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Gianna Paola Cuneo POESIE – Appunto biografico a cura di Steven Grieco-Rathgeb con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa “Rigore, icasticità delle immagini, ripetizioni cicliche delle medesime figure, lentezza di rappresentazione, concentrazione degli sfondi, paesaggi metafisici”; “Il senso di endlessness”; “Arpocrate, Dio del silenzio, insito nelle cose, nelle piante” – Quadri di Gianna Paola Cuneo

Gianna Cuneo ricordo

Città Ricordo

Appunto biografico a cura di Steven Grieco-Rathgeb

Gianna Paola Cuneo nasce a Roma, e dopo pochi mesi già si trova a Bruxelles dove si trasferisce il padre diplomatico. Nella casa di Avenue de la Folle Chanson la sua prima lingua sarà il francese. Negli anni ’30 vive in Jugoslavia e di nuovo in Belgio dove da bambina scopre l’arte dei primitivi fiamminghi e di Rubens. Gli anni di guerra e di occupazione tedesca le fanno vivere, presto, drammatiche esperienze, che annota nel suo diario d’infanzia.
Di ritorno in Italia nel ’43, l’intera famiglia si rifugia in Abruzzo dove di fronte alla casa di famiglia, a Francavilla al Mare, esisteva ancora lo studio-museo del pittore Francesco Paolo Michetti, e dove Gabriele D’Annunzio scrisse Il Piacere. Il portamento delle contadine dipinte dal Michetti imprimeranno in lei una forte influenza formale. Anche dopo la guerra, Francavilla sarà per molti anni un importante punto fermo per l’arte di G. P. Cuneo. La casa, ricostruita, con il suo studio osservatorio sul mare, sono la sua prima visione dell’orizzonte.

Quando nel ’45 la famiglia riparte di nuovo, questa volta per Chicago, per G. P. Cuneo diario e disegno diventano sempre più importanti, un’ancora per affrontare, in piena adolescenza, il distacco dalla vecchia Europa. L’Art Institute di Chicago le appare subito il ‘suo’ mondo: museo, accademia di belle arti, teatro sperimentale, biblioteca. Ammessa ai corsi a soli 15 anni divampa la passione pittorica e la indomabile necessità di espressione. I suoi quaderni post-cubisti nascono assieme a pensieri e brani di prosa, racconti, di cui alcuni descrivono l’alienazione provata nella metropoli americana. L’ambiente culturale di Chicago è importante in quegli anni. Con il padre Gibbì frequenta professori, artisti e letterati italiani, tra i quali Fermi e Borgese, allora alla Chicago University, Benedetti Michelangeli e Carlo Levi. Quest’ultimo, apprezzando i suoi primi lavori, la incoraggia.
Le estati passate a Positano la riportano in contatto con il Mediterraneo e quel mondo magico, inventato, teatrale, dove luci e sensazioni erano portate all’estrema potenza, dove tutto poteva avvenire. L’attrazione per quella città verticale, dai profumi inebrianti, dai colori in perfetta armonia con l’infinito del cielo, libera il suo tratto e la affida alle dimensioni minuscole del luogo e al contempo infinitamente grandi del cuore e delle emozioni che solo quella terra sa offrire.

gianna cuneo donna

La ragazza di Positano

Tornata a Roma nel ’49, G. P. Cuneo conosce Benedetta Marinetti che si interessa ai suoi lavori e le porta a studio Christian Zervos, critico famoso, fondatore dei Cahiers d’Art, l’importante rivista d’arte moderna francese, autorità su Picasso, Leger, Giacometti, e sull’arte greca. Zervos vuole presentarla in catalogo nella sua prima mostra personale alla Galleria del Pincio, in Piazza del Popolo (…). Lì espongono Guttuso, Pizzinato, Zigaina e il Fronte Nazionale delle Arti. La prima personale, del marzo 1952, le porta un ottimo successo, anche di critica.
G. P. Cuneo parte di nuovo per gli Stati Uniti nel 1953, adesso con il marito Umberto, anche lui in missione diplomatica a New York. Lì subito dopo nasce la figlia Valentina. Nel giro di pochi anni la sua vita si sposta a Londra dove la pittrice rimarrà sei anni. Con uno studio sul Tamigi, riprende la sua attività nell’acceso clima culturale della città dei primi anni sessanta. In questa città può dedicarsi di più alla pittura e alla poesia. Riprende contatto con Zervos, incontra Armitage e Henry Moore. Arrivano dall’Italia registi come Zeffirelli e compositori come Petrassi, la Callas con Medea. (…) Nasce a Londra Fabrizio.
Dalla metà degli anni Sessanta si susseguono anni più difficili: è l’epoca del ritorno a Roma nel disorientamento. Il sole e la luce del Mediterraneo la aiuteranno a superare la crisi. In questa atmosfera G. P. Cuneo vive un periodo di forte produzione poetica: sublimazione indispensabile.
La vita romana è intensa fra arte e vita familiare. Organizza mostre d’arte contemporanea e si introduce negli ambienti della vecchia Roma dove apre le Bateleur in un antico spazio, che ristrutturato farà da sfondo a innumerevoli mostre d’arte, come in un improbabile teatro.

Gianna Cuneo miporto

mi porto una strada

Gli anni ’70 sono l’epoca del ritorno alla Francavilla della sua gioventù, e soprattutto a Capraia. Dopo tanto esodo, tanta vita all’estero, Gianna Paola Cuneo ha modo di riscoprire antiche origini familiari e antenati che vissero qui quando l’isola faceva parte dei possedimenti della Repubblica marinara genovese. E’ un mondo che la affascina e la porta a vivere una nuova percezione della natura e della storia.
E’ anche un periodo marcato dalla casa di via Teatro Valle a Roma, punto di ritrovo di artisti e amici, e dei primi viaggi in Grecia, grazie alla quale si risveglia in lei una forte affinità con la storia e il mito di quel paese. L’incontro con il giornalista Spyros Metaxas la porta a organizzare Viaggio nella tradizione ellenica, una serie di mostre sull’arte popolare greca. Il rapporto con la Grecia si approfondirà nel tempo. Nei suoi viaggi nel Peloponneso ritrova forme e miti arcaici studiati in gioventù: profonde ispirazioni spirituali che trasformano queste visioni in arte.
Con il quadro Vento alla stazione ferroviaria, inizia alla fine degli anni ’80 il nuovo periodo pittorico. Queste ricerche cominciano a rivelare aspetti inattesi dell’attività delle forme, tralasciando schemi formali. Dall’alto del suo studio sul mare assimila una nuova visione, un nuovo ritmo delle cose. Una profonda linea dell’orizzonte si insinua nelle sue composizioni. Emergono tutti gli arpeggi, gli elementi del ricordo, che rivive in un clima “panteistico”, più penetrante e vicino alla poesia. Le ragioni della pittura e della parola, a volte si intrecciano nel comune linguaggio delle sfumate trasparenze, filtri di bagliori sommersi, rarefatti, contenuti nella memoria.
Questo periodo di forte produzione artistica è anche marcato dal suo addio alla casa di Teatro Valle e l’approdo a Trastevere, nuovo epicentro della sua vita culturale e creativa.
Con il susseguirsi di estati elleniche, nonché letture e osservazioni sul mito e sugli eroi, G. P. Cuneo rivisita in maniera nuova soggetti a lei già noti: questi anni a cavallo del secolo sono da lei chiamati il “periodo elegiaco” della sua arte. Sotto i cieli delle isole del Saronico e nel suo studio di Trastevere scrive e dipinge ispirata da fauni e argonauti, e misteriosi orizzonti marini.
Nel 2003 esce la sua prima raccolta di poesie, La Musa del Transatlantico, edita da Il Gabbiano, e vincitrice del Premio Elio Vittorini, edizione 2010; un libro di prose La danza dell’orizzonte Ed. Campanotto (2010)

Gianna Cuneo notturno

pesca notturna

Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa. “Arpocrate, Dio del silenzio, insito nelle cose, nelle piante”

Non c’è alcun dubbio sulla cittadinanza ideale di queste poesie di Gianna Paola Cuneo nella sua versione trilingue, e sul piacere poetico-pittorico di esperire l’astratto-concreto delle sue visioni come se fossero i suoi quadri rovesciati, i quadri della stagione romana degli anni Cinquanta e Sessanta, con quelle figure bronzee che si stagliano in primo piano o sullo sfondo di angoli di una città fantasma, su vie e incroci di vie deserte con i palazzi dai colori caldi e asciutti come se una immane siccità fosse intervenuta a colorare quei palazzi romani; tutta la difficoltà risiede nella corposità delle immagini carpite dal vuoto e campite con tenacia e concentrazione per consegnare agli utenti un tessuto compatto di parole-immagini, una musica quasi pittorica, una poesia quasi pittura di incredibile fascino e, addirittura, come diceva Cage, “talvolta troppo bella” parlando della musica di Morton Feldman. Tutta la icastica precisione delle immagini della poesia di Gianna Cuneo vuole semplicemente dare un equivalente visivo al senso di “endlessness”; dove la massima delimitazione e concentrazione delle immagini dà vita al senso dell’infinito e del vuoto.

Gianna Cuneo orizzonte

danza dell’orizzonte

Rigore, icasticità delle immagini, ripetizioni cicliche delle medesime figure, lentezza di rappresentazione, concentrazione degli sfondi, paesaggi metafisici… Ci si può chiedere come da pochissime immagini alternate con pochi intervalli, a tanto ammonta il materiale di base della sua poesia, Gianna Cuneo riesca a tenere il lettore in ascolto attento con la sua versificazione essenziale, intenta soltanto alla esecuzione delle immagini e ai silenzi intorno agli oggetti.  Ecco, il silenzio intorno agli oggetti, questo è un aspetto  decisivo nella sua pittura, ma anche nella sua poesia entra il «qui e ora» degli Stoici, punto di intersezione dell’individuale e dell’universale, dove l’unità dei colori sfuma nell’unità di uno spazio virtuoso che si allarga e si espande. Analogo modo di sentire è presente nella sua poesia dove le campiture descrittive sono sempre individuate nel punto nel quale c’è l’accadimento umano. Molto limitata è la gamma di visioni e di paesaggi, armonie e figure, su tutto gioca un dio omerico con le sue bizze infantili e le sfumature dei suoi umori. Il mare è una di queste ossessioni visive di Gianna Cuneo, e gli dèi dell’antica Grecia vi compaiono di frequente, come le sfumature cangianti della sua tavolozza lirica basata sulla ripetizione, il colore e il silenzio. È una questione di concentrazione e di massima essenzialità nella gerarchia delle parole; Per la Cuneo scrivere con l’inchiostro o con il colore è la stessa cosa, cioé in sostanza, come il tessitore di tappeti, non poter tornare indietro a correggere – lo stesso faceva Cage con un afflato appena più vaticinante. Una stessa immagine ripetuta e detta in maniera diversa. Il tempo, questa deità dispotica e bizzosa, nelle sue poesie scorre pianamente e lentamente, in unità plastiche aggregate in maniera desultoria, apparentemente senza conflittualità residua fra un decorso musicalmente necessario e l’intenzione espressiva come di affresco, di campiture visuali da cui non emerga nulla di simile a un attacco di colore o un accento di immagine. È una implacabile ossessione per l’ordine e il disegno che Gianna Cuneo deriva dalla sua pittura – un procedere logico ed emotivamente neutro concepito grazie a tecniche visuali, che formula il tempo modulare del suo discorso poetico.

Gianna Cuneo emersione

Emersione alla Cala rossa

Senza alcun ricorso a pratiche linguistiche desunte dal post-ermetismo o dallo sperimentalismo, mai condivise grazie alla sua formazione intellettuale cosmopolita, Gianna Cuneo riesce a produrre in parole la bellezza dolcemente disumana e stranamente appassionata di un mondo che vive nell’immateriale delle immagini (tale in poesia e tale nella sua pittura), che sembra respirare nella natura ma è come irreparabilmente abitato dalla presenza umana, un mondo contemporaneo segnato dalla fine della dialettica storica e dell’utopia. Su tutto domina la figura di «Arpocrate, Dio del silenzio», un enigmatico non-dire che è il segreto del silenzio della sua pittura e della sua poesia.

Arpocrate, Dio del silenzio,
insito nelle cose, nelle piante,
lo perseguita, come un’erinni
Il mare è grigio e fermo. Sopra,
Vi si pongono i gabbiani, come
Su un lago triste e opaco. Poche
Barche, rivoltate, in abbandono.

Gianna Cuneo musa

Musa del transatlantico

Poesie di Gianna Paola Cuneo

Novembre – sera

Dalla finestra guardo
L’amplesso grigio del cielo
Di novembre con la terra
E le cose.
Da un fumaiolo solo
Usciva un po’ di fumo
Che s’è spento.
Scendono dalle nubi, isolate,
Le rondini, e volano a sud
Stridendo.
Sul tetto, contro l’orizzonte,
Sagoma nera di metallo,
Gira su stesso,
Un finto gallo.

12 novembre 1962

Ti ho visto in sogno

Ti ho visto
In sogno
All’improvviso
Fra le case
Brune, di Londra,
Hai detto
Resterò un momento
Eri tornato
Adolescente
Sereno, possente
Come un dio.
Ho tolto
Nel sogno
Dal tuo volto
I solchi, i segni
Il veleno del dubbio
Del vuoto.
Nella notte
D’ambra bruciata
Cercavamo la mia casa
Inabitata da anni.
Ti ho detto
Vieni a vedere
Senza sapere
Cosa.

16 gennaio 1963

Capraia

Emersa dall’azzurro
Da anni mi chiamavi
Da secoli
Colla tua forte voce
Pietrosa,
Irta di rupi e arsa.
Ci sono,
Ci sei
E vi ho incontrato
Occhi come i miei.
E vedo
Le case degli Avi
Sgretolarsi, grigie
Inverosimili
Sopravvissute all’oblio.

Il giorno del mio arrivo, gennaio 1964

Gianna Cuneo ferroviaria

Vento a una stazione ferroviaria

Arrivo

Ho visto da lontano
La Civitata fendere il mare
Il verde delle forre,
Sulla tua groppa irsuta,
Avvicinarsi.
Questo volta mi attendi vuota
Più sola,
E il vento ti tormenta le rovine.
Non posso rinunciare
Al caldo delle pietre consumate
A un solo brandello di vita:
Mi manca la tua estate,
E la mia.

Capraia, settembre 1965

Saluto

Dai varchi vuoti
Del sogno
Affioro alla luce.
Ho lasciato tra le rupi
Azzurre
Le cupole grigie
Di garitte antiche
Di case diroccate,
Le grandi immobili foglie
Dei fichi
E sono scesa al mare
Per l’addio.

Capraia, settembre 1965

Foschia sul mare

Mi viene di parlare
Senza sapere che dire, oggi,
La voce raggelata
In questo caldo settembre
Da inutili agonie.
Il mare tace, calmissimo,
La ventola, soltanto, del comignolo,
Arrugginita, stride sul tetto,
Girandosi: un rumor di carrucola,
Duro, che ricomincia impietoso
Come un sguardo freddo,
Come un veleno di parole amare.
La calda foschia di settembre
Coprirà tutto: le nitide visioni,
Capraia, il mio anelito puro
Fino all’orlo lontano dei monti,
L’amore.
E non si può farne il bilancio:
Un occhio di luce nella nebbia
Non rischiara, a pochi passi,
Si ferma e si raggruma, ingigantendo
Come una lente, smisurati pulviscoli.
Devo uscire dal cerchio degli sguardi
E di nuovo sbagliare sola.
Suddenly she seems to change the subject

settembre 1996

Gianna Cuneo eclissi (1)

eclissi di luna

Wondering

Coves of Riverhead,
Unseen landscapes
Of trees and dunes,
Bushes and leaves
Self-ignoring perfections
Of added loneliness.
In blithe winter sun
Cold wind, wild, blowing
Carves those rare faces
And crimps courageous eyes,
Staring away at sea.
Distant winds, daring,
Sweep gray granite monuments
Of men and tears.
Why is memory lost of them?
I wonder, while the winds
Torment tree trunks.,
In decaying, forgotten forests.
I wonder who wonders.

Riverhead, 15 gennaio 1987

Cale di Riverhead, paesaggi inosservati di alberi e dune, arbusti e foglie, perfezioni che ignorano se stesse, di più forte solitudine. Nell’allegro sole invernale un vento freddo, impetuoso, gonfio, scolpisce quei rari volti e raggrinza occhi coraggiosi, che fissano il mare là fuori. Venti lontani, impavidi, spazzano monumenti di uomini e di lacrime, in granito grigio. Perché di loro è perso il ricordo? Me lo chiedo, mentre i venti frustano i tronchi di alberi in foreste che marciscono, obliate. Mi chiedo chi chiede.

(trad. Steven G.-R.)

Achilles’ Bay

We arrived together at Achilles’ Bay
Not knowing, attracted by a strange stillness
Of deep turquoise sea, as imagined
In dreams or seen through distant glass.
Getting there, to half-moon shore
We walked through high vegetation
With no cicada sound piercing the sun
No whisper of running stream,
As heard before, near the discovered waters.
There, at Achilles’ Bay, remember, the wind
Changed, unpredictable, powerful
Disarming our hypnotized minds,
Confused by heat and silence
And visions of time before, painfully emerging.
So far from us, distant visions could reappear
Being recalled only by your whispered name,
Achilles, that ends in a whisper of wind.
No city, no grave, no tower
No Hermit, no sheep or goat,
Not even ruins emerge there
But empty horizons, closed
By rocks as amphitheatre,
To embrace your name, Achilles.

Skiros, 1987

Arrivammo insieme alla Baia di Achille, ignari, attratti da una strana quiete di mare profondo turchese, come immaginato in sogni o visto attraverso un vetro lontano. Giungendo lì, alla riva a mezzaluna, camminando attraverso il verde folto senza un suono di cicala a trafiggere il sole, nessuno scorrere di torrente, come sentimmo prima, vicino alle acque scoperte rivelate. Lì, alla Baia di Achille, ricorda, il vento cambiò, imprevedibile, potente, ci disarmò il pensiero ipnotizzato, confuso dal caldo e dal silenzio, e visioni di un tempo prima che affioravano dolorose. Così, lontano da noi, visioni distanti potevano riemergere richiamate dal solo tuo nome sussurrato, Achilles, che finisce in un sussurro di vento. Non città, non tomba, non torre, nessun Eremita, non pecora né capra, nemmeno rovine emergono lì, ma vuoti orizzonti, chiusi da rocce come anfiteatro, ad abbracciare il tuo nome, Achille.

(trad. Steven G.-R.)

Gianna Cuneo atlantide

In vista di Atlantide

Genius loci

La bianca carcassa della mia casa
Appare nella nebbia invernale,
Spazzata dall’aria fredda.
La facciata è una faccia,
E mi guarda triste, interrogandomi.
Le persiane verdi sbiadite sono
Tutte chiuse. Immagino, da fuori,
Come se vi entrassi, le poltrone
Coperte da pezze, come le ho
Lasciate. I mobili amici, fermi
Al loro posto a guardarsi, in
Attesa. E i quadri, densi di
Solitudini, presenza-assenze, che
Narrano al vuoto le loro storie.
Le piante, le grandi piante, vive,
Sono state distrutte, frusciando
Al vento, mi avrebbero salutato
All’arrivo. L’essere sub-umano,
L’assassino degli alberi, forse
È già all’inferno, incatenato
Alla televisione (sub rosa dictum)
Arpocrate, Dio del silenzio,
insito nelle cose, nelle piante,
lo perseguita, come un’erinni
Il mare è grigio e fermo. Sopra,
Vi si pongono i gabbiani, come
Su un lago triste e opaco. Poche
Barche, rivoltate, in abbandono,
in un fossato di silenzio.

Francavilla, dicembre 1989

Frammenti d’agosto

Ammutoliti dal silenzio
Massi lavorati sugli spalti
Dolmen dell’uomo e castelli
Simili, ormai, consumati
Aneliti di pietra, arcaici
Gesti umani isolati nell’oblio
Ove l’erica ricopre e s’arrovella
E la vita dell’uomo non matura:
Le sue pupille verdi scrutano il finito.

Capraia, luglio 1995

Peinture

Songe, rêve, réalité
Réalité d’un rêve ; ombre,
Forme des formes,
Physiognomie de l’ombre
Paysage du temps –
Peinture : coup de poignard
De l’âme historique !
Conscience historique – siècles
Enfermés de la naissance à la mort.
Image vivante, mystèrieuse, de l’homme.

Rome, Décembre 2005

Pittura

Sogno, visione, realtà
Realtà di un sogno, ombra
Forma di forme,
Fisionomia dell’ombra
Paesaggio del tempo –
Pittura: colpo di pugnale
Dell’anima storica!
Coscienza storica – secoli
Rinchiusi dalla nascita alla morte.
Immagine vivente, misteriosa, dell’uomo.

(trad. Gianna Paola Cuneo)

Gianna Cuneo legge

Gianna Cuneo

Egeo

All’ombra di una petroliera nera
L’attesa
Vento dal mare, sole catrame
Attesa
Gioco di bandiere, gioco di luci
Riflessi
Sapore di porto in gola
Lontane, le montagne viola
Sbiadite
Planata di uccelli bianchi
La mia nave, lenta
Arriva.

agosto 2010

Ombres

Quelque chose d’ancien dans l’air
Dans la force brune des oliviers
Et la parole, de loin ecoutée,
Perdue dans le vent.
Les robes, le draps flottent dans l’ombre
Des jardins. Un être humain passe
Au bord de la mer : ombre.
Loin, les voiles blanches, en fuite
Folles amies de l’espoir…

Poros, agosto 2013

Ombre

Qualcosa di antico nell’aria
Nella forza bruna degli ulivi
E la parola, ascoltata da lontano,
perduta nel vento.
Le vesti, i drappi volano
Nell’ombra dei giardini.
Un uomo passa sul mare – ombra.
Lontano, vele bianche in fuga
Folli amiche della speranza…

(trad. Gianna Paola Cuneo)

Steven Grieco 2

Steven Grieco

Steven J. Grieco Rathgeb, nato in Svizzera nel 1949, poeta e traduttore. Scrive in inglese e in italiano. In passato ha prodotto vino e olio d’oliva nella campagna toscana, e coltivato piante aromatiche e officinali. Attualmente vive fra Roma e Jaipur (Rajasthan, India). In India pubblica dal 1980 poesie, prose e saggi. È stato uno dei vincitori del 3rd Vladimir Devidé Haiku Competition, Osaka, Japan, 2013. Ha presentato sue traduzioni di Mirza Asadullah Ghalib all’Istituto di Cultura dell’Ambasciata Italiana a New Delhi, in seguito pubblicate. Questo lavoro costituisce il primo tentativo di presentare in Italia la poesia del grande poeta urdu in chiave meno filologica, più accessibile all’amante della cultura e della poesia. Attualmente sta ultimando un decennale progetto di traduzione in lingua inglese e italiana di Heian waka.

In termini di estetica e filosofia dell’arte, si riconosce nella corrente di pensiero che fa capo a Mani Kaul (1944-2011), regista della Nouvelle Vague indiana, al quale fu legato anche da una amicizia fraterna durata oltre 30 anni. Èin corso di stampa un libro di poesie presso Mimesis editore. indirizzo email:protokavi@gmail.com

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