on passait l’été dans la ville faisant sur le boulevard avec d’autres orphelins
la queue pour le tabac pour la fin du dimanche
[et pour rien
Les ambulances passaient sans s’arrêter peut-être en route vers une autre métropole
au ciel apparaissaient le soir de distants messages
sans destinataire
On avait alors laissé également derrière soi
des villes entières d’accessoires usés d’accordéons dégonflés de genouillères
et de balles de tennis éraflées
du fond le plus secret nous en parvenait jusqu’à l’éclat
d’une enclume mère immaculée
avant que quelqu’un ne commence à compter fermement
pour lancer le morceau suivant
*
Bisognava disperdere per il mondo
perfino la memoria soprasatura fare passare la memorabile
goccia d’un sangue fraternamente condiviso
sul suo dito davanti al polveroso IO senza padrone
in un tunnel della metropolitana parigina
Anche da Parigi si partiva in seguito non era necessario sapere alla ricerca di che cosa
perché fosse necessario
trascinare la notte verso Barcellona su autostrade deserte
in un luccichio a perdita d’occhio di fiocchi di neve
e di stelle qua e là costeggiare lungo la strada pescatori sconosciuti un
macellaio che prelude in un frutteto a uno scontro decisivo
con la sua propria pianeta di carne sospesa
al viaggio di ritorno vedere gli specchi
issati sulla soglia delle case vicino alle frontiere
Talvolta tuttavia si trascorreva l’estate in città facendo sul viale insieme ad altri orfani
la coda per il tabacco per la fine della domenica
e per niente
Le ambulanze passavano senza fermarsi, forse in marcia verso un’altra metropoli
nel cielo apparivano la sera lontani messaggi
senza destinatari
Si erano allora lasciati dietro di sé
intere città di accessori usati di fisarmoniche sgonfiate
di ginocchiere
e di palle da tennis graffiate
dal fondo più segreto ce ne giungeva fino allo scoppio
d’una incudine madre immacolata
prima che qualcuno non inizi a contare con fermezza
per lanciare il pezzo seguente
*
Standa me disait tu te protèges le visage
comme si la menace venait du dehors
On se penchait ensemble sur le jeu des petits papiers
tout come sur les cravates le clair-obscur s’écartait
ma celle en fibres de fougère restait enfouie à jamais
dans les année vingt
Après le toast de minuit le vieux Perahim tout à coup
regarda alentour d’un oeil interrogateur : Qu’allons-nous faire
avec le monde ?
Même de la Russie où jadis il avait fui Hitler
il a du plus tard presque s’échapper
Mayo bien qu’entouré à present
d’un monde de succédanés se nourrissait jusqu’à la fin
du beurre et des oeufs tels que dans un matin d’été
il les vit en Grèce étalés sur des chaises
au seuil des maisons près du port
Nous on regardait aussi parfois
en face nos maître et mentors
peu à peu jour aux premiers éclairs d’un orage
on part d’un rire soulagé au-dessus de l’assiette
vers laquelle on s’incline bien loin d’eux
*
Standa mi diceva tu proteggi il tuo viso
come se la minaccia venisse dall’esterno
Ci chinavamo insieme sul gioco dei piccoli giornali
come sulle cravatte il chiaroscuro si scostava
ma quella in fibra di felce restava seppellita per sempre
negli anni venti
Dopo il brindisi di mezzanotte il vecchio Perahim all’improvviso
si guardò attorno con un occhio interrogativo: Che cosa ne faremo
del mondo?
Perfino dalla Russia dove una volta era fuggito Hitler
ha dovuto più tardi quasi scappare
Mayo benché circondato adesso
da un mondo di succedanei si nutriva fino alla fine
di burro ed uova tal ché in una mattina d’estate
le vide in Grecia appoggiate su delle sedie
sulla soglia delle case accanto al porto
Anche noi a volte guardavamo
di fronte nostri maestri e mentori
a poco a poco ai primi lampi d’un temporale
iniziamo con una risata sollevata sopra il piatto
verso il quale ci si inchina ben lontano da loro

[Petr Král] Gli altri a volte venivano egualmente ad accoglierci alla stazione dei treni, sì…
*
Les autres quelquefois venaient également nous accueillir
à la gare oui c’était toujours nous quand aprés la traversée de l’océan
je descend de l’avion en tenue de tennis
Prokop et Vlasta me tendent une balle pour ce jeu
qui ètait tombée dans leur cave par un hublot ouvert
A Sázava le visage en sang
je frappais à la porte derrière laquelle je vous croyais faire la fête
sans moi
au fond d’un vieux tacot par la suite
je frissonnais tout seul baigné de clair de lune
dont la pâleur dèvolait notre nudité
et l’enrobait mieux que le soleil ce tuteur rigolard
qu’on laissait volontiers aux sportifs et aux ingénieurs en lunette moires
Dans la journée de même que vous beautés
on habillait un peu notre viande
pour l’empêcher de trop s’égarer Il arrivait même qu’on la rende si pimpante
qu’elle nous surveillait à son tour elle revenait pourtant toute loqueteuse
de même que nous
Vous suite à nos visite de votre chair
vous retirez parfois derrière le seul horizon
des lignes dans vos lettres
Toute une ville neuve accompagnait au retour
Chacune de ses maisons bien sur ètait un garde-robe à part
auquel il nous fallait s’atteler Sans se faire reconnaitre
laisser la ville bien s’incruster dans la masse de nos èpaules
*
Gli altri a volte venivano egualmente ad accoglierci
alla stazione dei treni, sì, eravamo sempre noi quando, dopo la traversata dell’oceano,
scendo dall’aereo con l’attrezzatura da tennis
Prokop e Vlasta mi tendono una palla per questo gioco
che era caduta nella loro cantina da un oblò aperto
A Sazava la faccia insanguinata
bussavo alla porta dietro la quale vi credevo festeggiando
senza di me
in fondo a un vecchio catorcio in seguito
io rabbrividivo tutto solo, impregnato di chiaro di luna
il cui pallore svelava la nostra nudità
e la vestiva meglio del sole, questo guardiano ridacchiante
che lasciavamo volentieri agli sportivi e agli ingegneri con gli occhiali da sole
In quel giorno così come voi bellezze
vestivamo un po’ la nostra carne
per impedirgli di smarrirsi troppo Accadeva perfino che la si rendeva così allegra
che lei a sua volta ci osservava lei tornava tuttavia tutta sbrindellata
proprio come noi
In quanto a voi in seguito alle nostre visite alla vostra carne
vi ritirate a volte dietro il solo orizzonte
delle linee nelle vostre lettere
Un’intera città nuova accompagnava al ritorno
Ciascuna delle sue case era ovviamente un guardaroba a parte
che dovevamo affrontare Senza farsi riconoscere
lasciare che la città si radichi bene nella massa delle nostre spalle
*
Le voyage dèsormais se poursuivait par à-coups
sans poutant s’arréter Même si centains d’entra nous se mariaient fondaient des familles
voire s’installaient dans leur propre pavillon
avec jardinet lui pouvait émerger en rivière souterraine
aux endroits le plus imprévus
et dans les contrées le plus lointaines On se dèpassait à bord de voiture étrangères
sur des plaines toujours plus proches du Sud
jusqu’à s’installer ensemble sur les Ramblas
devant un verre de vieux porto et des cartes postales d’une fraicheur estivale
pour nos psychanalystes
Une autre fois on ne se cachait et se retrouvait mutuellement
que dans les bistros d’un même quartier
Il fallait che je vienne à Lyon
pour surprendre dans l’ombre d’une entrée de fraiches èclaboussures de lumière
et pour voire dans un parc une ultime giclée de soleil
couler su un arbre comme un signe distant de l’inaccessibile nudité
*
Il viaggio oramai procedeva a singhiozzo
senza potersi fermare Anche se alcuni di noi si sposavano
fondevano famiglie
si sistemavano perfino nel loro proprio padiglione
con il giardinetto lui poteva emergere come fiume sotterraneo
nei posti più imprevisti
e nelle contrade più lontane Ci si superava a bordo di macchine straniere
sopra pianure sempre più vicine al Sud
fino a stabilirsi insieme sulle Ramblas
davanti a un bicchiere di vecchio porto e cartoline d’une freschezza estiva
per i nostri psicanalisti
Un’altra volta ci si nascondeva e ci si ritrovava soltanto
nei bistrot d’uno stesso quartiere
Dovevo venire a Londra
per sorprendere nell’ombra d’un ingresso freschi spruzzi di luce
e per vedere in un parco un ultimo schizzo di sole
sgocciolare su un albero come un segno distante d’inaccessibile nudità
Petr Král, Ce qui s’est passé, peintures de Vlasta Voskovec, collection l’Orpiment, le Réalgar, 2017, 56 p., 14€.
[Cosa è successo di Petr Král, con dipinti di Vlasta Voskovec collezione Orpiment, Realgar, 2017, 56 p., 14 €.]
Co se stalo
A prosím najednou toho moc nezbývá Naďu našli utopenou
pod jezem Prokop dodýchal vzdor kyslíkové bombě
Karel Š. navždy zmizel v lese
Já jsem se v jediném pohledu od schránek
zpátky ke schodům viděl naráz rozplynout čtyřicet let života ve
Francii
Milošův příjezd přinesl nové oživení jednou vstal a prošel tápavě po
stole
mezi sklenicemi sám ani nevěděl kam až
Prokop se při pátečních sezeních opíral o zeď
a rozehrával divadlo jak ho vždycky chtěl dělat
jen ve svých sólových řečech a grimasách
Hlavní bylo rozzářit rez světa
nebo aspoň být při tom když koncem léta
vnikala příčně se sluncem do lesních sálů
*
I přesycenou paměť bylo třeba rozptýlit po světě
provézt dávnou kapku bratrsky sdílené krve
na prstu kolem zaprášeného Já (JE)
bez pána v tunelu pařížského metra
Taky z Paříže jsme pak vyjížděli dál nemuseli jsme vědět za čím
aby to bylo nutné
táhnout v noci pustou vozovkou k Barceloně
za nedohledného míhání vlhkých sněhových vloček
a hvězd tu a tam míjet v krajině neznámé rybáře řezníka jak se na
sadu chystal k rozhodnému střetnutí
s vlastní visací planetou masa
při zpáteční cestě vidět před domy u hranic
vyložená zrcadla
Někdy jsme přesto na léto zůstali ve městě stáli tu na bulváru s
ostatními zbylými
frontu na tabák na konec neděle
a na nic
Sanitky projížděly bez zastavení snad na cestě do jiné metropole
večer vyvstávaly na nebi neúčastné zprávy
bez adresáta
To už jsme měli za zády i celá města zaprášených rekvizit odřených
tenisáků
a nákolenek vytahaných harmonik
zhloubi k nám odtamtud dolehl i lesk nedotčené matky kovadliny
než někdo rázně odpočítal začátek dalšího kousku
*
Standa mi říkal zakrýváš si tvář
jako by ohrožení přicházelo zvenčí
Shýbali jsme se spolu nad papírky hry na sekretář
i nad kravaty šero ustupovalo
ale ta utkaná z pravého kapradí zůstala daleko odtud
ve dvacátých letech
Starý Perahim se po půlnočním přípitku náhle tázavě rozhlédl: Co
uděláme se světem?
I z Ruska kam utekl před Hitlerem musel pak málem uprchnout
Mayo se i ve světě náhražek do konce živil máslem a vajíčky
jak je kdysi v Řecku v letním ránu
viděl vyložené na židlích před domky u přístavu
Občas jsme se dívali do tváře i učitelům
postupně jsme se ale od nich odvraceli
až se jednou do prvních hromů bouřky úlevně rozchechtáme nad talířem
kam se skláníme daleko od nich
*
Někdy nás taky druzí přišli uvítat k vlaku
ano pořád jsme to byli my když přes moře přiletím v tenisovém dresu
podají mi Prokop s Vlastou tenisák který k nim vpadl oknem do sklepa
za pohnutých dnů vlády Karla Šebka
Na Sázavě jsem s krvavou tváří tloukl do dveří v domnění
že za nimi pořádáte mejdan beze mne
sám jsem se pak uvnitř starého auta
třásl v měsíčním světle to svou bledou září odhalovalo naši nahotu
a obtékalo ji lépe než slunce ten roztlemený poručník
jehož jsme rádi přenechali sportovcům
a inženýrům v černých brejlích
Přes den jsme stejně jako vy samy
svého naháče trochu oblékali
aby se nezaběhl moc daleko Občas jsme ho přímo vyparádili
to pak zas hlídal on nás Tak jako tak se nicméně vracel v cárech
stejně jako my
Vy jste se po našich návštěvách ve vašich tělech
někdy stáhly jen za obzor řádků v dopisech
Vracely jste se pak v doprovodu celého nového města
Každý dům to se ví byl jiný šatník
do něhož nám zbývalo se zapřáhnout Nepoznáni
se město nechat uvelebit ve valu svých ramen
*
Intervista a Petr Král:
Non mi riconosco più nelle città ma piuttosto nel ricordo di ciò che sono state le città
[Václav Richter 31 marzo 2007]
“Sono un passante nelle città”, dice il poeta Petr Král, e il paesaggio urbano è una fonte importante di ispirazione per lui. Nato nel 1941 a Praga, ha vissuto dal 1968 a Parigi ed è diventato un poeta ceco francofono. Influenzato dal surrealismo, questo amatore del cinema e Buster Keaton ha iniziato a costruire un discreto lavoro poetico che si nutre di vita quotidiana e rinfresca la realtà con uno sguardo penetrante e distante. Il poema non è per lui un semplice oggetto estetico da ammirare, ma un mezzo per rivelare qualcosa che permetta agli altri di ripensare o prolungare determinate esperienze. Pubblica successivamente una serie di raccolte di poesie e libri prosaici che riflettono i suoi numerosi viaggi. Oggi Petr Král vive a Praga e le sue relazioni con la letteratura e la cultura ceche sono ripristinate. Traduttore e autore di antologie di poesia ceca, è un vero ambasciatore di questa poesia in Francia. Anche i suoi libri sono spesso pubblicati in francese e in ceco. E le città rimangono il tema preferito delle sue poesie.
Quali città hanno avuto un ruolo importante nella tua vita?
“Praga e Parigi, perché queste sono le città in cui ho vissuto abbastanza a lungo, ma anche le città che ho visitato con una certa regolarità, che mi attirano al punto che ci torno quasi ogni anno, sono città europee. E non so perché molte di queste città inizino con B, Bruxelles, Barcellona, Brno, per esempio.”
Cosa deve avere una città per ispirarti una poesia?
“Ah … Ogni città può ispirare un poema. Il poema può essere ispirato da un momento. Ma le città che hanno un’attrazione più stabile, più permanente per me sono senza dubbio le città che mantengono un mistero, stavo per dire un mistero nelle loro stesse strutture. Vale a dire le città riccamente articolate con diversi quartieri, mondi diversi che racchiudono e con abbastanza carattere, colore, anche se questo colore può essere il grigio di una certa intensità. ”
Sei un «passante urbano», come dici tu. Sei anche un esploratore, qualcuno che cerca qualcosa di nuovo? Quando cammini in una città, ti lasci semplicemente immergere in questa città o hai già un certo obiettivo, vuoi trovare qualcosa?
“Inventiamo obiettivi ma penso che questi siano fondamentalmente dei pretesti che abbiamo creato per poter tornare in città. Ho un esempio: durante il mio primo – forse secondo – soggiorno a Barcellona, mi sono sistemato in una piccola pensione che si trovava proprio di fronte a un piccolo negozio che mi ero ripromesso di esplorare in dettaglio durante tutto il mio rimanere. Ma alla fine ho scoperto che non l’avevo fatto, e che il giorno della mia partenza, il negozio era chiuso, quindi questa volta non l’avrei esplorato. Ma ero quasi sollevato perché pensavo che fosse una buona scusa per tornare in città. ”
Senti qualcosa che potresti chiamare “nostalgia per le città”?
“Al momento sì, perché quello che mi ha attratto verso le città sta gradualmente scomparendo come neve che si scioglie al sole. Negli ultimi anni, da quando diciamo quindici anni, le città sono sempre più uniformi, perdono, ciò che è peggio, il loro lato rattoppato, diventano non solo uniformi ma anche uniti, sono simili tra loro. Sono anche simili all’interno, un quartiere si avvicina all’altro. Inoltre sono ristrutturate in modo da cancellare pericolosamente le tracce di memoria che sono una delle prime attrazioni della città. In breve, non mi riconosco nelle città, ma piuttosto nel ricordo di ciò che erano le città. E credo di non essere il solo, che anche i turisti che completano la distruzione delle città, non trovano nemmeno le tracce del passato che vengono a prendere.”
Hai recentemente pubblicato una raccolta chiamata “Survey of Places”, c’è anche una questione di città?
“Non è una collezione, è una prosa, anche se include anche alcune poesie in più. Le città sono importanti in questo libro. È una specie di traiettoria che rintraccia, dai primi posti che mi ha segnato ad altri che sono più recenti, e sono quasi sempre luoghi urbani. Non solo case ma anche magazzini, hotel, a volte semplici finestre ma è soprattutto nelle città che succede. ”
Possiamo essere più concreti? Quali città sono?
“Sono necessariamente Praga e Parigi…
André Breton, nel primo Manifesto Surrealista del 1924, definì così la scrittura automatica: «Automatismo psichico puro, attraverso il quale ci si propone di esprimere, con le parole o la scrittura o in altro modo, il reale funzionamento del pensiero, sottratto al controllo della ragione e ad ogni preoccupazione etica o estetica.» Ma che cos’è il pensiero sottratto al controllo della ragione? Sentimento, emozione, sogno, follia, coscienza alterata da stupefacenti, delirio controllato e osservato, “paranoia critica” (Dalì)? O, estendendo i confini, l’intensificazione espressionista con cui Celan o Char (transitati attraverso il surrealismo) danno espressione al naufragio dell’essere nel nulla, del pensiero nel caos dell’irrappresentabile e ineffabile, Kafka rende quasi tangibile l’indecifrabile assurdità e oscurità della condizione umana, Beckett ne connota le dinamiche psico-emotive che inavvertibilmente e inesorabilmente fanno transitare i suoi attanti nel post-umano, o William Burroughs (Beat Generetion) con la tecnica definita “cut-up” assembla in un unico registro espressivo, con straordinaria intensificazione espressiva, narrazione e delirio psichedelico?
Come Breton ha capito, il surrealismo è una dimensione psico-emozionale ed estetica eterna e universale, presente nelle più lontane epoche e atmosfere culturali, che ha prodotto risultati creativi estremamente eterogenei, impossibili da valutare con codici estetici o assiologici tradizionali.
Paul Eluard fu uno dei maggiori componenti del gruppo dei surrealisti storici, fra i primi ad entrare in contatto con Breton, con cui scrisse poesie, ” Ralentir le traveaux” (con Rene Char) e prose sperimentali su simulazioni di stati di patologie psichiche, ” L’immacule conception”. Il distacco avvenne dopo la seconda guerra mondiale, per disaccordi politici. Nei suoi testi la sovversione e dilatazione di codici e confini espressivi viene ottenuta con la violenta fusione di elementi verbali appartenenti a campi semantici incompatibili, da cui sorgono metafore dotate di inaudita e ineffabile tensione icastica, come nel testo che segue, illustrazione di un dipinto di Max Ernst.
In un angolo l’incesto agile
fa la ruota ad una piccola vergine veste.
In un angolo il cielo liberato
agli spini del turbine lascia candide sfere.
In un angolo più chiaro d’ogni sguardo
si attendono i pesci d’angoscia.
In un canto la vettura di verzura dell’estate
immobile gloriosa e per sempre.
Al chiarore della gioventù
luci accese tardissimo
la prima mostra il seno
che insetti rossi uccidono.
P. Eluard
Fra gli eredi spagnoli dei surrealisti francesi, Rafael Alberti ha composto uno dei libri più significativi, ” Degli angeli “, in cui la suggestione onirica di icone e scenografie diventa anche denuncia e ricomposizione di aporie e confini linguistici e culturali, con inauditi e vertiginosi risultati di sconfinamento psico-ideologico.
Non aveva la rosa compleanni o l’arcangelo.
Tutto, anteriore al pianto ed al belato.
Quando ancora la luce non sapeva
se il mare nascerebbe maschio o femmina.
Quando il vento sognava chiome da pettinare
e garofani il fuoco e gote da infiammare
e l’acqua, delle labbra ferme a cui abbeverarsi.
Tutto, anteriore al corpo, al nome e al tempo.
Allora, io ricordo che, una volta, nel cielo…
Passeggiava con l’abbandono di giglio che mediti,
o quasi d’uccello che sappia di dover nascere.
Senza vedersi si guardava in una luna
a cui il sogno faceva da specchio,
in un silenzio di neve che le innalzava i passi.
Affacciata a un silenzio.
Era anteriore all’arpa, alle parole, alla pioggia.
Non sapeva.
Bianca alunna dell’aria,
tremava con le stelle,con il fiore e con gli alberi.
Il suo stelo, la verde sua cintura.
Con le mie stelle
che, di tutto ignoranti,
per scavar nei suoi occhi due lagune
lei in due mari annegarono.
E ricordo…
Niente più: morta, sparire.
Rafael Alberti
Per Federico Garcia Lorca, l’adesione al surrealismo fu l’esito naturale d’un processo di intensificazione di procedure euristiche e introspettive che, dalle atmosfere naturalistiche e dal misticismo pagano dei primi tempi, lo condussero a comporre con ” Il poeta a Nuova York ” una visione critica e delirante del paesaggio angosciante e disumano, smisurato e violento della metropoli asservita all’ideologia del consumismo, uno dei vertici, ancora attuale, della poesia universale.
CTTA’ INSONNE
Non dorme nessuno nel cielo.
Nessuno, nessuno.
Non dorme nessuno.
Le creature della luna fiutano e girano intorno alle capanne.
Verranno le iguane vive a mordere
gli uomini che non sognano,
e quello che fugge con il cuore rotto incontrerà agli angoli
l’incredibile coccodrillo quieto
sotto la dolce protesta degli astri.
Non dorme nessuno nel mondo.
Nessuno, nessuno.
Non dorme nessuno.
C’è un morto nel più lontano cimitero
che da tre anni si lamenta
perché ha un paesaggio secco nel ginocchio,
e il bambino che hanno seppellito stamattina piangeva tanto
che bisognò chiamare i cani perchè tacesse.
Non è sogno la vita! Sveglia! Sveglia! Sveglia!
Precipitiamo dalle scale per mangiare la terra bagnata
o saliamo al margine della neve con il coro delle dalie morte.
Ma non c’è oblio né sonno:
carne viva. I baci legano le bocche
in un groviglio di vene recenti
e, a chi gli duole, il suo dolore gli dorrà senza tregua
e, chi teme la morte, se la porterà sulle spalle. Un giorno
i cavalli vivranno nelle taverne e le formiche infuriate
aggrediranno i cieli gialli che si rifugiano negli occhi delle vacche.
Un altro giorno
vedremo la resurrezione delle farfalle dissecate
e andando in un paesaggio di spugne grigie e di navi mute
vedremo brillare il nostro anello e scaturire farfalle dalla nostra lingua.
Sveglia! Sveglia! Sveglia!
Quelli macchiati ancora di fanghiglia e acquazzone,
quel ragazzo che piange perché non sa l’invenzione del ponte
o quel morto cui rimane soltanto la testa e una scarpa,
bisogna portarli al muro dove stanno in attesa iguane e serpenti,
dove aspetta la dentatura dell’orso,
dove aspetta la mano mummificata del bambino
e la pelle del cammello s’arriccia con un violento brivido azzurro.
Non dorme nessuno nel cielo. Nessuno, nessuno.
Non dorme nessuno.
Ma se qualcuno chiude gli occhi,
frustatelo, figli miei, frustatelo!
Permanga un panorama di occhi aperti
e amare piaghe accese.
Non dorme nessuno nel mondo. Nessuno, nessuno. Ve l’ho detto. Non dorme nessuno.
Ma se qualcuno nella notte ha troppo musco alle tempie,
aprite le botole affinché veda sotto la luna
i bicchieri falsi, il veleno e il teschio dei teatri.
Federico Garcia Lorca
Concludo con un mio testo in cui ripropongo la stessa dilatazione-dissoluzione semantica, tentando d fondere misticismo e ansia di liberazione e sovversione.
IL TEMPIO DEGLI ASSASSINI
Sospiri
Immobile amplesso d’incenso
dal muto grido verticale
Arcangeli di gelo s’infrangono
contro le vetrate in pianto
C’è chi dissolve i suoi pensieri
in un infinito di bambina oscura
e chi agonizza con un frammento
d’abisso nella gola
La donna dell’amore rinnega
i misteri di Chopin
quando minuscoli demoni incastrati nel tempo
cadono dal tumulto dei suoi pensieri
e scivolano sul suo corpo di memoria di sagrestia
I confini del paradiso scompaiono
nella vertigine crescente
in fondo a cui un bambino pazzo
uccide nuvole e desideri
Nel cuore di sogno o di sesso dell’Universo
qualcuno a capo chino aspetta
sotto il peso del nulla
o di una qualunque solitudine
In un sogno di azzurro senza ragione
la dolce ferita di Gesù
Un fruscìo di astri divelti
sulle sconvolte nudità della musica
Una sera d’antiche preghiere
raccoglie le infinite felci del silenzio
nell’eterna imminenza di eclissi universale
Ad ogni curva di violino
la morte ridiventa rosa
La soggettività, la coscienza, l’arte, la poesia, la sopravvivenza della specie umana, il principio antropico
Anche per rispondere al signor Giovanni Ragno,
https://lombradelleparole.wordpress.com/2018/10/17/cinque-poesie-inedite-di-petr-kral-1941-ce-qui-sest-passe-testi-originali-in-ceco-e-francese-traduzione-in-italiano-a-cura-di-giorgio-linguaglossa-e-edith-dzieduszycka-l/comment-page-1/#comment-38821
dirò che, in primo luogo, la poesia cambia con il mutare della soggettività, della coscienza e, in secondo luogo, con il mutare del linguaggio.
Una nuova soggettività ha bisogno di un nuovo linguaggio.
Per esempio, con il linguaggio di Zanzotto non riuscirei a dire una cosa semplice semplice come quel verso che mi è venuto in mente nel dormiveglia ieri:
La balena ha i denti bianchi.
Cercare in questa frase la musicalità mi sembra un atto di ingenuità, la frase è manifestamente anipoetica, esula dal linguaggio centralizzato sull’io come quello che è andato di moda nei cinquanta anni trascorsi e che tuttora miete vittime sacrificali… quel linguaggio era ed è una superfetazione letteraria di nessun valore cognitivo, detto in altre parole, non significa nulla, è asemantico.
In queste poesie di Petr Kral, uno dei poeti europei di maggiore talento, è evidente che qui siamo in un concetto di soggettività molto diverso da quello, che so, di un qualsiasi poeta italiano degli ultimi decenni ante nuova ontologia estetica. La poesia non è un algoritmo che può essere fabbricato con un computer (con buona pace dell’esperimento che Nanni Balestrini fece negli anni sessanta!).
In un universo che può essere riprodotto da una serie finita di algoritmi, quello che non può essere riprodotto nell’universo è proprio il non-algoritmo della forma-poesia!
Il non-algoritmo è alla base di tutti gli algoritmi matematici e linguistici che formano l’universo.
Molte menti piccole si sono chieste in questi decenni:
A che cosa serve la poesia?
Io rispondo dando la parola a Roger Penrose il quale pone la domanda seguente:
«A che cosa serve la mente? – Quale vantaggio selettivo conferisce una coscienza a coloro che la posseggono?».
Dirò che l’arte, la poesia non offrono nei brevi e medi tempi nessun vantaggio selettivo alla specie umana, ma è sui tempi lunghi o lunghissimi che esse riflettono la propria fondamentalità. Semplicemente, l’homo sapiens non potrebbe esistere, mantenersi in vita senza arte. Mi sembra un buon argomento contro le piccinerie intellettuali dei deboli di mente i quali hanno asserito gozzovigliando la inutilità dell’arte. L’arte è non solo utile, ma addirittura fondamentale per le esigenze fondamentali della psiche umana, per la sua soggettività, per il suo equipaggiamento intellettuale.
Do la parla di nuovo a Penrose:
«Nel formulare la domanda in questo modo ci sono vari assunti impliciti. Innanzitutto c’è la convinzione che la coscienza sia di fatto una “cosa” descrivibile scientificamente, e inoltre che essa “faccia” effettivamente “qualcosa”, e inoltre che ciò che essa fa sia equivalente in tutto ma priva della coscienza si comporterebbe in un qualche modo meno efficace. D’altra parte, si potrebbe credere che la coscienza… non “faccia” nulla… Oppure, all’opposto, il fenomeno della coscienza potrebbe avere un qualche fine divino o misterioso – forse un fine teologico che non ci è stato ancora rivelato… Un po’ preferibile, a mio modo di vedere, sarebbe una versione un po’ più scientifica di questo argomento, ossia il principio antropico, il quale asserisce che la natura dell’universo in cui ci troviamo è fortemente vincolata dalla richiesta che esseri intelligenti come noi stessi debbano essere realmente presenti per osservarlo.»
1] R. Penrose, La mente nuova dell’imperatore, 1989, trad. it. 2000 Bur scienza, p. 512
Un brano musicale dedicato a Petr Král
Duke Ellington (Washington 1899 – New York 1974)
Cotton Tail (1940), pensando a “I Got Rhythm” di George Gershwin…
La poesia di Petr Král è cambiata perché il mondo è cambiato
https://lombradelleparole.wordpress.com/2018/10/17/cinque-poesie-inedite-di-petr-kral-1941-ce-qui-sest-passe-testi-originali-in-ceco-e-francese-traduzione-in-italiano-a-cura-di-giorgio-linguaglossa-e-edith-dzieduszycka-l/comment-page-1/#comment-38848
Ho parlato ieri con una poetessa molto intelligente la quale mi diceva del suo non riuscire ad apprezzare la poesia di Petr Král. La cosa non mi stupisce affatto, anzi, questo conferma le mie supposizioni circa il clima di ostilità e incomprensibilità che un nuovo oggetto estetico provoca se inserito in un contesto culturale e di gusto invecchiato, o comunque non aggiornato. Ecco perché io sarei dell’opinione di parlare, in Italia, della nascita di un Nuovo Paradigma Stilistico in poesia. Il Nuovo Paradigma è già nato in Europa e la poesia di Petr Král ne è un esempio. Certo, per apprezzare un nuovo oggetto estetico occorre munirsi di nuove categorie ermeneutiche, per questo è nata l’Ombra delle Parole, per tentare di riempire questo vuoto culturale della poesia italiana di oggi.
Per parlare della poesia di Král dovrei ripetere molte cose già dette in questi ultimi anni su queste colonne… ma vedo una sordità diffusa, una abulia, una inerzia a tutto ciò che non rientra nei vecchi parametri stilistici ed estetici, sicuramente questa arretratezza culturale è un problema molto serio e grave, un ostacolo che non consente una piena comprensione delle formidabili possibilità che il Nuovo Paradigma offre a chi ne accetta e condivide i presupposti e la griglia concettuale.
Nel tradurre queste poesie di Král una difficoltà è stata quella dell’uso dei tempi verbali. Edith Dzieduszycka mi ha scritto che molti tempi verbali scelti da Král sono sbagliati dal punto di vista di un discorso sintatticamente corretto. Edith è di madrelingua francese, non intendo mettere in discussione il suo parere, quello che mi colpisce a posteriori è che mi veniva spontaneo tradurre, a volte, l’imperfetto francese a volte con il passato remoto italiano e altre volte con il passato composto, inoltre, il poeta ceco inserisce e disinserisce di continuo nuove proposizioni apparentemente scollegate dalla proposizione principale, anzi, le nuove proposizioni risultano libere e indipendenti; Král inserisce di continuo nuovi personaggi e nuove prospettive di azione mediante delle apodosi che nulla hanno a che fare (almeno a priva vista) con le protasi. Queste indirezioni, queste indeterminazioni continuamente riproposte in tutte le proposizioni del discorso crea nel lettore un senso di instabilità, mina le certezze (sintattiche e semantiche) del discorso, sovverte i facili approdi delle anticipazioni semantiche, insomma, distrugge tutte le aspettative, gli orizzonti di attesa cui eravamo abituati con la poesia ad esempio come quella italiana del secondo dopoguerra che fa riferimento ad un discorso temporalmente e sintatticamente ordinato secondo una progressione lineare delle singole proposizioni.
Nella poesia di Král tutta la antiquata impalcatura sintattica e semantica della poesia tradizionale è saltata come su una mina, quella orditura sintattica è crollata con tutte le sue fisiologiche e ideologiche certezze e aspettative.
Ma, dobbiamo chiederci: tutta questa impalcatura sintattica e ideologica è saltata per un capriccio di un poeta o è saltata perché il mondo è cambiato e con esso anche la lingua?
Io propendo per la seconda ipotesi: la poesia di Král è cambiata perché il mondo è cambiato, il suo linguaggio è molto diverso da quello cui siamo stati supinamente abituati dalla poesia italiana corrente…
La poesia fenomenologica di Petr Král
https://lombradelleparole.wordpress.com/2018/10/17/cinque-poesie-inedite-di-petr-kral-1941-ce-qui-sest-passe-testi-originali-in-ceco-e-francese-traduzione-in-italiano-a-cura-di-giorgio-linguaglossa-e-edith-dzieduszycka-l/comment-page-1/#comment-38984
L’essere di cui io colgo il fenomeno, non è il fenomeno, non si trova nascosto dietro o davanti o di lato ad esso né può essere distinto realmente da esso. Noi percepiamo l’essere contemporaneamente al fenomeno e non potremmo fare altrimenti, i nostri sensi sono stati creati dalla selezione naturale per percepire i fenomeni con immediatezza e precisione, ne andrebbe della sopravvivenza della nostra specie. Nella poesia di Král l’essere sfugge in continuazione, e deve sfuggire alla condizione fenomenica per darsi come fenomeno, l’essere non può esistere solo come «auto manifestazione». L’essere è disperso nelle miriadi di fenomeni che lo caratterizzano.
L’«io» nella poesia kraliana è la rappresentazione dell’«essere» tramite la rappresentazione dei «fenomeni», la coscienza dell’io è dispersa nella coscienza degli altri, la caratteristica principale di questa poesia sta nella dispersione e nella moltiplicazione dei fenomeni, quella che indico come «storialità» che caratterizza il particolarissimo modo di esistenza dell’«io» nel mondo moderno. In tal senso, possiamo affermare che la poesia kraliana è «fenomenologica», aggettivo che tanto piace a Král , infatti è stato il poeta praghese a volerlo sottolineare in una sua missiva a me diretta. La coscienza è anzitutto «tetica», «intenzionale», «posizionale»; cioè è sempre «coscienza di qualcosa», coscienza di altro e di altri… tutto ciò che accade all’interno delle sue poesie e che si rivela come molteplicità, dispersione di esistenze, è questa ricerca di altro e di altri.
Husserl ha posto in chiaro come la coscienza sia sempre coscienza di qualcosa d’altro. Ogni coscienza è posizionale in quanto essa si trascende per raggiungere un oggetto, esaurendosi in questa posizione stessa: quanto vi è di intenzionale nella mia coscienza attuale è diretto verso il fuori, verso l’oggetto intenzionato.
Tuttavia, la condizione necessaria e sufficiente perché una coscienza conoscente sia conoscenza del suo oggetto, è che essa sia coscienza di se medesima come conoscente questo oggetto. Si tratta di una condizione necessaria, perché se la mia coscienza non fosse cosciente d’essere coscienza dell’oggetto, sarebbe coscienza di esso senza esser cosciente di esserlo, ossia sarebbe una coscienza che non sa di se stessa, una coscienza incosciente: il che è una assurdità però è un fatto continuamente esperibile in ogni atto della nostra giornata. Per la grandissima parte della giornata noi non siamo affatto coscienti di noi stessi, l’«io» se ne va a zonzo senza alcuna coscienza di sé, medita, pensa, compie azioni senza che ci sia bisogno dell’intervento della coscienza. Nella poesia kraliana tutto questo è evidente, è una scrittura che sgorga da una libertà dalla coscienza auto organizzatoria, una libertà che si manifesta come dispersione e moltiplicazione di esistenza.
Che cos’è questa libertà dalla coscienza? È la sensazione che deriva dalla coscienza di sé come distanza da se medesima…; bisogna concepirla come un vacuum che la coscienza ha con se stessa, distanza posizionale di sé con se stessa. E che cos’è questa «distanza» se non il nulla che interviene e prende posto nel nulla della coscienza?
Una poesia di Edith Dzieduszycka scritta subito dopo aver tradotto le poesie di Petr Kral:
Il vento vorticava nelle pantofole del Grande Vecchio
-Grande lo disse lui chi ci cascava? la rana
forse –
in un’ultima notte
di baldoria in cui perse
la bussola tra tuoni e lampi voleva
assolutamente
viaggiare ancora e trastullarsi visitando
il Palazzo d’Inverno un po’ prima che fosse
sommerso si scioglieva
il bitume globale ormai era l’evento accreditato
in una discarica
vicino a Oslo fu ritrovato
zuppo l’orso polare
correva gente al Centro Commerciale
per comprare
quelle cose indispensabili vodka preservativi
sigarette
c’era anche chi si scordava
gli occhiali neri picchiava il sole forte
nelle coulisse del Potere
ma lì
nessuno ci faceva caso
un cinese che passava di là per obbiettare
sui dazi eccessivi si ritrovò ahimè
senza mandorle
pianse si disperò niente ormai ci fu da fare cercò
la moglie era sparita
disgustata forse rapita nell’insieme
furono giorni assai piccanti
*
Le vent tourbillonnait dans les pantoufles du Grand Vieux
– Grand selon lui qui tombait dans le panneau? la grenouille
peut-être –
lors d’une ultime nuit
de bringue durant la quelle il perdit
la boussole entre éclairs et tonnerre il voulait
absolument
voyager encore et s’amuser en visitant
le Palais d’Hiver un peu avant qu’il ne fut
submergé le bitume global fondait
c’était désormais un fait digne de foi
dans une décharge
près d’Oslo fut retrouvé
trempé l’ours polaire
les gens couraient vers le Centre Commercial
pour acheter
ces choses indispensables vodka préservatifs
cigarettes
parmi eux certains oubliaient
les lunettes noires le soleil frappait dur
dans les coulisses du Pouvoir
mais là
personne n’y prêtait attention
un chinois qui passait par là pour protester
contre les droits de douane exagérés se retrouva hélas
sans amandes
il pleura désespéré mais désormais plus rien à faire il chercha
sa femme elle avait disparu
dégoutée peut-être kidnappée dans l’ensemble
ce furent des jours plutôt croustillants
Adesso guardo l’immenso. Un abisso
le parole sottoposte allo charme,
per carità, indicatemene una! La risposta.
Non si fece attendere.
Dall’angolo buio, un disincanto,
pendeva alla corda e
restringeva l’occipite,
questo grande Cranio che è l’Africa.
(Grazie OMBRA)
Questo testo a me piace. E’ istintivo ed io credo nell’istinto poetico, che come te, Giorgio, collego strettamente e indissolubilmente all’ inconscio del soggetto scrivente. La centralità dell’inconscio in poesia è l’unica vera prospettiva sulla quale fondare una Poesia Nuova a tutti gli effetti , benché possa apparire ai più, una strana sequela di associazioni alogica. Quei più quanto si sbagliano nell’attribuire alla razionalità un valore epistemologico assoluto !
Gino Rago
2- L’Utopia
Cara Signora Edith Dzieduszycka,
ogni Suo verso è una impronta digitale,
noi siamo i lettori delle Sue impronte.
Entrando nella Cripta della Signora Schubert
si udiva la Marcia di Radetzky
dalle finestre aperte della Villa dei Von Trotta.
Ma forse inciampiamo
nella cava degli intrecci delle date,
entriamo nella clinica della folla,
una Lavendelfrau offre alle coppie
i suoi mazzetti di fiori di lavanda.
[…]
Lei chiede:«E l’utopia…?»
E’ il foulard-arcobaleno che si avvolge intorno al collo
Giorgio Linguaglossa quando parla di poesia
forse per nascondere l’assenza di risposte.
GR
Dice bene Nunzia Binetti in proposito del ruolo svolto dall’inconscio e dall’autocoscienza nella Nuova poesia. In proposito questo fatto risulta evidentissimo nelle poesie di Petr Kral. E mi permetto di dire anche nella nuova ontologia estetica.
Ecco quanto dice la Treccani:
Coscienza e autocoscienza
Il termine coscienza indica uno stato soggettivo di consapevolezza sulle sensazioni psicologiche (pensieri, sentimenti, emozioni) e fisico-sensoriali riferite sia al mondo interno sia al mondo esterno. La parola deriva dal latino conscientia (da cum scientia) e indica una conoscenza condivisa con sé stessi o con altri. L’oggetto di tale conoscenza, nella connotazione latina, poteva essere sia in generale un contenuto qualsiasi sia qualcosa di segreto, di negativo, da non rivelare. Attualmente, la parola coscienza costituisce una ‘parola valigia’ per il gran numero di accezioni cui può riferirsi, anche di natura molto differente. Infatti, a seconda dell’ambito di trattazione, può indicare: a) lo stato di vigilanza, e le relative capacità di percepire, interagire e comunicare con l’ambiente circostante; in questa accezione, la coscienza acquisisce carattere di continuità, su un continuum che va dalla veglia al sonno, fino al coma, passando per tutti gli stati intermedi (la GCS, Glas-gow Coma Scale, è stata costruita appositamente per valutare il livello di coscienza secondo vari indicatori comportamentali); b) la capacità psichica di intendere e definire sé stessi come separati dal mondo esterno; c) la capacità di distinguere il bene dal male; d) la consapevolezza come atto conoscitivo, attraverso cui il soggetto acquisisce conoscenze; e) l’autocoscienza come capacità di riflettere su sé stessi; f) in ambito psicoanalitico, la consapevolezza di contenuti psichici contrapposta alla qualità inconscia del materiale rimos-so. Anche George P. Prigatano e Sterling C. Johnson (2003) propongono un modello di coscienza a tre vettori che interagiscono e, in parte, si sovrappongono: il ciclo sonno-veglia, la consapevolezza di sé e la capacità di ‘entrare’ nella mente di un’altra persona e di provare ciò che questa sta provando (teoria della mente).
La coscienza come funzione psichica
Adam Z. Zeman, tra le dodici categorie di significati da lui riportati cui il termine coscienza può essere riferito, si concentra in particolare sulle diverse sfumature di significato della parola in ambito psicologico (Zeman, Grayling, Cowey 1997). La coscienza come contenuto dell’esperienza varia da momento a momento. In quest’accezione viene evidenziata la dimensione qualitativa e soggettiva dell’esperienza, limitata da un punto di vista parziale e caratterizzata da contenuti instabili nel tempo, benché la coscienza permetta di mettere in collegamento contenuti passati e presenti. La coscienza inoltre è selettiva, in quanto alcuni contenuti possono essere portati in primo piano e altri sullo sfondo. Essa accoglie informazioni e contributi da tutte e cinque le modalità sensoriali e li elabora avvalendosi di tutte le facoltà psicologiche (pensiero, emozioni, memoria, immaginazione, linguaggio ecc.). In quest’accezione, è sempre ‘coscienza di’, nel senso che è sempre in relazione a un oggetto, come nella qualità intenzionale attribuita alla coscienza in ambito filosofico. Ogni volta che diciamo «Mi rendo conto» oppure «Ho preso co-scienza» dobbiamo necessariamente specificare l’oggetto cui ci riferiamo, altrimenti il significato della frase resta sospeso. In tale prospettiva la coscienza è una funzione, un processo, che si applica ai fenomeni della conoscenza, una modalità con cui il mondo (esterno e interno) si rende accessibile all’individuo.
Di fatto, noi non percepiamo la coscienza in sé, quanto piuttosto i suoi contenuti. Le sensazioni coscienti costituiscono la modalità con cui ci rappresentiamo gli elementi significativi del mondo esterno al fine di intraprendere una possibile azione di risposta. In altre parole, quando pensiamo a qualcosa, è evidente immediatamente (cioè in modo non mediato) che di questo qualcosa siamo coscienti, che la nostra attenzione è rivolta a esso e che esso è presente alla nostra mente. I processi del pensiero, invece, rimangono di fatto sconosciuti, sono messi in atto inconsapevolmente. Una loro conoscenza è possibile solo a posteriori, attraverso una riflessione razionale (metariflessione), uno degli atti cognitivi tra i più complessi ed elevati della mente umana. La nostra mente opera a diversi livelli di consapevolezza, anche contemporaneamente e a nostra insaputa, a prescindere cioè da un atto volontario e deliberato. Infatti, una distinzione qualitativa che si può operare è tra coscienza attiva e passiva: la prima implica una scelta, una volontà di focalizzare l’attenzione su contenuti o stimoli, escludendo dal campo cosciente altri fattori, mentre la seconda vede il soggetto semplicemente ricettivo al fluire di diversi stimoli esterni o interni.
Questo tipo di funzionamento non riguarda solo la percezione e la conoscenza del mondo esterno, bensì anche le sensazioni interne, le emozioni, gli stati d’animo. Ognuno di noi, infatti, può rendersi conto, in un dato momento, di essere annoiato, allegro, triste, di voler bene a qualcuno e così via. Anche in quest’ottica, dunque, è possibile distinguere vari livelli di coscienza: si va dalla consapevolezza delle semplici esperienze sensoriali e percettive, che rappresenta il livello più ‘primitivo’, anche in senso filogenetico (in quanto probabilmente condiviso con altre specie animali), per arrivare alla consapevolezza, squisitamente umana, dei propri stati emotivi e dei propri pensieri (autocoscienza).
Autocoscienza e autoconsapevolezza
Un primo dato immediato della coscienza è la consapevolezza di essere, di esistere. Soltanto in gravi patologie psichiche o nelle primissime fasi di sviluppo del bambino, la presenza di questa consapevolezza può essere messa in dubbio. In effetti, non possiamo escludere che una consapevolezza di sé seppur nucleare sia presente anche nel neonato, ma di certo essa si rende evidente all’osservazione solo tra la fine del primo anno di vita e nel corso del secondo, quando il bambino impara a pronunciare ‘no’, dichiarando una volontà propria e contraria a quella del mondo esterno, a riferirsi a sé non più in terza persona, bensì utilizzando il pronome ‘io’ e a riconoscersi allo specchio. Prima di questa fase, il bambino è consapevole degli oggetti del mondo esterno, dell’esistenza delle persone cui si relaziona, ma probabilmente non ha ancora sviluppato la consapevolezza di sé come entità separata e dotata di volontà. In effetti, la coscienza di sé si colloca a un livello psichico più elevato rispetto alla coscienza del mondo esterno. Le forme più elementari di autocoscienza sono quelle legate alle sensazioni fisiche e alle percezioni, attraverso le quali si arriva a definire un’idea della propria esistenza; mentre il passo evolutivo successivo è quello con cui iniziamo a percepirci come agenti attivi e non solo passivi nei confronti di queste sensazioni, cui cominciamo a fornire risposte (dilazione nel tempo, ricerca di modalità di soddisfazione di un bisogno ecc.).
Formulare una definizione in termini scientifici di autocoscienza è estremamente difficile, in quanto l’esigenza di stabilire criteri empirici e descrittivi, facendo riferimento a fenomeni osservabili, contrasta nettamente con l’essenza squisitamente soggettiva del fenomeno. La coscienza, e a maggior ragione la coscienza di sé, è un fenomeno strettamente privato e legato ai vissuti interni dell’individuo, e quindi difficilmente rilevabile secondo le modalità tradizionali della scienza. Inoltre, solitamente, nello studio scientifico vi sono un osservatore (soggetto) e un fenomeno osservato (oggetto), separati e distinti. Nel caso dell’autocoscienza questa distinzione si perde, in quanto soggetto e oggetto coincidono: è infatti la coscienza che riflette su di sé. Siamo nel campo della metacognizione. L’autoconsapevolezza consiste, infatti, nella capacità di percepire sé stessi in termini relativamente oggettivi, pur mantenendo un senso di soggettività, il che rappresenta un vero e proprio paradosso della coscienza umana. La complessità della questione è testimoniata dalle numerose speculazioni filosofiche, religiose, psicologiche, sociali e scientifiche succedutesi nei secoli.
Molto interessante Giorgio questo tuo ultimo paragrafo