
Talvolta tuttavia si trascorreva l’estate in città facendo sul viale insieme ad altri orfani/ la coda
Petr Král nasce a Praga il 4 settembre 1941, in una famiglia di medici. Dal 1960 al ’65 studia drammaturgia all’Accademia cinematografica FAMU. Nell’agosto del 1968 trova impiego come redattore presso la casa editrice Orbis. Ma, con l’invasione sovietica, è costretto ad emigrare a Parigi, la sua seconda città per più di trent’anni. Qui, Král si unisce al gruppo surrealista, che darà un indirizzo importante alla sua poesia. Svolge varie attività: lavora in una galleria, poi in un negozio fotografico. È insegnante, interprete, traduttore, sceneggiatore, nonché critico, collabora a numerose riviste. In particolare, scrive recensioni letterarie su “Le Monde e cinematografiche” su “L’Express”. Dal 1988 insegna per tre anni presso l’”Ecole de Paris Hautes Études en Sciences Sociales” e dal ‘90 al ’91 è consigliere dell’Ambasciata ceca a Parigi. Risiede nuovamente a Praga dal 2006.
Petr Král ha ricevuto numerosi riconoscimenti: dal premio Claude Serneta nel 1986, per la raccolta di poesie Pour une Europe bleue (Per un’Europa blu, 1985), al più recente “Premio di Stato per la Letteratura” (Praga, 2016).
Tra le numerose raccolte poetiche, ricordiamo Dritto al grigio (Právo na šedivou, 1991), Continente rinnovato (Staronový kontinent, 1997), Per l’angelo (Pro Anděla, 2000) e Accogliere il lunedì (Přivítat pondělí, 2013). Curatore di varie antologie di poesia ceca e francese (ad esempio, l’Anthologie de la poésie tcheque contemporaine 1945-2002, per l’editore Gallimard, 2002), è anche autore di prosa: ricordiamo “Základní pojmy” (Praga, 2003), 123 brevi prose, tradotte in italiano da Laura Angeloni nel 2017, per Miraggi Edizioni. Attivo come critico letterario, cinematografico e d’arte, Petr Král ha collaborato con la famosa rivista “Positif “e pubblicato due volumi sulle comiche mute.

Anche da Parigi si partiva in seguito non era necessario sapere alla ricerca di che cosa perché fosse necessario
Ermeneutica di Giorgio Linguaglossa
Una vastissima parte, anzi, la quasi totalità delle nostre esperienze sono esperite senza che la «coscienza» intervenga in prima persona, ma semmai essa interviene in modo autonomo e automatico. Rarissimi sono i casi della nostre esperienze nei quali interviene una mente cosciente cui abitualmente diamo il nome di «io». Questo fatto è evidentissimo quando guidiamo una automobile. Durante l’attività di guida possiamo conversare amabilmente con il nostro vicino, possiamo pensare alla lezione che abbiamo appreso il giorno prima, senza per questo che la guida ne venga disturbata, è come se ci fossero due «coscienze» una in stato di sonno che organizza la guida e una in stato di veglia, che ripensa al libro che abbiamo studiato il giorno prima. Di fatto, è evidente che noi guidiamo con una «coscienza automatica». Di fatto, la «coscienza» è del tutto inutile per lo svolgimento delle attività e dei calcoli di tutti i giorni, anzi, a volte l’impiego della coscienza potrebbe rallentare il calcolo delle azioni che stiamo facendo, come accade al un pianista che muove tutte e dieci le dita in modo meravigliosamente armonico senza che intervenga la coscienza a governare i movimenti delle dieci dita e dei pedali del pianoforte. In tutte queste attività la coscienza è perfettamente inutile, anzi, è superflua.
L’io non è la sede della coscienza, come comunemente si crede, l’io è una metafora che indica uno spazio mentale dove noi, per semplicità, poniamo l’accadere di alcune cose con il coinvolgimento della coscienza. Ma ciò è inesatto, la «coscienza» non ha sede nell’io, anzi, verosimilmente essa non ha una propria residenza, non ha un «luogo» e un indirizzo dove abita. Possiamo pensare alla coscienza come una nuvola che sta in tutte le cose, ma non è necessario affatto pensare che le cose abitino in questa nuvola, essa nuvola c’è e non c’è… interviene solo in alcuni rarissimi casi…
«Una parola così poco metaforica come il verbo inglese “to be” (essere), fu generata da una metafora. Essa deriva infatti dal sanscrito bhu, (crescere o far crescere), mentre le forme inglesi am, (io sono), e is, (è), si sono evolute dalla stessa radice del sanscrito asmi (respirare). Fa piacere scoprire che la coniugazione irregolare del verbo inglese più banale conserva un ricordo del tempo in cui l’uomo non possedeva una parola a sé per «esistenza» e poteva dire solo che qualcosa «cresce» o «respira». Ovviamente, noi non siamo coscienti che il concetto di essere è generato in tal modo da una metafora riguardante la crescita e la respirazione. Le parole astratte sono antiche monete le cui immagini concrete sono state logorate dall’uso nel continuo scambio del discorso». 1]
Nelle poesie che seguono di Petr Král abbiamo un mirabile esempio di scrittura poetica «semiautomatica», pensata sul filo di una coscienza non cosciente, o meglio, della coscienza semiautomatica che è in atto in noi in ogni momento della nostra giornata, ed anche nei sogni. La scrittura poetica di Petr Král è molto vicina a quella cosa che noi pensiamo debba essere la poesia di oggi: una scrittura che nasce dalla memoria semiautomatica della coscienza irriflessa, fitta di polinomi frastici instabili, nei quali sarebbe tempo perso andare a cercare il senso delle singole proposizioni o dell’insieme con un occhiale neoverista e neorealista, come è in uso nella tradizione della poesia italiana degli ultimi decenni. La promiscuità degli attanti e delle locuzioni che ne derivano è una caratteristica fondante di questo tipo di forma-poesia.
1] Julian Jaynes, Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza, Adelphi, 1976 p. 74
Herméneutique de Giorgio Linguaglossa – (traduzione di Edith Dzieduszycka)
Une large part, je dirais même la quasi totalité de nos expériences s’effectue sans qu’intervienne la “conscience” en première personne, mais a lieu de façon autonome et automatique. Rares sont les cas qui concernent nos expériences au cours desquelles intervient un esprit conscient que nous appelons habituellement “je”. Ceci est particulièrement évident lorsque nous conduisons une voiture. Ce faisant nous pouvons bavarder aimablement avec notre voisin, penser à la leçon apprise le jour avant, sans que pour autant notre conduite en souffre; il semblerait donc qu’il existe deux “consciences”, l’une en état de sommeil qui s’occupe de la conduite, l’autre en état de veille, qui repense au livre que nous avons étudié le jour avant. Il est donc évident que nous conduisons sous l’effet d’une “conscience automatique”. La “conscience” est ainsi complètement inutile au développement des activités et des calculs quotidiens; l’emploi de la conscience pourrait au contraire ralentir le calcul des actions que nous sommes en train d’accomplir, comme il arrive au pianiste qui remue les dix doigts de façon merveilleusement harmonieuse sans qu’intervienne la conscience à gouverner ses dix doigts e les pédales du piano. Pour toutes ces activités la conscience est parfaitement inutile, elle est même superflue.
Le “je” n’est pas le siège de la conscience, comme nous le croyons généralement; le “je” est une métaphore qui indique un espace mental où, par simplicité, nous posons sur le mme plan le fait que se produisent certaines choses et la participation de la conscience. Mais cela est inexact, la “conscience” ne siège pas dans le “je”, vraisemblablement elle ne possède au contraire aucune résidence propre, ni un “lieu” ou une adresse où résidter. Nous pouvons penser à la conscience comme à un nuage présent en toutes choses, mais il n’est absolument pas nécessaire de penser que les choses habitent ce nuage, ce nuage existe, sì e no, il n’intervient que dans certains cas extrêmement rares…
“Une parole aussi peu métaphorique comme le verbe anglais “to be” (être), provient d’une métaphore. Elle dérive en effet du sanscrit bhu (croître ou faire croître), tandis que les formes anglaises am (je suis) e is (est), ont évolué à partir de la même racine du sanscrit asmi (respirer). Il est agréable de découvrir que la conjugaison irrégulière du verbe anglais le più banal conserve un souvenir du temps où l’homme ne possédait pas une parole en soi pour “existence” et pouvait seulement dire que quelque chose “croît” ou “respire”. Nous ne sommes évidemment pas conscients du fait que le concept d'”être” nait ainsi d’une métaphore concernant la croissance et la respiration. Les paroles abstraites sont des monnaies anciennes dont les images concrètes sont consumées par l’usage continuel du discours et de ses échanges”.
Dans les poésies ci-dessous de Petr Král nous avons un excellent exemple d’écriture poétique “semi-automatique”, pensée sur le fil d’une conscience non consciente, ou mieux encore, de la conscience semi-automatique qui fonctionne en nous à chaque instant de la journée, et également dans les rêves. L’écriture poétique de Petr Král est très proche de ce que nous pensons être la poésie d’aujourd’hui: une écriture qui nait de la mémoire semi-automatique de la conscience non reflétée, pleine de polynômes ….. instables, dans lesquels il serait inutile de perdre son temps à la recherche du sens de chaque proposition ou de l”ensemble, enfourchant des lunettes néo-véristes et néo-réalistes, comme celles employées dans la tradition de la poésie italienne des dernières décennies. La promiscuité des attants et des locutions qui en dérivent est une caractéristique fondamentales de ce type de forme-poésie.
Ce qui s’est passé de Petr Král, con pitture di Vlasta Voskovec, 2017.
Et voilà soudain il ne reste pas grand-chose Nadia fut trouvée noyée
sous une écluse Prokop a fini de respirer malgré la bouteille d’oxygène
Karel Š. a disparu à jamais dans la forêt
Moi-même d’un seul coup d’œil retourné depuis les boîtes à lettres
vers l’escalier j’ai vu se dissiper d’emblée quarante ans de vie en France
Avec l’arrivée de Miloš vint une animation nouvelle une fois
il s’est levé pour marcher d’un pas incertain parmi les verres sur la table
sans savoir lui-même jusqu’où
Prokop pendant les séances de vendredi s’appuyait au mur
et pratiquait le théâtre tel qu’il l’a toujours voulu faire
dans ses seules paroles et grimaces
L’essentiel était de rendre rayonnante la rouille du monde
ou du moins d’être là quand en fin d’été
avec le soleil elle rentrait de biais dans les salles d’un bois
*
Ed ecco che all’improvviso non rimane gran ché Nadia fu trovata annegata
sotto una chiusa Prokop ha finito di respirare malgrado la bombola di ossigeno
Karel Š. è scomparso per sempre nella foresta
Io stesso in un colpo d’occhio ritornato indietro dalle cassette della posta
verso le scale ho visto dissiparsi così quarant’anni di vita in Francia
Con l’arrivo di Miloš accadde una nuova animazione una volta
si alzò per camminare con un passo incerto tra i bicchieri sul tavolo
senza sapere egli stesso fin dove
Prokop durante le sedute del venerdì si appoggiava al muro
e praticava il teatro come ha sempre voluto farlo
con le sue sole parole e smorfie
L’essenziale era di rendere raggiante la ruggine del mondo
o almeno di essere lì quando alla fine dell’estate
con il sole tornava di sbieco nelle stanze d’un bosco
*
Il fallait disperser par le monde
même la mémoire sursaturée faire passer la mémorable
[goutte d’un sang partagé fraternellement
sur son doigt devant le poussiéreux JE sans maître
dans un tunnel du métro parisien
De Paris aussi on partait par la suite il n’était pas nécessaire de savoir à la quête de quoi
pour que ce soit nécessaire
traîner la nuit vers Barcelone par des autoroutes désertes
dans un miroitement à perte de vue de flocons de neige
et d’étoiles çà et là longer en route des pêcheurs inconnus un boucher préludant dans un [verger à un affrontement décisif
avec sa propre planète de viande suspendue
au voyage de retour voir les miroirs
dressés au seuil des maisons près des frontières
Parfois cependant on passait l’été dans la ville faisant sur le boulevard avec d’autres orphelins
la queue pour le tabac pour la fin du dimanche
[et pour rien
Les ambulances passaient sans s’arrêter peut-être en route vers une autre métropole
au ciel apparaissaient le soir de distants messages
sans destinataire
On avait alors laissé également derrière soi
des villes entières d’accessoires usés d’accordéons dégonflés de genouillères
et de balles de tennis éraflées
du fond le plus secret nous en parvenait jusqu’à l’éclat
d’une enclume mère immaculée
avant que quelqu’un ne commence à compter fermement
pour lancer le morceau suivant
*
Bisognava disperdere per il mondo
perfino la memoria soprasatura fare passare la memorabile
goccia d’un sangue fraternamente condiviso
sul suo dito davanti al polveroso IO senza padrone
in un tunnel della metropolitana parigina
Anche da Parigi si partiva in seguito non era necessario sapere alla ricerca di che cosa
perché fosse necessario
trascinare la notte verso Barcellona su autostrade deserte
in un luccichio a perdita d’occhio di fiocchi di neve
e di stelle qua e là costeggiare lungo la strada pescatori sconosciuti un
macellaio che prelude in un frutteto a uno scontro decisivo
con la sua propria pianeta di carne sospesa
al viaggio di ritorno vedere gli specchi
issati sulla soglia delle case vicino alle frontiere
Talvolta tuttavia si trascorreva l’estate in città facendo sul viale insieme ad altri orfani
la coda per il tabacco per la fine della domenica
e per niente
Le ambulanze passavano senza fermarsi, forse in marcia verso un’altra metropoli
nel cielo apparivano la sera lontani messaggi
senza destinatari
Si erano allora lasciati dietro di sé
intere città di accessori usati di fisarmoniche sgonfiate
di ginocchiere
e di palle da tennis graffiate
dal fondo più segreto ce ne giungeva fino allo scoppio
d’una incudine madre immacolata
prima che qualcuno non inizi a contare con fermezza
per lanciare il pezzo seguente
*
Standa me disait tu te protèges le visage
comme si la menace venait du dehors
On se penchait ensemble sur le jeu des petits papiers
tout come sur les cravates le clair-obscur s’écartait
ma celle en fibres de fougère restait enfouie à jamais
dans les année vingt
Après le toast de minuit le vieux Perahim tout à coup
regarda alentour d’un oeil interrogateur : Qu’allons-nous faire
avec le monde ?
Même de la Russie où jadis il avait fui Hitler
il a du plus tard presque s’échapper
Mayo bien qu’entouré à present
d’un monde de succédanés se nourrissait jusqu’à la fin
du beurre et des oeufs tels que dans un matin d’été
il les vit en Grèce étalés sur des chaises
au seuil des maisons près du port
Nous on regardait aussi parfois
en face nos maître et mentors
peu à peu jour aux premiers éclairs d’un orage
on part d’un rire soulagé au-dessus de l’assiette
vers laquelle on s’incline bien loin d’eux
*
Standa mi diceva tu proteggi il tuo viso
come se la minaccia venisse dall’esterno
Ci chinavamo insieme sul gioco dei piccoli giornali
come sulle cravatte il chiaroscuro si scostava
ma quella in fibra di felce restava seppellita per sempre
negli anni venti
Dopo il brindisi di mezzanotte il vecchio Perahim all’improvviso
si guardò attorno con un occhio interrogativo: Che cosa ne faremo
del mondo?
Perfino dalla Russia dove una volta era fuggito Hitler
ha dovuto più tardi quasi scappare
Mayo benché circondato adesso
da un mondo di succedanei si nutriva fino alla fine
di burro ed uova tal ché in una mattina d’estate
le vide in Grecia appoggiate su delle sedie
sulla soglia delle case accanto al porto
Anche noi a volte guardavamo
di fronte nostri maestri e mentori
a poco a poco ai primi lampi d’un temporale
iniziamo con una risata sollevata sopra il piatto
verso il quale ci si inchina ben lontano da loro

[Petr Král] Gli altri a volte venivano egualmente ad accoglierci alla stazione dei treni, sì…