Giorgio Linguaglossa
Una riflessione intorno all’opera poetica di Alfredo de Palchi
Un pensiero intorno alla povertà delle parole
Quando si pensa ad una nuova opera, ad una nuova «cosa», ad una nuova poesia pensiamo ad un «non ancora». E che cos’è questo «non ancora» che non riusciamo ad interpellare, a nominare? È l’impensato nel pensiero, l’impensato che sta al di là di ogni pensiero pensato… è il «non ancora» che guida il nostro pensiero verso la soglia dell’impensato. Allora, possiamo dire che è l’impensato che guida il pensiero verso il pensato…
La «metafora silenziosa» è l’impensato che fa irruzione nel pensiero.
Ecco, la nuova ontologia estetica è il «non ancora», è quell’impensato che muove il pensiero verso il pensato… Privati dell’utopia dell’impensato, si ricade nel pensiero già pensato, nel pensiero routinario… Dobbiamo quindi abitare l’impensato, abituarci al pensiero di abitare il «non ancora», l’impensato…
Dobbiamo intensamente pensare ad una «nuova metafisica delle parole» per poter pensare di fare «nuova poesia». Lo sappiamo, le parole della vecchia metafisica sono finite dal rigattiere, sono state vendute al Banco dei pegni. Dobbiamo trovare in noi una nuova patria metafisica delle parole, pensare alle linee interne delle parole, non a quelle esterne della rappresentazione. Quello che ha fatto Alfredo de Palchi è stato parlare direttamente della propria esperienza personale, per linee interne. E così la propria personalissima biografia è diventata la propria personalissima metafisica, e le parole sono venute da sole: brutte, sgraziate, cacofoniche, impopolari, antipatiche, anti letterarie, estranee, ultronee. Alfredo de Palchi ha fatto un passo indietro ed ha trovato come per magia le parole delle linee interne, ha esiliato le parole delle linee esterne, quelle compromesse con le parole di una metafisica non più ospitale, le parole fraudolente e ciniche, ha usato soltanto le parole sulfuree che gli dettavano la sua iracondia, le sue idiosincrasie, i suoi umori.
Qualcuno mi ha mosso, ragionevolmente, un interrogativo intorno a ciò che ho tentato di abbozzare con il nome di «metafora silenziosa». Comprendo bene le ragioni di tale diffidenza, sono comprensibili, condivisibili ma proviamo ad andare un po’ al di là del pensiero corrente, proviamo a pensare alla «metafora silenziosa» come ad una manifestazione del linguaggio. Possiamo dire così: che la «metafora silenziosa» appare quando il linguaggio si ritrae; la metafora silenziosa si annuncia quando l’orizzonte linguistico si ritrae; dobbiamo allora pensare alla metafora non come ad un composto di nomi, non come ad un nome che proviene da altri nomi, quanto come un nome che appare quando gli altri nomi si ritirano dietro la soglia dell’orizzonte linguistico.
La metafora silenziosa è qualcosa di analogo all’Umgreifende, qualcosa si manifesta e viene verso di noi quando non ci dirigiamo verso di lui, anzi, quando ci allontaniamo da lui, quando prendiamo congedo dalla povertà delle parole…
Allora, veramente accade che la parola si manifesta quando facciamo un passo indietro (zurück zu Schritt), quando pensiamo alla parola non per il suo rinvio ad altro ma per il suo non essere invio, o rinvio, per il suo non significato e non significabile, come a qualcosa che non può essere catturato, afferrato, preso (greifen) con la potenza della nostra volontà, ma che può essere preso soltanto mediante un atto di congedo da qualsiasi apprensione, con un passo indietro.
[Del termine Umgreifende sono state date numerose traduzioni tra cui menzioniamo ulteriorità (Luigi Pareyson), tutto-abbracciante (Cornelio Fabro), tutto-circonfondente (Renato De Rosa), comprensività infinita (Ottavia Abate), orizzonte circoscrivente (Enzo Paci); i francesi usano il termine englobant, enveloppant. Nella presente trattazione, una volta chiarito il senso, s’è preferito lasciare il termine nell’espressione tedesca, il cui significato emerge dalle parole che lo compongono: “greifen” che significa “afferrare, prendere”, e “um” che è una preposizione che dà il senso della “circoscrizione”, della com-prensione”. “Um-greifende” è allora “ciò che, afferrando, circoscrive; prendendo com-prende”. Ciò che è circoscritto e com-preso è, stante il senso dell’operazione filosofica fondamentale, sia il significato oltrepassato, sia l’orizzonte oltrepassante. L’uno è presente con l’altro, ogni significato è presente con la totalità del suo “altro”, e la loro compresenza è appunto l’Umgreifende.1]
1] U. Galimberti, Il tramonto dell’Occidente Feltrinelli, 2017, p. 78
Il «rumore di fondo» dell’opera di esordio di Alfredo de Palchi, Sessioni con l’analista (1967)
per rispondere alla tua riflessione, dico sì, penso che il critico, o il lettore quando devono sforzarsi perché non capiscono, allora danno il meglio di sé. La modernità della poesia di Alfredo de Palchi penso che risieda nel fatto che lui interviene nel contesto dei linguaggi letterari correnti degli anni sessanta con una carica de-automatizzante che frantuma il tipo di comunicazione segnica in vigore in quei linguaggi letterari, e lo frantuma perché quel suo linguaggio si pone al di fuori dei linguaggi del cliché letterario vigente negli anni sessanta.
Direi che il linguaggio di de Palchi in Sessioni con l’analista (1967) ha la forza dirompente del linguaggio effettivamente parlato in un contesto di lingua letteraria che non era in grado di sostenere l’urto di quel linguaggio che poteva apparire «barbarico» per la sua frontalità, perché si presentava come un «linguaggio naturale», non in linea di conversazione con i linguaggi poetici dell’epoca. Questo fatto appare chiarissimo ad una lettura odierna. E infatti il libro di de Palchi fu accolto dalla critica degli anni sessanta in modo imbarazzato perché non si disponeva di chiavi adeguate di decodifica dei testi in quanto apparivano (ed erano) estranei all’allora incipiente sperimentalismo ed estranei anche alle retroguardie dei linguaggi post-ermetici. Ma io queste cose le ho descritte nella mia monografia critica sulla poesia di Alfredo de Palchi, penso di essere stato esauriente, anzi, forse fin troppo esauriente.
Ad esempio, l’impiego delle lineette di de Palchi era un uso inedito, voleva significare che si trattava di un «linguaggio naturale» (usato come «rumore di fondo») immesso in un contesto letterario. A rileggere oggi le poesie di quel libro di esordio di de Palchi questo fatto si percepisce nitidamente. Si trattava di un uso assolutamente originale del «rumore» e della «biografia personale» che, in contatto con il«linguaggio naturale» reimmesso nel linguaggio poetico dell’epoca che rispondeva ad un diverso concetto storico di comunicazione, creava nel recettore disturbo, creava «incomunicazione» (dal titolo di una celebre poesia di de Palchi); de Palchi costruiva una modellizzazione secondaria del testo che acutizzava il contrasto tra i «rumori di fondo» del linguaggio naturale, «automatico», in un contesto di attesa della struttura della forma-poesia che collideva con quella modellizzazione. Questo contrasto collisione era talmente forte che disturbava i lettori letterati dell’epoca perché li trovava del tutto impreparati a recepire e percepire questa problematica, li disturbava in quanto creava dis-automatismi nella ricezione del testo.
Io queste cose le ho descritte penso bene nella mia monografia critica, chi vuole può leggere e approfondire queste problematiche in quella sede.
Il problema di fondo che si pone oggi alla «nuova ontologia estetica», o comunque a chiunque voglia creare una «nuova poesia» è esattamente questo, ed è sempre lo stesso: come riuscire a creare dis-automatismi e dis-allineamenti semantici nel contesto dei linguaggi poetici ossificati dei giorni nostri…
Penso che oggi chiunque legga ad esempio la poesia di Mario M. Gabriele proverà disorientamento nel recepire un tipo di «composizione» che impiega i rottami e gli stracci, le fraseologie della civiltà letteraria trascorsa (cioè i «rumori di fondo») come un mosaico di specchi rotti che configgono e collidono nel mentre che rimandano all’esterno, cioè al lettore, una molteplicità di riflessi e di immagini creando nel lettore una sorta di labirintite, di spaesamento…

Letizia Leone
Poesie per il 93mo compleanno di Alfredo de Palchi
Letizia Leone
Al poeta Alfredo De Palchi con i più cari auguri
…forse il puro metallo del pensiero
quel fuoco che ha striato porfidi
e dai cristalli dagli occhi dalle acque
ha creato a sé le specie
a infarsi
raccoglie la tua ispirazione
a scrivere algebre sul cuoio
per l’eco minima della mente
che uncina
incatena ogni senso ad una cifra
poi intorno al piombo
la turbolenza di ellittiche
il cavillo che frana matematiche
infinitesimali. Il calcolare elastico
la grande lezione dei flutti
se è
è musica.
Marina Petrillo
Esilio
Non sgomenta il Sé ma l’Altrui deterge
a silenziato specchio, Monade
in eclisse di sopravvivenza
gesto rallentato di oberante idioma.
Trasceso al valico, sparuto al guado
intraprende a graffio il suo spavento supremo.
Se sia il presente natura
in altra forma esteso o gemmazione
risalente al superiore cammino
di anime a caso scelte
e lì tediate da alcun ricordo se non l’atonale
traccia di un risveglio amaro in umana veste.
Marie Laure Colasson
10.
Un escadron d’oiseaux
haut dans le ciel
émigration vers d’autres horizons
Entomologiste avant tout
Nabokov Lolita sous le bras
Chassent les papillons
Eglantine de dos
ses cheveux en chignon
un long cou de cygne
Einstein
pipe en bouche
violon sous le menton
joue la relativité en quatre dimensions
Jet d’eau glaçée
sur les corps nus de deux enfants
des cris des rires
Echevelée regard fixe
assise à terre les pieds en flex
Carolyn Carlson et ” l’or des fous “
Gertrude Stein
habile crypto-maniaque
jette dans son sac crocodile
rue de Fleurus
Cézanne
Picasso
Braque
Matisse
Apollinaire
Max Jacob
et bien d’autres
*
Una squadriglia d’uccelli
in alto nel cielo
emigrazione verso altri orizzonti
Entomologista innanzitutto
Nabokov Lolita sotto il braccio
vanno a caccia di farfalle
Eglantine di spalle
i suoi capelli in uno chignon
un lungo collo di cigno
Einstein
pipa in bocca
violino sotto il mento
gioca la relatività in quattro dimensioni
Getto d’acqua ghiacciata
sui corpi nudi di due fanciulli
grida, risa
Scapigliata sguardo fisso
seduta a terra i piedi in flex
Carolyn Carlsonet “l’oro dei folli”
Gertrude Stein
abile cripto-maniaca
getta nella sua borsa coccodrillo
via Fleurus
Cézanne
Picasso
Braque
Matisse
Apollinaire
Max Jacob
e molti altri
*
Francesco Paolo Intini
Non conoscevo la poesia di De Palchi se non per qualche incontro qui e là nel web. Da quel poco e da quanto abbia letto recentemente si tratta di poesia davvero importante, non certo convenzionale o fatta per una facile degustazione all’ombra di un caminetto. Passa molto sangue raro nelle vene di questo poeta, che guarda il pensiero di chi legge e da lì, forse col suo Adige discende dove vuole.
Questo è un piccolo contributo, alla mia maniera, sperando che sia all’altezza.
Un caro saluto
.
Eremiti
Assuefatto al nascondimento.
Il modello perfettamente funzionante.
Ghiande e rami sanno come trattare gli intrusi
ritirano il sangue se necessario.
Nessun gesto di madre fugge il freddo.
Corollari e sillogismi staccano gemme.
(…)
Il diamante diventa carbone
sotto gli occhi di tutti.
La geometria riempie le distanze di filo spinato
Vietato il segmento tra pupilla e pupilla.
Il geco schiacciato sul tronco.
Caldo di fico risale i camini.
Bisogna che si interessi di fuchi e rassegnazione
E in definitiva di panico prenuziale.
Le piccole rivolte dell’idrogeno arso vivo.
Il corpo teso al miracolo di una luce bruciata.
Giovanna accende il rogo.
Una falena si tocca le ali.
E in effetti trova il modo per sopravvivere
rivestendo le Corti di squame.
Subentra una notte di bruco.
Stiva in cui conserva la memoria di ciò che sarà.
(…)
Fu vista vendere la purezza,
l’ entrata di Venere nella spuma.
L’assist avvenne su una periferica
dove gambe e stivali fusero il bitume.
Il mascara correva verso il mare
le labbra decisero il prezzo.
In combutta col freddo, l’asfalto
sollevò un seno dopo l’altro.
I montacarichi piantarono telecamere.
Satelliti volarono intorno all’arena.
Grandi occhi per osservare il secondo
battere un toro in un polmone.
La spada trafisse,
il cavalcavia superò il gesto umano
pienezza del cemento che odia l’ origine
e si commuove cedendo incudini e lamiere.
(…)
Piccoli Kant regolano il polso,
sangue pompato negli affari.
L’ animale richiude le ali,
l’urlo il becco.
Annuiva alla gru, inghiottiva il fiume.
Cieco mozzare di leone.
Trabocca il terrore,
resina negli occhi.
(…)
Radio Londra parla di Tebe.
Levi è noto per il sistema periodico
non per aver predetto l’immortalità ad Eichmann.
Dresda calò le fiamme nell’oro.
Fumano i camini sulle notti piombate
un lento odore risale le luci.
La risacca acquista viti per il rigore del ferro.
Dalle acciaierie sgorga magnetite.
Ricostruire l’atlante, riaprire i ganci
Mastro Titta suicida sul palco.
I negativi ricostruiscono dentature
La zanna migliore al più competitivo
Lazzari rinnegano il logos
Agli occhi sostituiscono il cavo anale
E in effetti il carbonchio trova sangue di leone
Polmoni soffiano l’oscuro.
Ravviva il pipistrello la sua luce.
Il primo motore Wall Street
le rotatorie gli uragani.
Alejandra Alfaro Alfieri
Si resta insensibili al rumore di una goccia d’acqua che non giunge a destinazione.
L’equilibrio si frantuma in mille pezzi.
Le idee del corpo non hanno nulla a che fare con la coscienza – lo si capisce dalla trasmissione.
Si pensa che un giorno si vorrebbe fracassare quel magazzino di ricordi inconsci
come se fossero ancora qui tra di noi.
Andate via! – io sono dentro, non fuori!
Loro da fuori tirano e arrivano con l’atteggiamento giusto ma nel posto sbagliato.
Sono ancora le iene che giocano all’azzardo,
gli adesivi di falsi argomenti imbrattano la ragione.
Guardi con i suoi occhi e non ascolti!
Eccolo lì, anche lei lo ha visto? – sulla prima pagina.
C’è un posto libero, mi prendo la sedia
e me la porto a casa.
Arrivano tutti dopo scuola. Alle famiglie piace – chissà cosa si mangia stasera!
– mamma l’acqua della pentola bolle!
E non mi viene altro in mente che gettare quell’acqua
maledetta piena di dolore.
Claudio Borghi
Anima, che strofa ti credi
di chiusa canzone, lascia sottile
il suono della memoria spargersi
mentre il corpo si consuma, la traccia
involontaria che nel respiro e nel ritmo
sopravvive, non è materia, lo sai,
che possa consistere, eppure speri
che al lume dell’idea tutto il buio
si possa diradare. Nulla si intravede
che sappia tracciare una via
al culmine o all’approdo, tutto
senza mappa si svolge, né al fondo
un luogo è dato su cui planare.
Sarà un moltiplicarsi come
di polvere di fuoco, del tempo
l’ultima favilla persa. Nel punto
in cui un altrove accendersi vuole
ultimo si appanna, si incupisce il mondo.
Da The still flight, Chelsea Editions, 2018
Alfredo de Palchi, originario di Verona dov’è nato nel 1926, vive a Manhattan, New York, dove dirigeva la rivista Chelsea (chiusa nel 2007) e tuttora dirige la casa editrice Chelsea Editions. Ha svolto, e tuttora svolge, un’intensa attività editoriale.
Il suo lavoro poetico è stato finora raccolto in dieci libri: Sessioni con l’analista (Mondadori, Milano, 1967; traduzione inglese di I.L Salomon, October House, New York., 1970); Mutazioni (Campanotto, Udine, 1988, Premio Città di S. Vito al Tagliamento); The Scorpion’s Dark Dance (traduzione inglese di Sonia Raiziss, Xenos Books, Riverside, California, 1993; Il edizione, 1995); Anonymous Constellation (traduzione inglese di Santa Raiziss, Xenos Books, Riverside, California, 1997; versione originale italiana Costellazione anonima, Caramanica, Marina di Mintumo, 1998); Addictive Aversions (traduzione inglese di Sonia Raiziss e altri, Xenos Books, Riverside, California, 1999); Paradigma (Caramanica, Marina di Mintumo, 2001); Contro la mia morte, 350 copie numerate e autografate, (Padova,
Libreria Padovana Editrice, 2007); Foemina Tellus (introduzione di Sandro Montaldo, Novi Ligure (AL): Edizioni Joker (2010); 12 poesie, Tallone Editore, Alpignano (TO) 2014; Nihil, Stampa 2009, Azzate (VA) 2016; nel 2017 pubblica Estetica dell’equilibrio e, nel 2019, Eventi terminali, con Mimesis Hebenon.
Ha curato con Sonia Raiziss la sezione italiana dell’antologia Modern European Poetry (Bantam Books, New York, 1966), ha contribuito nelle traduzioni in inglese dell’antologia di Eugenio Montale Selected Poems (New Directions, New York, 1965). Ha contribuito a tradurre in inglese molta poesia italiana contemporanea per riviste americane.
«…anche la struttura sintattica del discorso ermeneutico deve mutare profondamente. Non si tratta più di comporre frasi con soggetto e predicato, che presumono l’accettazione dello schema metafisico sostanza-accidente. perché simili frasi, grammaticalmente strutturate in modo “metafisico”, nel loro carattere definito, concludono ragionamenti, enunciano soluzioni, ma non restano fedeli al carattere eventuale dell’essere, e quindi alla forma non-conclusiva dell’interpretazione. Lo stesso uso della copula, che istituisce il nesso tra soggetto predicato istituisce anche il nesso fra la struttura della proposizione e quella della realtà, per cui la logica classica fa risiedere la verità nel giudizio e non nella parola isolata.
Assunto come copula, l’essere è ridotto a essere dell’ente, e il linguaggio a segno dell’ente. In questa accezione, il linguaggio non dice più niente, non parla, perché non mostra (zeigen), ma semplicemente indica (zeichen) e rinvia alla cosa che si suppone significante per sé, indipendentemente dalla parola che la nomina e, nominandola le dà l’essere, la evoca dal nascondimento».1
U. Galimberti, op. cit. p. 642