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Realismo terminale, Che cos’è? Riflessione di Davide Chindamo, assomigliamo sempre più agli oggetti tecnologici, “Mamma, stacca un po’ la spina! Sdraiati sul divano e ricarica le batterie”

Gif Automa

“Mamma, stacca un po’ la spina! Sdraiati sul divano e ricarica le batterie”

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REALISMO TERMINALE

Un vero e proprio chido fisso

Non si può sapere cosa la vita abbia in serbo per noi. Ognuno crea una sorta di sentiero, cammina lungo il proprio percorso, ma a volte incontri strabilianti deviano il tracciato. La vita, quindi, tramuta in sorpresa, in un alternarsi di gioie e dolori che rendono questa giostra una collana di sfide. Ed è quello che mi è successo con il Realismo terminale.

Durante il corso magistrale di Filologia moderna, presso l’Università Cattolica di Milano, ho avuto la fortuna, e l’onore, di avere Giuseppe Langella come professore di Teoria e storia della modernità letteraria. «Lingua mortal non dice quel ch’io sentiva in seno» direbbe Leopardi: però, a differenza del recanatese, affascinato dall’«opre femminili» e dal «suon della […] voce» della fantomatica Silvia, io ero incantato dal carisma di quell’uomo. Incurante del tempo, speravo che le sue spiegazioni non finissero mai, consapevole che sarebbero state rivelazioni di inestimabile valore, sia culturale che umano. Per tutto questo gli sono grato.

Consolidata nei mesi una arricchente confidenza, ho rivelato al Professore il desiderio di elaborare la tesi su di lui, in quanto poeta, sul Realismo terminale e inevitabilmente su Guido Oldani. Dopo aver superato l’imbarazzo iniziale, considerando che avrebbe dovuto gestire i panni del regista e del protagonista, ha accettato la mia proposta e mi ha suggerito di intervistare l’ideatore del movimento.

Nonostante io fossi un giovane autore, apprezzato dai miei pari, con tre titoli all’attivo e diversi riconoscimenti in bacheca, di fronte ad Oldani mi sentivo un piccolo televisore a tubo catodico accanto al maxischermo di un cinema moderno; un telefono in bachelite accanto all’ultimo modello di smartphone. Sapevo che era appena stato candidato al Nobel per la Letteratura e mi chiedevo cosa potesse nascere dall’incontro tra lui e un giovane poeta devoto alle lettere. Ricordo ancora quel 14 novembre di un anno fa. Un pomeriggio uggioso, abbastanza smorto, con un cielo grigiastro: per dirla alla Oldani, un «cielo di lardo». Nella sua officina di idee, a Melegnano, mi attendeva su un manzoniano seggiolone. Lì, finalmente, ho potuto degustare sia la genesi del Realismo terminale che la caratura profetica del suo fondatore. Quella chiacchierata, durata quasi due ore, si è rivelata la chiave di volta verso la piena conoscenza del movimento. Ricordo tutto. Le risposte, i sospiri, le preoccupazioni. Le risate, le pause, i silenzi. Tutto. E ricordo con affetto i racconti privati di quel poeta, che si faceva sempre più uomo e meno autore. Tuttora, li conservo con gelosia.

Da quel momento, non ho mai smesso di pensare a ciò che avevo imparato. Il Realismo terminale, da rivelazione, era diventata quasi un’ossessione: un vero e proprio chiodo fisso. E in questi mesi così intensi, ricchi di convegni e letture in gruppo, ho appurato che la poesia, come direbbe Saba, ha realmente il compito di riverberare la «verità che giace al fondo». Di certo, non esiste una sola verità, ma la poesia ha il potere, e il dovere, di avvicinarsi maggiormente a quella più universale.

Ecco la verità del Realismo terminale: l’uomo si sta dimenticando di essere tale ed è sempre più suddito degli oggetti; anche la natura è stipata in un cassetto, nel dimenticatoio, ed è diventata «azionista di minoranza». La parola chiave è «accatastamento». Già nel 2010, anno di teorizzazione del Realismo terminale, nell’omonimo libricino Oldani preannunciava le «pandemie abitative»: uomini che si agglomerano nelle metropoli, vittime di una «bulimica» fame di manufatti.

Tutto questo perché gli oggetti hanno assunto un valore sempre più segnaletico. «Dimmi che oggetti hai e ti dirò chi sei» dichiara Oldani, e l’uomo del Terzo Millennio finisce per demolire il detto «l’abito non fa il monaco». Tutto è apparenza, non c’è più sostanza. Impera il vuoto delle idee.

La «similitudine rovesciata», altra creatura di Oldani, è lo strumento retorico più distintivo del movimento. Non sono più le cose ad assomigliare alla natura, bensì il contrario (non è più consuetudine esclamare «sei veloce come una lepre», bensì «sei veloce come un treno»). Io ripeto a mia madre, vittima delle faccende domestiche nel fine settimana: “Mamma, stacca un po’ la spina! Sdraiati sul divano e ricarica le batterie”. Garantisco che mia madre non è un’aspirapolvere, ma a tutti gli effetti la mia sensazione è quella di vedere un elettrodomestico che deambula per casa senza sosta. Ecco che l’essere umano diventa sempre più parente prossimo degli oggetti, e così anche il vocabolario si modula sugli elementi artificiali che lo circondano.

Oggi percepisco Oldani come il mitologico Atlante, curvo a sorreggere il mondo: quella sfera, però, non è l’agglomerato di terra e di mare che tutti pensano, bensì una sorta di sacro ostensorio al cui interno risiede lo spirito umano. Immagino Oldani raccogliere l’ultimo brandello di umanità, caricarselo sulle spalle e condurlo laddove è sicuro. Ma il peso è opprimente, e chiama a sé tutti coloro che condividono la sua missione: bisogna salvare ciò che di umano resta dell’uomo e contribuire a questa titanica impresa con la forza di chi non teme sfide arrischianti.

Oggi il Realismo terminale ha un compito temerario. Tra tutti, dimostrare che la grandezza dell’uomo sta nell’essere tale, non nella sua proiezione, sia essa in un oggetto tangibile o in un futuribile metaverso, e che questo cambiamento irreversibile può essere quantomeno limitato. Walter Benjamin, nell’Angelus novus, diceva che l’Angelo della Storia non può intervenire per mettere ordine tra le macerie, perché il violento vento del progresso lo allontana dai suoi doveri. Il Realismo terminale, invece, ha l’asperrimo dovere di placare il vento e vivisezionare la modernità: non bisogna essere antimoderni ma poeti engagé, e cercare di salvare quello che di buono esiste.

Ma come fare? Innanzitutto confermando un linguaggio intriso di «ironia filosofica», quella che io tendo a considerare figlia dell’umorismo pirandelliano; successivamente, coinvolgendo più interpreti, provenienti da ambiti diversi e complementari, così da sbrogliare le intricate sfide a cui il progresso ci sta sottoponendo (tra tutte, l’Intelligenza Artificiale): siano dunque benvenuti i fisici, i chimici, gli ingegneri informatici, i medici, gli astronomi, seguendo l’invito di Montale verso una poesia «inclusiva» e non «esclusiva», sia per temi che per maestranze; di seguito, è perentorio candidarsi a nuovo sistema di valori e proporsi come guide e modelli per i giovani, zattere in un oceano senza fari; inoltre, tutti noi dobbiamo cooperare in maniera coesa, seguendo un’unica direzione, in modo tale da rendere la nostra filosofia sempre più dominante, e sempre più profetica.

Gif Danza di bottiglie

Homo homini machina

L’uomo vede il suo simile come pedina
su una grande scacchiera: in base alla
situazione, o questa o quella posizione.

L’uomo è la macchina di un altro uomo:
si usa, si consuma, si spreme, e infine
si butta via, senza concedere spiegazione.

E se c’è un problema, non esiste la toppa,
e l’idea dell’aggiustare è diventata fané:
e tutto si scarica come acqua nel bidet.

(Davide Chindamo)

Davide Chindamo è nato a Como il 28/05/1998. Poeta e scrittore, è laureato in Scienze dei Beni Culturali (2020) e in Filologia moderna (2022) presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Ha pubblicato le raccolte di poesie Apollo (Transeuropa edizioni, 2020) e Allegrezza solitaria – Riflessioni di un eremita socievole (Rosabianca edizioni, 2021 – menzione speciale Premio “Michelangelo Buonarroti”). Ha pubblicato il romanzo Il trionfo dell’Arte (Rosabianca edizioni, 2022). È responsabile della sezione cultura per la testata giornalistica «Aliseo». Docente a contratto presso scuole secondarie di primo e secondo grado. Allievo di Guido Oldani e membro del Realismo terminale. Ha vinto numerosi riconoscimenti, tra cui il Concorso Letterario Europeo “OSCAR WILDE” (I classificato, con la poesia Il suono della tua ombra, 2021).

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