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A proposito della “Palude degli scrittori” di Franco Cordelli – “La silenziosa «casta» degli scrittori dove tutti sponsorizzano gli amici” di Paolo Di Paolo

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sulle repliche al pezzo uscito su «la lettura» di Franco Cordelli.
L’articolo di Cordelli ha fatto venire allo scoperto le conventicole alla base della letteratura italiana di oggi. Ecco perché, nelle risposte, prevale la frustrazione

L’articolo di Franco Cordelli su «la Lettura #131» di domenica scorsa, intitolato «La palude degli scrittori», ha generato diverse polemiche. Dopo la risposta di Gilda Policastro, di Paolo Sortino, di Raffaella Silvestri, di Andrea Di Consoli, di Gabriele Pedullà, e di Alessandro Beretta, ecco la replica di Paolo Di Paolo, scrittore (il suo ultimo libro è «Tutte le speranze. Montanelli raccontato da chi non c’era», uscito per Rizzoli)

Milano, 3 giugno 2014

il poeticidio dei libri di poesia

il poeticidio dei libri di poesia

Se l’articolo di Franco Cordelli, da cui tutto è partito, era spiazzante e perciò anche divertente, la gran parte delle reazioni non lo sono state: lamentose, lugubri, contorte. O peggio ancora: opache. Viene il sospetto, a leggere certe repliche in rete e alcuni degli interventi ospitati da Corriere.it, che alle categorie istituite da Cordelli ne mancasse ancora una: quella degli «involuti». Nel senso che si ingarbugliano, fanno pasticci con le parole, usano l’italiano senza disinvoltura, forse perché non lo amano fino in fondo, e lui, l’italiano, gli si rivolta giustamente contro.

E dove sono, tra i senatori, Arbasino, Maraini o Debenedetti?

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Partiamo dal presupposto che si tratta di una polemica per «addetti ai lavori», come si diceva un tempo: ebbene, se posso considerarmi tale, io non ho capito oltre metà dei ragionamenti opposti a quello di Cordelli. In fondo, molto in fondo magari, la sostanza era però quella più biliosa e indicibile: la frustrazione. La spinta istintiva e umanissima, da esclusi, a puntare i piedi. Tradotta più o meno in questi termini: «lasciando da parte che Cordelli non mi ha inserito, vorrei sapere perché non ha inserito nemmeno x e y, che peraltro sono amici miei stimatissimi». Ma così il gioco non finisce più. Io stesso avrei obiezioni: perché, al di là del suo valore, c’è Giordano, se Cordelli dice di aver escluso i «troppo percepiti»? E dove sono, tra i senatori, Arbasino, Maraini o Debenedetti? E Mazzucco, vitalista moderata? Celati non dovrebbe passare nel gruppo misto? E il dissidente Maggiani, autore di un pamphlet definivo e violentissimo sulla generazione dei cinquanta-sessantenni? Comunque.

Paolo Di Paolo

Paolo Di Paolo

Solo un premiuzzo può tirarci un po’ su di morale

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Un «ispettore del commercio librario» nella Parigi del 1750 aveva registrato in città, attivi, 359 scrittori, tra cui Diderot e Rousseau. Oggi, anno 2014, sulla sola piattaforma di self-publishing ilmiolibro.it gli scrittori attivi sono oltre 20mila. Il punto è questo: la macro-categoria che include tutte le altre proposte da Cordelli è quella che va sotto l’aggettivo «frustrati». Lo siamo, inclusi o no, praticamente tutti. Frustrati perché siamo troppi, perché il cosiddetto mercato non si allarga ma resta lo stesso o si contrae. Frustrati perché le recensioni non escono e comunque non servono, i libri passano in libreria per un mese e scompaiono. Paolo Di Paolo

Frustrati perché – ci diciamo – l’editore non si impegna. Frustrati perché lo cambiamo e, nonostante questo, le cose non cambiano. Frustrati perché sentiamo che il nostro romanzetto non riesce a farsi largo, e che solo un premiuzzo può tirarci un po’ su di morale, o l’alleanza di qualche simpatico amico a cui ricambieremo il favore. Nessuno ammetterà che funziona così per tutti (salvo quei cinque o sei baciati dal vero successo commerciale), e proprio perché non lo ammetterà nessuno, è vero.

Un autore su ilmiolibro.it sponsorizza un suo compagno

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Navighiamo tutti a vista, sempre meno convinti, sempre meno «puri», sempre più affannati e stanchi e in alcuni casi cattivi, risentiti. E tutti, praticamente tutti, caro Cordelli, «poco percepiti». È la tribù a salvarci: qui Cordelli ha ragione. Fino a trent’anni fa c’era l’unica grande tribù della letteratura, riconosciuta da una élite, certo, ma più solida e dai contorni più definiti. E lì convivevano (si fa per dire) i diversi: Calvino e Moravia, Bassani e Morante. Si guardavano a vicenda, dialogavano, si tenevano d’occhio, ma erano soli. Maestosamente soli. Nella palude letteraria in cui siamo condannati a stagnare, ci si tiene d’occhio solo fra amici. Su Facebook se ne ha la triste certezza: ci si sponsorizza a vicenda, ma solo in una ristrettissima cerchia. Un autore pubblicato su ilmiolibro.it sponsorizza un suo compagno di strada pubblicato su ilmiolibro.it, Cortellessa mette nell’antologia i suoi amici, quell’altro posta la recensione appena pubblicata allo straordinario esordio del suo ex compagno di scuola.

addio alla lettura

addio alla lettura

Siamo patetici, ma meglio far finta che non sia così

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E così avanziamo, nell’illusione che il mondo sia quello che vorremmo che fosse, una ghenga composta di zie, di mamme, dei compagni di merende; ci facciamo forza così, salvo poi puntare il dito sulle cricche altrui. Le conventicole contro cui, in un film di Virzì, puntava il dito un Castellitto professore frustratissimo. Siamo patetici, ma meglio far finta che non sia così. Allora se Cordelli ha un merito è che lui – a differenza di tutti i suoi detrattori – prova a leggere quanto più può, a mappare, a capire, è curioso, anche crudelmente curioso come pochi altri, di tutto, di tutti, degli scrittori di Roma, d’Italia, del mondo, e ingaggia una sfida titanica contro il molteplice, l’universale, pur sapendo che è votata al fallimento. Così, ogni tanto, per fare ordine e per provocare anche sé stesso, sul tovagliolo in un bar o su una pagina della Lettura, prova a tirare giù una mappa. Gli altri, il 90%, continuano a leggersi solo tra vicini, tra complici, hanno già deciso da sempre chi leggere e chi no, hanno già deciso da sempre chi è bravo e chi no, e fanno tanta, tanta tenerezza perché sono come quel famoso cavaliere ariostesco. «Il cavalier del colpo non accorto / andava combattendo ed era morto». Esistono un po’ perché e finché hanno accanto la ghenga. Chi si guarda intorno, chi guarda oltre casa sua, magari non supera la frustrazione, magari si sente più solo, ma almeno resta vivo. Paolo Di Paolo

3 giugno 2014  © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Faraòn Meteosès (pseud. Stefano Amorese)UNA POESIA: “LINGUA-GLOSSA” “Rubrica: Gli Autori della Nuova Generazione”

Faraòn Meteosès agli inizi del 2000 pubblica la plaquette autoprodotta Samizdat con prefazione di Andrea Di Consoli e postfazione di Gianmario Lucini. Nel 2007 esce per i tipi di LietoColle Psicofantaossessioni; nel 2009 per Arduino Sacco Editore esce la raccolta di poesie postdatate Ecolallaliche. È coautore col fotografo Fabrizio Buratta del libro di fotopoesia: Il dolce cammino… – Fermate a richiesta (Aracne, 2010).
Menzionato nei saggi critici di Giorgio Linguaglossa: La nuova poesia modernista (Edilet, 2010); Dalla lirica al discorso poetico – Storia della poesia italiana (1945-2010) (EdiLet, 2011); Dopo il Novecento – Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (SEF, 2013) e nel saggio di Stefano Guglielmin Uno sguardo (dalla rete) sulla poesia italiana contemporanea 2006-2011 (Collana Segni, volume n. 7 – Blanc de ta nuque, 2012).

Faraòn Meteosès foto di Giovanni Marasco

Faraòn Meteosès foto di Giovanni Marasco

a G.Linguaglossa

Dimmi come indurre la Lingua alla Verità
piegarla alla fermezza che mi è labile e carente lacuna inverosimile
se commisurata ad un immaginario calligramma
di quel che stento a esporre con tenacia riverso nella dipendenza del Tempo e dello Spazio
che tu sappia confidarmi come contrarre il muscolo latente nella mia faringe
per quella grazia efficace che mi occorre in quest’uffizio che cerco d’imparare
invece di girare intorno alla mia voce che ancora sembra sostenermi con fatica
che costringe a soffocarmi dentro per mia imperizia la prosodia del canto
e deglutire la pasta di fior di farina l’erba officinale la sfoglia dello stupefacente
assecondando unicamente le mie ultime Volontà non sottomesse
al compito più ìmprobo circonvicino all’Erebo nel traversarne il guado
da dove sono giunto per un’istanza di soccorso
senza mai retrorso rivoltarmi nell’Etere a guardare
la parabola discendente del bolide dal cielo
impatto sulla roccia di quarzo e d’ossidiana
e serbare per me solo l’accenno alla parola conclusiva che sia fra tutte necessaria
perché abbia tu la facoltà di rivelarmi come slegarmi dal sottile tratto del frenulo linguale
per unirmi a quello della lettera alfabetica
educarmi al gusto della fonia della vocale senza urlare troppo di fronte al sole fulgido d’estate
o per non battere forte intirizzito i denti al freddo raddoppio delle consonanti
come insegnarmi ascese e ricadute le mosse segrete del Maestro Tao
e forgiare il mio metallo vile all’idioma per edurmi dal vulcano all’agorà
per proferire con larga ampiezza dell’accento e della gamma
di una profezia profana o di un’epifania
e suggerirmi in quale modo abbattere il muro dell’ortodossia con la sua puntuta spada
espiantare il neuroma dei cloni la peste dei ruffiani
flettermi così nel Verbo perché una sola sillaba sia la freccia per quell’arco manifesto
volgere al Senso e senza dislalia nell’intendermi coi lessici e nell’uso quotidiano dei caratteri
nel suggere a sorsi il flusso del Pensiero
dipanarmi dalle spire dell’Anaconda che mi sibila e sussurra nell’Ipnosi
trasfondere la vena nera della penna nel rosso del rivolo sanguigno che mi scorre
e degustare con una papilla il sapore amaro dell’inchiostro che mi lacrima
e si replica nel miracolo di una Composizione
scuotere il Sistro al suono della cetra ed essere compreso nella Circonferenza del Silenzio
presente parimenti nell’ascolto dell’Orante e del suo allofono
schiarirmi la gola per tradurre il codice e il cifrario addurre alle scritture cuneiformi
nel seguitare oltre il segmento del Disegno di una Neo-Filosofia
perché non debba più languire la miseria e leccarmi le ferite
è così che mi obbligo ad essere Lingua enunciato fonema disarticolato
pur se le parole si sono affastellate sulla Glossa e mi sbavano di continuo dalla bocca
posandosi come lamine cadenti dal solaio altre volte come petali sullo scrittoio

… cassa di risonanza che mi percuoto sul petto e sulle guance

… malgrado sia l’artefice e la preda del mio demone beffardo
che presiede in superficie… alla guida del mio ego.

Una poesia di ossidiana, percussiva, carambolante, viva e frizzante, predatoria, Stefano Amorese gioca a fare l’anti-poeta, e ci riesce bene, peraltro non sappiamo più dove sia la poesia e cosa sia l’anti-poesia. (g.l.)

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