(Lucio Mayoor Tosi, Non-stop, acrilico, 60×60, 2024)
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Non vi è dubbio che nel pensiero di Vattimo la crisi del senso unico e assoluto a favore di sensi molteplici e relativi fa tutt’uno con l’abbandono delle categorie forti della metafisica tradizionale e con l’imporsi di una visione debole dell’essere. Vattimo giunge a tale risultato ispirandosi a Nietzsche e ad Heidegger.
Più precisamente, Vattimo deriva da Nietzsche l’annuncio della “morte di Dio”, ossia della consapevolezza secondo cui le evidenze forti dei tempi passati altro non erano che forme di rassicurazione del pensare in un orizzonte garantito; e assume da Heidegger la concezione epocale dell’essere secondo cui l’essere non è ma accade e accade nel linguaggio per cui il senso dell’essere si risolve nella trasmissione di messaggi linguistici tra le varie generazioni.
Ne consegue che questa concezione dell’essere comporta una sua temporalizzazione, ossia un suo indebolimento strutturale con il risultato che, per Vattimo, al metafisico essere forte subentra un post-metafisico essere debole.
La fine della metafisica e l’indebolimento dell’essere sono riconducibili al nichilismo, ma per Vattimo si tratta di un nichilismo debole , un nichilismo vattiano nel quale né si ricerca il nuovo, né si vive di rimpianti ma ci si abitua a convivere con il niente e cercando soltanto nella nostra condizione delle positività possibili da esperire. Così, alla idea heideggeriana di essere come stabilità, eternità e forza viene sostituita l’idea di essere come vita e maturazione, nascita e morte.
Per questo, nella sua Introduzione a Verità e Metodo, di Hans. G. Gadamer, Gianni Vattimo scrive: «La coscienza, la certezza che l’io ha della verità come caratterizzata da chiarezza e distinzione, che da Cartesio fino allo stesso Hegel rimane l’istanza suprema, non è più per Nietzsche un testimone attendibile. In modo più radicale di Marx e Freud, che pure sono i positivi campioni dello smascheramento nel pensiero del nostro tempo, Nietzsche universalizza il sospetto nei confronti dell’autocoscienza, introducendo in modo definitivo nella nostra cultura la consapevolezza dell’attività di mascheramento e di mistificazione in cui consiste la vita stessa della coscienza».
Dopo essere passato attraverso la fine delle grandi sintesi unificanti e rassicuranti e dopo avere assunto fino in fondo la condizione debole dell’essere e anche della esistenza, l’individuo post-metafisico è colui che ha imparato a vivere con sé stesso, con la propria infondatezza, con la propria finitudine.
Alla domanda che solleva questioni epocali: «Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della metafisica?», le risposte non sono semplici, ma una è possibile darla in riferimento al passaggio dall’idea di “uomo metafisico” a quella di “uomo post-metafisico”: è possibile scrivere poesia anche dopo la morte della metafisica, ricordando che la metafisica muore quando comincia il nichilismo secondo Nietzsche, ma è possibile soltanto una poiesis che prenda atto anche della «fine della storia» in un nichilismo compiuto che accetti e affermi la realtà e la vita così come esse sono, senza sovrapposizioni metafisiche ma nella consapevolezza dell’assenza di fondamenti, un’assenza che impone un carattere fittizio di qualsiasi interpretazione, nella coscienza che nel post-metafisico c’è posto soltanto per il gioco e per l’erranza. Il poeta post-metafisico deve scrivere per l’uomo post-metafisico, ossia deve scrivere nella pratica attiva della non-violenza, del dialogo, della tolleranza, nella consapevolezza di un mondo fluido, diversificato, in cui la certezza di possedere la verità assoluta è crollata e con tale certezza è morta anche la storia la quale cede il posto alla «storialità». Una poiesis post-metafisica in cui nasca e si affermi una componente etica che è cifra esclusiva del «pensiero etico» di Vattimo, un pensiero debole in cui l’indebolimento dell’essere si configura non soltanto come destino, ma come compito.
Ed è qui che si inseriscono la Nuova Ontologia Estetica e la Poetry kitchen, le quali ripudiando gli stucchi e le ragnatele nella stanzetta del poeta dell’Io, rifiutano definitivamente la poiesis della «dimensione privata» (che ancora si fa oggi in quantità industriale) se non altro perché, per dirla con Giorgio Linguaglossa essa: «è semplicemente Kitsch, discarica di rifiuti quale è diventata la vita privata nella dimensione privata delle società post-democratiche dell’Occidente».
Una poesia kitchen di Mimmo Pugliese
ANDATA È RITORNO
Seppellirai le vetrine
sotto specchi che tagliano il cuore
Nelle domeniche che ricordano l’ottovolante
nuvole addentano sedie vuote
Il rumore della polvere scende dal treno
ferri da stiro abbracciano collane di mirto
Chiedi acqua agli ossi
ha occhi di cristallo il triclinio
Il polso delle capinere offusca il sangue dei pianeti
il giardino di fianco ha rughe sulla fronte
Il martello partorisce la mezzanotte
il diastema solletica il mandorlo
Il tavolo della Sibilla Cumana è imbandito di semicrome
la lama del coltello è una cornice di fumo
Togli la primavera dal mazzo di carte
i fiumi hanno cambiato chauffeur
Non ci sono più streghe
tra poco si svegliano i pesci Continua a leggere