Ieri pomeriggio sono stato a piazza San Giovanni qui a Roma, alla manifestazione delle «sardine». Sono arrivato alle tre del pomeriggio. C’era tanta tanta gente che sciamava per ogni dove. Eravamo centomila e forse di più. Giovani, giovanissimi, adulti, operai, intellettuali con la barba, cittadini normali dalla faccia lavata e pulita, c’erano persone normali e per bene che non gridavano, non acclamavano i loro capitan Fracassa, non pronunciavano parole di esclusione o di odio contro nessuno… soltanto sventolavano sardine colorate, con annominazioni in romanesco: «Ce semo noi, le sardine, fatece largo!», «Le sardine sono tante a milioni di milioni!», «Co tutte ‘ste sardine ce famo er baccalà», «Adesso damose all’ittica!», e via cantando… mentre cercavo il palco che non c’era, infatti non c’era nessun palco, non c’era nessun oratore perché tra le sardine non ci sono capitan Fracassa o capitane dell’odio e della cialtroneria. Qualcuno parlava da un megafono improvvisato, ma le parole si udivano a malapena. È stato un sit in, una testimonianza, una presenza della gente normale e per bene che non vuole più sentire parlare di menzogne, di invettive, che non vuole sentire più parole di odio e di inimicizia per nessuno. Erano testimoni e portavoce di una Roma e una Italia che si è svegliata dal lungo sonno dell’odio, del razzismo, dell’ingiuria e della mistificazione. È stato bellissimo svegliarsi dopo questo lungo sonno della Ragione che, pensavo, avesse addormentato le coscienze. E invece mi sono sbagliato, le ha risvegliate, quelle parole, le parole del salvadanaio salviniano e meloniano erano troppo brutali, menzognere, scioviniste… Si è sentita perfino la parola «solidarietà» e «tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge», la parola, incredibile a dirsi, «amicizia». Mi sembrava di essere atterrato su un altro pianeta, mi chiedevo: ma questa è Roma?, la Roma degradata, impoverita e arrabbiata di questi ultimi lustri? Sì, mi sono detto, questa è Roma, la vecchia degradata Roma che vuole credere in un sogno, nel sogno che l’Italia esca presto da questo brutto inverno delle parole della immondizia e dell’odio, che c’è un’altra Italia, che è possibile risorgere. Che è possibile un nuovo Risorgimento. Grazie sardine, grazie a tutti voi che ieri mi avete fatto ricredere dal mio pessimismo… lo sapevo, sapevo che non poteva durare questo lungo inverno delle parole dell’odio, del livore e del razzismo. Sapevo e speravo. E ho pensato al grande poeta Alfredo de Palchi che al telefono qualche giorno fa mi diceva: «l’Italia risorgerà, prima o poi risorgerà». Alfredo è malato e stanco, non ci vede più, il cancro lo sta mangiando, vive al di là dell’Atlantico, tuttavia vede le cose d’Italia, la sua patria, con grande acume e chiaroveggenza. Le sue parole risuonano ancora nella mia mente e mi aiutano a sperare che non tutto è ancora perduto, che l’Italia non può essere consegnata al becercume di questa destra dell’odio, del degrado e della campagna elettorale permanente, della mistificazione permanente.
(Giorgio Linguaglossa)
Alfredo de Palchi
Non c’è misura del tempo
dove rimugino luoghi costanti dove
senza fuoco il sole
è una idea senza fuoco
nella melma
sotto il suolo come una radica liquefatta
che la pioggia penetrando filtra
in acquifera
così l’eterno che odo
adagio molto e cantabile
dolcezza impossibile di acque
sotterranee in re minore
per esplodere in inno alla gioia
capendo che il diluvio è
libertà della natura di nascere
e morire
(20 giugno 2009, Alfredo de Palchi da Foemina tellus, Ed. Joker, 2010)
Poesie per il 93mo compleanno di Alfredo de Palchi

Donatella Bisutti, Giorgio Linguaglossa, Roma 2017
Donatella Bisutti
Fango
Variazioni
ad Alfredo De Palchi e al suo sguardo sul mondo senza veli ipocriti con i miei affettuosi auguri
.
Il fango è acqua appesantita dalla terra
terra che può scorrere come acqua.
E’ nel fango che Dio ricrea la sua immagine
è nel fango che cadono i fiori
è nel fango che camminano i soldati
è nel fango che si trascinano le fanciulle caste
le scarpe infangate calpestano il fiore caduto nel fango
le scarpe con il tacco schizzano di fango l’orlo delle gonne
il tacco altissimo sprofonda nel fango
è nel fango che si disfanno le montagne
il volto dei soldati è una maschera di fango
le dame di carità rialzano fanciulle cadute nel fango
il fiume in piena ricopre tutto di fango
nessuno si risolleva dal fango
al posto della virtù solo fango
i maiali si rotolano nel fango
le bambine fanno pasticcini di fango
Il fango è terra che può scorrere come acqua.
il fango è acqua appesantita dalla terra
ne ho abbastanza di tutto questo fango
una casa imbrattata di fango
una maschera di bellezza di fango
questo pesce sa di fango
l’uomo tratto in salvo era coperto di fango
il fango seppellisce ogni cosa
stiamo affondando nel fango
E’ nel fango che Dio ricrea la sua immagine.
Ma quanto tempo è che il fango non ha sommerso la tua casa?
e allora come puoi parlare del fango?
e allora come puoi sapere che cos’è il fango?
Spazzolare via il fango quando è asciutto
il fango fertilizza la terra
ma tu ti sei mai riempito la bocca di fango?
Leggi giornali che parlano di fango
e dopo averli appallottolati li getti nel fango
e riprendi a camminare sul marciapiede d’asfalto
fra le luci al neon
cammini e ti senti sicuro e protetto
mangerai stasera a un Mc Donald’s
i pasticcini cucinati dalle bambine
con le treccine di fango.
Edith Dzieduszycka
Traccia evanescente
nata da qualche punto
arduo da scoprire
lungo la curva chiusa del cerchio primitivo
Impronta labile
nel flusso intrappolata di altre impronte
ove sbiadita fluttua
cancellata
si perde
Ricordo vago
tempo qualche toccata
sospiro che si spegne
debole musica
fuga
assorbita dal coro.
da una raccolta inedita Tra un pensiero e l’altro

Lucio Mayoor Tosi, selfie
Lucio Mayoor Tosi
Aspettare De Palchi.
Abbiamo a che fare con il gatto di casa. Alle prese
con l’odiata coda. Se è vero che la si possa acciuffare
in svariati modi, tanti ancora da inventare, oltre che di balzo
o facendo finta di niente.
Quaranta minuti di disprezzo. E’ sangue che torna.
.
In men che non si dica risalire il discorso scritto:
oggi nero fumo / infrangibile specchio / Dimmi. / Istante
distante. / Un sogno a cavallo, che si possa spartire.
Metà chiacchiera per ciascuno. Perché adesso anch’io
lo storpio e lo piego, il discorso agli amanti.
.
*
Ringrazio il poeta Alfredo De Palchi per avere tenuto la barra diritta, tutta la vita, su quel che gli andava o non gli andava di pensare e scrivere. Questo è per me l’insegnamento: prima vinci la paura per quel che altri potrebbero pensare di te, delle cose che scrivi. Poesia vuole le tue parole come sono, come sei.
Grazie Alfredo. Buon Compleanno.
Mario M. Gabriele
Chi ha dipinto il melangolo
ha visto anche la natura di Monet.
La signora Olson, referente dell’Unde Malum,
non si è mai arresa dopo le quaresime.
Per frenare la bufera
abbiamo messo gli infissi con vetrocamera.
Ora più sicura è la guarnigione
di pitt bull e guardrail.
Nella Collezione Peggy Guggenheim
qualcuno cercava l’orecchio di Van Gogh.
Facemmo il conto del viaggio
senza pensare ai bitcoin persi ai Grandi Laghi.
Occhieggiano i fiori della memoria.
La passiflora si mette in equilibrio con i lillà.
Abbiamo avuto problemi con Novembre
e Halloween.
Sonia Bergamasco ha letto il catalogo semiserio
delle lettere mozartiane.
La paura di trovare il passerotto fuori gabbia
ha messo in allarme l’indigena di Chiapas
Bessy rivuole tutto d’accapo: anni e cose.
A sera, nel living room, fa retrospettiva culturale.
Verremo a Detroit, John, e ci dirai tutto
su Colazione da Tiffany.
«A rivederci dalla balaustra al ginocchio
sulle intenzioni pre-matrimoniali.»
L’incipt è disdicevole, si vocifera nei portierati, più dello strapiombo reale
tra il leggìo e le parole in decantazione.
Sul lato di via San Barnaba il procuratore capo distribuisce volantini
“vietato sporgerti se non sei degli anni 30”
Meno slanciati, certo, ma tutti ritiravano
le uova cautamente allo sportello del new deal.
«Giacomo è tardi, andiamo a fare la doccia»
«La doccia no, preferisco a spezzatino»
col corpo in equilibrio sulla trave
in equilibrio sulla calce che bolle
Anas Al-Bashar sbilenca il cravattino
e prepara il piano terra per i futuri sposi.
“Deontologia professionale” insiste il picchetto antistante
l’onore e l’ossobuco sfrigolanti. Col naso all’insù
il cinghiale inciampa al primo tormentone del bozzagro
appena fuori città.
Molto bello il pezzo d’apertura, complimenti.
Il fenomeno “sardine” ci coglie di sorpresa. Ciò che scrivi, Giorgio, apre la mente, mette in subordine la rete affaristica del malaffare quotidiano, che abita in tutti i piani del Palazzo, lo sgretola, lesionando le fondamenta.
Queste “sardine” mi ricordano i ragazzi usciti la mattina, per votare contro l’abolizione di alcuni articoli della Costituzione: una massa enorme da sembrare tanti armigeri usciti per difendere la Libertà, violata da un fiorentino senza fiori.
Ora mi chiedo, pessimista come sono, se dobbiamo mettere l’ultima chance sulla nuova ondata che sta attraversando l’Italia, oppure restare nel soggiorno e sentire il Tic Tac dell’orologio a pendolo. Per organizzare tutto questo, deve esserci un Programmatore che non conosciamo.
Questa massa enorme di pensiero deve reggersi su una strategia politica. Solo così ha senso, la pianificazione di un nuovo assestamento sociale, economico, culturale e via dicendo, di fronte al mondo che cambia e si autorivoluziona. Ci troviamo di fronte al massimo livello di razionalità della struttura sociale che deve proseguire indebolendo i tecnocrati della politica di oggi..
Senza questi obiettivi rimane il senso della ferita difficile da rimarginare. Il fine principale delle “sardine” è diventare un cuneo perforante nell’avanzamento della democrazia.
Per quanto riguarda Alfredo de Palchi esprimo i miei più sinceri auguri per i suoi 93 anni, che come dici tu, sono terribili da sopportare per lo stato fisico in cui si trova.
Penso si debba distinguere tra nuovo che cambia e nuovo che non cambia nulla. Tra inventori e chi fa restyling, tra filosofi autentici e cuochi e stilisti alla ribalta… e chi, in politica, scambia per professionismo l’abilità di intessere tatticismi, alleanze per essere maggioritari al governo; ché poi si perdono le parole, non si sa più cosa dire oltre a ribadire temi collaudati “perché lo insegna la storia” ( ma già lo storicismo…); e invece sono parole usurate, che non aiutano e il primo incantatore che abbia sciolta la lingua sembrerà un gigante, un liberatore, uno che finalmente parla mostrando di non avere dubbi. Ecco, è questo per me il disastro a cui tanti si sono assuefatti. Il loro bel sogno in Parlamento, la buona camomilla.
Benvenute Sardine! Il pifferaio che lo scorso agosto chiedeva pieni poteri è servito: avrà sardine a pranzo e sardine a cena.
Ora non si pensi subito a fare incetta di voti ma si torni alla politica, perché è questa la richiesta: non fare semplice schieramento ma ragionare. E ragionare del nuovo… del vuoto che crea. Questo mi auguro, che le sardine siano come tanti Alfredo De Palchi, non riconducibili all’ovile, e che non si possono addomesticare. Tanti, insieme, ma finalmente ognuno con la propria testa.
cara Donatella Giancaspero,
ho corretto la svista. Grazie per la segnalazione.
Ringrazio Giorgio Linguaglossa per la correzione.
Buona domenica
D. G.
“Benvenute Sardine! Il pifferaio che lo scorso agosto chiedeva pieni poteri è servito: avrà sardine a pranzo e sardine a cena”
“Non tutto è perduto”. Avanti, insieme.
… comunque, sappiano i lettori che, dopo quanto accaduto ieri, a causa di Giuseppe Talia (dal quale attendo ancora le scuse pubbliche), non avrei voluto vedere la mia poesia ripubblicata qui nel post. Sin dall’inizio ero stata contraria a comparire, considerandolo anche inutile, avendo io già provveduto a scrivere personalmente ad Alfredo de Palchi e a sua moglie Rita.
Donatella Giancaspero
Gentilissima Signora Donatella Giancaspero,
come detto in privato, così mi ripeto in pubblico:
Le Auguro ogni Bene.
Grazie infinite per queste preziose notizie! Mille auguri, sempre, e un solidale, carissimo saluto da
Mariella Bettarini
1
Il potere della sintesi polverizzato
e guardo negli occhi un unico pensiero, allo specchio
quell’esperienza al tinnove, mi chiedevi?
La lotta è seduta, oppure sedotta?! Un volto
unico frammento, non ricordo, neppure!?
Così controversa l’esperienza appaga!
Il pugno è stato un simbolo
che ora riposa nella mano, come
suonare il piano con solo cinque
dita, le altre nascoste.
Il pianista non ricordo chi sia,
la citazione nominale non serve. Chopin si dissolse.
Grazie OMBRA.
(Buone sardine a tutti.)
«il racconto letterario è un’elaborazione secondaria e, perciò, una Einkleidung, si tratta della sua parola, una veste formale, un rivestimento, il travestimento di un sogno tipico, del suo contenuto originario e infantile. Il racconto dissimula o maschera la nudità dello Stoff. Come tutti i racconti, come tutte le elaborazioni secondarie, esso vela una nudità.
Ora qual è la natura che la nudità in tal modo ricopre? È la natura della nudità: lo stesso sogno di nudità ed il suo affetto essenziale, il pudore. Poiché la natura della nudità così velata/disvelata è che la nudità non appartiene alla natura e che possiede la propria verità nel pudore.
Il tema nascosto de I vestiti nuovi dell’imperatore [fiaba di Andersen] è il tema nascosto. Ciò che l’Einkleidung formale, letterario, secondario vela e disvela, è il sogno di velamento/disvelamento, l’unità del velo (velamento/disvelamento), del travestimento e della messa a nudo. Tale unità si trova, in una struttura indemagliabile, messa in scena sotto la forma di una nudità e di una veste invisibili, di un tessuto visibili per gli uni, invisibile per gli altri, nudità allo stesso tempo apparente ed esibita. La medesima stoffa nasconde e mostra lo Stoff onirico, vale a dire anche la verità di ciò che è presente senza velo.»1
1 J. Derrida, La carte postale, trad. it. Mimesis, Milano, 2018
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Luciana Lanzarotti
https://lombradelleparole.wordpress.com/2019/12/15/ieri-pomeriggio-sono-stato-a-piazza-san-giovanni-qui-a-roma-alla-manifestazione-delle-sardine-eravamo-centomila-e-forse-di-piu-per-il-93-compleanno-di-alfredo-de-palchi-parte-iii/comment-page-1/#comment-60858
TUTTI QUI
Riavervi tutti qui/
i quanti uno spazio relativo non bastano/
sono vivo./
Apro quella porta e un’altra altra ancora/
di ogni antro misurate le quote/
sono solo stanze vuote./
Intelligente io giocoliere di formule/
e teoremi per la gente./
Di voi non so più niente./
Unico dato del mio essere nato/
ogni virtù di acciaio viti e ruote/
misura misure per entrare in casa o forno che nutra/
o/
riduca la speranza/
in grigia impalpabile sostanza./
Vorrei avervi tutti qui/
dalle mammelle dei vostri cuori fantasmi/
succhiare il senso/
del bello della morte/
dove rivivere il nesso/
della sorte./
Tiziana Antonilli
Poesia per Alfredo de Palchi
Il suo fianco di ocra e sole
è il monte cui poggiarsi
morbido e a losanghe
il suo maglione batte regolare
ai venti del nord
invincibile per i dadi lanciati
dalle burrasche del sud.
Anche il più piccolo dito
del nostro essere
ha conficcato nella vita.
DUŠKA VRHOVAC
tr. Isabella Meloncelli
Le mani: un monumento alla mia vita
Le mie mani
hanno dapprima giocato,
nel grembo materno,
alla fonte della vita,
poi in cerchio
disegnato nell’aria
i segni magici
per il sonno infantile,
quieto e ristoratore.
In seguito montarono
e smontarono giocattoli,
avvicinarono alla bocca
dolci e frutta
e sorsi soavi
di fredda acqua sorgiva,
fecero palle di neve,
colsero i fiori di campo,
le mie mani.
Oltre alla madre
e al padre
abbracciarono la nonna,
le zie,
gli zii,
i cugini
e tutto il rimanente
numeroso corteo,
le mie mani.
Poi hanno guidato
la migliore compagna
e il compagno,
nelle tasche hanno nascosto
i piccoli segreti dei bambini,
hanno scritto le prime lettere,
e poi le parole importanti,
le mie mani.
Hanno fatto un migliaio di cose,
le mie mani:
disegnato,
intrecciato le maglie,
nutrito,
spolverato,
confortato,
giocato con il mouse del computer,
stretto la speranza,
sostenuto gli amici,
i nemici,
gli amori,
e i passanti intenzionali
o casuali
attraverso la mia vita.
Si sono allargate all’entusiasmo,
come ali d’uccello felice,
destinate al volo infinito,
e conserte afflosciate
sul petto,
le mie mani.
Nel conscio,
e nell’inconscio,
si sono incrociate,
le mie mani.
Hanno sostenuto la mia testa
fra i palmi ardenti,
a tenerla cosciente,
e sulla spalla,
perché non si disperdesse
in milioni di luciori.
Ora giacciono quiete
nel mio grembo
e si tengono l’un l’altra
a percepire,
come gemelli nelle viscere materne,
quando si avvicinerà il giorno fatale.
Le mie mani
sono vivo monumento alla mia vita.
Tradotto in inglese da Aleksandar Malesevic
***
Le mani: un monumento alla mia vita
Le mie mani hanno giocato per prima,
Nei guai di mia madre,
Sulla fonte della vita,
Quindi erano crociera
Disegno sull’aria
Segni magici
Per un sogno di bambini sereno e sereno.
Poi si sono fatti pace e hanno rotto i giocattoli,
Ho portato caramelle e frutta con la bocca
E dolci gocce
fredda acque di primavera,
Fatto di neve di neve,
Fratelli fiori polacchi,
Le mie mani.
tranne madre e padre
Grill con la nonna,
Zia,
Zio,
Comics,
Taglio capelli
E il resto di un sacco di proprietà,
Le mie mani.
Poi erano alla guida
Migliore amico e amico,
Si nascondono nelle loro tasche
I segreti dei piccoli bambini,
E ha scritto le prime lettere,
E le parole importanti,
Le mie mani.
Hanno fatto mille cose della mia mano:
Disegni,
spalle,
Cibo,
Elimina la polvere,
Tešile,
Giocando con il mouse del computer,
stretta speranza,
Ho mantenuto gli amici,
nemici,
Amore,
E così,
intenzioni e a caso passa per la mia vita.
Sono felici di diffondere,
Come le ali di un uccelli felici,
Dedicato ad un anno senza fine,
E sono andati giù,
Sul mio petto, le mie mani.
Nella conoscenza,
e ignoranza,
Erano battesimo,
Le mie mani.
Hanno tenuto la mia testa tra le palme calde,
Per rimanere coscienza,
E sulla spalla,
Per non essere tristi in un milione di santi.
Ora stanno serenamente nelle mie ginocchia
E si tengono giù l’un l’altro,
Come gemelli nello stomaco della mamma,
Quando si avvicina il giorno.
Le mie mani sono un monumento vivente della mia vita.
Le cime di Baska
Foto di Lisa Bernardini
The hands: monument of my life
RUKE: SPOMENIK MOM ŽIVOTU
My hands used to play first
on my mother’s bosom,
the source of life,
and circulated
drawing in the air
magic signs
for a peaceful and stalwart child’s dream.
Then they used to make and break toys,
offer sweets and fruit to my mouth
and sweet sips
of cold spring water,
make snowballs ,
pick the field flowers,
my hands.
Other than the mother and father,
they used to hug the grandma,
the aunties,
uncles,
cousins,
and many other relatives of mine,
my hands.
Then they used to hold
my best friends’ hands,
hide little childhood secrets
in the pockets,
and write down the first letters,
and important words later,
my hands.
They used to do thousand of things,
my hands:
draw,
knit,
feed,
dust,
comfort,
play with a computer mouse,
squeeze the hope,
hold the friends,
and enemies,
and loves,
random and deliberate passers-by through my life.
They used to open thrillingly
like the wings of a happy bird,
meant for an endless flight,
and contritely fold on the chest,
my hands.
Aware,
and unaware,
they used to cross myself,
my hands.
Used to hold my head between the hot palms,
to remain conscious,
and on the shoulders,
to not burst into million fireflies.
Now they lie quietly in my lap,
and hold each other ,
listening,
like twins in the womb,
for the imminent day to come.
My hands are the living monument of my life.
Duška Vrhovac
Translated into English by Aleksandar Malešević
***
RUKE: SPOMENIK MOM ŽIVOTU
Moje ruke su se prvo igrale,
u majčinim nedrima,
na izvoru života,
pa su kružile
crtajući po vazduhu
mađijske znake
za miran i krepak dečji san.
Onda su sklapale i rasklapale igračke,
prinosile ustima slatkiše i voće
i slatke gutljaje
hladne izvorske vode,
pravile grudve snega,
brale poljsko cveće,
moje ruke.
Osim majke i oca
grille su baku,
tetke,
ujake,
stričeve,
strine
i ostalu mnogobrojnu svojtu,
moje ruke.
Zatim su vodile
najbolju drugaricu i druga,
u džepovima skrivale
male dečje tajne,
i zapisivale prva slova,
pa važne reči,
moje ruke.
Radile su hiljadu stvari moje ruke:
crtale,
plele,
hranile,
brisale prašinu,
tešile,
igrale se kompjuterskim mišom,
stiskale nadu,
pridržavale prijatelje,
neprijatelje,
ljubavi,
i ine,
namerne i slučajne prolaznike kroz moj život.
Oduševljeno su se širile,
kao krila srećne ptice,
namenjena beskrajnom letu,
i skrušeno se skrštale,
na grudima, moje ruke.
U znanju,
i neznanju,
krstile su se,
moje ruke.
Pridržavale mi glavu medju vrelim dlanovima,
da ostane pri svesti,
i na ramenu,
da se ne rasprsne u milion svetlaca.
Sada mirno leže u mom krilu
i drže jedna drugu osluškujući,
kao blizanci u majčinoj utrobi,
kada će se približiti sudjeni dan.
Moje ruke su živi spomenik mome životu.