Archivi del giorno: 20 giugno 2016

15 POESIE di Giorgia Stecher da “Altre foto per album” (1996) – Commento di Roberta Costanzo su una poesia “Sono sempre con me” di Giorgia Stecher con un Commento di Giorgio Linguaglossa. felicemente anacronistica e inattuale la poesia della Stecher, un po’ come quella di Ripellino, di Helle Busacca, di Maria Rosaria Madonna,

stecher il venerdì santo a Palermo gli incappucciati
il venerdì santo a Palermo, processione degli incappucciati

 Roberta Costanzo

Commento alla poesia, “Sono sempre con me” (1996) di Giorgia Stecher

Già dalla prima parola della poesia, “Sono”, si potrebbe evincere il probabile intento della poetessa circa la necessità di riedificare la vita spazzata dal tempo, che scorre inarrestabile: “sono” si riferirebbe forse ad una dimensione presente, nella quale far rivivere il tempo passato e coloro che ne fanno parte. Infatti “sono” è associato ad un tempo passato, cioè “andarono”, che si richiama ad una sfera temporale compiuta e trascorsa. Il passato si può forse recuperare e salvaguardare in un eterno presente solo grazie al potere della parola trascritta e alla fotografia. Infatti, nonostante “quelli che se ne andarono” fisicamente non esistono più, potranno questi avere vita in un’altra dimensione, che risiede nell’anima della poetessa, e che questa ha tentato di ancorare con l’arte. E infatti sembrerebbe presente nel componimento questa sorta di contrapposizione tra un non esserci più fisicamente e una possibilità di abbattere i limiti della morte e dell’oblio per resistere alla fatalità dell’essere “inghiottiti dal gelo della notte”. I protagonisti delle foto, di cui sarà data una chiara e sobria descrizione dalla Stecher nel corso del suo Album, cioè i parenti di cui si vuole conservare il ricordo per restituir loro la vita attraverso la parola e l’arte, vorrebbero infatti resistere alla violenza del buio cui li costringerebbe l’oltrepassare quella “soglia”, da alcuni forse malinconicamente attesa e da altri forse combattuta attraverso una vita trascorsa “col passo trionfante”. Essi credono forse di aver trovato lo strumento, per proseguire l’esistenza, “nel forziere”, dove sono contenute le foto da inserire nell’album, in modo tale da ottenere così “una fetta cospicua di minieternità”. Tuttavia, brutale e crudele distruttore della memoria non è soltanto il tempo, ma qualcosa di peggio che incombe sul mondo moderno, ossia l’universo tecnologico che distruggerebbe la stessa temporalità, facendo scorrere velocemente le immagini e l’una disgregata dall’altra. La poetessa sembrerebbe voler attuare il procedimento inverso a questo e resistere così all’abbattimento di un mondo autentico e ricco di valori, che forse rinchiude nella sua Sicilia: contro la frammentazione del tempo in singoli frame privi di senso logico e di legame, la poetessa riunisce nel suo album foto e parole che formino una successione temporale. Ed è proprio questa successione temporale che alimenta il ricordo e dunque la vita. Infatti, di coloro che fisicamente non ci sono più, perché “un turbine li spazzò via ad uno ad uno / nel volgere di un giorno”, può esserne conservata la memoria nella “cineteca del ricordo” intima e personale della poetessa. Quest’ultima espressione parrebbe una sorta di metafora ironica per così dire “opporsi” al vero significato della parola “cineteca”, afferente al mondo tecnologico e cinematografico (che procedono per frammenti e spezzano la durata!), che la poetessa cerca di combattere attraverso il potere dell’arte e della parola. Con quella metafora, forse, la Stecher avrebbe voluto contrastare la distruzione del senso della vita e dei ricordi di un mondo autentico, attuata da quell’altro fasullo. Per questo assocerebbe la parola “cineteca” a “ricordo” (ironicamente forse), cioè ad un’altra che può essere attivata soltanto dalla poesia e non certo dalle pellicole cinematografiche, che al contrario spezzano i ricordi e disorientano. Inoltre sembrerebbe che la via dell’arte possa anche non essere vittoriosa contro quella devastante che sopprimerà tempo, purezza e durata, in quanto la poetessa può solo emettere “zufoli”, piccoli bisbigli, per evocare i propri cari e i valori antichi ch’essi rappresentano, non parole a voce ben alta e scandita. Allo stesso modo, la “fetta cospicua di minieternità”, che questi “credono” (“credendo”) di guadagnarsi tramite lo scatto della foto, non è certo che resista alla distruzione, forse proprio per la presenza di questo verbo che ha sfumatura dubitativa, “credere”. Nonostante tutto, la scommessa di non cedere al buio dell’oblio e della morte sembrerebbe essere fortemente presente in tutta la raccolta, così come parrebbe presente una forza positiva di speranza, affinché i valori autentici della vita non vengano scavalcati dall’impeto furioso e disgregante della tecnologia.

stecher zia Carmela

foto d’epoca

In questo componimento si potrebbe intravedere, in modo abbastanza saldo, la necessità di salvare i ricordi e la vita dal rischio della dimenticanza: “Foto foto foto”, nell’incipit, è ripetuto per tre volte, volendo forse trasmettere quel bisogno insistente di mantenere un contatto con la vita che scorre, imprimendola attraverso l’arte. D’altra parte le “foto” costituiscono la perfetta manifestazione artistica della contemporaneità, in quanto espressione del mondo tecnologico, e possono dunque essere d’aiuto nel compito di resistere all’oblio. Tuttavia, forse si potrebbe cogliere una metafora tra “l’album” come oggetto fisico in cui sono contenute le foto, e la memoria della poetessa che deve contenere i ricordi dei propri cari: entrambi sono “insufficienti a contenerle” per il costante trascorrere del tempo, ma non per questo il compito di “Recherche” deve essere abbandonato, anzi proprio perché quelle foto e quei ricordi “tutte, tutte richiamano attenzione”, è necessario proseguire su questa strada, permettendo all’arte di vincere il nulla, quasi fosse un compito morale della poetessa stessa. L’inevitabile fuggire del tempo, i cambiamenti ineluttabili che investono il mondo antico seppellendolo, di cui una traccia potrebbe essere data dalla parola “buttate”, che riferita alle foto “degli scantinati” alluderebbe forse alla brutalità della dimenticanza di quel mondo e dei suoi valori da non far sommergere dalla modernità (“Dovrò recuperare quelle antiche”), possono essere contrastati forse attraverso l’arte e la parola. Soltanto esse potranno dare barlumi di salvezza agli istanti e alla vita che trascorre: il flash, come la parola, può rispondere al desiderio di chi non vuol perire, sepolto dal buio della dimenticanza (“Gli interessati poi son lì che bussano / che pressano mi dicono: Che perlomeno / di noi rimanga un flash.”), imprimendo quell’attimo per sempre e inserendolo in un tempo nuovo, ricostruito nella memoria. In questo componimento non sembrerebbe mancare, inoltre, un lieve e ironico accenno allo sfondo storico, quando la poetessa ricorda la figura di Eufemio e della guerra che combatté: “quelle d’Eufemio da ufficiale, (meriterà un ricordo la sua guerra!)”.  

Sono sempre con me

Sono sempre con me
quelli che se ne andarono
inghiottiti dal gelo della notte!
Alcuni sedevano miti sulla soglia
guardando il dispiegarsi degli eventi
in recondite stanze architettati
Altri solcavano la vita
col passo trionfante distribuendo
fulmini e blandizie tutti
però credendo di avere nel forziere
una fetta cospicua di minieternità.
Un turbine li spazzò via uno ad uno
nel volgere di un giorno! Di loro
ben poco è rimasto
oltre la cineteca del ricordo
a cui ho accesso io sola
ed all’antologia delle canzoni
che zufolo nell’intento di evocarli.

stecher donna seduta

foto d’epoca

Il Punto di vista di Giorgio Linguaglossa

Della svizzera palermitana Giorgia Stecher scomparsa nel 1996 di cui ricordiamo Quale Nobel Bettina (Palermo, 1986), Album (Palermo, 1991), Altre foto per album (Roma, 1996), presentiamo qui quattordici poesie tratte dal suo ultimo libro. Ho scritto della sua poesia in Dalla lirica al discorso poetico. Storia della poesia italiana (1945-2010) EdiLet, Roma, pp. 300 € 16:

«Abbiamo tutti gli elementi di disinteressata autenticità che fanno di un poeta un piccolo classico. Una poesia che interpreta la memoria attraverso la lettura di alcune vecchie fotografie di famiglia.
Libro compiuto, adulto, opera di un poeta giunto alla piena maturità, documento artistico e spirituale tipico di quella sensibilità di fine Novecento che ha trovato nel Manifesto della Nuova Poesia Metafisica (n. 7 «Poiesis», 1995) una significativa esemplificazione. Poesie nate da fotografie perdute e poi ritrovate; si badi, non poesie di “derivazione” ma recherche di un “tempo perduto”, ricostruito con la sensibilità «postuma» di un poeta che alla poesia chiede la ricostruzione di un mondo tramontato sotto l’obblivione dell’epoca tecnico-scientifica. Nella deriva del Tempo, Giorgia Stecher arresta e ricostruisce l’attimo e la temporalità, i destini individuali e collettivi. La verità si staglia non alla luce del sole ma alla luce del flash. Nell’epoca del telecomando e del televisore, è la foto ingiallita dal tempo che rivela il mondo». Con le parole della Stecher: «È accaduto che, dopo la pubblicazione del mio Album nel 1991, siano venute alla luce altre foto dimenticate nei cassetti e negli angoli più riposti della casa e della mente. È pure accaduto nel frattempo, che altri personaggi ed eventi abbiano richiesto, anzi reclamato, un flash per entrare a far parte della raccolta, accanto agli attori che avevano avuto la ventura di precederli. Questo nell’illusione di guadagnarsi così un diritto di sopravvivenza peraltro arduo se non improbabile ma ben consapevoli che in ogni caso ciò che non è scritto (o in qualche modo registrato) non esiste. Sono stati, come si vede, accontentati. Anche perché nell’Album c’erano, e ci sono ancora, numerose pagine vuote».

stecher Bicicletta d'epoca con uomo e donna primi 900

foto d’epoca

Si è parlato tanto, e a dismisura, del «parlato» e del «quotidiano» in questi ultimi 30 40 anni che si è finito col perdere il significato di quei vocaboli. Da un punto di vista generale, tutto è «parlato», e ci si è dimenticati del «chi parla» e per «che cosa» si parla e «per chi». Così, è passato in secondo piano che il poeta parla sempre a qualcuno (altrimenti lo si dovrebbe prendere per matto), magari quel qualcuno è se stesso, e parla con qualcuno anche quando non parla con nessuno, questo è sempre un qualcosa di oggettivo: dico il «nessuno», un qualcosa che esclude gli altri. Che la poesia italiana da Giovanni Giudici, con La vita in versi (1965) in giù, si sia incamminata verso una strada sempre più stretta e asfittica è una tesi sulla quale io insisto da tempo; che occorresse un correttivo a questo cinetismo della poesia italiana è un fatto che i più accorti e acuti lo hanno notato da tempo… In questa accezione, la rivalutazione di poeti che hanno operato («referenzialisti, realisti metafisici, metaforisti, surrazionalisti») negli anni Ottanta Novanta in aperto anacronismo e inattualità, come Giorgia Stecher, è una operazione assolutamente necessaria per tentare di contro bilanciare il cedimento ai linguaggi poetici «metallizzati» da sentimentalismi spurii e incongrui o da eccessi di «quotidiano», con tutto un effluvio di esternazioni e singulti dell’anima offesa e violata (sono state citate Mariangela Gualtieri e femminili compagne di strada) con il tema del «patetico» messo in vetrina. Nulla di più estraneo a ciò nella poesia di Giorgia Stecher rispetto alla teca del cuore delle autrici al femminile pubblicate in questi ultimi lustri a dismisura. Qualcuno ha anche detto, non a torto, che si è verificata in questi anni una «femminilizzazione» dei linguaggi poetici, ironicamente annotando il «patetico» e il «femminile» di tali scritture, 

stecher alla guida

foto d’epoca

Per tornare a Giorgia Stecher, a distanza di venti anni dalla pubblicazione dell’ultimo suo libro, Album (1991) e Altre foto per album (1996), non possiamo non notare la perfetta corrispondenza nello stile tra tasso di referenzialità (le fotografie ingiallite dal tempo) e indice di utilizzazione del «parlato» tutto innervato nel e sul referente. Non vedo traccia di patetismo in questa operazione della Stecher, è un linguaggio poetico che evita il facile e scontato riferimento ai linguaggi della piccola borghesia in via di definitiva mediatizzazione; anzi, la scelta del tema e la tematizzazione stilistica dei suoi due ultimi libri indirizzano la sua operazione verso una poesia senza interlocutore, priva cioè di agganci col sociale immediato e tantomeno con l’attualità, o con quello che si considerava (e forse anche oggi con gli opportuni distinguo) si considera di «attualità». Oggi definirei felicemente anacronistica e inattuale la poesia della Stecher, un po’ come quella di Ripellino, di Helle Busacca, di Maria Rosaria Madonna. Per questi motivi ritengo augurabile la rilettura della poesia della Stecher per ricostruire e capire che cosa è avvenuto davvero nella poesia italiana dei decenni finali del Novecento.

stecher figura femminile

foto d’epoca

14 Poesie di Giorgia Stecher

da “Altre foto per album” (1996)

Il bisnonno

Accorso al molo tu
chiamavi le barche: Teresa
Carmelina dove siete?
Sornione il mare ti lambiva
i piedi come il mostro placato
dopo il pasto tra i resti
del banchetto e tu
a strapparti i capelli disperato.
Di te questa l’immagine
che m’hanno consegnato e a nulla
vale guardare il mezzobusto
che ti immortala grave ma quietato
sopra l’emblema inutile dell’àncora.

La bisnonna

In un cassetto serbo ancora
i tuoi denti che non ho avuto
il coraggio di buttare da quando
una tua figlia me li diede quale
macabro dono a tuo ricordo.
Il diabete pare te li avesse
giocati e l’insistenza tua
nel non curarlo. Ti chiamavi Natala
(pensa che nome!) portavi una mantella
ricamata la tua saggezza dicevano
(ora chi più ne parla?) era nota.
Alla mia nonna a lei così sedentaria
pungesti i piedi con un ago sottile
la volta che si scostò dalla tua gonna!

Zia Carmela

Dunque Carmela amava Salvatore e Salvatore
Carmela ma i genitori opposero un diniego
grande quanto la palizzata alla marina.
Ma questa poi crollò col terremoto giammai
il diniego che li vide persi, persi e dispersi
in divergenti strade sepolti sotto le pietre
del rimpianto. Storie datate novecentosette
da noi lontane anni luce come del resto tu
nella tua posa la testa reclinata sulla spalla
gli occhi sgranati a chiedere ragione.

.
Nonna Teresa

Che dignitoso commiato il tuo
nonna Teresa, in pieno consapevole,
recitando preghiere tanto ch’ebbi
il coraggio di dirti: Quando
sarai lassù… (che ci salissi
non esisteva dubbio) “Sì pregherò
per te”. Eppure avevi trascorso
la vita senza muovere un dito
senza mai una battaglia; quell’unica
che affrontasti, la più dura, senza
battere ciglio la vincesti.

stecher alla guida

foto d’epoca

L’Altra Nonna

Di te ricordo i capelli
suddivisi in due bande da una riga
e la trappola per topi che inventasti
servendoti di un ditale e di una pentola.
Dicevano di te ch’eri una gran signora
che avevi il mestolo d’oro e molto argento,
prima della sterzata della stella.
Mi è rimasto il tuo nome soltanto
ed un ventaglio che col vento
che tira qui da noi, è superfluo
agitare, per soffiarsi.

Nonno Franz

Mi chiedo spesso quale nodo di vento
abbia portato qui mio nonno
da Zurigo. Eppure trovò bene
in questa terra: intraprese commerci
sposò una del luogo visse ricco e ossequiato
con carrozze e livree fin quando
una sterzata della stella
lo mandò bruscamente ruzzoloni.
Da bravo zurighese affrontò con decoro
la caduta. A ricordo dei vecchi fasti
osservò fino in fondo l’etichetta
mantenne sempre a pranzo l’antipasto
mai domenica trascorse senza il dolce.

Foto di Parente Sconosciuta

En souvenir de ta soeur c’è scritto giù
nell’angolo data due maggio novecentotredici
e tu stupenda contro una finestra un profilo
perfetto da cammeo, le braccia abbandonate
perfettissime, collo vestito perle
acconciatura talmente belli da sembrare
finti. Eppure sei esistita, col tuo francese
spedito ineccepibile e gli squisiti modi
da gran dama, lo diceva la Gina che sapeva
tutte le vecchie storie di famiglia,

Zia Angelina

Portavi sette calze una sull’altra,
a scopo mimetizzante pare
di inaccettate magrezze.
Inverosimili cose cucinavi
come i baccelli di fave
e altre delizie. Ma questi
e altri ancora furono i vezzi
di una vecchiaia triste (a cosa
mai non ci conducono gli anni!)
inimmaginabile, quanto diafana
dama al belvedere, sotto un cappello
di rose ti nascondevi dal sole.

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Mario De Biasi_ 1954 stampa d’epoca

Foto di mia Madre

Nella foto con sulla testa
un secchio capovolto (che moda
fu mai quella dei tuoi tempi!)
hai scritto: Qui sono scappata dal serraglio.
Ma intorno non si sospettano leoni
né tracce d’altre fiere. Da un’altra
gabbia invece poi fuggisti e fu
una gara tra galline e galli
per gridare allo scandalo inaudito.
La tua incuranza fu la loro pena
perché non c’è di peggio per i polli
che di veder fuggire un prigioniero.

Foto di Nonno Peppino con Orologio

Accanto al letto tengo
ancora il tuo Roskopf che
settant’anni fa comprasti
a Boston. Certo non posso dire
che adesso segni il mio tempo
(fa un baccano d’inferno, la sua
giornata a me sembra più corta)
ma se gli do la corda lui
riparte spedito come in quel
giorno del quarantanove in cui
lo raccolsi sopra la consolle,
da te dimenticato per altro
appuntamento ormai partito.

.
Foto di gruppo con zia Nata

Questa mi pare sia del trentanove:
Aldo bambino ha una smorfia
sul viso per il sole, io sono gongolante
per avere trovato non so dove l’involucro
luccicante di un cioccolatino;
Dietro tu e le altre zie – le adulte –
col vento che vi corre tra i capelli
e sullo sfondo naturalmente il mare
con una grande nave che pazienti aspettammo
si disponesse dentro l’obiettivo.

Con Luciana al Mare

Abbiamo costumi uguali di cretonne
a bolle bianche sopra un fondo rosso
però i colori li sappiamo noi
perché la foto mica li rivela. Io
magra come un chiodo tu opulenta
strizziamo gli occhi, siamo contro sole.
S’intravedono appena dietro di noi
le baracchette bianche che ospitarono
i nostri giorni da favola quelli che
a ricordarli ci riportano in mente
la bicicletta i balli le canzoni
gli sguardi dei ragazzi per te sola.

Foto di Maria Nicosia con altre Amiche

Siamo venute bene in questa luce
tra gli angeli scolpiti e le colombe
sulla coppa d’opale che comprammo
ad Assisi un’estate. Rosa che canta
Mimma che dipinge Ida che sta in Duetto
dentro un libro io che declamo Prenditi
la casa. Tu la regista che con occhio
amorevole ci assembla ci suona al pianoforte
The Man I Love ci porge il liquorino
della sosta tra un viaggio e l’altro
tra una fuga e un ritorno alla sua riva.

.
Foto della poetessa Maria Costa sulla Riviera Paradiso

.
Vieni fuori da un’acqua turbinosa
mentre soffia il grecale alla marina.
Porti ricci di mare nei capelli
e attorno alle tue vesti guizzano pesci.
Che fantastiche storie ci racconti
di trombe d’aria, di lontri, di feluche,
di mastri calafati, pesci spada, di naufragi
e ritorni fortunosi. Così anche noi smemorati
d’incanti torniamo alle magie di questa riva
che ci riporti intatta ripopolata di barche
e di sirene. Non dev’essere scherzo del destino
se il luogo privilegiato che t’accoglie
è chiamato da sempre Paradiso.

.
Roberta Costanzo è nata a Catania nel 1992, dove abita ed è laureanda in Lettere con una tesi su Giacomo Leopardi

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