
statua di giordano bruno Roma Campo de’ Fiori
IL 13 FEBBRAIO A ROMA in PIAZZA CAMPO DE’ FIORI ALLE ORE 17,00 SI SVOLGERÀ L’AZIONE POETICA MITOMODERNISTA “2016 EROICI FURORI” in MEMORIA all’EROISMO di GIORDANO BRUNO.
I POETI CHE PARTECIPERANNO ALL’AZIONE AVRANNO IN MANO UN LIBRO DEL FILOSOFO E SONO INVITATI A INDOSSARE PREFERIBILMENTE UNA TUNICA BIANCA
L’AZIONE SI SVOLGERÀ ATTRAVERSO LA LETTURA DI TESTI SUL TEMA DELL’EROICO E DELLA FEDELTÀ AI PROPRI IDEALI IN UN’EPOCA DI TRASFORMISMO GENERALIZZATO E DI DECADENZA MORALE.
CHI DESIDERA PARTECIPARE ALL’AZIONE È PREGATO DI INVIARE UNA EMAIL A grandtourpoetico@gmail.com
NON È GRADITA LA PARTECIPAZIONE DI MAESTRI DELL’ADULAZIONE, CULTORI DELLA PIAGGERIA E VIGLIACCHI E/O VENDUTI A BASSO PREZZO.
Su un’idea di
Tomaso Kemeny, Paola Pennecchi, Angelo Tonelli, Pietro Berra, Flaminia Cruciani, Gianpaolo Mastropasqua.
Il Direttivo del Grand Tour Poetico
Il 13 febbraio del 2016, alle ore 17, in Campo De’ Fiori a Roma, il movimento mitomodernista e i suoi alleati del Grand Tour Poetico celebreranno Giordano Bruno quale eroe della libertà di pensiero.
Sono ancora accesi i roghi del settarismo dogmatico e del fanatismo istituzionalizzato, roghi su cui si fonda l’Impero del Brutto, un Impero che favorisce la sinistra certezza nel cuore e nella mente delle masse di non essere più in grado di costruire un avvenire. Esiliando la speranza dalle menti, l’Impero del Brutto le avvolge nelle tenebre portando i singoli a sottomettersi, costi quel che costi, all’utile immediato, utile che avvia la società e la stessa terra, giorno dopo giorno, alla rovina. La poesia e le arti possono sfuggire all’uso strumentale del lavoro e avversare la gran parte degli intellettuali che si sforzano di parodiare ogni proposta nella prospettiva della libertà creativa, finendo per azzerare gli effetti di ogni gesto disinteressato e costruttivo.
I mitomodernisti e i loro alleati si rifiutano di accettare il mondo così com’è ed intendono compiere, il 13 febbraio, un’azione simbolica e pacifica con la finalità di rovesciare “Roma” in “Amor” per sollecitare lo spegnimento dei roghi che devastano la natura e le menti, per, invece, esaltare quella bellezza insurrezionale che apra alla gioia di vivere, di lottare, che apra a quella giustizia profonda e cosmica che sola può rappresentare un’alternativa radicale all’Impero del Brutto.

giordano bruno film (scena a Venezia)
Primavera Mitomodernista in Campo De’ Fiori a Roma (ore 17), 2016
Azione dedicata al coraggio e al libero pensiero di Giordano Bruno
Per l’occasione 9 pensieri come contributo alla nascita di una Bellezza insurrezionale.
1. La poesia, al suo meglio, è energia di ricominciamento che permane verginale, non avvizzisce al tramontare delle epoche.
2. La bellezza non è solo oggetto di nostalgia delle perdute armonie (di quelle classiche, rinascimentali, barocche, romantiche ecc. ecc.), ma è svelamento sconvolgente in grado di spalancare le porte del tempo allo splendore di un futuro possibile.
3. Il movimento mitomodernista sfida gli “allegri becchini” impegnati ad evocare l’agonia della nostra civiltà, pronti a ridicolizzare ogni generoso tentativo di rigenerazione.
4. Basta con la poesia dell’infelicità storica, intellettuale e personale. Basta con l’incapacità di amare senza nulla chiedere in cambio.
5. Nel mondo taroccato di borse, nasi, seni e opere d’arte il cui unico valore consiste nel prezzo, la poesia sprigioni quell’energia metafisica, quella tensione simbolica che è all’origine di ogni civiltà e di ogni esistenza autentica.
6. In un mondo dove domina la libertà di iniziativa e di speculazione, libertà intesa come successo sociale acquisito col denaro, ricordiamo come Dante ritenesse la libertà come il massimo dono di Dio alla natura umana e additiamo le parole di Catone (Purgatorio, 1, vv.71 -72) “libertà va cercando, ch’è si cara,/ come sa chi per lei vita rifiuta”, per invitare a lottare con e per una libertà di pensiero alimentata dalla bellezza terrestre e cosmica.
7. Se il pensiero etnocentrico ci radica nella terra dei padri, il pensiero mitico, circolare, unisce la varie etnie a origini comuni, riportandoci a una primigenia fratellanza.
8. Contro le miserie della mediocrità e del risparmio quotidiano, ricordiamo Gorgia, il sofista, quando fa dire a Callicle che la bellezza dell’esistenza consiste nel “versare il più possibile”.
9. Un pensiero è valido se diventa azione.

Giordano_Bruno fotogramma del film
Di statura bassa, di colorito scuro (almeno così veniva descritto), facile ad accendersi nelle discussioni e dispute filosofiche, il Domenicano osava sfidare la cultura ufficiale, sostenendo una teoria cosmologica, quella Copernicana, che lo stesso astronomo non aveva osato che presentare timidamente, come una pura ipotesi matematica, ben conscio a quali reazioni si sarebbe esposto, se avesse sostenuto fino in fondo la rivoluzionaria forza ideale intrinseca nella sua concezione Cosmologica.
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Ecco la poesia di Czeslaw Milosz “Campo de’ Fiori” tradotta da Paolo Statuti:
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“Campo de fiori”
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A Roma in Campo de Fiori
Ceste di olive e limoni,
Selciato con spruzzi di vino
E con schegge di fiori.
Frutti rosati di mare
Ammassati sui banchi,
Bracciate d’uva nera
Sulle pesche vellutate.
Proprio su questa piazza
Fu arso Giordano Bruno,
Il boia accese il rogo
Fra il popolino curioso.
E appena il fuoco si spense,
La folla tornò a bere,
Ceste di olive e limoni
Sulle teste dei venditori.
Rammentai Campo de Fiori
A Varsavia presso la giostra,
Una chiara sera d’aprile,
Al suono d’una gaia orchestra.
La musica soffocava
Gli spari dal ghetto,
Volavano le coppie
Alte nel cielo terso.
A tratti il vento alle fiamme
Strappava neri aquiloni,
E la gente ridendo
La fuliggine afferrava.
Gonfiava le gonne alle ragazze
Quel vento dalle case in fiamme,
Scherzavano liete le folle
Nella domenica festosa.
Si dirà che la morale
E’ che a Varsavia o a Roma
La gente si diverte, ama
Incurante dei martiri sul rogo.
Oppure si vedrà la morale
Nella fugacità delle cose
Umane, nell’oblio che nasce
Prima ancora che il fuoco cessi.
Io invece pensavo allora
A quelli che muoiono soli,
Pensavo che quando Giordano
Salì su quel patibolo,
Non trovò nella lingua umana
Nemmeno una parola
Per dire addio all’umanità,
L’umanità che restava.
Già correvano a ubriacarsi,
A smerciare bianche asterie,
Ceste di olive e limoni
Recavan nel gaio brusìo.
E lui era già distante,
quasi fossero secoli,
La sua scomparsa nel fuoco
Essi attesero appena.
Di questi morenti, soli,
Già obliati dal mondo,
Anche la lingua ci è estranea,
Come lingua d’antico pianeta.
Finché tutto sarà leggenda
E allora dopo tanti anni
Nel nuovo Campo de Fiori
Un poeta accenderà la rivolta.
(1943, Varsavia)
Dalla Storia della filosofia di Guido Ruggero Edizione Laterza
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“Copernico per smorzare i contrasti scientifici e religiosi (previsti per la pubblicazione postuma di un suo libro) ne attenuava la novità, facendo della tesi eliocentrica una mera ipotesi al servizio del calcolo matematico. La teoria infatti ha avuto nei primi tempi una voga molto limitata, nella cerchia di pochi seguaci. Il suo più profondo significato anti aristotelico e la novità della intuizione del mondo naturale che vi era racchiusa non sono stati intesi che molto più tardi ad opera del Bruno e del Galilei.”
Questo il motivo per cui, trascorso breve tempo dal suo arrivo, subito per il povero Bruno si rendeva necessaria un’altra improvvisa partenza.
Se questa repulsione della cultura ufficiale nei suoi confronti, l’incomprensione dei dotti, chiamati con disprezzo “pedanti” da Giordano Bruno, saranno state, per il filosofo, fonte d’amarezza, servirono certamente a rinsaldare la sua fermezza nel difendere le proprie idee e a dare al suo pensiero quel carattere cosmopolita ed universale, che si rintraccia nelle sue opere.
Questa particolare specie di “commesso viaggiatore della cultura” ebbe così l’opportunità di attingere personalmente alle principali fonti di conoscenza della sua epoca. Ragionò di filosofia e scienza con uomini sapienti che ebbe il piacere di conoscere personalmente.
La sua formazione mentale ebbe l’intera apertura del compasso, strumento che prediligeva fra tutti gli altri, come è dimostrato dai dialoghi che in numero di quattro scrisse su di esso.
Da “Giordano Bruno e la tradizione ermetica” di Frances A Yates

giordano-bruno fotogramma del film
Edizioni Laterza anno 1980 – pag. 477
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“Di giordano Bruno, per il quale una delle quattro guide dell’anima era la mathesis; (conoscenza-universale) che scorgeva significati ermetici nel diagramma copernicano; per il quale il compasso non era un compasso, ma un geroglifico.”
Non meno importante, specialmente per noi Massoni, è l’idea che Giordano Bruno aveva della tolleranza:
Marzo 1588 – Bruno lascia Wittemberg, dove ha preso il sopravvento l’intolleranza calvinista, per Praga. Formula in questo periodo il suo concetto di tolleranza. “La mia religione, scrive, di fatto è la religione della pacifica convivenza delle religioni, fondata sull’unica regola del mutuo intendimento e della libertà di discussione reciproca”.
Uno spirito libero e pertanto disposto alla tolleranza e al rispetto alle idee altrui, ma pur sempre combattivo, pronto a difendere i suoi ideali contro l’ignoranza, l’oppressione, il potere costituito.
Compresi dalla lettura delle sue opere che era un personaggio che nel linguaggio comune si usa indicare come: “scomodo”.
Di questo dovevo prenderne atto; sosteneva le sue idee con tutta la foga di cui era capace, con tutto il lume della sua scienza oratoria. Non cercava di nascondere la natura del suo pensiero, di ispirazione ermetica ed egiziana, che le autorità religiose ritenevano libertino ed eretico, oscuro e demoniaco, contrario alle sacre scritture, condannato e perseguitato dalla “Santa Inquisizione”.
Bruno agiva e pensava in contraddizione con una società,un mondo condizionato da effimere certezze,dove l’uomo e la natura erano murati, spenti e prigionieri della filosofia aristotelica e della astronomia tolemaica, che respingeva e paventava ogni anelito di liberazione.
Non solo nascondeva questa potenzialità dirompente insista nelle sue idee, ma propugnava, auspicava, un cambiamento radicale delle coscienze come inevitabile e necessario per il bene dell’umanità e per il suo progresso.
Bruno era l’araldo di una nuova mathesis del mondo, fondata sulla rielaborazione delle dottrine platoniche ed ermetiche, sulla rivalutazione della natura illuminata da una visione panteistica, magica e vitale.
Le università, i circoli letterari e filosofici che lo ospitarono risuonavano della sua voce che portava la nuova novella. Un universo infinto, con innumerevoli mondi e soli e pianeti; contrapposto alla teoria geocentrica di Tolomeo che poneva la terra al cento e il sistema delle stelle fisse chiuso in un universo finito e limitato. Bruno aveva financo superato l’eliocentrismo copernicano, perché questo ultimo postulando la centralità del sole, aveva accettato il sistema tolemaico delle stelle fisse e quindi l’esistenza di un universo bloccato, finito e limitato.
Da De la causa principio et uno – di Giordano Bruno
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“…se il punto non differisce dal corpo, il centro dalla circonferenza, il finito dall’infinito, il massimo dal minimo, sicuramente possiamo infirmare che l’universo è tutto centro; o che il centro dell’universo e per tutto e che la circonferenza non è in parte alcuna, per quanto è differente dal centro; o pur la circonferenza e per tutto, ma il centro non si trova in quanto è differente da quella.”
Un’altra caratteristica peculiare del filosofo Giordano Bruno è l’estrema coerenza tra comportamento e ideali.
Non vi erano fratture tra il suo modo di pensare e quello di agire. Un uomo che non si lascia facilmente inscrivere totalmente in questa o quella corrente filosofica, poiché aveva ideato dei mezzi propri di ricerca: liberatosi della coscienza ordinaria, tuffandosi a capofitto nell’inconscio e usando l’intuizione aveva raggiunto la luce di una coscienza sapienziale e magica. Uno spirito originale e libero che non scadeva mai nella declamazione retorica e nella pedanteria tanto contraria al suo spirito ed alle sue opere.
Giordano Bruno aveva in uggia i pedanti fino alla nausea e nel suo “Calendaio” li espone all’ironia ed al ridicolo.
Così come irride alle forme allora in voga della magia superstiziosa e fattucchiera. Ma nella stessa commedia “Il Calendaio” traspare il suo estremo amore per l’umanità ed il popolo. Un amore profondo che nelle sue opere filosofiche si ritrova nei confronti della natura riscoperta e riabilitata.

giordano bruno Magia è moltiplicare il dominio sul mondo
Da De la causa principio et uno – di Giordano Bruno
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“TEO: se dunque il spirto, la anima, la vita si ritrova in tutte le cose e secondo certi gradi empie tutta la materia: viene certamente ad essere il vero atto, e la vera forma di tute le cose. L’anima dunque del mondo è il principio formale constitutivo dell’universo, e di ciò che in quello si contine. Dico che la vita si trova in tutte le cose, l’anima viene ad essere forma di tutte le cose: quella per tutto è presidente alla materia, e signoreggia nei composti, effettua la composizione e consistentia del le parti”
Possiamo tranquillamente affermare: che contro la separazione della materia dallo spirito, operata dalla concezione scolastica, il nostro Bruno riafferma l’unità del creato, riabilitando la materia in cui si cela l’energia.
Riaffiora qui la concezione gnostica e la filosofia delle antiche civiltà orientali: il concetto di energia che impregna l’intero universo e tutte le cose. Per Bruno tutta la materia è animata nel senso che in ogni cosa vi è il principio di energia e che quindi l’energia è creatrice di tutte le cose per trasmutazione.
Riallacciandosi alla filosofia greca di Democrito afferma che gli atomi compongono la materia. Una visione che accanto all’idea panteistica della vita, pone le premesse per gli sviluppi della scienza futura.
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Da De la causa principio et uno – di Giordano Bruno
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“Cossì mutando questa forma sedie, e vicissitudine, è impossibile che si annulle: perchè non è meno subsistente la sustanza spirituale che la materiale. Dunque le forme esteriora sole si cangiano, e si annullano ancora, perché non sono cose, ma de le cose: non sono sustanze, ma de le sustanze sono accidenti e circostanze.
Certo se de le sustanze s’annullasse qualche cosa, verrebbe ad evacuarse il mondo”.
Questa affermazione preannuncia la legge di conservazione della massa, il fatidico “nulla si crea e nulla si distrugge” che nell’anno 1774 verrà comunicata dal chimico Lavoisier alla Accademia di Francia.
E’ il principio di entropia applicato all’universo dall’astronomia moderna.
Fratelli debbo confessarvi che in quel momento, sbalordito, mi chiesi: come aveva potuto, Bruno, senza disporre di validi strumenti per l’osservazione astronomica, senza la disponibilità di apparecchiature tecniche e scientifiche, precorrere nel 1500 la nostra conoscenza della fisica e della astronomia di cui siamo fieri? Come aveva potuto raggiungere dei risultati così avanzati per quei tempi?
Da queste domande nacque una ricerca, i cui risultati mi gettarono nel più completo stupore.
A me uomo moderno, innamorato della tecnologia, radicato mentalmente nel metodo e nel mito scientifico mancò, si fa per dire, la terra sotto i piedi.
Bruno era pervenuto a queste rilevanti conclusioni senza l’ausilio di metodi scientifici, ma esclusivamente usando un’antica scienza, praticando un’arte introspettiva che ben poco ha in comune con la scienza tecnologica odierna.
Si trattava della scienza esoterica e simbolica dell’ermetismo, della quale anche noi massoni ci occupiamo, da cui dovremmo essere particolarmente attratti, che dovremmo usare negli architettonici lavori, per il nostro perfezionamento interiore.
I
Giordano Bruno questo essere animato da un’insaziabile sete di conoscere che lo sospinge ad esplorare i confini misteriosi di un’antica sapienza. Un uomo teso, proiettato verso il futuro, ma che però affonda le radici del proprio essere nell’humus vitale di un lontano passato.
Archeologo di una sacra scienza tradizionale, che illumina e risveglia con il linguaggio misterico dei simboli, con l’armonia cosmica risonante nelle cattedrali. Musica silenziosa di pietra e sangue, che seduce e trascolora chi l’ascolta.
Ricordate Fratelli il Tempio? Questo luogo sacro su cui si aprono i cieli? Pensate per un momento all’iniziazione al grado di compagno. Ricordate a settentrione si legge su un quadro la scritta: MOSE’ – PLATONE – ERMETE TRSIMMEGISTO – PITAGORA – PARACELSO.
Questo il filo conduttore della maestria, questi i veri e soli Maestri che uniscono Bruno e noi alle epoche d’oro della conoscenza. Un sapere universale che sembra non possa essere imprigionato in confini geografici, ne risente dello spazio temporale. A questa fonte hanno attinto uomini diversi, per tempi, nazionalità e cultura. Un fiume luminoso che nei millenni, dai lontani giorni di costruzione delle piramidi discende fino a noi e lambisce le porte di questo Tempio.
II
Ma nelle opere di Giordano Bruno, nel suo metodo di ricerca vi è, Fratelli, un motivo l’avvicina, l’accumuna a noi. Raggiunse la conoscenza, l’illuminazione questo mago rinascimentale, attraverso il simbolismo trasposto nell’arte della memoria.
Che cosa è l’arte della memoria? Un sistema usato dai Greci per pronunciare lunghe, complicate, declamazioni. L’oratore, memorizzava le varie parti del discorso in diverse stanze di un simbolico edificio e, ricordando progressivamente e con una precisa sequenza ogni stanza, contenente la propria parte di discorso, esponeva l’intero argomento in un perfetto ordine e senza dimenticare nulla. Dalla Grecia il sistema passò a Roma ed anche nel Medioevo fu molto usato.

giordano-bruno-volontè film
Da Giordano Bruno e la tradizione Ermetica di Frances A Yates pag. 296 – Edizione Laterza 1981
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“La cosa più importante nella concezione di Bruno, era di trovare immagini, segni, “voci”, sigilli viventi che potessero risanare la frattura prodotta dai pedanti nei mezzi di comunicazione con la natura divina, e, una volta trovati questi mezzi viventi di comunicazione (o dopo averli impressi nella coscienza durante esperienze estatiche) unificare tramite essi l’universo quale si riflette nella psiche, acquisire conseguentemente i poteri magici e vivere la vita di un sacerdote egiziano in comunione magica con la natura. Nel contesto di questa concezione incredibilmente strana, un procedimento come quello descritto nel “de umbris idearum” la fissazione nella memoria dei domini decani – risulta -, se non proprio chiaramente intellegibile, quanto meno coerente con la logica del sistema”.
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Da Giordano Bruno e la tradizione Ermetica di Frances A Yates pag. 221 – Edizione Laterza 1981
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“Imprimendo nella memoria le immagini celesti, le immagini archetipe del cielo che sono ombre vicino alle idee del mens divina dalle quali dipendono tutte le cose inferiori, Bruno spera, così almeno mi sembra, di conseguire questa esperienza “egiziana” di divenire, in senso veramente gnostico, l’Aion che racchiude in sé i poteri divini. Imprimendo nella fantasia le figure zodiacali, si può ottenere il possesso di un’arte figurativa che assisterà meravigliosamente non solo la memoria, ma tutti i poteri dell’anima, “quando ci si conforma alle forme celesti” si arriva dalla confusa pluralità delle cose, all’unità che esse sottintendono. Poiché, se le parti delle specie universali non vengono considerate separatamente, ma in rapporto all’ordine implicito che le collega, quali cose mai non riusciremo a comprendere, a memorizzare e a fare?
Il sistema magico bruniano della memoria è perciò rappresentativo della memoria di un mago, di uno che conosce la realtà oltre la molteplicità delle apparenze, avendo conformato la propria immaginazione alle immagini archetipe, e che grazie alla sua penetrazione della realtà, ha conseguito anche poteri operativi.
Bruno non usò l’arte della memoria nella sua funzione solamente mnemotecnica, ma elaborò attraverso essa un sistema per potenziare la mente, attraverso l’uso del simbolismo insito nello zodiaco, cercò di scatenare le forze dell’inconscio per arrivare alla conoscenza”.
Il Tempio Fratelli può essere visto ed usato proprio come un teatro della memoria. In esso vi sono inscritti i segni zodiacali, i simboli, i passi, le parole, le latenze, le pause o profondo silenzio, cose tutte che percepite nel profondo del nostro essere diverranno parte integranti di noi stessi, del nostro sangue e della nostra carne, del nostro spirito. E allora può anche accadere il miracolo che questo teatro che sembra immoto, si animi e diventi vivo e parlante.
E’ la rubedo degli alchimisti, l’illuminazione dello yoga. Il compimento tanto agognato dell’opera. La piccola scheggia di materia che noi siamo, la stella fiammeggiante, improvvisamente si accende del lume della conoscenza e la riverbera.
Da: L’Arte della Memoria di Frances A Yates pag. 281 – Edizione Einaudi 1972
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