Donato di Stasi Sanguinando per Edoardo Sanguineti (1930-2010) (Qualche verità sull’Avanguardia) Con una scelta di testi da “Laborintus”, “L’intera impalcatura poematica si sostiene su tre capisaldi: retorica, etica, gnoseologia”, “L’universo reificato della Palus Putredinis”, “Utopia e Distopia: da Postkarten a Cataletto”, “Finale di partita”, “il kitsch, il trash, il pulp e lo splatter”

edoardo sanguineti interno

edoardo sanguineti

Scrittore a tenuta stagna, professore, deputato, Edoardo Sanguineti (1930-2010) lascia zeppo di sue pubblicazioni il lettino dell’ambulatorio junghiano e marxiano. Crede nell’eticità della Storia, praticando una sua morale sincretica stoico-epicurea, riversata appieno in quel Gruppo 63, che segna negli anni del boom economico italiana una stagione innovativa, una decente idea di letteratura, dopo le patacche del tardo ermetismo e del neorealismo. Ciò che maggiormente impressiona in Lui è la dimensione che assume, avendo spintonato la metafisica, per una volta sul serio, al di là delle pagine: autore mefitico e mefistofelico, lavora a un puzzle aforismatico ton-sur-ton, senza divagare quasi mai, avvalendosi al riguardo di una inattaccabile disciplina dialettica.

Sanguineti è un angosciato materialista storico: le sue fabbriche testuali spaziano in un pessottimismo antimanieristico, scrutano e analizzano, incidono le piaghe sociali con il bisturi della praxis, producendo distinzioni fra il kitsch e il trash, il pulp e lo splatter, in buona sostanza la circolarità infinita delle merci che inzeppa senza vergogna il Magazzino dei Monatti Globalizzato.

Non c’è affaccio nelle similprose sanguinetiane: i paesaggi vengono catalogati come pattumiere, il clima richiama un immarcescibile Dies Irae, le città oniriques (vere e proprie installazioni dell’Inconscio Collettivo) non smaltiscono che lenzuola sporche e piatti ingrommati. Rinsaldando coordinate esclusivamente empiriche, Sanguineti rivolta per terra lirismi e teatrini sentimentali, si proietta dentro una foschia spazio-temporale che attende pur sempre i bagliori dell’utopia.

Scavando e riscavando nella prima metà della torbiera poetica del Nostro si incontrano strati ostili, inerziali, tanatici, al limite dell’imbarazzo per il senso comune, eppure appetibili per chiunque voglia continuare a praticare gli spasmi dell’intelligenza. L’occhio digitale corporeo registri per l’intanto il prensile elenco di opere con tanto di charme trecentesco (il glamour della Comedìa dantesca) e di stizzosissime ironie pro disgraziati e diseredati: Catamerone (1951-1971), Postkarten (1972-1977), Stracciafoglio  (1977-1979), Scartabello (1980), Cataletto (1981), Fuori catalogo (1957-1981), il tutto racchiuso nel feltrinelliano Segnalibro. Poesie 1951-1981, pubblicato nel 1982 (qui segnatamente viene compulsata la riedizione del 2010).

Umberto Eco, Edoardo Sanguineti, Furio Colombo

umberto eco edoardo sanguineti e furio colombo

Nel 1956 il poeta ligure schiaccia sulla mesta tradizione italiana il suo poundiano Laborintus, fatto uscire nella collana Oggetto e Simbolo diretta da Luciano Anceschi, mallevadore di lì a poco della fortunatissima rivista il Verri. Sbaglia chi assimila Laborintus al ready-made duchampiano (un coacervo di materiali affastellati impoeticamente): qui si seziona, si stravolge, si muove la macchina significante a piacimento, si spinge il pedale della  corporeità, delle superfici tattili, dello scontro fisico con il Nulla. Non che la versificazione non risulti a tratti indigeribile, a causa degli infiniti rimandi ipertestuali che schianterebbero l’erudito più pedante in odore di faustismo, ma è come se lo stomaco-cervello dell’Autore volesse digerire l’intera cultura occidentale per vomitarla con lucidità e circospezione, al fine di proporre un nuovo modello di soggettività critica, libertaria, edonistica, moderatamente cinica, virtuosa senza esitazioni, volta a stabilire un contatto autentico con la natura profonda delle cose.

Sanguineti porta sulla sua gobba di studioso le deformazioni e le trasfigurazioni di una lingua ripetitiva, parentetica, esclamativa, gonfiata volutamente di arcaismi medievali e di modernità franco-tedesche; in questo senso rimuove  le barriere del provincialismo nostrano, impastando la tradizione mitteleuropea con il Perelà di Palazzeschi, i futuristi fino ad allora ostracizzati, il bric-à-brac di Gozzano, le Revolverate di Gian Pietro Lucini e avant tout  l’Alighieri, quale feroce accusatore di un’Italia guasta e stercoraria, oltre che ineffabile manipolatore di linguaggi pietrosi.

Riconoscibili di primo acchito, i versi a lungo metraggio di Laborintus riprendono la vocazione epifonematica della mistica biblica, i protratti respiri epici di Whitman, le potenti figurazioni surreali di Laforgue, e ancora le corrosive oggettivazioni della premiata ditta novecentesca, a firma Eliot&Pound.

Si assiste a una strana mistura di eros, epos  e thanatos: l’ars  sanguinetiana ruota attorno a organismi strofici mutili, ellittici, sghembi come I giocatori di carte di Paul Cézanne (“e noi; non come Plinio (noi) Ruben; iste fuit ille; der Jude; / semper suspensi (nos); non recitiamo (noi) storia; MARMORIBUS das Jot”, Laborintus, XXVII, p. 48).

Che dire di questo chierico marxiano, vagante per i sopramondi intellettuali, la cui utopia non si è realizzata? Si può dire questo:  per Lui una società tanto mefitica e purulenta (qual è la nostra)  non può avere speranza di salubrità.

edoardo sanguineti fuma

edoardo sanguineti

Laborintus  si pone come un’opera aperta, una torre moresca da cui avvistare massacri enormi di parole, immense città morte di libri servili e qualche sparuta colonna dorica di autori méprisés (Lukàcs e Restif de la Bretonne, per citarne un paio).

Sanguineti non ha lacrime in tasca, né sofferenze antiche sui degradi del cuore, piuttosto un bisogno di muoversi per ridurre il décalage  fra il Paese Reale e la Perenne Vacanza della Repubblica delle Lettere, à propos conia la metafora disottundente della Palus Putredinis, vero lascito testamentario del nostro rhétoriqueur. La Palus implica il concetto di solitudine totale in un universo reificato, dove si perde l’essenza stessa dell’essere umano; qui con la macellazione delle parole affiorano i rimasugli di relazioni fallite, le finte decorazioni del lamentismo, il pessimo lusso di una civiltà che si pretende eterna. Di fronte a individui che vengono ottenebrati e istruiti a essere niente, il protagonista, Laszo, impara la consistenza carnea della coscienza collettiva e l’inconsistenza del solipsismo: non si fa fatica a registrare l’impressione di un werk affollato, polifonico, scritto e proclamato in pubblico (“con le quattro tonsille in fermentazione con le trombe con i cadaveri / con le sinagoghe devo sostituirti con le stazioni termali con i logaritmi / con i circhi equestri / con dieci monosillabi che esprimano dolore”, Laborintus, XIV, p. 31).

Per assestare un colpo mortale alla catatonia moderna, Sanguineti ingrossa le pagine, ne dilata l’orizzonte linguistico, ricorre a una scrittura smisurata, stridula, deflagrante, che prende atto dell’avvenuto, senza però avere molta forza e altrettanta voglia di preparare un qualsiasi avvento. Non crede il Nostro nel poema-mito, quale costruzione simbolica del mondo, per questa ragione nelle sue pagine-schema adotta la prassi della decostruzione semantica, senza peraltro raggiungere mai la spregiudicatezza nichilistica della tabula rasa, altrimenti non si sarebbe messo a competere in abilità con gli ordini retorici medievali e rinascimentali.

L’intera impalcatura poematica si sostiene su tre capisaldi: retorica, etica, gnoseologia, strettamente cooperanti ad arringare e concionare, piuttosto che a discorrere impressionisticamente. Ne  è dimostrazione la rinuncia a esprimersi come individuo lirico per assumere kafkianamente, senza investitura da parte di chicchessia, l’incarico di portavoce della crisi in sé,  di una moltitudine di disagi storicamente determinati.

edoardo sanguineti mani

edoardo sanguineti

Eppure pochi si accorgono della rivoluzione critica e teorica di Laborintus, pochissimi colgono la laboriosa ruminazione novecentesca del Nostro, fermandosi per lo più all’aspetto secondario del citazionismo per il tramite di sequenze logiche (montaggio&assemblaggio) di materiali variantissimi.

Ribollente e avventuroso, Laborintus attacca le forme sociali rancide del capitalismo, sostituendovi il pigmento forte della provocazione e della semanticità più radicale (“il mio der Mensch ist gut / la mia tessitura delle idee / la mia impaginazione per mezzo della complicazione / la mia complicazione e idea come ossessione / pensiero come limitazione / ordine come limitazione come negazione ordine come semplificazione pensiero / come implicazione o deduzione o previsione complicazione / come affermazione sperimentale nuova relazione melmosa the exudation”, Laborintus, VI, p. 19).

A distanza di sessant’anni che cosa rimane di un opus così corrosivo rispetto agli enunciati foucaultiani, melliflui, del Potere? Più del felice ludus liberatorio, sopravvive l’indicazione di una salutare abissalità, di una complessità capace di articolare sapidi significati per ogni piano ontico-esistenziale.

Laborintus turbina come un’apocalisse, per questo sbagliano gli imitatori a stazionare esclusivamente sul diametro dell’asemanticità: ottengono il disastroso effetto di produrre un gorgo di testi oscuri, illeggibili, francamente inutili.

La spiazzante creatività sanguinetiana merita altra sorte, di certo letture sfrontate, senza temere incontri/scontri taglienti e sanguinanti con i testi.

 A guardare bene Laborintus soffre di bibliofagia, nel senso che divora, formalmente e concettualmente, i libri successivi: Sanguineti non si rinnova, interpreta se stesso, eccede in confidenza, istituzionalizza la sua inquietudine che finisce per diventare quel solco retorico dentro al quale inciampano gli epigoni, invischiati nel reculer pour mieux sauter (rinculano verso la destrutturazione per saltare nello sterile gioco linguistico fine a se stesso). Nei brogliacci post Laborintus  il Professor Sottile si limita  a immettere un sovratono di filologia, in accordo con Saint-Beuve, secondo cui la qualità in letteratura dipende dall’aver frequentato un buon corso di retorica; ne consegue che l’eversione linguistica del Nostro abbandona il piano utopico di una palingenesi sociale per naufragare nelle acque  distopiche del conservatorismo italian style.

 Non smette mai di piovere fra una strofa e un’altra, spira un’aria di tregenda nell’opus qui al vaglio ermeneutico, dunque Sanguineti condannato alla postumità, a un irraggiungibile totemismo che spaventa il lector medius, spinto a rintanarsi nei parchi edenici della Grande Consolatrice (la poesia tayloristica, la catena di montaggio lirica)?. Loook to this poet: i suoi versi si scaldano fino a diventare una graticola su cui bisogna farsi rosolare per capire qualcosa dello zeitgeist;  sulle braci della tradizione offre un esercizio critico adulto, lontano dalla narcosi a occhi aperti e dall’infantilismo, malattia suprema del postmodernismo.

edoardo sanguineti massima

testo di e. sanguineti

Trattasi di écriture pour connoisseurs che insiste sulla crisi della crisi, a tempo di ragtime  e di rap (bassi alternati e melopee metropolitane in 4/4), secondo le modalità della lingua di Hölderlin, dell’illuminismo alla Diderot e dell’atticismo ciceroniano (“oh totius orbis thensaurus mnemonico thensaurus / sempre sempre sarai la mia lanterna magica / et nomina nuda tenemus / in nudum carnalem amorem et in nuda constructionem / corporis tui”, Laborintus, XIII, cit. p. 30).

All’insegna della jouissance, Sanguineti compone il vademecum di una partecipazione problematica alla civitas, svuota l’estetica a larga diffusione attraverso la depauperizzazione del linguaggio poetico, sottratto alla manipolazione generalizzata: lo svuotamento estetico a cui sottopone i suoi testi determina la fine del riflesso condizionato che attanaglia i cani di Pavlov dell’elegia a tutti i costi; a partire da queste posizioni la riformulazione dell’umanesimo, ovvero l’esplorazione di un territorio non convenzionale, né conosciuto, in vero il luogo geometrico di una rinnovata negoziazione tra artista e pubblico, tanto che il letterato eversivo e il lettore sfrontato possono assumere un ruolo decisivo per la sopravvivenza della letteratura.

Sanguineti taglia la coda che gli fa da poggiaposto e rinuncia alla condizione arcaica del contemplare: libera la sua poesia dalla condizione monacale di specchio metaforico del mondo, per ricomprenderla attivamente nelle dinamiche del reale e riqualificarne lo status  tra l’adorniano non lasciarsi capire e il voler essere capita (“la mia vitalità si è rifugiata in basso: in un relitto atrofizzato, minimo”, Scartabello, VIII, p. 290).

Sanguineti ha liquidato (senza trionfalismi) la sua epoca, serve rendersi conto se l’epoca presente non stia organizzando i suoi cerimoniali (congressi vuotamente esornativi, pubblicazioni pleonastiche e agiografiche) per liquidarlo a sua volta e in via definitiva, promuovendolo a padre, seppur scomodo, delle Patrie Lettere (promoveatur ut amoveatur): finis.

edoardo sanguineti poesia scappo da te

edoardo sanguineti, poesia “scappo da te”

da Laborintus

1

composte terre in strutturali complessioni sono Palus Putredinis
riposa tenue Ellie e tu mio corpo tu infatti tenue Ellie eri il mio corpo
immaginoso quasi conclusione di una estatica dialettica spirituale
-noi che riceviamo la qualità dai tempi
tu e tu mio spazioso corpo ,
di flogisto che ti alzi e ti materializzi nell’ idea del nuoto
sistematica costruzione in ferro filamentoso lamentoso
lacuna lievitata in compagnia di una tenace tematica
composta terra delle distensioni dialogiche insistenze intemperanti
le condizioni esterne è evidente esistono realmente queste
[condizioni
esistevano prima di noi ed esisteranno dopo di noi qui è il
[dibattimento
liberazioni frequenza e forza e agitazione potenziata e altro
aliquotlineae desiderantur
dove dormi cuore ritagliato
e incollato e illustrato con documentazioni viscerali dove soprattutto
vedete igienicamente nell’acqua antifermentativa ma fissati adesso
quelli i nani extratemporali i nani insomma o Ellie
nell’ aria inquinata
in un costante cratere anatomico ellittico
perché ulteriormente diremo che non possono crescere
tu sempre la mia natura e rasserenata tu canzone metodologica
periferica introspezione dell’introversione forza centrifuga delimitata
Ellie tenue corpo di peccaminose escrescenze
che possiamo roteare
e rivolgere e odorare e adorare nel tempo
desiderantur (essi)
analizzatori e analizzatrici desiderantur (essi) personaggi anche
ed erotici e sofisticati
desiderantur desiderantur

.
14.

.
con le quattro tonsille in fermentazione con le trombe con i cadaveri
con le sinagoghe devo sostituirti con le stazioni termali con i logaritmi
con i circhi equestri
con dieci monosillabi che esprimano dolore
con dieci numeri brevi che esprimano perturbazioni
mettere la polvere
nei tuoi denti le pastiglie nei tuoi tappeti aprire le mie sorgenti
dentro il tuo antichissimo atlante
i tuoi fiori sospenderò finalmente
ai testicoli dei cimiteri ai divani del tuo ingegno
intestinale
devo con opportunità i tuoi almanacchi dal mio argento escludere
i tuoi tamburi dalle mie vesciche
il tuo arcipelago dai miei giornali
pitagorici
piangere la pietra e la pietra e la pietra
la pietra ininterrottamente con il ghetto delle immaginazioni
in supplicazioni sognate di pietra
ma pietra che non porta distrazione
esplorare i colori della tua lingua come morti vermi mistici
di lacrime di pietra
ma pietra irrimediabilmente morale

.

il tuo filamento patetico rifiuta le scodelle truccate
i corpi ulcerati così vicini al disfacimento
con la lima ispida
devo trattare i tuoi alberi del pane
devo mangiare il fuoco e la teosofia
trattare anche l’ospedale psichiatrico dei tuoi deserti rocciosi
oh più tollerante di qualche foresta
più nervale di qualsiasi nervo e pertanto scopertamente fibrosa
tratto la tua recisione e quando batte le immagini il tuo sputo spasmodico
oh esultanza per gli aghi sub specie mortis
e adesso
il nonparlare il nonpensare il nonpiangere
disperatamente parlano pensano piangono durante il ventre della torpedine
in ipso nudo amore carnali
in ipso animae et corporis matrimonio
per quale causa vomitano le tuniche intima anima e bastonano l’estate
e con la coda stimolano il sale e la pioggia?
.
23
.
s.d. ma 1951 (unruhig) καί κρίνουσιν e socchiudo gli occhi
οἱ πολλοί e mi domanda (L): fai il giuoco delle luci?
καί κατά τῆς μουσικῆς ἔρgα ah quale continuità! andante K. 467
qui è bella la regione (lago di Sompunt) e tu sei l’inverno Laszo veramente
et j’y mis du raisonnement e non basta et du pathétique e non basta
ancora καί τά τῶν ποιητῶν and CAPITAL LETTERS
et ce mélange de comique ah sono avvilito adesso et de pathétique
una tristezza ah in me contengo qui devoit plaire
sono dimesso et devoit même sono dimesso, non umile
surprendre! ma distratto da futilità ma immerso in qualche cosa
and CREATURES gli amori OF THE MIND di spiacevole realmente
très-intéressant mi è accaduto dans le pathétique un incidente
che dans le comique mi autorizza très-agréable
a soffrire!
e qui convien ricordarsi che Aristotile
sí c’è la tristezza mi dice c’è anche questo ma non questo
oltanto, io ho capito and REPRESENTATIONS non si vale mai
OF THE THINGS delle parole passioni o patetico per significar
le perturbazioni and SEMINAL PRINCIPLES dell’animo; et πάθη
tragicam scaenam fecit πάθημα e L ma leggi lambda: in quel momento
πaθητικόν
ho capito καί κρίνουσιν ἄμεινον egli intende
sempre di significar le fisiche and ALPHABETICAL NOTIONS affezioni
del corpo: come sono i colpi
i tormenti è come se io mi spogliassi le ferite le morti
di fronte a te
et de ea commentarium reliquit
(de λ) ecc. de morte ho capito
che non avevo (coloro che non sono trascurati!) mai
RADICAL IRRADIATIONS ecco: avuto niente
e ho trovato (in quel momento); che cosa può trovare
chi non ha mai avuto niente?
TUTTO; and ARCHETYPAL IDEAS!
this immensely varied subject-matter is expressed!
et j’avois satisfait le goût baroque de mes compatriotes!
.
26
ah il mio sonno; e ah? e involuzione? e ah e oh? devoluzione? (e uh?)
e volizione! e nel tuo aspetto e infinito e generantur!
ex putrefactione; complesse terre; ex superfluitate;
livida Palus
livida nascitur bene strutturata Palus; lividissima (lividissima terra)
(lividissima): cuius aqua est livida; (aqua) nascitur! (aqua) lividissima!
et omnia corpora oh strutture! corpora o strutture mortuorum
corpora mortua o strutture putrescunt; generantur! amori!
resolvuntur;
(λ) lividissima λ! lividissima! (palus)
particolarissima minima; minima pietra; definizione; sonno; universo;
Laszo? una definizione! (ah λ) complesse terre; nascitur!
ah inconfondibile precisabile! ah inconfondibile! minima!
oh iterazione! oh pietra! oh identica identica sempre;
dentica oh! alla tua essenza amore identica!
alla tua vita e generazione! e volizione! (corruzione) perché essenze
le origini; essenze;
e ah e oh? (terre?)
complesse composte terre (pietre); universali; Palus;
(pietre?) al tuo lividore; amore; al tuo dolore; uguale tu!
una definizione tu! liquore! definizione! di Laszo definizione!
generazione tu! liquore liquore tu! lividissima mater:

.

Donato Di Stasi

Donato di Stasi

Donato di Stasi è nato a Genzano di Lucania, ha viaggiato a lungo in Europa Orientale e in America Latina prima di stabilirsi a Roma dove è Dirigente Scolastico del Liceo Scientifico “Vincenzo Pallotti” dal 1999. Ha studiato Filosofia a Firenze, interessandosi in seguito di letteratura, antropologia e teologia. Giornalista diplomato presso l’Istituto Europeo del Design nel 1986, svolge un’intensa attività di critico letterario, organizzando e presiedendo convegni e conferenze a livello nazionale e internazionale.

Ha pubblicato articoli per il Dipartimento di Filologia dell’Università di Bari, per l’Università del Sacro Cuore di Milano e per l’Università Normale di Pisa. In ambito accademico ha insegnato “Storia della Chiesa” presso la Pontificia Università Lateranense. Attualmente collabora con la cattedra di Didattica Generale presso l’Università della Tuscia di Viterbo.

È Consigliere d’Amministrazione della Fondazione Piazzolla, è stato eletto nel Direttivo Nazionale del Sindacato Scrittori. Per la casa editrice Fermenti dirige la collana di scritture sperimentali Minima Verba. Ha pubblicato «L’oscuro chiarore. Tre percorsi nella poesia di Amelia Rosselli», «II Teatro di Caino. Saggio sulla scrittura barocca di Dario Bellezza» (1996, Fermenti) e la raccolta di poesie «Nel monumento della fine» (1996, Fermenti)

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44 risposte a “Donato di Stasi Sanguinando per Edoardo Sanguineti (1930-2010) (Qualche verità sull’Avanguardia) Con una scelta di testi da “Laborintus”, “L’intera impalcatura poematica si sostiene su tre capisaldi: retorica, etica, gnoseologia”, “L’universo reificato della Palus Putredinis”, “Utopia e Distopia: da Postkarten a Cataletto”, “Finale di partita”, “il kitsch, il trash, il pulp e lo splatter”

  1. Laborintus (1956), è un’opera decisamente rivoluzionaria. Rivoluzionaria per i motivi bene descritti da Donato di Stasi. Dirò di più. Paradossalmente, dirò che ho il sospetto che la portata rivoluzionaria dell’opera sia stata messa un po’ in sordina dalla susseguente Antologia de I Novissimi (1961) che ha finito per spostare l’attenzione da un’opera rivoluzionaria a un’operazione di marca testuale sperimentale. Voglio dire che I Novissimi traducono il linguaggio rivoluzionario di Laborintus per adattarlo alla intellettualità di massa che sta sorgendo e imperversando in quegli anni. Insomma, quella de I Novissimi era una operazione di marketing culturale, quella di Laborintus era una operazione destabilizzatrice a livello stilistico, rompeva le righe e polverizzava qualsiasi altro contendente stilistico; infatti rese inutilizzabili Le ceneri di Gramsci (1956), opera visibilmente attestata (a livello stilistico) in posizione visibilmente più arretrata e conservativa della tradizione. Per una casualità (che poi si è rivelata una causalità) I Novissimi finiscono per battere Laborintus, con il risultato di dimidiarne la portata innovativa e scentrare un’opera rivoluzionaria definendola “pastiche”, ovvero, ludus, gioco intellettuale ma sempre gioco, diversivo estetico, diversivo stilistico. Quando invece sarebbe stato necessario che Sanguineti si fosse presentato nell’agorà della poesia nella sua rutilante solitudine ripudiando i coevi movimenti de I Novissimi e andando per la sua strada. Ma, come la storia ci insegna, così non è avvenuto. La susseguente statuizione di una avanguardia che finisce dritta nel museo era la capitolazione dell’avanguardia capitananta da Sanguineti, lo stratega più dotato. Il generale vincente diventa così un generale perdente. E la conferma a questo mio sospetto mi è stata fornita molti anni dopo, nel 2005, quando Sanguineti pubblica con Feltrinelli la auto Antologia Mikrokosmos (poesie 1951-2004), dove ai testi di Laborintus viene data una pagina e mezza. È la riprova che è lo stesso autore di Laborintus a mettere in secondo piano la portata innovativa della sua opera d’esordio, propendendo per la rivalutazione della sua opera successiva.
    Mi chiedo: perché le cose sono andate in questa maniera? Io, quando non capisco le cose, seguo sempre il flusso del denaro, insomma la traccia che lascia il denaro, cioè, il successo, la visibilità, la vetrina, il palazzo, l’università…

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  2. Salvatore Martino

    Nonostante lo straordinario, lucidissimo mini-saggio di Donato di Stasi il poeta ligure continua ad essere estraneo non dico alla mia comprensione,e questo magari è mia deficienza, ma anche ad una qualsiasi forma di partecipazione emotiva, riconoscendo peraltro il dettato innovativo della sua poetica. Ed è strano: mentre Ezra Pound, al quale Sanguineti deve moltissimo anche nell’uso delle svariate lingue, mi conquista, mi commuove, mi emoziona pur nella sua complessa oscurità, il poeta di Laborintus non lascia nessuna traccia, almeno apparente, dentro di me. ma forse, ripeto, si tratta di una mia incapacità. Chissà se un giorno riuscirò a decifrare questa mia idiosincrasia e comprendere un poeta cosi tanto incensato. Salvatore Martino

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    • Concordo pienamente con Saslvatore Martino.Sanguineti non potrà piacermi mai; soprattutto perchè, nel duro carapace della sua presunta grandezza ,io non sono mai riuscita a scogere un filo di luce.Mi sono sempre sentita nel ruolo del bambino che vide l’imperatore in mutande,ma ho taciuto per amor di pace; constato, con piacere,che finalmente qualcuno l’ha visto come me, e lo dichiara apertamente.
      lo ha detto a piena voce.

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  3. In “Ideologia e linguaggio” Sanguineti aveva precisato il rapporto tra presa di posizione ideologica e funzione del linguaggio. Partendo da una revisione del pensiero di Marx, operato dalla Scuola di Francoforte (Marcuse, HorKeimer, Adorno) e dalle tesi dello Strutturalismo, Sanguineti aveva raggiunto la convinzione secondo cui ai “sistemi neocapitalistici alienati” l’intellettuale dovesse rispondere non con una battaglia ideologica, ma con una destrutturazione del sistema che parta dall’interno, dal linguaggio stesso, vale a dire dall’opposizione alla “norma” linguistica, Un proposito che Sanguineti aveva in comune con gli altri scrittori della neoavanguardia e che mirava allo sconvolgimento e distruzione del linguaggio della comunicazione letteraria, considerato come espressione degradata e mercificata dei valori dell’ideologia borghese nella fase dello sviluppo neocapitalistico. Lo scopo era quello di mettere a nudo la realtà nelle sue aberrazioni e lacerazioni, e di ricalcare, attraverso una nuova e più integrale forma di “realismo”, la realtà di un mondo alterato e sconvolto. Per inciso, la carica dirompente e distruttiva del nuovo linguaggio, si richiamava, tra l’altro, alla critica radicale condotta nei confronti della civiltà occidentale da Ezra Pound. In tale opera di scardinamento, Sanguineti aveva coinvolto i fondamenti stessi della cultura, utilizzandoli in termini deformati e stranianti. Uno spericolato plurilinguismo aveva riesumato le lingue morte (latino, greco) base della tradizione umanistica, chiamate, in mescolanza ad altre lingue – spesso depredate della loro sintassi e ridotte a semplici accumuli verbali e reiterate interiezioni- a riflettere il caos e il groviglio, la contraddizione e la mancanza di senso, la bruttura e la distorsione della stessa realtà. Tale rottura con i canoni linguistici aveva, pertanto, la finalità di rappresentare, da una parte la realtà caotica, magmatica che era sotto gli occhi di tutti e dall’altra la contrapposizione a quell’elemento deformante di essa come poteva essere la lingua dei mass-media. Ma a questa fase che si esprime con “Laborimtus” ,”Erotopaegna” e “Purgatorio dell’Inferno” (poi riunite in “Triperuno”) subentra quella di opere come “Wirrworr” “Postgarten” “Stracciafoglio” “Scartabello”, dove, in conseguenza dell’esaurirsi dell’esperienza avanguardistica, la poesia recupera comunicabiltà attraverso il tono dimesso di una disincantata conversazione che si rivolge , sempre più frequentemente, a temi e motivi quotidiani, affrontati con intelligente ironia ( “Novissimum testamentum”, “Bisbidis”, “Senzatitolo”)
    Propendo per interpretare il senso di questo ripiegamento su temi quotidiani, ironici e, per certi versi, minimalisti, come l’ammissione – da parte dello stesso Autore- di una sostanziale sconfitta. Intanto la funzione programmatica implicita di questa poesia, il suo essere sottesa ai versi, non porta a nulla di nuovo: non ad una nuova presa di coscienza della realtà che sta intorno a noi, né ha incanalato verso un nuovo compito o un nuovo modo di essere la poesia. In una parola, la rivoluzione annunciata ha fagocitato se stessa. E’ finita nell’imbuto del suo niente, da cui ha preso le mosse e da cui è stata inghiottita (e questo, nonostante la grandissima profusione di cultura in essa presente, capace, in se stessa, di attuare accostamenti e sintesi straordinarie).
    La sua portata dirompente si è mossa, in primo luogo, in direzione di una distruzione -senza riconquista- del linguaggio,
    (poiché riconquista non poteva esservi, viste le premesse). In tutta sincerità, mi riesce ostico comprendere su cosa possa poggiare tale “sovvertimento” o “scardinamento” annunciato da Sanguineti. Il linguaggio, nel suo intimo legame con il pensiero è una struttura inalienabile per l’uomo, piovutaci (dall’Alto) e inglobata in quella della nostra stessa esistenza. Uscirne è, per noi, impossibile e impensabile come sconfinare nell’elemento metafisico.

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  4. Gino Rago

    Il lavoro di Donato di Stasi possiede le cifre della serietà di ricerca letteraria e della icasticità espressiva. Le perplessità sulla poesia di Sanguineti di Salvatore Martino e di Anna Ventura sono comprensibili. Il commento di Rossella Cerniglia arricchisce il lavoro distasiano. Giorgio Linguaglossa affonda la lama nella carne viva della questione della nostra storia poetica del secondo Novecento citando, secondo il mio modo di leggere la nostra poesia contemporanea, la parola-chiave: I Novissimi,
    1961.Quest’antologia (Balestrini, Giuliani, Pagliarani, Porta, Sanguineti)
    elenca i punti, a cura di Alfredo Giuliani, della “protesta” e delle accuse soprattutto contro la cultura del neorealismo e della tradizione poetica italiana. Uno di questi punti era: negazione o riduzione dell’Io quale produttore di significati.Un altro era: avversare il codice letterario e la tradizione poetica e/o la poesia come “luogo privilegiato”, provocando una scossa violenta sia nel costume letterario (comunicazioni di massa, industria letteraria, letture pubbliche, dibattiti, ecc), sia nel linguaggio poetico. E forse senza il Verri di Luciano Anceschi nemmeno Sanguineti ci sarebbe stato nelle forme almeno di Laborintus.
    I Novissimi e Sanguineti possono intercettare o no il nostro gusto estetico,
    ma quando un lavoro si vuol fare appartenere alla critica letteraria esso lavoro deve superare (qui è stato più volte affermato e giustamente) i gusti stessi del critico. Perché, come qualcuno ha scritto anni addietro, anche questo tipo di poesia ha una sua autenticità proprio in “quella oscura luce, in quell’acida e disperata fame di realtà e di giudizio dei miti accettati…”

    Gino Rago

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  5. antonio sagredo

    Pertinente l’intervento della Cerniglia che riassume per sommi capi quel periodo, forse dimenticando che dietro le operazioni di Sanguineti (dapprima da me rifiutato come un gogliardico linguistico-stilistico, ecc. negli anni giovanili, poi ripreso e riconosciuto)… dunque dietro le sue operazioni vi erano i maestri del formalismo, costruttivismo, strutturalismo crtitico russo (russo-sovietico) a cui attinse a piene mani, e poi le “Tesi del 1929” non solo praghese. Insomma la Scuola di Ginevra e in parte il New Criticism americano…. il poeta sperimentale si mette in parallelo con la Scuola di Parigi e procede con questa di pari passo…. insomma l’operazione di Sanguineti si avvale di tutti i possibili apporti stranieri: li studia, analizza, stabilisce confronti, elimina, assume ecc…. operazioni critiche-stilistiche… affonda nell’antica poesia italiana e la soppesa mettendolaa confronto con quella ottocentesca… sbarca nel futurismo italiano e russo… nel frattempo altre discipline linguistiche vengono determinate nel campo della fonetica, semiologia, ecc… la Kristeva viene più volte citata come tanti altri studiosi e i nuovi filosofi francesi… Dal 1963 al 1968, dopo aver letto, ciò che ritenevo di dover leggere sui Novissimi, mi convinsi che questi un po’ giocavano a nascondino coi grandi Maestri del passato, ma tant’è che le simpatie di Arbasino e Ripellino mi convinsero che questi Novissimi dovevano possedere qualcosa di innovativo davvero… ma rilessi soltanto Sanguineti che mi pareva il più dotato, nel senso di creatore di versi “novissimi” anche se aleggiavano in lui le scoperte dei poeti sperimentali russi in particolare Chlebnikov e Krucionych e poi Pound…
    —-
    Mi avvalevo delle competenze linguistiche di Ripellino (e di altri valenti studiosi) che giudicava il Sanguineti talvolta fuor delle righe o al di sopra pur stimandolo… la mia ricerca di nuove formule e forme poetiche procedeva in silenzio, quando scoppiarono d’un tratto le mei LEGIONI (Zanzotto a me “Lei è un po’ sopra le righe, ma colpisce il centro!”)… la differenza coi versi di Sanguineti era di dar vita a un ordine armonico che contenesse tutti gli stridii della lingua, e cioè le spigolature e gli angoli e i suoni e tant’altro di stridente (suono e senso insieme lacerati) e tutto l’armamentario occorrente dovevano procedere sotto il potere di un ritmo controllato che desse spazio ovviamente alle intemperanze della lingua, perciò nessuna restrizione… composte le Legioni, p.e. i versi del Balestrini mi apparvero subito misera cosa, per non dire di Pagliarani (una sera della metà degli anni ’70 me ne uscii disgustato ascoltando una sua performance. (dico della mia evoluzione, qui) – Avevo in qualche maniera pagato il conto dopo gli anni ‘80, e me ne andavo sicuro per la mia strada non temendo alcuno! – Dice bene Di Stasi quando dichiara che “A distanza di sessant’anni che cosa rimane di un opus così corrosivo rispetto agli enunciati foucaultiani, melliflui, del Potere? Più del felice ludus liberatorio, sopravvive l’indicazione di una salutare abissalità, di una complessità capace di articolare sapidi significati per ogni piano ontico-esistenziale.” E fa bene a riproporlo soltanto in questa veste e fase per le nuove generazioni che prendendo esempio dal Sanguineti comprenderanno che tutto sommato era l’unico del gruppetto siciliano ad affondare benissimo lo stiletto nelle retoriche poetiche tradizionali: è vano fare i nomi e mi sento male a riscriverli qui – Scoprii poi Emilio Villa e il mio quadro fu completo, per quel che mi serviva preferii quest’ultimo.
    Antonio Sagredo

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  6. Ubaldo.derobertis

    Complimenti a Donato di Stasi per l’Interessante relazione. Qui si parla di un autentico protagonista della vita culturale italiana. Ne condividevo l’idea politica, ma per un mio preciso limite non sempre riuscivo a seguirlo nelle sue audaci sperimentazioni linguistiche, le rivoluzioni dello stile, i tanti tecnicismi. Invidiavo la sua creatività arguzia e lucidità. Anche quando la sua poesia convergeva verso il quotidiano non scadeva mai nel minimalismo. Il tempo lungo darà un giudizio definitivo sulla sua vasta opera, e cosa é riuscito a concretizzare dei suoi progetti/sogni.
    Mi ha fatto compagnia pe molto tempo, a lui va la mia gratitudine.

    Ubaldo de Robertis

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  7. Ubaldo.derobertis

    Correzione: per molto tempo

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  8. Proviamo a reimpostare il pensiero sull’oggi, forti della riflessione di Donato Di Stasi. Sappiamo che la neoavanguardia nasce in un momento congiunturale dell’economia italiana ed europea in forte crescita. La neoavanguardia è determinata da due fattori: dal boom economico e dalla crisi del marxismo ortodosso, oltre al fatto della generale arretratezza del quadro politico italiano fermo a governi di centro-destra. C’è stata modernizzazione economica e sociale ma non la modernizzazione delle istituzioni. C’è un ritardo politico, dunque. Ma il fattore determinante è stato il boom economico, tal che sarebbe impensabile pensare alla neoavanguardia senza lo sviluppo economico che la supportava. Il mercato e il capitalismo necessitavano una modernizzazione dei linguaggi narrativi, per questo utilizza, in proprio, attraverso i suoi strumenti (la pubblicità, il marketing, la moda, la canzonetta, la televisione di massa e, perché no, anche la letteratura, etc.) la strategia connotativa della neoavanguardia per i propri fini, cioè allargare il mercato, allargare le maglie dei governi di centro-destra, in una parola: modernizzare il paese in un quadro di stabilizzazione del mercato.
    Questo fu il quadro delle avanguardie europee degli anni Sessanta (Italia: neoavanguardia, Francia: Tel quel e Germania: Gruppo 47).
    Oggi, il quadro economico e politico europeo e italiano è lontanissimo dalla situazione tratteggiata degli anni Sessanta. In una situazione economica e politica di stagnazione e di stagflazione, è semplicemente impensabile un ripristino delle parole d’ordine delle avanguardie europee degli anni Sessanta in mancanza del Fattore fondamentale: Che una neoavanguardia è possibile soltanto in un momento di forte espansione economica e di una forte spinta ideologica propulsiva. Oggi la situazione macroeconomica non consente neppure di immaginare la possibilità presente e futura di una NUOVA AVANGUARDIA. E, del resto, non consente nemmeno di parlare di una nuova Retroguardia, dato che stiamo già tutti qui, uniti in una zona di Retroguardia generalizzata rispetto alla situazione generale di stagnazione economica del quadro europeo e dell’Occidente.

    Più volte, nei dibattiti di questa Testata ho fatto cenno, di sfuggita, ma in modo ricorrente, che oggi è possibile soltanto una condizione sottomarina. Accettare la nostra condizione di apnea, di Ombra, non equivale ad una resa, tutt’altro. L’arte, la poesia nel mondo odierno, può trovare luogo soltanto entro le coordinate di una poetica dell’Ombra, del Vuoto. Che non vuol dire affatto una condizione di resa, di rinuncia, di scetticismo, ma, con le parole di Roberto Bertoldo, una condizione di “NULLISMO ONTOLOGICO ma non assiologico“, quale base per la ripartenza e di riposizionamento dei linguaggi narrativi e poetici. Per questo c’è bisogno di una modellizzazione ulteriore.

    Del resto, il motto in exergo della nostra testata è quantomai eloquente:

    L’uomo abita l’ombra delle parole, la giostra dell’ombra delle parole. Un “animale metafisico” lo ha definito Albert Caraco: un ente che dà luce al mondo attraverso le parole. Tra la parola e la luce cade l’ombra che le permette di splendere. Il Logos, infatti, è la struttura fondamentale, la lente di ingrandimento con la quale l’uomo legge l’universo.

    Il tema dell’Altro o dell’Estraneo pone la necessità di chiederci se «il posto che occupo come soggetto del significante è, in rapporto a quello che occupo come soggetto del significato, concentrico o eccentrico».1) La risposta di Lacan sarà che il luogo del soggetto è radicalmente eccentrico in quanto esso nasce come campo dell’Altro. Luogo della catena differenziale dei significanti, il soggetto nasce con il significante, nasce diviso. Il soggetto che si costituisce a partire dall’Altro, è sempre un soggetto alienato, separato. Una struttura analoga la si ritrova in Heidegger, dove l’Ereignis (l’evento appropriante) è insieme e indissociabilmente Enteignis (espropriazione). L’Altro di Lacan è innanzitutto l’Altro del linguaggio come catena significante, così come per Heidegger il linguaggio è la «casa dell’essere» e «il modo più proprio dell’Ereignen», dunque l’ambito stesso in cui accade l’appropriazione reciproca di uomo ed essere. Questo rapporto si sostiene sulla priorità e autonomia del linguaggio rispetto all’uomo: come Heidegger afferma che innanzitutto «il linguaggio parla» e non l’uomo e che l’uomo è uomo in quanto è all’ascolto e corrisponde a questo linguaggio che sfugge al suo potere, così per Lacan «è il mondo delle parole a creare il mondo delle cose […]. L’uomo parla dunque, ma è perché il simbolo lo ha fatto uomo».
    In secondo luogo, e come già accennato, il soggetto mantiene la traccia di questa sua etero-costituzione, nel suo stesso essere e in tutta la sua esperienza. Il «soggetto» per Lacan è caratterizzato da una essenziale mancanza-a-essere, in quanto affetto non da una mancanza determinata («ontica», nei termini di Heidegger), ma da una mancanza ontologica, costitutiva del suo essere, perché è un soggetto che si istituisce originariamente come diviso e scisso nel campo dell’Altro. Proprio perciò il soggetto lacaniano è un soggetto desiderante e «il desiderio è la metonimia della mancanza ad essere»2: il desiderio nel suo carattere eccentrico è l’espressione di questa mancanza-a-essere, di questa negatività che attraversa il soggetto e gli impedisce di essere fondante e fondato. Questi motivi sono all’opera potentemente anche nell’analitica esistenziale, dove alla mancanza-a-essere lacaniana corrisponde l’essere-gettato dell’esserci e soprattutto le conseguenze ulteriori che Heidegger ne trae nella seconda sezione di Essere e tempo (1935).

    Ha scritto, su questa testata, sul post a lui dedicato un giovane poeta, Guglielmo Aprile: «Gli Dei, dopo il loro tramonto con la fine del paganesimo, hanno lasciato delle tracce: e queste sono da rinvenire nel linguaggio; tuttavia il vuoto da loro lasciato brucia, per cui la loro mancanza e’ analoga alla cicatrice causata da una ustione. Ma gli Dei abitano nelle lande più antiche della psiche Dell’uomo moderno; sono soltanto addormentati, eppure la loro presenza si lascia percepire, anche in forme non consapevoli, in alcuni oggetti, che si fanno loro emissari e messaggeri, assurgendo a simboli: ecco allora le irruzioni del numinoso nella nostra vita, che sconvolgono e stupiscono, e di fronte alle cui epifanie ci sentiamo spiazzati e temiamo di rasentare gli stati pericolosi del delirio e dell’allucinazione, ossia del disordine mentale. In fondo il mio libro enumera una serie di figure riconducibili tutte al perturbante freudiano: prima fra tutte quella del “bambino”, che è però spogliato di innocenza roussouiana, in quanto è selvaggio, vicino alla dimensione dei progenitori arcaici, e proietta in sé le pulsioni istintuali dell’Es e i corollari schemi difensivi che l’Io adotta per reazione al dilagare di questi; volevo quindi riprendere il tema dell Ombra, ma risemantizzandolo in direzione psicoanalitica, rispetto ai connotati di ‘copia imperfetta di un modello ideale’ che gli attribuiva il platonismo».

    1) Lacan Les séminaire, Livre XI, Les quatre concepts fondamentaux de la psychanalyse (1964), Seuil, Paris

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  9. Stralcio di un’intervista a Sanguineti fatta da un gruppo di ragazzini di una scuola di Sturla (GE):

    Come mai ha deciso di far parte della poesia d’Avanguardia e non di quella tradizionale?

    Perché quando incominciai a scrivere poesie sul serio, nel 1951, non mi piaceva la poesia degli altri, la sentivo poco attuale. Così nacque l’idea di far poesie nuove, d’avanguardia. Si riprendeva la linea storica dell’avanguardia del primo ’900. Alcuni ci amavano molto, altri ci criticavano. Ma la critica è sempre appassionante, è uno stimolo perché incita a migliorarsi, non bisogna arrendersi, ma utilizzare la critica.

    Le Sue poesie ci sembrano un po’ difficili. Che cosa vuole esprimere esattamente?

    È un bel problema… Uno scrive tante poesie perché pensa di avere molto
    da dire: ho scritto anche poesie per bambini, per i miei figli. I poeti, generalmente, si rivolgono agli adulti, ecco perché le mie poesie vi sembrano difficili. Le poesie possono essere chiare, ma anche complicate. Il mondo è molto complesso: le mie poesie vogliono rispecchiare questa realtà. La prima raccolta di poesie si chiama “Laborintus” perché, secondo me, il mondo è un labirinto in cui è difficile orientarsi.
    Così anche la poesia diventa un percorso difficile, non chiaro…

    EDOARDO SANGUINETI

    Penso che nessuno si sia accorto della profonda auto ironia di queste due risposte, in pratica, sì, non mi piacevano le poesie degli altri, ho provato stili nuovi, in realtà non so dove andavo né dove sono arrivato. La poesia è parola gettata (un tempo con vigore) oltre un muro, oggi con molto meno vigore, penso che a volte ci si debba rivolgere ai rappers per mendare l’anemia di molta poesia attuale.

    Incuriosito dal nuovo idolo di mia figlia, il rapper SALMO mi sono messo ad ascoltarne i testi, niente di speciale in realtà, parole che inseguono il ritmo cercando un senso. Ma chi ci dice che tra alcuni anni gente come lui, attualmente retroguardia di un’avanguardia logora, non possano garantire quel futuro alla parole che attualmente la stragrande maggioranza dei poeti per raggiunti limiti di sangue non sa dare?

    SALMO:

    Se tu fossi me, saresti come loro…
    No no, nel senso come gli altri…
    Finiresti per spiarmi da un foro nudo mentre indosso questi panni per lavoro!
    Giuro, sono un disoccupato nei suoi anni d’oro.
    E il futuro è solo opaco, lasciato in segreteria,
    “Play”, farei la fila dei problemi giusto per dire la mia.
    Dovrei bruciare tutti i miei vestiti,
    Scendere in strada come i travestiti,
    Godermi lo spettacolo alla fine del mondo, ci siamo divertiti.
    Ma dai! Non può piovere per sempre meteoriti…
    Non ho bisogno di muovermi, perché sai, magari
    Da fermo viaggio in tutto il globo come Salgari.
    Ho il rap multitasking e skills palmari,
    Quest’erba mette in silenzio in macchina, un safari in bocca.
    Tocca a me parlarti, incantarti,
    Dirti che i sacrifici pagano in contanti…
    Questa generazione non crede ai politici o ai Santi,
    Credono soltanto ai cantanti!

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    • caro Flavio,

      tu con me sfondi una porta aperta, io non ho mai avuto la puzza sotto il naso tipica dei letterati i quali dicono. “no, questo proprio no!”… Sono convinto che la forma-poesia debba essere una forma-aperta in grado di intercettare il NUOVO da qualunque parte esso venga, e che sia capace di tradurlo in linguaggio poetico. Non c’è nulla di cui vergognarsi nel fare un mix di buon rapper e di Tranströmer. e chi lo dice dimostra che è un supercilioso letterato piccolo borghese intento a difendere il proprio piccolissimo campicello. Impariamo dunque anche da SALMO… io (ciabattino della poesia) non me ne vergogno…

      Il giorno 11 febbraio 2016 13:59, L'Ombra delle Parole Rivista Letteraria Internaziona

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  10. Bell’avventura leggere questi testi e anche i commenti, nessuno escluso. Laborintus è un volo segnato da perturbazioni, ma con velocità costante; quasi un sasso lanciato con gusto, e si sente. Dove poi arrivi non so, a quei tempi non avrei detto, come adesso, che malgrado lo sfacelo, il tedio di voler essere contro, in aggiunta al fatto di esserlo spontaneamente, per condizione, all’epoca nonancorafinita di San Remo, a me diverte. E non mi costa nulla applaudire, anni e anni dopo. Peccato si sia perso quello smalto, non dico quello del ritmo incalzante, che se ne può fare a meno, ma almeno il gusto di lasciarsi impigliare in qualche verità scomoda, e tentare di venirne a capo. Almeno provarci.

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  11. Complimenti a Donato Di Stasi, un saggio dinamico come dinamico è Sanguineti. Ricordo che la Spaziani lo malediva, per aver, a suo dire, allontanato i lettori dalla poesia. Certo che preferisco l’ultimo Sanguineti, più morbido, ironico, soprattutto nelle poesie d’amore taglienti ” siamo una mozzarella sfilacciata”, se non ricordo male, un verso impresso. Riguardo a Laborintus ricordo che provai a tradurre gli innesti delle lingue nel testo accorgendomi che non aggiungevano valore per i loro significati ma per i significanti. Di certo un poeta di rottura, dissacrante, con cui fare i conti e a conti fatti echi se ne trovano nell’upper- system come ambiente.

    Una stoccatina a Sagredo che vede i russi dappertutto, anche negli spaghetti alla matriciana o nei carciofi alla giudia. Sorry.

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  12. ciao Giuseppe,

    ho bisogno della tua email per una comunicazione privata. mandamela a glinguaglossa@gmail.com

    grazie.

    (Povera Spaziani, era terribilmente conformista, una “volpe” del conformismo e del politicismo. Con il Meridiano ha raggiunto finalmente il suo obiettivo: essere dimenticata)

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  13. Salvatore Martino

    Carissimo Linguaglossa il tuo commento mi ferisce profondamente a cominciare dalla “Povera Spaziani” per finire a “:Essere dimenticata”…la mia amica Maria Luisa forse non sarà stata una grande poetessa ma certamente, eliminando l’aggettivo grande, una donna che comunque è stata importantissima anche come operatrice culturale oltre che almeno una valida poetessa, per anni animatrice di un Centro importante come il Montale e presidente del premio omonimo altrettanto significativo. Io conosco vari suoi testi decisamente eccellenti comeper esempio la “Giovanna d’Arco”. Che poi sia stata dimenticata è una tua affermazione priva di verità : ci sono stati incontri nel suo nome ed altri ce ne saranno anche prossimamente. e poi quanti poeti, e tu lo sai bene, anche validissimi sono astati dimenticati! Mi dispiace, lo ripeto, che un uomo come te poeta e critico e operatore culturale si esprima in codesta maniera riguardo un personaggio, magari discutibile, ma di grande onestà intellettuale, che ha contato molto nel panorama del secondo novecento, più di altri personaggi che tu avvalori. Ovviamente mi colpisce questo tuo disprezzo essendo stato per anni collaboratore di Maria Luisa Spaziani …e infine su Sanguineti credo che non avesse tutti i torti . I guasti provocati dal Gruppo ’63 anche io li ho visti nel corso di questi anni. Sempre secondo il mio modestissimo parere hanno arrecato più danni che innovazioni condivisibili. Ma già dimenticavo .tu disprezzi tutti i poeti lirici, e ami gli incomprensibili, intellettualistici facitori di versi. Salvatore Martino

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  14. caro Salvatore,

    forse sbaglierò, ma la sua poesia sa di letteratura di seconda mano… certo, c’è anche la letteratura di terza mano… e poi quella di quarta mano… Riguardo alla conduzione del premio Montale, credo che sia stato sotto gli occhi della generalità che era una conduzione, a dir poco, personalistica. Ma sorvoliamo… Ruppi i rapporti con lei nel 1997. A quell’epoca ero più giovane. Mi si perdonerà l’intemperanza.

    Per quanto riguarda il Gruppo 63 se rileggi il mio commento all’articolo di Di Stasi, lì c’è scritto quello che penso.

    Un mio amico commissario di Polizia mi disse un giorno che lui quando non capiva bene le tracce di un delitto, seguiva le orme del flusso del denaro. Così non sbagliava mai. Dicevano in Polizia che era un ottimo segugio. Ecco, io direi che per capire la poesia della Spaziani non occorra scomodare un critico letterario, basta seguire le tracce dei soldi del Premio Montale…

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  15. Salvatore Martino

    Carissimo Giorgio ” la sua poesia sa di letteratura di seconda mano” è molto diverso dall’offensivo ” Povera Spaziani” ed “Essere dimenticata” e dall’accorpamento della sua poesia ai soldi del Premio Montale, un’accusa davvero non degna di te. Ti stimo troppo e finirò per “perdonare” codesta alzata di ingegno, che al momento mi colpisce negativamente.
    Mi farebbe piacere conoscere il parere di qualche abituale frequentatore del blog su queste mie forse “incaute” affermazioni. Salvatore Martino

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  16. ubaldoderobertis

    Caro Salvatore,
    alla nostra età di incauto c’è rimasto ben poco. Quello che uno deve dire lo dice, e fai bene a propugnare i tuoi convincimenti, soprattutto per sostenere una persona che stimi e che ti è stata amica, nel caso specifico la Spaziani che non ho conosciuto come persona e di lei ho letto poco come autrice.
    Non sono un critico e non devo mettere in croce chicchessia. Forse conoscendone i comportamenti potrei anch’io eccepire su qualche atteggiamento. Ma vivo isolato dal contesto letterario e solo da poco tempo mi sono affacciato ai blog.
    Mi limito a considerare di ognuno quello che a me pare il fior fiore di ciò che ha scritto e sono grato all’autore del quale ho trattenuto anche un solo interessante verso.
    Ti saluto,

    Ubaldo de Robertis

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    • Salvatore Martino

      Ti ringrazio carissimo Ubaldo per il tuo “conforto”. Quello che mi turba a volte non è il giudizio critico del quale ognuno è libero di esternare il pensiero, ma sono le parole che a me vecchio incallito perbenista suonano offensive. Ma non posso cambiare la mia natura di convinto “giansenista” o “kataros” addirrittura. Salvatore Martino

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    • Giuseppe Panetta

      Stimabilissimo Ubaldo De Robertis, io sento e vedo in te qualcosa che non vedo nella maggioranza di quelli che conosco e che leggo. Stimabilissimo, amico.

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  17. Giuseppe Panetta

    Carissimo Salvatore Martino,
    è opinione diffusa nel nostro mondo letterario che la Spaziani abbia avuto nella sua carriera poetica l’appoggio di Montale, da vivo, per poi trasformalo in un premio e quindi in moneta, cioè potere.
    Io ho conosciuto la Spaziani, innanzitutto perché era titolare di cattedra di francese all’università che ho frequentato, successivamente e privatamente attraverso Giorgia Stecher (grande Giorgia). Ero un giovane di circa 24 anni all’epoca, parlo della fine degli anni ’80, inizi ’90. Ricordo ancora quella volta che con Giorgia andammo a vedere un film di Almodovar (Messina), credo fosse La Legge del Desiderio, appena seduti e prima che il film iniziasse, entrò in sala la Spaziani con la sua corte di poetesse messinesi, ebbene Giorgia mi fece subito alzare e scappammo via. Mi sono sempre chiesto perché. Forse non voleva farsi vedere dall’entourage poetico in compagnia di un giovane alle prime armi (?), forse perché tra le due c’era una questione di supremazia, cioè si riconoscevano a vicenda. Giorgia ha raggiunto il suo massimo con Album, Altre Foto per Album e le ultime poesie scritte quando ormai era in cura edite da Lo Scettro del Re (Linguaglossa) Ora, conoscendo l’opera della Spaziani, io salvo Transito con Catene, Giovanna D’Arco e nulla più. Le ultime prove, tipo I Fasti dell’Ortica sono, a mio parere, poesiole. Mi piace, sempre a mio gusto, la Spaziani degli aforismi, alcuni sono geniali e mi sono ritrovato in una antologia con questi suoi. Quelle cose che capitano per il solo fatto che ti ritrovi in quel dato momento con quella determinata compagnia.
    Concordo, in definitiva, con Giorgio e con il suo amico commissario.

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  18. Ubaldo.derobertis

    Inseguendo sul web Giorgia Stecher, menzionata da Giuseppe Panetta ( che saluto caramente), mi sono imbattuto in uno scritto di G. Linguaglossa che parla della poetessa in questione e subito dopo in un’intervista dello stesso rilasciata a Matteo Chiavarone. Dal momento che l’impegno del nostro critico di riferimento viene da lontano posso pensare che se prende certe posizioni, dure o apparentemente poco condivisibili, deve avere i suoi buoni motivi. Fare il critico militante sul pianeta poesia, terreno dove lo scontro é inevitabiile cosí come i risentimenti, alla lunga puó essere stressante e togliere serenità ed equilibrio. Inoltre sottrae tempo prezioso alla sua piú che apprezzabile scrittura.
    Giorgio chi te lo fa fare?

    Ubaldo de Robertis

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    • Caro Ubaldo,
      ti rispondo. Tu mi chiedi “chi te lo fa fare?”. Io dico semplicemente, come mi ha insegnato il calzolaio di Calcutta, che ognuno di noi deve agire secondo giustizia (quello che ciascuno di noi ritiene giusto). Io, per esempio, ritengo giusto prendere posizione, esternare il mio pensiero, metterlo a confronto con quello di altri, avere una deontologia del comportamento. Se poi altre persone preferiscono non esternare il proprio pensiero per motivi di opportunità, di guarentigie o altro che non mi interessa neanche sapere, questi sono affari loro. Il mio dovere è quello di esternare il mio pensiero e di mettere d’accordo i miei comportamenti con quello. Le piccole ipocrisie, i giochi di scambio di coppie, i giochi di prestigio, le lotte di potere senza quartiere, le blandizie e le immondizie, tutto ciò non riscuote il mio apprezzamento.

      Quando ascoltavo la Spaziani che perorava di suoi improbabili incontri con Picasso e con Brodskij, mi veniva la nausea… Con certi personaggi non si può neanche prendere un caffè insieme.

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  19. Credo che la Spaziani abbia meritato, nella sua vita abilmente vissuta, il Mausoleo dei Meridiani: un luogo fermo, sicuro:Ma la poesia è altrove.

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  20. Salvatore Martino

    Dissentire e anche criticare una persona che si da in pasto al pubblico è senz’altro legittimo, altra cosa sono gli insulti che sono piovuti da molte
    voci di questo blog sulla “povera ” Spaziani”…tutto questo livore suona un tantino sospetto. La fuga dal cinema di Messina mi sembra una comica non degna di un poeta come la Stecher. Per finire : “Con certi personaggi non si può neanche prendere un caffè insieme” , ma dove sono finite la tua misura, la tua cortese educazione caro Linguaglossa ? Salvatore Martino

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    • Giuseppe Panetta

      Caro Salvatore,
      ti assicuro che l’episodio raccontato è vero. Non ho nessun bisogno di riempirmi le tasche con i lustri degli altri, né tantomeno di ridicolizzare persone che il destino ha voluto farmi conoscere e da cui ho imparato veramente tanto, in primis quello di starmene lontano dai “parrucconi della letteratura”.
      Giorgia aveva una ironia parca e tagliente. Era una gran signora, indubbiamente. Ed io un ragazzino affamato di poesia.
      Ero spesso ospite a casa sua, con la figlia Roberta, una mia amica. Nella stanza dove dormivo c’era una poesia incorniciata che Alfonso Gatto aveva dedicato a Giorgia, ricordo un verso “nel pomario del destino”. Pare che ci fosse una sorta di parentela, forse alla lontana tra i due. Chi sa queste cose può confermare. In salotto un bellissimo dipinto di Nunzio Pino, tre grazie.
      Linguaglossa stesso, se conosce questi particolari che racconto, può confermare. Altrimenti, chi se ne frega.

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    • Giobatta Stagnaro

      Gentile Signor Salvatore Martino,
      apprezzo le sue parole sempre cosi misurate e signorili anche quando dissente. Giustamente si chiede dove siano mai finiti certi atteggiamenti di buona educazione che un tempo erano consueti negli ambienti culturali. Svaniti “ceu fumus in aura” scriveva Virgilio; di Euridice, è vero, ma in questo caso del “bon ton”.
      Buona serata!
      Giobatta Stagnaro

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      • Giuseppe Panetta

        ‘Na vota s’ausavano dinto ‘e cucine antiche cacavelle, tielle, tiane e sculapasta”. A quei tempi mio padre era un apicoltore, come Aristeo e mi portava “cerasa” come bon-bon.

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        • Giobatta Stagnaro

          Benché ligure, ho capito tutto e mi faccio due risate. Ho solo un dubbio circa le “cacavelle”, ma il senso generale non mi è sfuggito.
          “Bone e cerase”!. Questo dovrebbe essere “similnapoletano” mentre il suo è siciliano, credo.
          Ma che c’azzecca, /diceva il molisano magistrato?
          Comunque, se lei preferisce la maleducazione, affari suoi.
          Saluti
          Giobatta Stagnaro

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          • Giuseppe Panetta

            E’ napoletano, cacavella, pentola di creta con cui si cucinavano i legumi, diversa da caccavella, ricetta di un tipo di pasta a forma di conchiglione.
            Io sono di origine calabrese, signor Stagnaro e di professione sono un arrotino, affilo, affilo e studio le lingue, i dialetti e quant’altro.
            Non mi pare di essere mai stato maleducato, infatti apprezzo il pesto.

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            • Giobatta Stagnaro

              Conosce i dialetti più di me, che non parlo in dialetto, ma non ha capito il senso del mio scritto. Non LEI è maleducata, ma in genere la GENTE che ha dimenticato le buone maniere.
              G. S.

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            • Pasquale Balestriere

              Caro Giuseppe,
              con il “tuo” «cacavella» mi hai fatto dubitare, per un po’, della mia conoscenza del dialetto napoletano (che poi è una lingua a tutti gli effetti), favella che, nella variante ischitano-moropanese, mi ha alimentato sotto l’aspetto comunicativo dalla più tenera età. E mi hai costretto a consultare (la sicurezza non è mai troppa!) i quattro vocabolari dell’idioma napoletano che giacciono per l’uopo sugli scaffali della mia libreria e che sono stati compilati da Antonio Salzano, Francesco D’Ascoli, Giancola Sitillo e Carlo Iandolo. Bene, nessuno di questi registra la voce «cacavella». Esiste solo la voce «caccavella» – l’unica peraltro che io conosca- la quale, in senso letterale, indica una «pentola» e, in senso figurato, una «donna grassa e bassa » o un «cappello senza forma». Ultimamente, in qualche raro posto della Campania, con questo termine si indica -presumo per estensione di significato- anche un tipo di pasta (i “conchiglioni “che tu citi). La parola «cacavella», se ti capita di incontrarla, consìderala pure una corruzione (o, se vuoi, una deformazione) del corretto «caccavella».
              Un saluto
              Pasquale Balestriere

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              • Giuseppe Panetta

                Caro Pasquale, ti ho risposto privatamente.
                Grazie per la tua puntualizzazione, ma io da bambino/ragazzo ho conosciuto lo stagnaro, veniva spesso a riparare le pentole. Allora non si buttava mai niente e una pentola era per tutta la vita.

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  21. Caro Salvatore Martino,
    Confermo quanto riferito da Giuseppe Panetta circa la signorilità di Giorgia Stecher e il suo gusto irreprensibile per le persone della Commedia umana. Vi racconto un altro aneddoto che, forse, può gettare un fascio di luce sulla personalità di Giorgia. Un giorno nel 1996 venne da me e mi chiese di pubblicare un libro con lo Scettro del Re, (che poi ero io con la mia piccola casa editrice). Io le dissi: «ma Giorgia perché vuoi pubblicare con me che sono uno sconosciuto quando puoi rivolgerti ad editori più affermati?». E lei mi rispose: «Perché tu Giorgio sei un poeta che crede nella poesia». Non dimenticherò mai quella frase, che, all’epoca mi riempì di orgoglio. Io le proposi per il libro che poi uscì postumo “Altre foto per album”, una prefazione di Francesca Bernardini della Sapienza di Roma. Giorgia accettò. E cominciò una lunga attesa che la signora Bernardini si decidesse di scrivere la prefazione. Aspettammo SEI MESI. Un giorno ricevo la notizia che Giorgia era morta. Aveva un tumore alla fase terminale. Non me ne aveva mai parlato. Io andai su tutte le furie, presi carta e penna e scrissi due righe alla signora Bernardini, le scrissi che avevo affidato la prefazione ad un altro critico. Di qui, seppi in seguito, l’odio della Bernardini nei miei riguardi (odio che ricambio volentieri con il mio più ampio discredito).
    Il libro andò in stampa e uscì postumo.
    Ecco, questa era la signorilità di Giorgia Stecher. La signorilità dei poeti di razza.
    E poi, caro Salvatore, lasciami almeno la libertà di scegliermi con chi andare a prendere un caffè.

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  22. Ubaldo.derobertis

    Sarà stata anche colpa mia ma abbiamo relegato” fuori post” il povero Sanguinetti che non lo merita. E in secondo piano l’ottimo lavoro del di Stasi
    Ubaldo de Robertis

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  23. Caro Ubaldo,
    Sanguineti è stato un intellettuale completo: poeta, critico, antologizzatore della poesia italiana, panflettista inimitabile, stratega, dissipatore di energie… adesso ci sono gli scrivani, gli uomini di fede (come li chiama Berardinelli), i piccoli pennini che vogliono arrivare a tutti i costi. Ma, mi chiedo, arrivare dove? Con la poesia e il romanzo nessuno è mai arrivato da nessuna parte, mi risulta. E allora, perché mai tanto sgomitare, tanto scintillio di scimitarre? Tanto clamore di chitarre?

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  24. Pasquale Balestriere

    Esprimo grande apprezzamento per l’impegno critico-esegetico profuso da Donato di Stasi in questo eccellente lavoro, nel quale l’autore è riuscito a dire in mirabile sintesi l’universo umano, culturale e artistico di Sanguineti. Al quale riconosco ampia e profonda cultura, finissime capacità critiche, intuizioni di grande acutezza e provocazioni dirompenti o addirittura eversive. Questo però non mi impedisce di vederne i limiti. Per esempio, a chi parla Sanguineti poeta? A quale pubblico, se non eletto, sono diretti titoli come Laborintus (labor+ intus, cioè “ travaglio interiore” e “ labirinto”) ed Erotopaegnia (ἐρωτοπαίγνια , cioè “scherzi “o “poesie d’amore”)? A chi quella dottissima alluvione mistilinguistica, quegli apparenti “nonsense” , quella logorroica e talvolta intricata e incitata affabulazione che spesso avanza per accumulazione, e i garbugli e gli intrecci fonici e semantici, e le allusioni e le suggestioni che sono il frutto di un lucida ed esclusiva costruzione intellettualistica, di una artificiosa cerebralità, di un ammiccato ( e magari amaro) divertissement? Scrive forse per sé e per pochi intimi? Se sì, perché pubblica poi?
    Lo confesso: Sanguineti poeta mi ha lasciato sempre perplesso. Il cuore rimane freddo, mentre l’intelletto e la razionalità sono soggetti a una ininterrotta , anche se a volte piacevole ma comunque logorante, stupefazione.
    Pasquale Balestriere

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  25. Salvatore Martino

    Noto con un certo disappunto che due miei commenti, uno su questo versante l’altro sulla poesia della CERNIGLIA, sono stati cassati…ma voglio credere che la colpa sia mia , forse mi sono rincoglionito e non ho cliccato su “commento all’articolo”. Ho avuto il computer fuori uso per invasione virus e tornando sul blog magari ho sbagliato tasto. Chiedo umilmente a Linguaglossa di illuminarmi. Salvatore Martino

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  26. caro Salvatore,
    certo, se scrivi un commento e poi non clicchi sulla dicitura “Commento all’articolo”, il programma chiude automaticamente e, se non hai salvato lo scritto, si perde tutto. Io ti consiglio, per evitare tali cose, di salvare lo scritto una volta concluso, in modo che in caso di sbaglio, tu possa recuperare cliccando su “incolla” quello che avevi scritto.
    Dai, riprovaci. Siamo molto curiosi di leggere quello che avevi scritto. Un saluto.

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  27. Salvatore Martino

    Carissimo Giorgio non ricordo più le parole che scrissi in quel commento. Comunque in chiusa all’affaire Spaziani tengo a precisare che la mia difesa non è stata promossa dall’amicizia che a lei mi legava, né dalla lunga collaborazione ( spessissimo sono stato in disaccordo su vari punti e ricordo perfettamente i suoi difetti , come ognuno di noi ne possiede in quantità, tra l’altro fu Glauco Cambon e non lei a impuntarsi per farmi vincere il Montale nel 1985 ) ma mi è sembrato eccessiva la sua liquidazione come poeta, dimenticando che almeno “Utilità della memoria”, “tTransito con catene”, “Aforismi”, la Giovanna d’Arco sono testi poeticamente più che validi…e non si parla di aggettivazione grande, troppo spesso applicata anche a contemporanei,dei quali solo il tempo potrà verificarne la reale statura. Ma sommamente mi ha colpito in maniera negativa la damnatio memoriae operata sulla persona con allusioni ingiuriose e nemmeno troppo velate circa la conduzione di Centri e di Premi. Mi è parso di scorgere una sottile invidia magari originata anche dalla pubblicazione del Meridiano Mondadori. Pronto a riconoscere il mio travisamento della realtà. Salvatore Martino

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