ROBERTO BERTOLDO INTERVISTA SUL PENSIERO DEBOLE a cura di Giorgio Linguaglossa: Crisi del sistema teologico della modernità, Il postmoderno, quindi il postmoderno forte, non finirà – La crisi del soggetto, L’arte è ineliminabile Continuità, discontinuità, invarianti Modello problematologico – Cambio di paradigma – L’arte è ineliminabile – Il poeta non può non farsi carico della complessità del mondo e dei suoi mali, Il Nuovo Realismo

Intervista a Roberto Bertoldo a cura di Giorgio Linguaglossa

Domanda: A metà degli anni Ottanta i saggi del volume curato da Pier Aldo Rovatti e Gianni Vattimo (Feltrinelli 1983) sul pensiero debole contribuirono ad introdurre una nuova terminologia: “crisi”, “negativo”, “declino”, “disincanto”, “dismissione” “abbandono, “oblio”, “tragico”, “morte”. Oggi, qual è a tuo parere la costellazione di categorie alla quale dobbiamo fare riferimento per comprendere il mondo che abbiamo intorno?

Risposta: La terminologia a cui si allinea, secondo Gianfranco Marrone, il pensiero debole è evidentemente quella dei filoni filosofici che sono stati raccolti sotto l’egida di una filosofia continentale pretestuosamente unitaria, contrapposta alla presunta filosofia analitica. Parlo di pretestuosità e presunzione perché considero poco attendibile il divario tra filosofia analitica e continentale se non forse a livello linguistico, nel senso che la prima è più metalinguistica, almeno nella versione wittgensteiniana, quella per esempio con cui Wittgenstein apre il Libro blu. Così basti pensare ai divari parziali presenti nella cosiddetta filosofia continentale tra la psicanalisi e il marxismo o tra la fenomenologia e l’esistenzialismo, correnti a loro volta assai stratificate. Succede la stessa cosa di quando vengono opposti genericamente platonismo e aristotelismo. Insomma, si produce più confusione che precisazione. In questo contesto Rovatti e Vattimo hanno avuto il merito di segnalare con più chiarezza la condizione di crisi del sistema in varia misura teologico della modernità, per aderire però, come avviene in genere nel Novecento, al logicismo. Si potrebbe considerare avventata quest’ultima affermazione, ma non bisogna scordare che se con logicismo intendiamo in senso ampio il fondamento logico del pensiero, tutto dipende poi da quale logica, intenzionalmente o meno, adottiamo. Sotto questo aspetto le logiche polivalenti vengono validate dal relativismo, a cui approda proprio il pensiero debole, con deriva nichilistica. La mia posizione è invece orientata verso lo scetticismo e il nullismo, il primo riscattato anche dalle stesse tesi logicistiche (prossimamente uscirà un mio breve saggio che chiarisce questo punto) e il secondo come superamento del nichilismo. La rinuncia al fondamento metafisico non deve significare la rinuncia alla certificazione del mondo fenomenico e di un pensiero sistematico, mentre la rinuncia al dominio, così come quella al dogmatismo, insite nel pensiero debole sono socialmente necessarie. Se tutto questo può andare sotto il nome di “crisi”, “disincanto” e “morte”, per quanto quest’ultima da intendersi in modo epicureo, sono d’accordo con Rovatti e Vattimo, ma terminologie come “negativa”, “declino”, “dismissione”, “abbandono”, “oblio” sono ancora indizi di dipendenza dal moderno. E infatti il pensiero debole, a differenza del pensiero di Lyotard, è antimoderno, non postmoderno.

Domanda: Continuiamo ancora a definire con Lyotard il mondo di oggi come postmoderno. Ma ci sarà pure un termine di questa cosa chiamata post-moderno, prima o poi finirà anche il post-moderno. e poi, che ci sarà dopo il post-moderno?  

Risposta: Lyotard parla di «costruzioni instabili», non «deboli», e sono ovviamente d’accordo con lui. Sono “disincantatamente” favorevole alle costruzioni sistematiche instabili perché richiedono un impegno costante e profondo; c’è nel titanismo dei pensatori sistematici, soprattutto se accompagnato da scetticismo e fallibilismo, la stessa forza dei braccianti che traggono dalla terra il loro e nostro effimero sostentamento, è così che l’intellettuale può arrogarsi il diritto di appartenere al popolo.

Come ho detto, il pensiero debole è antimoderno, non postmoderno. La sua operazione di indebolimento del moderno in chiave relativistica è stato necessario, ma per essere postmoderni bisogna liberarsi da questo decandentismo che esalta il negativo, il declino, l’abbandono, ecc., e purtroppo si è spesso considerato postmoderno questo decadentismo. Ecco perché in Nullismo e letteratura ho parlato di postmoderno forte, o postcontemporaneo, in contrasto con il postmoderno debole, o decadentismo o antimoderno. Così il postmoderno, quindi il postmoderno forte, non finirà, se non come concetto, perché ogni avanguardia, da non confondersi con lo sperimentalismo, assume carattere postmoderno se si accompagna ad una visione scettica e nullistica. Che ci sarà dopo? Bisognerebbe chiederlo a Italo Svevo: nella Coscienza di Zeno è stato chiaro. Ma lui era un borghese e dal Risorgimento in poi i borghesi, come i nobili nell’età Moderna, non amano le rivoluzioni, preferiscono l’apocalisse pur di non perdere il proprio potere.

Domanda: In che rapporto sta il pensiero debole con la fenomenologia di Husserl, la ontologia di Heidegger e l’ermeneutica di Gadamer? Qualcuno ha detto che è la prosecuzione dell’ermeneutica, qual è il tuo avviso?

Risposta: Fenomenologia, ontologia ed ermeneutica hanno un aspetto che le accomuna: l’antipsicologismo. Il pensiero debole resta in questo ambito, ma Rovatti rinfaccia alla fenomenologia husserliana il tentativo di trascendentalizzazione del soggetto. Per quanto riguarda Heidegger, il pensiero debole aderisce all’andare verso le cose stesse, al percorso però non alla sua finalizzazione. Circa i rapporti con Gadamer, Vattimo parla chiaramente di «fondazione ermeneutica», ma nel suo aspetto ontico, per quanto metasingolare, e non in quello ontologico, se non di «ontologia debole», ovvero di memoria e non di rappresentazione dell’Essere. Ovviamente poi i rapporti sono molto più vari e complessi.

 Domanda: A tuo avviso la crisi del soggetto, di quello cartesianamente posto, è un fattore positivo o negativo?

Risposta: Decisamente negativo. L’impostazione logicistica di Cartesio, per quanto ancora classica, aveva il merito di aprire al soggettivismo immanente, dimostrando al contempo, tra l’altro, quanto la logica e la psicologia possano cooperare, anche se forse abbiamo dovuto aspettare Freud per questo, nel quale tuttavia esse hanno cooperato male. Ma il punto essenziale è un altro: il Cogito ergo sum determina lo smacco della successiva fondazione coscienzialista, sia quella di Husserl più ancorato all’intenzionalità sia quella più religiosa di Sartre. Ripudiare il soggettivismo immanente significa perdere di vista la singolarità degli esseri viventi e la stretta connessione d’essa, e del contesto noumenico, con l’individualità e il mondo fenomenico; e significa trascurare il fatto che la libertà consiste nell’autenticità della propria condizione. Poi senz’altro è vero che tutto è comunque sfuggente, a maggior ragione i soggetti immanenti, che sono soggetti non funzionali, quindi solo potenzialmente soggetti. Tuttavia l’apertura verso di essi, vale a dire verso le singolarità degli oggetti fenomenici, è basilare per l’applicazione di una vera dialettica, dialogica e non solipsistica, conciliante e non dispotica. E perché ciò avvenga occorre recuperare, diversamente da quanto sostiene il pensiero debole, un proprio pensiero forte, che non significa inappellabile. Perché è impossibile un dialogo costruttivo se i dialoganti non hanno una personale e profonda visione del mondo e se, soprattutto, non chiariscono, e primariamente a se stessi, la propria fondazione pregiudiziale.

Domanda: Continuità, discontinuità, invarianti, modello problematologico, cambio di paradigma. Oggi si parla di tutto ciò con un po’ di superficialità e non si comprende più che cosa sia la «realtà», come coglierla, come rappresentarla. A tuo avviso, quali sono le categorie basilari per afferrare la «realtà»? Può sembrare una domanda banale, ma io vedo che c’è una grande confusione in giro.

Risposta: Non è una domanda banale perché non è banale ciò a cui si riferisce. La realtà è tutto quanto poniamo come oggetto, quindi tutto quanto percepiamo, fosse anche un’immaginazione, e anche ciò che il nostro corpo coglie solo a livello di sensazione, sebbene quest’ultima oggettività è ancora meramente potenziale. Parlo però, non a caso, di percezione, non di interpretazione. Parlo quindi dell’oggetto reale, non della realtà pretenziosamente oggettiva. Tutto è reale, anche l’oggetto che ne ricaviamo, ma bisogna viverla questa realtà affinché mantenga la propria integralità. Perché anche l’immanenza è reale, anche il noumeno. Dopo Kant, i romantici hanno concesso all’arte di coglierlo e rappresentarlo, purtroppo non di spiegarlo. Spiegazione, giudizio, chiarezza discorsiva non sono pane per i nostri denti cariati.

Domanda: C’è anche chi afferma, che viviamo finalmente nel migliore dei mondi possibili. Che il nostro modello di sviluppo obbedisce ad un modello di ragione che non si può mettere in discussione. Chi lo dice avrà pure le sue ragioni, visto che il modello alternativo, il socialismo, è finito come tutti sappiamo. Qual è il tuo avviso?

Risposta: Sono dell’avviso che il socialismo non sia finito, ma sia assorbito dall’anarchismo, un Anarchismo senza anarchia, come si intitola un mio saggio. La ragione si è sfaldata, non tanto perché, come dopo l’illuminismo, ha dimostrato la sua debolezza come strumento di aggregazione sociale e politica, ma soprattutto perché non è solo la sua applicazione induttiva a intriderla di irrazionalità, è essa stessa irrazionale. La logica di cui si compongono certe demenze lo dimostra.

Domanda: Che ne pensi di quello che recentemente è stato chiamato il “Nuovo realismo”?

Risposta: Come ho descritto prima la realtà, puoi notare che la mia visione d’essa come noumenico-fenomenica può rientrare senz’altro in ciò che viene chiamato “nuovo realismo”, tuttavia non nel modo illuministico e ontologico di cui parla Maurizio Ferraris. La mia posizione è stata sempre più complessa e infatti non rigetta, nonostante tutto, il postmoderno, quello forte almeno. Al contrario dell’impronta illuministica ho parlato di immanenzione e di estanomalogia (cfr. Istinto e logica della mente) e, in luogo dell’ontologia, di fenomenognomica (Cfr. Principi di fenomenognomica e Sui fondamenti dell’amore). L’analisi del mondo, delle sue individualità fenomeniche, non può prescindere dal recupero delle singolarità e della loro dazione, ma questo recupero non può avvenire nell’ambito del principio del terzo escluso. Mi sembra che il realismo delineato da Ferraris sia figlio di una concezione classica della mente, il mio invece risente pienamente dell’idea di “mente estesa”.

Domanda: Pensi che nel prossimo futuro ci sarà ancora un posto per l’arte? In fin dei conti, ci sono state intere epoche che non hanno avuto un’arte significativa, dove interi generi sono scomparsi, per riapparire magari nell’epoca successiva, o che avevano un’arte decorativa, funzionale alle istituzioni del Potere. Qual è il tuo avviso?

Risposta: L’arte è ineliminabile. Può essere deprivata del suo statuto ontologico e fenomenognomico, addirittura di quello gnoseologico, può divenire puro strumento ludico e di evasione, ma è ineliminabile. Il problema dunque non è se avrà un posto ma, come sostieni giustamente, quale arte? “Decorativa” o “significativa”? Il mio timore è che venga cancellato l’intellettuale creativo, perché oggi, dopo l’abbraccio tra filosofia e poesia avvenuto in modo finalmente accurato nell’età romantica, il poeta non può non farsi carico della complessità del mondo e dei suoi mali.

alfredo de palchi roberto bertoldo

alfredo de palchi e roberto bertoldo

Roberto Bertoldo nasce a Chivasso il 29 aprile 1957 e risiede a Burolo (TO). Laureato in Lettere e filosofia all’Università degli Studi di Torino con una tesi sul petrarchismo negli ermetici fiorentini, svolge l’attività di insegnante. Si è interessato in particolare di filosofia e di letteratura dell’Ottocento e del Novecento. Nel 1996 ha fondato la rivista internazionale di letteratura “Hebenon”, che dirige, con la quale ha affrontato lo studio della poesia straniera moderna e contemporanea. Con questa rivista ha fatto tradurre per la prima volta in Italia molti importanti poeti stranieri. 
Dirige inoltre l’inserto Azione letteraria, la collana di poesia straniera Hebenon della casa editrice Mimesis di Milano, la collana di quaderni critici della Associazione Culturale Hebenon e la collana di linguistica e filosofia AsSaggi della casa editrice BookTime di Milano.

Bibliografia:

Narrativa edita: Il Lucifero di Wittenberg – Anschluss, Asefi-Terziaria, Milano 1998; Anche gli ebrei sono cattivi, Marsilio, Venezia 2002; Ladyboy, Mimesis, Milano 2009; L’infame. Storia segreta del caso Calas, La vita felice, Milano 2010.

Poesia edita: Il calvario delle gru, Bordighera Press, New York 2000; L’archivio delle bestemmie, Mimesis, Milano 2006; Pergamena dei ribelli, Joker, Novi Ligure 2011;

Saggistica edita in volume: Nullismo e letteratura, Interlinea, Novara 1998; nuova edizione riveduta e ampliata, Mimesis, Milano 2011; Principi di fenomenognomica, Guerini, Milano 2003; Sui fondamenti dell’amore, Guerini, Milano 2006; Anarchismo senza anarchia, Mimesis, Milano 2009; Chimica dell’insurrezione, Mimesis, Milano 2011. Pergamena dei ribelli Joker 2011, Il popolo che sono Mimesis, 2015. Nel 2016 pubblica il romanzo Satio per Achille e la Tartaruga.

6 commenti

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6 risposte a “ROBERTO BERTOLDO INTERVISTA SUL PENSIERO DEBOLE a cura di Giorgio Linguaglossa: Crisi del sistema teologico della modernità, Il postmoderno, quindi il postmoderno forte, non finirà – La crisi del soggetto, L’arte è ineliminabile Continuità, discontinuità, invarianti Modello problematologico – Cambio di paradigma – L’arte è ineliminabile – Il poeta non può non farsi carico della complessità del mondo e dei suoi mali, Il Nuovo Realismo

  1. Forse l’intervista è eccessivamente estesa su troppi campi delle questioni filosofiche oggi sul tappeto. ed io vorrei restringere le problematiche affrontate ad una sola: qual è il ruolo che il pensiero debole di Vattimo ha avuto in questi ultimi decenni? Purtroppo, nella poesia italiana ha riscosso una scarsissima attenzione. Io qui vorrei sottolineare che pensiero debole non equivale a pensiero estetico debole, anzi, mi sembra che l’estetica di Vattimo ponga sul tappeto questioni importantissime che sintetizzerei dando la parola direttamente a Marcello di Bello.

    Poesia e ontologia fu scritto da Vattimo nel 1967 e poi riedito nel 1985 […] Occorre qui, in via preliminare, abbozzare la posizione di Vattimo su verità ed essere. La verità, nella tradizione metafisica, è stata sempre intesa come il rispecchiamento di un dato, l’adeguazione alla presenzialità dell’essere: da una parte l’essere nella sua già data, già completa presenza, e dall’altra il pensiero che tenta di rispecchiarlo, e che tuttavia in questo rispecchiamento non aggiunge nulla all’essere. Vattimo, raccogliendo suggestioni heideggeriane, nicciane e gadameriane, intende la verità come evento, come “l’aprirsi di orizzonti storici entro cui gli enti vengono all’essere”(p.123); e, come tale, essa deve accadere e “non è nulla al di fuori o al di sopra di tale accadere”(p.123). La verità è, in altri termini, la posizione di un mondo, di un orizzonte di significati entro cui si può dare vita, storia, cultura, sviluppo: la verità coincide, niccianamente, con le condizioni di affermazione della volontà di potenza, come dispiegamento di senso e di mondo. L’essere, anch’esso, avrà struttura eventuale, e non già presenziale: esso è il declinarsi delle sue incarnazioni, cioè delle epoche, dei mondi in cui, ad un tempo, si propone e si ritrae dando vita e alimento agli enti che popolano questi mondi; ma esso non è nulla al di fuori di questo suo declinarsi, esso non è il permanente al di sotto delle sue incarnazioni di mondo, poiché l’essere è sempre essere dell’ente, di ciò che entro un mondo viene ad essere. Chiariamo che il termine mondo non indica la totalità del dato, ma l’orizzonte, l’ordine di apertura di una prospettiva sotto la quale si raccolgono gli enti e i loro rinvii significativi. Entro un mondo gli enti hanno l’essere, e l’essere si dà, si mostra pur ritraendosi, sempre e solo nel mondo: l’essere può manifestarsi in altri mondi, ma mai al di fuori dell’accadere della mondità. È significativo, a questo proposito, che Vattimo giudichi il principio “nulla si crea e nulla si distrugge” come espressione della vecchia metafisica: l’essere infatti si stratifica e aumenta, nella misura in cui accade ad esso di mostrarsi in nuovi e diversi mondi, e questo suo contenuto che si mostra non era già altrove, in precedenza, ma si costituisce in assoluta novità.
    Fatte queste precisazioni introduttive possiamo passare ad affrontare il corpo del testo. Il filo argomentativo del discorso di Vattimo si chiarisce se immaginiamo che esso risponda a quattro domande poste da altrettanti lettori: un filosofo, un artista, un critico e un comune fruitore d’arte. Il filosofo domanderà: in che senso la poesia ha che fare con l’ontologia? L’artista: che cos’è il fare artistico? Il critico: come devo leggere, interpretare, spiegare un’opera d’arte? Il fruitore, infine: in che consiste la fruizione artistica? La risposta che sarà data al filosofo è quella decisiva e che deciderà della plausibilità delle risposte date agli altri. Per questa ragione ci pare conveniente rimandarla alla fine, benché essa sia operante sia all’inizio che alla fine. Per ora basti dire questo: la poesia è ontologia perché è aperta all’essere, perché il suo radicamento non è limitato alla coscienza dell’uomo ma a qualcosa che la trascende, l’essere appunto. Problema sarà definire i caratteri di questa apertura all’essere e dell’essere stesso.

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  2. antonio sagredo

    alle ultime domande di Linguaglossa, che poi sono domande similari che si fecero in primis i formalisti russi agli inizi del secolo scorso (e poi più tardi
    gli strutturalisti delle scuole europee) non è difficile ripondere: basta leggere i loro testi: > il “che fare?” è poi domanda della critica radicale russa della metà del secolo ‘800, che includeva fattori sociali e artistici… domanda a cui risposero con successo quei formalisti già da giovanissimi studiosi… e potettero rispondere magistralmente poi che amici dei grandi poeti del primo novecento russo: insieme lavorarono sulla materia viva: se stessi come poeti con le loro opere vive rispettive. L’egemonia della critica russa è oramai, da più di 80 anni, un fatto storico accettato da tutti; ma non solo la critica; p.e. acnhe la pittura e l’arte grafica… le conquiste artistiche comunque appartengono a tutti poi che l’osmosi e la simbiosi culturali fanno si che l’arte in generale possa progredire per la conoscenza di tutii, e spargersi ovunque – grazie a.s.
    nb. si ringrazia come sempre il Linguaglossa che è critico capace di sollecitare domande rispondetre, e di solleticare i cerebri sensibili alla curiosità. Non solo Linguaglossa, ovviamente, anche coloro che si sono “assentati” sono pregati di ri-presentarsi ma con intenti ortodossi, nel senso di rispettare la materia di cui si tratta,e di non sconfinare arbitrariamente.

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  3. Gino Rago

    La sapienza nell’articolazione delle risposte dell’intervistato su punti nodali
    sul senso della presenza dell’uomo nel mondo e l’intelligenza stringente delle domande poste dall’intervistatore inducono a problematiche riflessioni il lettore. Due,comunque, sono i temi che maggiormente in me risuonano:
    – il poeta non può non farsi carico della complessità del mondo e dei suoi mali, richiamando i poeti al ruolo che dovrebbero avere;
    – l’arte è ineliminabile.

    Non da ieri ma da anni Roberto Bertoldo propone esperienze innovative sia nel campo della poesia sia nel campo della saggistica. Con Sandro Montalto, Mauro Ferrari , Alfredo Rienzi e Giorgio Linguaglossa, Roberto Bertoldo, da fine logologo com’è, è tra i pochi non inclini a derogare, come critico, dalla qualificante funzione stabilita dall’etimo: la valutazione, il giudizio. Con risultati che, anche nella pagina odierna de L’Ombra, non è difficile scorgere.
    Gino Rago

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  4. Ringrazio Lucio Mayoor Tosi,
    perché in un recente commento mi ha fatto il più grande complimento che si possa fare parlando della mia attività di critico come un “Grande progetto” e di una “Utopia”. Davvero, Lucio, non potevo chiedere di più e di meglio. Queste parole sono importanti e centrali, non solo per il mio lavoro, ma anche per il lavoro filosofico di un Roberto Bertoldo. Anche lui si muove in vista di un “Grande Progetto” e di una “Utopia”. In fin dei conti, che cos’è il suo “Surrazionalismo” se non una categoria poetica mediante la quale lui legge il mondo e l’opera d’arte? Le Risposte di Bertoldo sono tutte in quella direzione, tentano di dare una risposta alla questione di: Quale Reale? Quale Poesia? Come si deve essere nel mondo? – Giustamente, come dice Antonio Sagredo, sono quei medesimi interrogativi che la critica russa dei formalisti, ma anche di Cernysevskij (ricordo) aveva posto ad inizio Novecento, mentre la critica italiana (con la sola eccezione di Gobetti e di Renato Serra) si attardava ad una impostazione ottocentesca del rapporto tra poeta e il proprio tempo. Gli interrogativi sono sempre quelli. Io ho tentato (e tento ancora) di ri-mettere la Chiesa al centro del villaggio (come diceva l’ex allenatore della Roma calcio), solo a questo serve la critica e l’attività di critico, altrimenti è ciarla e chiacchiera intorno al proprio narcisismo di intellettuale. Come ho detto più volte su questo blog, io mi considero “un ciabattino della poesia“. Voglio essere tale. Agli altri gli allori della visibilità e del Nobel.

    Adesso Voglio raccontare un aneddoto. La FUIS di Roma (Federazione Unitaria Italiana Scrittori) ha dato incarico ad un poeta, Franco Buffoni, e a un narratore, Paolo Di Paolo di scegliere 40 autori ciascuno (40 narratori e 40 poeti) per 4 pagine ciascuno tradotte in inglese per offrire il libro in distribuzione gratuita in Inghilterra. Apriti cielo! Si sta scatenando una bolgia di sotto bosco e di sotto raccomandazioni per entrare negli 80 primi della classe in Poesia e nella Narrativa. Allora, lo dico da subito: Diffido sia Buffoni che Paolo di Paolo a pensare di inserirmi tra gli 80 mallevadori selezionati per le due Antologie. Non voglio avere nulla a che fare con queste operazioni di infimo cabotaggio poliziesco e mafioso. Chiaro? (per dirla con papa Francesco quando si rivolse all’ex sindaco di Roma Marino) – Chiaro?

    Mentre sull’Ombra si parla di “l’aprirsi di orizzonti storici entro cui gli enti vengono all’essere”(p.123); e, come tale, essa deve accadere e “non è nulla al di fuori o al di sopra di tale accadere”(p.123), in qualche altra zona dell’essere si tratta la poesia e la narrativa come un immondezzaio a cielo aperto

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  5. antonio sagredo

    è una fortuna che io non sia ancora noto!
    a. s.

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