L’Elefante ha generato un gran numero di corvi, Il corvo ha iniziato a parlare ma parla con il linguaggio delle fake news, delle ipo-verità, delle iper-verità, delle post-verità, con i linguaggi serendipici e post-edipici, cioè con i linguaggi del Labirinto e del Minotauro, Il kitchen è finto-finto, non c’è nulla di vero, nulla di mimetico, i “compostaggi kitchen” sono il finto-finto al quadrato, Poesie kitchen e commenti di Lucio Mayoor Tosi, Francesco Paolo Intini, Marie Laure Colasson, Giuseppe Gallo, Giorgio Linguaglossa

foto Lucio Mayoor Tosi Washington Il Colosseo

Compostaggio finto x finto di Lucio Mayoor Tosi

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Lucio Mayoor Tosi
18 novembre 2022 alle 11:54

Dieci caravelle. R. Crowe nei panni di Nettuno
giunto da Marte per fare sci nautico. Lago di Como,
Illinois.

Tazza di camomilla. Nonno sul divano.
Come essere felici in dieci secondi. Crowe
non ammette ritardi.

In questa poesia, pubblicata sull’antologia Poetry chitchen, il vero finto è resto manifesto nei primi versi. In vero finto sono scritte le recenti composizioni di Giorgio Linguaglossa, di Gino Rago, Marie Laure Colasson, oltre che nelle sorprendenti “ragnatele” di Francesco Intini e di altri. Nelle poesie di questi autori emerge anche l’elemento fantastico, non esattamente surreale, al quale va accostato il fuori senso. Sembra proprio che Vero finto, Fantastico e Fuori senso siano categorie esclusive della poetry kitchen.
Mi chiedo però se queste modalità possano bastare a se stesse, o invece debbano servire a qualcosa, cioè se debbano essere indirizzate a concretezza; quindi capire quale attinenza vi sia tra queste e l’Intenzione e la Traccia. Qui chiedo a Giorgio…

Giorgio Linguaglossa
18 novembre 2022 alle 12:03

La poetry kitchen, come un virus, aspetta il corpo vivente del linguaggio per distruggerlo e portarlo allo stato inorganico

«Ora, se c’è una forma di vita che pericolosamente muove sul confine più estremo tra l’organico e l’inorganico, questa è il virus, con la sua capacità anfibia di abitare due stati distinti. Quando non è in contatto con una cellula ospite, il virus rimane completamente inattivo. Durante questo periodo, al suo interno non si dà alcuna attività biologica. Nondimeno, questo ha poco dell’inorganico, e mostra quanto falsante sia l’opzione a tutta prima intuitiva e plastica dell’inorganico come opposto all’organico. Il virus, in effetti, è un organismo obbligato all’attesa, fermo in uno stato semplice, privo di vitalità, in cui è detto “virione”. Insensibile com’è ai tempi lunghi, il virione aspetta l’ospite appropriato, che gli consenta quel minimo, o massimo, di attività vitale mediante cui poter superare la soglia dignitosissima del vivente e sfoderare quella panoplia di arnesi e sotterfugi che lo portano all’auto-replicazione. Capacità, quest’ultima, che gli permette di correggere il viziaccio tipico degli specchi e della copula, che Bioy Casares ritiene abominevoli perché moltiplicano il numero degli esseri umani. Essì: perché l’auto-replicazione dei virus tempera, e non di poco, quella umana.»
(Mariano Croce)
da minimaetmoralia oggi

Giorgio Linguaglossa
18 novembre 2022 alle 14:28

L’Elefante ha generato un gran numero di corvi

L’Elefante è soddisfatto. Ha fracassato le suppellettili, i ninnoli di dubbio gusto, i piatti di porcellana, i bicchieri di cristallo e i lampadari di Murano. Si è accomodato in poltrona. Adesso si gode un Campari con le noccioline e le patatine usufritte; ma tant’è, noi facciamo finta di non vederlo.
Il corvo ha iniziato a parlare ma parla con il linguaggio delle fake news, delle ipo-verità, delle iper-verità, delle post-verità, con i linguaggi serendipici e post-edipici, cioè con i linguaggi del Labirinto e del Minotauro, che poi Teseo ebbe buon gioco a dismetterli e ricacciarli nell’inconscio. I corvi dunque hanno iniziato a parlare: amano la parallasse, l’ekfrasis, la perifrasi, la peritropè, il salto, la metonimia, l’ultroneo. Il pensiero micrologico e topologico diagnostica la situazione tellurica e sismicizzata del contemporaneo, indugia su singoli temi, singole problematiche, su poesie kitchen, spunti, dettagli, aspetti secondari, microchips, le nanotecnologie del mondo dell’ipermoderno. Il pensiero micrologico giunge così ad una sorta di orografia delle superfici complesse e dei dispositivi problematici della poiesis di oggi, indaga la de-psicologizzazione del linguaggio, la diafania e la disfania delle parole, l’assordante presenza del rumore, la de-colonizzazione dell’apparato metafisico e il sorgere del nuovo paradigma ortolinguistico. Che cos’è il contemporaneo?, la poiesis kitchen?, il soggetto serendipico?, che cosa è avvenuto dopo il declassamento del soggetto parlante?, dopo che il locutore è diventato mero fonatore?, dopo la disfunzionalità radicale del significante?. È avvenuta la de-colonizzazione dell’apparato metafisico, risponde Linguaglossa; il residuo è ciò che resta, il carico residuale, il taxi del mare, ciò che si sottrae al consumo in quanto defecatio, in quanto residuale è utile per indagare fenomeni quali l’ibridazione, l’entanglement, l’entrelacement, l’aspettativa, la parallasse, il das Ding, lo zapping: appunti, commenti, glosse, incontri, diverbi, ubbie, pensieri interrotti e poi ripresi; il pensiero compie una circumnavigazione intorno all’iceberg della nuova ontologia estetica fino agli esiti ultimi della poetry kitchen.

Francesco Paolo Intini
UN TAVOLO IMBANDITO DI BLU

Che il colombo abbia la penna di Sioux
E la messa in piega alla Crudelia.

Il falco paghi sette ergastoli a centimetro quadro
per aver spennato una cornacchia e torturato tre libellule.

Al tavolo imbandito di primizie siede il logaritmo naturale:
Si sale in fila indiana sul palloncino delle dieci
Ministri primi e cifre pari, virgole e decimali
Tarli sugli scalini, nello spiffero del sasso in partenza da Kabul.
Quante vite ha Saigon?

Ultima cifra incerta:
La logica reclama un ministero:
1-coltivare bossoli nei cassetti.
2-Divinare scrutando missili.

Una ragade solleva obiezioni al protocollo.
Mettetela a tacere con un tratto di frittura.

Il duodeno dei misteri accetta consigli dagli elettori.
Che significa TNT sui sacchi di farina?

Per le velocità c’è un accordo:
a tempi di svuotamento cortissimi

saranno assegnati compiti durissimi.
Tra sfere ed elissoidi è guerra di gratta e vinci
Chi schiaccia la spoletta sui testicoli?

Cadono pecore per intenderci
fredde al punto giusto.
Cosciotti ustionati dall’elio liquido
e niente fiocchi per quest’anno,
soltanto azoto per emorroidi
e diversivi al cortisone nelle trincee.

La neve intavola una protesta contro Pasqua.
L’uso di bombe al fosforo è prassi per i pulcini di via Pal

ma tra i pastorelli si lotta all’arma bianca.
Se il velociraptor siede ad un tavolo di pace
Il drago di Komodo reclama la sua testa.

E intanto il big bang sputa nero
A causa di un polipo nel retto.

Marie Laure Colasson
12 novembre 2022 alle 19:53

Il kitchen è finto-finto, non c’è nulla di vero, nulla di mimetico, i “compostaggi kitchen” sono il finto-finto al quadrato… nel Reale tutto è finto e finzione, tutti i concetti della metafisica (Dio, Anima, Origine, Patria, Famiglia, Palazzo, Carro armato Jet, Javelin, HIMARS, decreti sicureza, Europa, Russia e via cantando…) sono finti, finzioni, ideologemi che l’umanità ha preso per veri. Quindi, caro Mauro Pierno, quando tu citi i “compostaggi”, dici bene, essi sono “composita solvantur”, cioè finzioni (in disgregazione), disgregazioni di finzioni e non vedo perché la poesia debba ancora occuparsi delle “cose vere”, che cos’è il “vero”?, qualcuno ha mai visto il vero?, lo ha mai preso per mano?, qualcuno ne ha l’esclusiva? Ai filosofi l’ardua sentenza, ai poeti spetta di costruire degli imballaggi, dei compostaggi di parole già perdute… Questo è kitchen. Il kitchen non è rappresentazione.
E poi nella parola “compostaggio” è contenuto anche il riferimento alla fermentazione dei rifiuti, della immondizia linguistica, fermentazione che produce metano e altri gas che gli umani riutilizzano. Il kitchen è il riciclo, il ciclico che viene riciclato come panzana, ideologema. Ecco qui un mio inedito, ovviamente finto al quadrato.

12.

“Ciak silence on tourne!”
Orson Wells s’enroule dans la pellicule

Eredia dans le contrapunctus d’une chambre dorée
jetée dans un angle digitale

Miss Arnica et Eros
allongés sur des dunes de déchets on line

Vêtue de sang la blanche geisha
s’entoure d’errances en béton

Lumière aveugle sur server
serres d’acier becs ensanglantés

Vivacité vorace de marziens burlesques
qui agressent Madame Green

Cigares de la havane et démons verts
font éclater le cimetière des cervelles blanches

“I proud to be different!” hurle Orson Wells
“Ciak silence on tourne!”

*

“Ciak silenzio si gira!”
Orson Wells si avvolge nella pellicola

Eredia nel contrappunto d’una camera dorata
gettata in un angolo digitale

Miss Arnica e Eros
allungati su delle dune di scarti on line

Vestita di sangue la bianca geisha
si circonda di erranze in calcestruzzo

Luce cieca sul server
artigli d’acciaio becchi insanguinati

Vivacità vorace di marziani burleschi
che aggrediscono Madame Green

Sigari dell’Avana e demoni verdi
fanno scoppiare il cimitero di cervelli bianchi

“I proud to be different!” urla Orson Wells
“Ciak silenzio si gira!”

Giuseppe Gallo
13 novembre 2022 alle 10:33

Posto di nuovo quanto avevo scritto sulla finzione e l’esagerazione, che ruotano intorno all’iperbole e che nutrono la Poetry Kitchen, ribadendo i concetti espressi da M.L. Colasson: il kitchen è finto-finto, non c’è nulla di vero, nulla di mimetico, i “compostaggi kitchen” sono il finto-finto al quadrato… L’iperbole, dal greco: ὑπερβολή, hipér “sopra” e bolé “lancio”, con il significato di esagerazione, è una figura retorica di contenuto. Nel linguaggio comune e nelle affermazioni poetiche è una figura largamente diffusa, basti pensare a espressioni del tipo:

– Siamo in un mare di guai.
– «Quivi parendo lontana a Rinaldo mille miglia.» (Ariosto, L’Orlando furioso)

Da questi due semplici esempi si evince che l’iperbole eccede nella descrizione della realtà: i guai sono un mare sterminato; e la distanza che Rinaldo ha di fronte si sottrae a qualsiasi misurazione. La realtà descritta, però, può subire anche una  diminuzione,

– È pronto in un minuto!
– Non hai un briciolo di cervello!

In questi ultimi esempi si esagera, sempre, ma per difetto. Ecco la verità che sta dietro le parole: ciò che si esprime non va preso alla lettera! L’iperbole è un trucco, un’illusione, rende l’idea, circuisce la nostra logica razionale e la proietta verso il fantastico. Infatti, spessissimo, l’iperbole funziona nelle favole, nei racconti per bambini e in quella letteratura consapevole che il linguaggio contiene in sé la possibilità intrinseca di un “discorso doppio”, quello dell’invenzione e quello della realtà; l’iperbole non vuole ingannare, ma quasi; un po’ di vero deve rimanere in piedi, ma deve essere stravolto, con l’iperbole l’impossibile diventa possibile!
Ma oggi, come stanno le cose? Oggi che impera l’immagine audiovisiva, a tutti i livelli? Videogiochi, fantasy, spot pubblicitari avveniristici, il cielo che cade sulla terra, l’universo che non ha alcuna legge su cui reggersi… Oggi che abbiamo a disposizione lacerti poetici di questo genere:

“Il semaforo gorgheggiò una canzone di Mina
degli anni sessanta” (Giorgio Linguaglossa)

“I lati scaleni del rettangolo scorrono sulle dune,
adesso che le albicocche sono asteroidi
il collo dell’ukulele è figlio di Andromeda” (Mimmo Pugliese)

“Roba che si vede al Bancomat: il Minotauro
e Teseo che parcheggia la Rolls Royce” (Francesco Paolo Intini)

Sembra che la metafora iperbolica investi la struttura stessa del discorso. Oggi non “affoghiamo in un bicchiere d’acqua”, ma in tutti i bicchieri e in tutte le acque, tornando ad essere bambini, incapaci di distinguere tra vero e falso, tra verosimile e improbabile, tra esagerazione e compressione…

Marie Laure Colasson nasce a Parigi nel 1955 e vive a Roma. Pittrice, ha esposto in molte gallerie italiane e francesi, sue opere si trovano nei musei di Giappone, Parigi e Argentina, insegna danza classica e pratica la coreografia di spettacoli di danza contemporanea. Nel 2022 per Progetto Cultura di Roma esce la sua prima raccolta poetica in edizione bilingue, Les choses de la vie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Lucio Mayoor Tosi nasce a Brescia nel 1954, vive a Candia Lomellina (PV). Dopo essersi diplomato all’Accademia di Belle Arti, ha lavorato per la pubblicità. Esperto di comunicazione, collabora con agenzie pubblicitarie e case editrici. Come artista ha esposto in varie mostre personali e collettive. Come poeta è a tutt’oggi inedito, fatta eccezione per alcune antologie – da segnalare l’antologia bilingue uscita negli Stati Uniti, How the Trojan war ended I don’t remember (Come è finita la guerra di Troia non ricordo), Chelsea Editions, 2019, New York.  Pubblica le sue poesie su mayoorblog.wordpress.com/ – Più che un blog, il suo personale taccuino per gli appunti. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Francesco Paolo Intini (1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016) e Natomale (LetteralmenteBook, 2017). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e “Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie”. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017). Nel 2020 esce per Progetto Cultura Faust chiama Mefistofele per una metastasi. Una raccolta dei suoi scritti:  NATOMALEDUE” è in preparazione. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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 Giuseppe Gallo, è nato a San Pietro a Maida (Cz) il 28 luglio 1950 e vive a Roma. È stato docente di Storia e Filosofia nei licei romani. Negli anni ottanta, collabora con il gruppo di ricerca poetica “Fòsfenesi”, di Roma. Delle varie Egofonie,  elaborate dal gruppo, da segnalare Metropolis, dialogo tra la parola e le altre espressioni artistiche, rappresentata al Teatro “L’orologio” di Roma. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Sue poesie sono presenti in varie pubblicazioni, tra cui Alla luce di una candela, in riva all’oceano,  a cura di Letizia Leone (2018.); Di fossato in fossato, Roma (1983); Trasiti ca vi cuntu, P.S. Edizioni, Roma, 2016, con la giornalista Rai, Marinaro Manduca Giuseppina, storia e antropologia del paese d’origine. Ha pubblicato Arringheide, Na vota quandu tutti sti paisi…, poema di 32 canti in dialetto calabrese (2018), ha pubblicato il romanzo Vi lowo tutti, (Progetto cultura, Roma, 2021). È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022. È redattore della rivista di poesia e contemporaneistica “Il Mangiaparole”. È pittore ed ha esposto in varie gallerie italiane.

37 commenti

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37 risposte a “L’Elefante ha generato un gran numero di corvi, Il corvo ha iniziato a parlare ma parla con il linguaggio delle fake news, delle ipo-verità, delle iper-verità, delle post-verità, con i linguaggi serendipici e post-edipici, cioè con i linguaggi del Labirinto e del Minotauro, Il kitchen è finto-finto, non c’è nulla di vero, nulla di mimetico, i “compostaggi kitchen” sono il finto-finto al quadrato, Poesie kitchen e commenti di Lucio Mayoor Tosi, Francesco Paolo Intini, Marie Laure Colasson, Giuseppe Gallo, Giorgio Linguaglossa

  1. Maria Pia Latorre

    Apprezzo tanto questa poesia innovativa. Straordinariamente vera, rivoluzionaria, capace di sovvertire e progettare nuove strade. Non sono io, ma apprezzo e colgo la bellezza dell’orrido. Vi seguo con grande attenzione e affetto. m pia

    Il Sab 19 Nov 2022, 08:33 L’Ombra delle Parole Rivista Letteraria Internaziona

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  2. Nella lunga assenza non ho mai smesso di leggere l’Ombra delle parole. Incuriosisce molto questo astrattismo che crea ampi spazi per l’immaginario sin dall’inizio. È una provocazione tra le pentole riflettenti pensili e cassetti. Accendo una torcia fuori porta per ritornare.

    Film con garbo e sceneggiatura palpitante

    Le face velate si aggirano intorno all’elefante
    alzando le mani con offerte di noccioline salate.

    L’elefante non sente il rumore dell’oceano pacifico
    davanti alle finestre del salotto di santa barbara.

    In cucina i cuochi accendono i fuochi sotto le pentole
    per cucinare i granchi e i corvi per il pranzo da re.

    In Tracia anonimi e enigmatici bardi scompongono i riti
    satanici con il diritto di propaganda contro la proprietà.

    I girasoli hanno messo le uova sotto il sale perché alle Seychelles
    sta un cuoco bravo che sa cucinare la omelette a la russa.

    Da quanto tempo il giorno non era bacovian sulle terrazze?
    Da quando Borges non ha più posto nel salone con l’elefante.

    Tanta voglia da homeless poetry di risiedere accanto al re,
    l’orca non risulta nelle corde suonando il liuto alle aquile.
    ©️ Lidia Popa

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  3. a Maria Pia Latorre
    – Lidia Popa
    – e a tutti i 4.913 follower che ci hanno seguito fin qui e ci seguono

    Benvenuti qui nella fine della poesia dell’età dell’Antropocene, ovvero, l’Età della Catastrofe permanente.
    Siamo entrati nell’epoca psicozoica, nel mondo della psicopolitica, nel mondo della rappresentazione schizomorfa del Reale e del simbolico

    Per chi volesse capire le questioni tattiche e strategiche della battaglia di Kherson:

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  4. 25 giugno 2022 alle 12:20 Modifica
    La poetry kitchen può nascere e proliferarare soltanto con l’ampliarsi della zona grigia, di una zona di compromissione di tutti i linguaggi, nella zona della disinformazia delirante. Non c’è altro da fare che sottrarsi con tutte le forze al dilemma di una letteratura del gelo e del disgelo, dell’impegno e del disimpegno, siamo tutti compromessi in questo disgelo compromissorio che in sé è già una ideologia: l’ideologia del grigio e del prendi tre e paghi uno. Ci troviamo nella cancel-culture, nella trans-culture, nella inter-culture, nella cultura unisex, la cultur-gender, la cultur cross-gender e inter-gender, le sfilate della Moda in questo senso sono eloquenti e altamente istruttive, si gioca con tutte le tradizioni culturali di tutti i continenti mescidandole e de-culturalizzandole, si mescida lo scampagne con l’acqua di colonia da supermarket, il Principe di Salina con gli analfabeti siciliani del suo romanzo storico, gli azzeccagarbugli si scambiano il lessico con Don Abbondio e Renzo e Lucia.

    Il lessico, il vocabolario delle poetry kitchen di Francesco Intini e degli autori presenti in questo post, è propriamente, un lessico del disgelo, un lessico che è stato dis-coperto dopo l’avvenuta inondazione e ibernazione.
    La poetry kitchen può prosperare soltanto nella zona grigia, una zona di compromissione di tutti i linguaggi, una zona di disinformazia delirante. Siamo tutti compromessi in questo disgelo compromissorio che in sé è già una ideologia: l’ideologia del grigio e del prendi tre e paghi uno. Ci troviamo nella cancel-culture, nella trans-culture, nella inter-culture, nella cultura unisex, la cultur-gender, la cultur-cross-gender e inter-gender; le sfilate della Moda in tal senso sono eloquenti e altamente istruttive, si gioca con tutte le tradizioni culturali di tutti i continenti mescidandole e de-culturalizzandole: si mescida lo sciampagne con l’acqua di colonia da supermarket, il Principe di Salina con gli analfabeti siciliani del suo romanzo storico, gli azzeccagarbugli si scambiano il lessico con don Abbondio e Renzo e Lucia.
    Il lessico della poetry kitchen è un prodotto del disgelo, dopo l’avvenuta inondazione e successiva ibernazione.

    Viviamo e prosperiamo in una sorta di «zona grigia» dell’occidente, è questa la «zona-catastrofe». Abbiamo concesso agli azzeccagarbugli la lingua del Principe di Salina e abbiamo dato al Principe di Salina la lingua degli azzeccagarbugli. Viviamo in una zona di reciproca compromissione dove tutte le parole sono dichiarate scambiabili. Un universo da incubo normal.
    La catastrofe in cui è precipitato il mondo a causa del Covid19 e della guerra in Ucraina ha reso evidente che non soltanto il soggetto è diventato «scabroso» per via delle sue illusioni videologiche, ma anche che il mondo si è rivelato per quello che è: «scabroso», «osceno», «inabitabile», «vergognoso» se è vero che dieci famiglie nel mondo detengono le ricchezze possedute da cinque miliardi di persone. Anche la poiesis è diventata «scabrosa» e «oscena».

    Il mondo sta cambiando, e rischia di cambiare in peggio: i ricchi diventano ogni giorno più ricchi e i poveri ogni giorno più poveri, se questo squilibrio non verrà corretto e invertito, il mondo collasserà sotto il peso dei conflitti e delle guerre che sorgeranno ovunque. Non occorre essere marxisti per capire questo, è questione di buon senso: non si può più fare poiesis come prima del Covid19 e della guerra in Ucraina, qualcosa di determinante è cambiato, non si può più tornare indietro. Fino all’epoca precedente la guerra in Ucraina vivevamo in una appendice della storia, pensavamo di vivere nella post-storia, nella storia del dopo la guerra fredda, in un regime di storialità pur tuttavia in qualche modo e in qualche misura ancora storica. All’improvviso, abbiamo scoperto che viviamo nell’epoca della «zona grigia», nella zona di reciproca compromissione dove gli azzeccagarbugli parlano la neolingua del capitale cognitivo. Non ce ne eravamo accorti prima. Si continuava a fare «arte» riepilogando gli stilemi del tardo novecento, senza la consapevolezza che il mondo nel frattempo era cambiato; si pensava di vivere in un mondo normal, e invece abbiamo scoperto che siamo semplicemente animali che parlano. Eravamo avvolti in una nebbia che ci accecava.

    1 S. Zizek, op. cit.

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  5. antonio sagredo

    Poesia prekitchen o protokitchen?

    E’ possibile che fosse esistita in un passato prossimo, più vicina al futuro che al nostro presente una proto poesia kitchen, dunque una “protokitchen” o se Vi garba una poesia “prekitchen” di più semplice comprensività.

    Sono questi i versi che chiariscono le origini:

    La città aveva ciglia violette. Di mattino, finestre e corvi danzavano,
    sottovoce parlavamo dei labirinti, ma la rugiada invecchiava, vanità delle lune!

    Aleph sarà funesto alla vita,
    Azoth e Nzame avranno il pallido Schinn.
    Evestrum, Evestrum! – grideranno i corvi.
    Aleph, Aleph! – cani e amorini
    nell’affanno si scioglieranno.

    (A. S.)

    Questi versi si rifanno a vecchi miti, e i miti sono finzioni e maschere, talvolta sono così scabrosi da essere osceni…
    Ma la poesia kitchen odierna è dotata di una musica “domestica”
    che questi miti esausti accoglie tra i suoi versi “eccentrici” che suonano come batterie da cucina strombazzando tra armonie e disarmonie i versi facendoli saltare in aria : e non sai se
    esplosione o implosione in uno spazio e tempo indifferenziati che non riesci a distinguere e a calcolarli perché soffrono di deliri che ancora di più stravolgono i sensi e i sentimenti:

    Un motivo sobbalza
    strabocca numeri a catena
    disordine ribellione
    la forma impazza
    tentenna il contenuto
    la parola dominante
    invoca
    ispezioni!
    comanda
    arrotini!
    affila
    sgranocchia
    consuma
    lo sperpero ridotto a grande effetto
    ma la poesia
    per contrasto abbaia
    con muso
    da strapazzo!

    Per questo:

    “La poetry kitchen può prosperare soltanto nella zona grigia, una zona di compromissione di tutti i linguaggi, una zona di disinformazia delirante”. (Linguaglossa)

    E lìuomo si illude di eseere tutt’uno col Tutto nonostante che

    “in un delirio lo spazio è ristretto dai cardini
    e smania di altri mondi, e beve numeri da sistemi
    senza fondo – non scorge nemmeno della sorgente
    quella pietra miliare che segna i limiti e i sogni”.

    (A. S.)

    E allora si fa più chiara questa conclusione a cui si giunge attoniti non soltanto perché “Eravamo avvolti in una nebbia che ci accecava”. (Linguaglossa)
    ….ma cominciavamo a saltellare davvero non sapendo dove poggiare i piedi per un nuovo rinascimento, e invece non abbiamo scorto – perché sprovvisti di visioni – che sotto di noi vi erano soltanto abissi di catastrofi!

    Ci siamo cullati dentro una culla che non c’era!
    Il bambino non c’era!

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  6. Il poliptoto è entrato nel retto di Putler*

    Bum! il poliptoto è entrato nel retto di Putler lanciato dall’incrociatore Moskvà
    L’Elefante suona l’olifante, ne esce il pesce Lavrov con squame e sopracciglia
    Odisseo commercia con il petrolio e il gas dei russi, con le entrate si concede il giusto riposo, manduca fagiani e noccioline del Ponto Eusino

    Il pesce Lavrov tirò per la giacca il Signor Putler
    Ne uscì una nuvola di essenze all’isotopo di Deuterio e un rotolo di carta igienica con impresso l’aureo sigillo della defecatio del Tirannosauro
    Accadde nel Cetaceo che una proboscide con squame di coccodrillo prese a crescere dal retto dell’Ibrido

    It is high time to put this on the agenda», disse Ulisse appena uscito dall’antro di Polifemo aggrottando le sopracciglia.
    «The event has occurred», così chiuse la questione l’itacense.

    Dopo aver ingoiato il poliptoto il pesce Lavrov non trovò di meglio che rifugiarsi nel retto del Signor Putler ed ivi compì la defecatio e la prolificatio

    Il topo saltellò sul piattino con del formaggio bucherellato, morse un fiordo di Emmental Switzerland e lo trangugiò
    Dal retto uscì un minuscolo Putler al plutonio in forma di supposta o di Sputnik
    Lo psicozoico tossì e crebbero delle margherite all’intorno

    «Benvenuti – disse il manigoldo – alla fine dell’Età dell’Antropocene, ovvero, l’Età della Catastrofe Permanente.»

    * da una suggestione di un verso di Francesco Paolo Intini

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  7. Occorre avere un pessimo rapporto con la lingua

    La lingua è un’estranea, ci impone il suo lessico, la sua sintassi, la sua grammatica i suoi modi di pensare e di immaginare, la sua liturgia… Io ad esempio sbaglio spesso le parole parlando (in italiano), sbaglio il plurale, il genere delle parole, sbaglio le parole e ne invento di nuove e inesistenti… E poi c’è la questione del linguaggio, questo sì è un atto di apprendimento culturale, compiuto con sforzo prolungato nel tempo della vita e impegno ingente… Tutto ciò che ci viene dal linguaggio ci è estraneo, non siamo noi che decidiamo, ci viene imposto dalla sua autorità con la sua tradizione letteraria, i suoi tono simbolismi, le sue idiosincrasie fonologiche.

    Fare una poesia dell’istante (instant poetry) come quella che fa Lucio Tosi, è ancora più problematico: occorre liberarsi di tutte queste zavorre che appesantiscono il linguaggio poetico. Innanzitutto: se voi avete un rapporto bello e pacifico con il linguaggio, allora non potrete mai scrivere una poetry kitchen, farete una poesia in linea di continuità con la tradizione letteraria, o meglio, con la tradizione dei linguaggi di plastica come si usa oggi; i linguaggi di nicchia sono linguaggi metallici, metallici in quanto resistenti, inossidabili perché telecollaudati dalla generalità. La poesia di Patrizia Cavalli è un esempio formidabile di normologia. Diciamo che se una poesia viene con facilità, allora sarà falsa perché parlerà il linguaggio eterologo; la poesia deve venire con difficoltà massima, allora sarà il prodotto di una posizione individuale. Ma una posizione individuale la devi conquistare dopo un lunghissimo assedio e grandissimo dispendio di forze e di ingenti perdite. Meglio fare la poesia che fanno tutti, quella narrativa o narrativeggiante, magari con finte rime e finte anti-rime o senza rime affatto, quella telecollaudata e telecomandata.

    (Giorgio Linguaglossa)

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  8. antonio sagredo

    Io e Patrizia Cavalli fin da quando eravamo giovani non facevamo altro che litigare, quasi una volta all’anno, perchè uno era l’incontro-scontro all’anno!
    La rottura definitiva avvenne quando le dissi che preferivo la poesia di una altra Patrizia, la Valduga, che m’avvolse coi suoi “medicamenta” virtuosistici, ma fu una infatuazione passeggera:
    ero già andato oltre i giochi…

    Scrive bene il Linguiaglossa: “La poesia di Patrizia Cavalli è un esempio formidabile di normologia.

    I poeti e le poetesse sono creature crudeli e spietate : non possiamo fare a meno di odiarci e amarci con la stessa intensità pure tutta una vita!
    ————————- e così:
    Eleusina, non sei che un avanzo, di non so – cosa! Non ricordo di volto
    e d’anima! Non un’afa ti sorvola, né oscurità, né neve, né secca foglia,
    né un bocciare di – di cosa? Alberi, che sono? Altari di catastrofi!
    E se mai vi fu un canto tuo, o un grido, non fu di gola, o labbra umane,
    né di bestie!

    as – 2007
    —————————————————————————

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  9. Tutti i dispositivi poetici che oggi propone L’Ombra delle Parole si avvalgono della forza delle immagini dialettiche di cui ciò che conta, secondo Benjamin, è la vita stessa delle immagini, con tutte le loro stratificazioni spaziali, temporali, gusti estetici delle differenti epoche, opportunamente “montate”. Dunque, una molteplicità di approcci come unico mezzo per descrivere la “vita” delle immagini ed i paradossi costitutivi dell’immagine stessa, ovvero (Warburg):

    – la sua natura di “fantasma”;
    – il suo potere di trasmettere il pathos;
    – la sua struttura di “sintomo”;
    – la sua natura di teatro dei tempi.

    Senza queste fondamentali premesse, è impossibile
    cogliere nella sua pienezza il concetto di “montaggio”
    che poi è, per me, la parola-chiave del nuovo «dispositivo
    poetico» tipico della Poetry kitchen.

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  10. Chi ha provato a scrivere sceneggiature conosce la potenza dell’accostamento tra immagini molto distanti fra loro Meglio se estranee l’una per l’altra. Il prodotto non è una somma, piuttosto una moltiplicazione. Forse due moltiplicazioni. Ecco perché Gino Rago parla giustamente di montaggio come parola chiave. C’è molto di cinematografico nella poesia kitchen.

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    • Tiziana Antonilli ha colto nella sua vera essenza il pensiero che è centrale nella poesia in stile kitchen: il montaggio (sia secondo Benjamin, sia soprattutto secondo Warburg) fondato sullo stridere di immagini differenti perché è da questo stridere che si attiva il pensiero dell’osservatore-lettore. E ricorderei in aggiunta anche un altro consetto fondamentale della NOE, prima, e della p.k, ora), un concetto di cui si è poco parlato nei tempi recenti, ossia: lo spazio espressivo integrale.

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  11. antonio sagredo

    Proseguo :
    più sopra ho pubblicato la prima e seconda delle LEGIONI… ora seguito con la terza e la quarta.
    All’attenzione di chi è interessato … e ringrazio, p.e. Mauro Pierno, Mayoor Tosi e altri pazienti lettori.
    Ringrazio Linguaglossa.
    Certo è che un commento a questi versi mi piacerebbe leggerlo.
    ———————————————————————–
    III

    Chiedete sangue, vi darò riso funerario,
    tutta la forma è felina assenza,
    solstizio della carne e della parola
    prima che la vita ancora mi sorprenda.
    Non tutto torna e rientra nel gioco,
    né carogna, né fiori d’azzardo,
    ho solo sete dei tuoi malleoli,
    disastri è toccare le tue labbra.
    Sento l’artiglio delle voci, epitaffi,
    cordogli di saliva dai tuoi occhi,
    la rapace oscurità della tua orbita.
    Eppure ti dono la mia carne contro le tue ossa,
    non ratti lucciole e croci,
    non reliquie di nerastre risa.
    Cede semenze, travagli la memoria
    con squittìi di lacrime: non sono muto!
    Un rosario di coppe, roghi, bàttiti
    piombati sotto il ponte di Toledo…
    e intreccerò spirali di larve, capelli
    ai confini del tuo ventre, la lama
    del tuo passo fischierà come il dubbio
    su muri saturi di gusci, di scudi,
    e corone di rughe su colonne, su moli
    non basteranno per il pianto di carbone.
    Darò scacco alle torce delle danze,
    alle candele, agli arazzi che con lento
    palpebrare e con rete di creta
    derisi i tuoi occhi portano al patibolo,
    perché come un falco, sotto le ciglia,
    precipiti un sogno garrotato!

    ———————————————————

    IV

    Umido invito di donne estinte a nozze.
    Di lucida cenere ancora il dubbio ìntrica le ossa.
    Le Madri sono Demoni.
    Silenzio, tu mi canti.
    Che non sia il grido disatteso un gelido
    sorriso!
    Il suo volto una dolce
    istanza!
    In principio fu il rogo, cerchio del sospetto
    in sputo, rantolo di grumi sinistri, furori
    d’orbite, d’ulcere, di lingua recisa, balsamo
    ferroso il morso, nodi… non bende!
    Povero Cristo, vomitò cera sul nero corteo in fuga.
    Sudario carbonioso di scintille esangui,
    quale fattura, a Tolosa!
    Il morto pulsa ancora di luci, di sfere,
    non ha bara, non tomba, ancora non si è spento
    il crimine, geloso il carnefice dell’orrenda
    voluttà della pena e ride nero sperma.
    Silenzio, tu mi canti la spada e la grazia,
    la veglia divisa dai riti, i passi trasognati,
    le dissolte visioni, i profili di iene cordonate,
    arsenali di sogni divorati dalle sindoni,
    dalle misture del verbo cariato di Pietri e Paoli.
    Turgidi lumi, ottave, flussi, calce e zolfo, e l’opera
    è gonfia ancora d’assalti, di scale, di sigilli,
    dove il gesto più vuoto è gioco, epifania a squame
    nude, a soffi, e celebrare una finzione è malìa
    libertina, rovina di cristalli, morso idolatrato
    dalla tua lingua!
    Quale sete di prodigi mi hai lasciato,
    di vaghezze?
    Lucignolo nero, artiglio calibrato,
    sotterra arcani eclissi nutri d’ombre
    purulente e còncavi anatemi sono leggi, sospiri,
    singhiozzi asfittici.
    Furie tessono latte, reliquie, rovesci di coagulo
    su gorgiere di pòrfido, su umide trine d’ossidiana,
    perché la cenere, stordita! nel calice non fosse trastullo
    d’ostia per sponsali, canto di spastiche sirene,
    quinta dove cintuti achìri ungono croci,
    draghi, rosari, litanie, unicorni.
    Fuori un supplizio crepita di nocche,
    di selci, concede alla gola diaspri, smalti,
    e lancia al vuoto un trafitto nulla.
    Demoni, siate Madri!

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  12. caro Antonio,

    fare un commento significa fare il punto di una situazione, non fare due o tre punti. Mettere il punto implica escludere tutti gli altri punti, ciò significa che fare critica è fare una ermeneutica ad escludendum al fine di escludere il secondo e il terzo e il quarto etc. «punto». Non esiste una critica inclusiva. La critica è sempre esclusiva, la si fa sempre e soltanto ad escludendum.
    Quindi farò una critica ad escludendum. Ecco il tuo incipit della parte IV :

    Umido invito di donne estinte a nozze.
    Di lucida cenere ancora il dubbio ìntrica le ossa.
    Le Madri sono Demoni.
    Silenzio, tu mi canti.
    Che non sia il grido disatteso un gelido
    sorriso!
    Il suo volto una dolce
    istanza!
    In principio fu il rogo, cerchio del sospetto
    in sputo, rantolo di grumi sinistri, furori
    d’orbite, d’ulcere, di lingua recisa, balsamo
    ferroso…

    «umido» è un aggettivo che tu impieghi come colore, per colorare un «invito»… ma di che cosa si tratta?, si tratta di un «invito di donne estinte a nozze», ma che delle donne siano «estinte» «a nozze» non significa propriamente nulla, o meglio potrebbe significare di tutto un po’, potrebbero essersi «estinte» per una polmonite, per Covid, per angina pectoris etc. durante delle «nozze», etc. ma il tutto è troppo generico.
    Passiamo al secondo verso:

    «Di lucida cenere ancora il dubbio ìntrica le ossa.»

    «lucida» è un aggettivo riferito al sostantivo «cenere». Anche qui siamo nel colore, l’aggettivo non indica una proprietà intrinseca alla «cenere», non indica uno status della «cenere» ma semplicemente una impressione soggettiva che vale quanto vale in quanto una impressione vale soltanto per oggi e per me, magari domani la mia impressione cambierebbe etc.
    La dizione «il dubbio intrica le ossa» è generica e anche qui di colore, una impressione soggettiva non una proprietà del sostantivo «ossa».

    Passiamo al terzo verso:

    «Le Madri sono Demoni.», che è una asserzione, e come tale va presa per intero a prescindere da ogni altra considerazione.

    Passiamo al quarto verso:

    «Silenzio, tu mi canti.»

    che è una palese affermazione indiretta che vorrebbe alludere al fenomeno del «Silenzio» che canta nella soggettività, alla base di questo costume poetico c’è un concetto di poesia epifanica in quanto è il «Silenzio» che canta e incanta.

    Passiamo al 5 e 6 verso:

    Che non sia il grido disatteso un gelido
    sorriso!

    Anche qui, in quel «grido disatteso», nell’aggettivo impiegato come depistaggio e sorpresa in quanto non si riferisce ad alcunché di preciso, c’è sotteso un concetto di poesia come imprevisto ed epifania… nel successivo aggettivo «gelido» riferito a «sorriso», c’è, come sempre, un uso personale-soggettivo degli aggettivi, un eccesso di libertà nel loro impiego che sconfina nella gratuità.

    Per concludere, il tuo testo parla più di te, più del soggetto che dell’oggetto.
    Osserverei che tu hai un ottimo rapporto con il linguaggio. Puoi tutto.

    Ricordo che Contini recensì favorevolmente il primo libro di poesia scritto in friulano del giovanissimo Pasolini. Quella scrittura piaceva a Contini perché era mirabilmente inscritta nel registro sonoro e epifanico della tradizione italiana, questo per dire che il mio punto di vista è perfettamente speculare ma all’incontrario del punto di vista di Contini, non nel senso che io abbia più cognizione di Contini, non mi permetterei, ma nel senso che è la storia che decide, il trascorrere del tempo.

    Dopo la distruzione delle forme avvenuta nel novecento, siamo arrivati alla distruzione dell’orizzonte di attesa. È stato qualcosa che ha colpito al cuore la poesia del soggetto panopticon, dell’io plenipontenziario. L’io è stato de-fondamentalizzato, il soggetto legiferante è stato de-localizzato e l’ontologia negativa di Heidegger è stata sostituita con una ontologia positiva.

    Tempo fa chiedevo :

    https://lombradelleparole.wordpress.com/…/comment…/…
    Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della storia?
    Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della metafisica?
    Quale è il compito della poesia dinanzi a questi eventi epocali?

    Risposta (indiretta) di Maurizio Ferraris:

    «Le strutture ideologiche postmoderne, sviluppate dopo la fine delle grandi narrazioni, rappresentano una privatizzazione o tribalizzazione della verità».

    (Maurizio Ferraris, Postverità e altri enigmi, Il Mulino, 2017, p. 113)

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  13. antonio sagredo

    Bene la Tua “critica ad escludendum” !
    Spero per le sei (6) restanti Legioni stessa critica, in altri post, altrimenti il lettore… potrebbe cominciare a sor – ridere……
    … e allora la celeberrima poesia di Velemir Chlebnikov tradotta da A. M. Ripellino:

    Esorcismo col riso

    Oh, mettetevi a ridere, ridoni!
    Oh, sorridete, ridoni!
    Che ridono di risa, che ridacchiano ridevoli,
    oh, sorridete ridellescamente!
    Oh, delle irriditrici surrisorie – il riso dei riduli ridoni!
    Oh, rideggia ridicolo, riso di ridanciani surridevoli!
    Risibile, risibile,
    ridifica, deridi, ridùncoli, ridùncoli,
    ridàccoli, ridàccoli.
    Oh, mettetevi a ridere, ridoni!
    Oh, sorridete, ridoni!
    ———————————————————————-
    si potrebbe parlare già di una primordiale protokitchen!…
    e sarebbe un grande elogio per i poeti kitchen del XXI° secolo.

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  14. Scrivere senza l’ausilio di alcun pilota automatico è la sola poesia che è possibile scrivere oggi dopo la fine della metafisica e dopo l’ingresso della ontologia positiva.

    L’ontologia negativa si basava sul NON (ciò che non si dice, ciò che non si pensa)
    L’ontologia positiva si basa sul Sì (ciò che si dice, ciò che si pensa)

    Il fatto che l’uomo è «un animale metafisico» (dizione di Albert Caraco), è da intendere nel senso seguente: che l’uomo non può che riprodurre la metafisica anche dopo la fine della metafisica.

    Ecco perché la «nuova poesia» assume a proprio tema centrale il FUORI della poesia.

    Poiché la crisi è in poesia la poesia reagisce diventando meta poesia, ricusando la vecchia metafisica per una meta fenomenologia della metafisica del poetico in quanto il poetico non è uno spazio a sé, separato dal non-poetico, quanto che esso è la stessa meta ontologia che diventa meta-poesia. La meta ontologia verte su ciò che è al di fuori della ontologia, e, precisamente, sul niente che costituisce le cose, sulla nientificazione che sta all’origine di tutte le cose e dell’esistenza delle cose.

    di Giuseppe Talìa

    Per essere un buon Governante non devi amare lo Stato.
    Per essere un virtuoso Papa non devi credere in Dio.

    Per essere un bravo Poeta non devi bramare la Poesia.
    Germanico, le fronde interne mugugnano, il malcontento

    Serpeggia tra i Generali e i Tenenti giocano con le ossa rotte.
    Solo gli assassini amano le vittime. Solo i ladri adorano Dio.

    Solo i poetastri smaniano per la passione riluttante delle Muse.

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  15. milaure colasson

    condivido in pieno l’annotazione assai pertinente di Alfonso Cataldi (su lapoesiaelospirito) secondo il quale la poesia kitchen si scrive meglio in mezzo ai rumori di fondo della nostra vita quotidiana, che è molto diversa dalla vita quotidiana di una persona del, mettiamo, 1960 o del 1906, all’epoca non c’era neanche la radio (pochi nel 1906 potevano permettersela, ancora nel 1960 pochi potevano permettersi di avere in casa un televisore in bianco e nero). La poesia è direttamente correlata con i suoni, i rumori, le parole, le sollecitazioni dei mezzi di comunicazione, tutto è in comunicazione con il tutto e niente lo è veramente.
    L’Elefante ha generato una miriade di corvi i quali hanno iniziato a blaterare e il risultato è questa infinita congerie di parole vuote e fatue… Adesso i corvi sono al potere e di lì ci sorridono sornioni… la poesia del suffragio universale ci ha portato a ciò…

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  16. antonio sagredo

    Il rumorismo quotidiano è intriso di umorismo: questa é la caratteristica primaria del primo futurismo italiano e poi russo.
    Infatti da questo punto di vista la poesia kitchen si può inscriversi con le prime fasi di questi due futurismi.
    Il primordiale futurismo-rumorismo fagocitava qualsiasi rumore, da quello domestico e dozzinale e quotidiano di cui ho già detto a quello che si spandeva attraverso l’etere con le prime apparecchiature tecniche d’avanguardia e ne sono testimonianza i manifesti propagantistici. Se la parola domestica prima e poi universale aveva un valore perché legata all’oggetto adesso, come dice Colasson, mancando l’oggetto di riferimento è vuoto assoluto e così ha perso la propria forma e il proprio contenuto e tutto ciè era già stato denunciato già non dai futuristi italiani che, mancando di una solida base culturale e pure di una tradizione apparivano superficiali rispetto ai poeti e scrittori futuristi russi che lavorarono parallelamente insieme ad insigni studiosi della linguistica e pure di storici-critici della letteratura.
    Detto questo in generale l’ELEFANTE aveva già da allora (primi anni del secolo trascorso) partorito non solo corvi, ma sciacalli, lupi e iene!

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  17. Il fatto che il pensiero allontana ciò che è vicino, o meglio, si ritrae da ciò che è vicino e avvicina le cose lontane, è un elemento decisivo per riuscire a comprendere con chiarezza la dimora del pensiero.
    (Hannah Arendt)

    Storicamente l’arte è stata quell’evento inaugurale in cui si istituiscono gli orizzonti storico-destinali dell’esperienza delle singole umanità storiche, oggi le opere d’arte sono origine di esperienze di shock tali da capovolgere l’ordine costituito dei significati consolidati dalla vita di relazione. L’ovvietà del mondo diventa non-ovvietà. Nuove forme storico-sociali sono preannunciate e introdotte da opere d’arte. Le opere d’arte dell’ipermoderno si configurano come produzione di significati in condizioni di spaesamento permanente, di sfondamento rispetto a sistemi stabiliti dei significati consolidati. Un tempo le opere d’arte avevano senso soltanto se «aprivano», se preannunciavano nuove mondità, nuovi possibili modi di vita e forme di esistenza, altrimenti deperivano a cosità, nelle nuove condizioni del Capitalismo le opere d’arte sono sostituite dalla poiesis la quale tende a «chiudere» dei mondi e delle mondità. La poiesis divenuta un senza-luogo si rivela estranea a se stessa.

    «Heimatlosigkeit» significa nella lingua tedesca «senza patria». È un’espressione che rimanda all’assenza di una «dimora» e che si connota con la Stimmung di una dispersione esistenziale.

    «Wir irren heute durch ein Haus der Welt» –
    «Noi erriamo oggi nella casa del mondo»

    La frase è di Heidegger. Dunque, ci manca il linguaggio. Senza casa e senza linguaggio, l’uomo va ramingo, cercando una dimora da abitare e una parola da pronunciare; nella sua ricerca egli erra nel mondo simile ad un’ombra straniera finanche a se stessa. Il tempo della mancanza del linguaggio è il tempo della povertà (Heidegger), il tempo dell’epoca storica in cui l’essere si cela e non si rivela; un’epoca contrassegnata da una barriera linguistica, ovvero, un limite verso l’«apertura» storica dell’essere.
    Tuttavia, «il linguaggio è la casa dell’essere. Nella sua dimora abita l’uomo», afferma Heidegger. In quanto co-esistenziale del Dasein, il linguaggio è al contempo quanto di più lontano e quanto di più prossimo l’uomo riesca ad esperire.
    Nelle nuove condizioni ontologiche ed esistenziali nelle quali si trova il Dasein oggi nelle condizioni del Capitalismo cognitivo e globale, il linguaggio si è rilevato essere un luogo Estraneo, fonte di confusione e di equivoci; il senso e il significato delle parole si perdono in un fondo senza fondo. Da questo punto in poi la «dimora» linguistica del Dasein è diventata inabitabile… non sarà più possibile abitare (Wohnen) la dimora che conoscevamo… Di qui il bisogno di dover ricostruire e di puntellare la dimora divenuta inabitabile. Di qui la «nuova poiesis».

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  18. antonio sagredo

    ………………………………………………………………………………..
    Da un po’ di tempo mi chiedo se esiste in Russia, oggi, un poeta che abbia il coraggio di scrivere una poesia contro Putin, così come fece Mandel’stam contro Stalin. E a quale destino andrebbe incontro.
    ————————————————————–
    Segue: commento e traduzione della poesia di di A. M. Ripellino
    tratti dal suo Corso su Mandel’stam del 1974-75.
    ………………..

    “Mandel’štam e Stalin

    Il capo d’accusa principale era una poesia epigrammatica su Stalin che Mandel’štam aveva recitato a un gruppo di 12 amici. Uno di questi era andato a spiattellarla, ma non si sa a chi. Nadežda Mandel’štam, dice di avere dei sospetti, ma è difficile dirlo. Inoltre c’era nel suo dossier quello schiaffo, di cui abbiamo già parlato, che aveva dato ad Aleksej Tolstoj.
    Erano quelli i tempi della fine della collettivizzazione agraria e Stalin in quei versi veniva definito assassino e sbaraglia-mužiki; questi versi segnavano l’inizio della tragica fine di Mandel’štam. Lui che aveva sempre riflesso in allusioni, in motivi traversi, mai direttamente; e l’unica volta che scrisse una poesiola abbastanza futile e superficiale, con piene parole e pieni accenni, incappò subito nella repressione. Era una poesia in cui voleva esprimere chiaramente la sua avversione per il tiranno, mentre il resto della sua opera è sempre, anche quando accenna a fatti politici, lontano da una presa diretta, non è fanfara, né acre satira o bruciante presa come in Majakovskij, ma tutto è sempre riflesso diagonalmente. La poesia è questa:

    Noi viviamo senza avvertire sotto di noi il paese,
    a dieci passi non si sentono i nostri discorsi,
    e ovunque ci sia spazio per un mezzo discorso,
    ci si ricorda del montanaro del Cremlino.

    Le sue dita grasse sono pingui come vermi,
    le sue parole sicure come pesi.
    Ridono i baffacci di scarafaggio
    e brillano i suoi stivali.

    E intorno a lui una marmaglia di capi dagli esili colli,
    egli gioca con i servigi di mezzi uomini.
    Chi fischia, chi miagola, chi piagnucola
    e lui ciarla soltanto e punta il dito.

    Forgia ordini uno dopo l’altro come ferri di cavallo:
    a chi nell’inguine, a chi fra gli occhi, sulla fronte e sul muso.
    Ogni esecuzione è per lui una cuccagna,
    ha un largo petto di osseto.
    —————————————————————-
    Segue commento di A. M. Ripellino

    “(Gli Osseti erano un popolo della Georgia, vicino al paese dove Stalin nacque, quindi petto di osseto, petto di georgiano)
    Questa è una poesia improvvisata per un cerchio di amici, una poesia da nulla, superficiale * è quel verso delle dita che è impressionante e che, come vi ho detto, ricorda quanto avvenne a D. Bednyj (il poeta che Esenin chiamava “Demjan., figlio di lacchè”), famoso poeta di origine proletaria, dell’epoca della rivoluzione, il quale per un certo periodo è sembrato essere l’espressione suprema.
    Demjan Bednyj, molto amico di Stalin e in gran luce presso di lui, una volta scrisse nel suo taccuino che non voleva più prestare libri a Stalin, perché questo ci lasciava sopra le impronte delle sue grasse dita. Il segretario di Stalin andò subito a riferirgli la cosa, per cui Bednyj cadde in disgrazia.
    Secondo il racconto di Nadežda Mandel’štam, il poeta fu chiuso alla Lubjanka, dove gli fecero le cose abituali in quel tempo, cioè interrogazioni notturne, iniezioni di scopolamina (per confondere la sua memoria), lampada accecante negli occhi, liquido abrasivo negli occhi quando guardava nello spioncino, cibi salati, mancanza di acqua da bere, ecc.”
    —————————————————————————-
    * nota 138 di A. Sagredo

    “Ripellino, mi pare che dia a questi versi soltanto un giudizio estetico, quando invece ha anche un altissimo valore etico: è un attacco, pare, senza precedenti, contro uno spietato tiranno, nella storia della poesia mondiale del secolo trascorso! Ma non è difficile trovare altri e alti esempi nel passato: Mandel’štam amava Andrea Chenier, su cui scrisse le sue Note. Ma pure esempi contrari contemporanei, come p.e. Montale e Ungaretti che chiesero, supplicando, un sussidio al potere! ///// Tra l’altro A. Wat, il futurista polacco, ci riferisce finalmente il nome di quell’intellettuale russo, Pëtr Pavlernko, che tradì Mandel’štam, che era “proprio un uomo della CEKA, tutti lo sapevano. Questo è un inédit, non ho ancora letto da nessuna parte che fu lui a tradirlo”.(pag. 596)- Lo slavista A. M. Ripellino di certo conosceva il futurista Wat, ma non lesse l’intervista “Il mio secolo”, altrimenti avrebbe menzionato di certo il nome del traditore di Mandel’štam, Pëtr Pavlernko che fu noto per aver collaborato alla sceneggiatura dell’Aleksander Nevskij di Èjzenštejn. (vedi Postfazione) |||||||| Il mio secolo. Memorie e discorsi con Czesław Miłosz, a cura di Luigi Marinelli, Palermo, Sellerio, 2013. “

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  19. di Davide Galipò

    Unico strale della civiltà,
    la bandiera ucraina sventola
    sulla piazza dei menù turistici:
    “evviva l’Occidente, la libertà!”

    dice la madre, abbracciata
    alla figlia che scatta la foto
    – il piano inclinato di 40°
    per farla sembrare più alta.

    “Siamo i migranti migliori”,
    sembrano dire i visi buoni,
    gl’occhi azzurri commossi,
    le bionde chiome al vento.

    “Adesso che tutto è finito,
    per festeggiare, mandiamo
    al rogo questa pila di libri
    di poeti russi e palestinesi.”

    Il falò giallo-azzurro
    illumina i sorrisi degli eroi,
    un sassofonista suona
    What a wonderful world.

    Il fuoco raggiunge i piani
    più bassi – incendiando i panni
    stesi delle famiglie affacciate.
    “Un sacrificio necessario”

    dirà il presidente il giorno dopo,
    asciugandosi il sudore dalla fronte.
    “Ora scusate, vado al mare.”
    È il 28 di ottobre.*

    * https://davideidee.wordpress.com/2022/11/22/ma-che-bel-mondo-e/?fbclid=IwAR1cgNix7o2Pv77QVLsvBvk026alQudAzrLPzZ6q3m7kSDeZ_awEEyyDJ9k

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    • Grazie Giorgio, segnalo in risposta la bella poesia di Charlie Nan. Lo trovate su Twitter come @CharlieDNan

      Avrò la steppa e sarà la steppa
      Con musiche Russian pop
      E giovani bickers tedeschi
      Lanciati su fango e tralicci
      Lanciati su fango e euro
      Che età?
      Che età avrà l’amore
      E le poppe di influencer di fronte alla Venere di Botticelli
      Il Signor presidente
      Il Signor presidente
      Acclamato da applausi
      E poeti dalle idee solide
      Il Signor presidente
      acclamato da idee solide
      Sono le quattro di notte
      E il Russian pop
      Sì è spento in chiacchiere
      Su dodici almeno dodici
      Implorazioni e deiezioni
      A pantaloni abbottonati
      Di – devo andare
      Adesso chiudiamo!
      Non mi è permesso
      Ci sentiamo dopo Signor Presidente
      KitKat e spiaggia a 25 gradi
      Di un inverno troppo caldo
      La canzone è russa ma la cantante è Ucraina
      Sopra balli mai scaduti
      Oh Signor Presidente
      Sono tutte Maria quando si balla
      Oh Signor Presidente
      Vorrei vedere anche le tue tette
      Giovani bicker tedeschi vogliono vedere le tue tette
      E tu te le guardi le tue tette?
      Anni 60 e Russian pop sopra balli KitKat
      Inverno caldo
      Netturbini a fine mese
      Botticelli e poppe
      Monet a pureè
      VanGogh al sugo
      E l’intera umanità
      Starà a guardare la verità
      Con viso alla bellezza
      E la fine alle spalle

      Charlie D. Nan (Pietra Ligure, 1987), poeta elettrofuturista nei giorni dispari, chimico della parola nei giorni pari. Fondatore del Gruppo d’Azione Poetica Salinika, cofondatore della rivista «Neutopia», ha pubblicato racconti per «Sul Romanzo» e «Playboy». Giornalista culturale per «Il Riformista», attualmente vive e lavora a Bruxelles come consulente alle politiche internazionali.

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      • Giuseppe Talìa

        Bravi, entrambi, a mio modo di vedere. Molto vicini l’un l’altro su diversi punti di contenuto e di indirizzo della poesia. Entrambi i testi sono strutturati, sia quello di Davide Galipò che di Charlie Nan. Il ritmo è sostanzialmente quello della ballata, settenari e qualche anaclasi in novenari.
        Ho trovato in entrambi gli autori la stessa consapevolezza nel mettere nell’ordine della narrazione di eventi recenti, la poesia o per sineddoche la sua estensione, il poeta.
        Iperbole:
        “al rogo questa pila di libri
        di poeti russi e palestinesi.”, Galipò.

        “Il Signor presidente
        Acclamato da applausi
        E poeti dalle idee solide”, Charlie Nan.

        L’Ironia che governa i testi è asciutta e dinamica.
        Ci sarebbe anche altro da dire.

        Per il momento vi saluto cordialmente.
        Giuseppe Talia

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        • Davide Galipò e Charlie Nan sono sulla strada giusta, il loro tentativo è beneaugurante e va salutato con favore… ma il problema della stagnazione della poesia italiana di questi ultimi decenni non può essere risolto facendo riferimento esclusivamente al lavoro del Gruppo 93, quello era un movimento tutto interno alla nicchia del «letterario» e del «poetico» e, inoltre, non possedeva un solido ancoraggio filosofico, non andava al di là del «letterario» e delle forme del letterario, di qui la sua presa insufficiente sullo stesso «poetico» e sul «letterario», i problemi di fondo della poiesis rimanevano eslusi dal loro raggio di pensiero. Il mio invito è andare oltre, procedere in avanti con la riflessione critica, affrontare le questioni che stanno alla base del fare poiesis oggi.

          Tempo fa chiedevo :

          – Dopo la distruzione delle forme avvenuta nel novecento, siamo arrivati alla distruzione dell’orizzonte di attesa. È stato qualcosa che ha colpito al cuore la poesia del soggetto panopticon, dell’io plenipontenziario. L’io è stato de-fondamentalizzato, il soggetto legiferante è stato de-localizzato e l’ontologia negativa di Heidegger è stata sostituita con una ontologia positiva.

          – Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della storia?
          – Quale poesia scrivere nell’epoca della fine della metafisica?
          – Quale è il compito della poiesis dinanzi a questi eventi epocali?

          Risposta (indiretta) di Maurizio Ferraris:

          «Le strutture ideologiche postmoderne, sviluppate dopo la fine delle grandi narrazioni, rappresentano una privatizzazione o tribalizzazione della verità».

          (Maurizio Ferraris, Postverità e altri enigmi, Il Mulino, 2017, p. 113)

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  20. Mitoglifici di oggi

    Circe lavora all’uncinetto sta preparando una t-shirt per Odisseo
    Ad Itaca c’è inflazione e carestia perché i proci hanno chiuso i rubinetti del Nord-Stream 1
    Penelope vive nel freddo e nelle ristrettezze ma a Tebe Agamennone non se la passa meglio

    *

    Telegono chiama al telefono suo fratello Telemaco
    Odisseo s’è preso il Covid ed è entrato in terapia intensiva
    Il pappagallo Gazprom gorgheggia “Bella ciao”
    Il nano Fasullo reclama il salario minimo in applicazione di una direttiva europea di Ursula von der Leyen
    L’appendiabiti del critico Linguaglossa litiga con la giacca catarifrangente del Mago Woland.
    Bulgakov soffre di alopecia
    Il succo di albicocca in bottiglia sale sul Bus 23 alla fermata della Piramide Cestia e si dirige al Circo Massimo dove ci trova il generale Massimo Decimo Meridio nelle vesti di gladiatore
    Il romanzo “Il maestro e Margherita” di Bulgakov litiga con “la coscienza di Zeno” di Italo Svevo

    *

    Circe ha avviato la procedura del crowfunding
    Calipso nel mare egizio chiama allo smartphone Odisseo
    Il cane ha sei zampe
    Il cavaliere ha dimenticato gli occhiali in frigorifero
    Olimpia si aggiusta la parrucca per andare al supermercato
    Ad Itaca il PD ha lanciato un rave party
    Penelope si è unita al Terzo Polo di Renzi e Calenda per un sit-in p.za Montecitorio
    In Italy il Poligrafico dello Stato ha fatto un francobollo con l’effigie di Putin
    Official said

    *

    Penelope assume via orale dieci pastiglie di Bentelan contro l’artrite reumatoide e il mal di Ulisse mentre il manigoldo se la spassa negli ozi di Ogigia con le ninfe e la formosa Kim Kardashian
    Le pale eoliche hanno preso l’influencer
    Trasimene capo dei Lestrigoni ha sconfitto i Lotofagi ad Abukir
    Nausicaa se la spassa con il pesce Lavrov

    *

    Prescrizioni della ancella Melanto a Penelope:

    Leggere attentamente il foglio illustrativo prima di sera e la mattina
    Se avete qualche dubbio rivolgersi al medico o al farmacista
    Non dare il medicinale ad altre persone anche se i sintomi sono simili
    Conservare il prodotto in frigo
    Potrebbe manifestarsi qualche effetto indesiderato
    Non assumere il Bentelan con il Viagra
    Combatte la trombocitonemia
    È allergico al betametasone
    È allergico al termosifone

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    • Molto bene, sembra scritta nell’abitacolo di una ruspa. La radio accesa. A ben vedere nemmeno Ulisse se la passava tanto bene, intendo tra una giornata e l’altra di quei secoli. Non fosse per i pasticci mentali dovuti a l’ideologia – tiro alla fune con Pasolini Fortini e chissà quanti altri – Il bianco il nero, tutto va a p…e, è una sera bellissima, le parole saltano addosso. Complimenti.

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  21. È plausibile ipotizzare una nuova avanguardia oggi dopo la fine del post-moderno?

    Mettiamo il problema nei giusti termini marxiani e chiediamoci:

    Il soggetto scabroso (the ticklish subject) di Zizek è l’altra faccia della medaglia dell’oggetto scabroso (the tickish object)? Sì, o no?

    Il rapporto soggetto oggetto è un rapporto dialettico e conflittuale, l’alterità dei due Fattori implica una loro riconoscibilità che è sempre data all’interno di un contesto, ovvero, di una serie di rapporti di produzione e di forze di produzione. È l’equilibrio tra queste forze contrastanti ciò che produce il soggetto e ciò che determina l’oggetto. (L’io che acquista una Fiat Punto è esattamente ciò che la merce Fiat Punto riconosce in me come acquirente. È il Capitale che sovraintende all’intero processo).

    Sia il soggetto che l’oggetto sono entrambi scabrosi, osceni, inemendabili, indomandabili. La vera domanda che occorrerebbe porre al soggetto è: Che cosa sono io che compro la Fiat Punto?, o meglio, Che cosa sono diventato io per prediligere l’acquisto della Fiat Punto?

    Non diversa è la posizione di un «poeta» che voglia porsi nel mercato pubblico. Il mercato pubblico riconosce in me esattamente ciò che io sono: un venditore di merci. Questo è quanto. Se «io» come «autore di poesia» mi metto sul mercato delle merci poetiche, sarò riconosciuto dal mercato delle merci poetiche esattamente così come io mi sono messo in vendita. Che poi la mia personale predilezione sia verso una nuova avanguardia e verso una nuova retro guardia non fa alcuna differenza. Il nuovo Capitalismo cognitivo queste cose le ha digerite da alcuni decenni, sa che l’io come soggetto, che l’attività del soggetto è quella di sottomettersi alle condizioni poste dal mercato delle idee e dal mercato delle merci, altra via di fuga non c’è, se non nella fantasia.

    E allora, chiederà il lettore, quale deve essere la posizione del soggetto nelle attuali condizioni? –

    Semplice, rispondo: la posizione del soggetto scabroso sarà quella di tentare di sottrarsi alle condizioni produttive che relegano il soggetto nella soggettità e l’oggetto nella oggettità, cioè porsi Fuori del meccanismo identitario e di riconoscibilità del Capitale all’interno delle quali prospera il processo produttivo e la stessa soggettività.

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    • Caro Giorgio, mi permetto di integrare il tuo discorso con alcune riflessioni. Pasolini scriveva che l’arte è “la merce che non può essere consumata”. A tal proposito, la Neoavanguardia ha riportato, con il Gruppo 63 e l’esperienza del Mulino di Bazzano, l’oggetto-libro e nella fattispecie il libro di poesia alla sua condizione materiale di oggetto, appunto, per decostruirlo attraverso le opere dei poeti neoavanguardisti, che attraverso il collage, la performance e il segno tentavano di fuggire dalla forma-libro. La loro poesia è rimasta comunque merce, così come il loro tentativo di decostruire la narrativa degli anni ’60, ma per lo meno il loro si registra come tentativo in tal senso (leggasi a tal proposito Adriano Spatola, “Verso la poesia totale”, 1978).

      Dopodiché ci sono stati gli anni del riflusso, gli anni di Piombo hanno lasciato posto agli anni della Milano da bere, nel 1989 il muro di Berlino crolla e con esso le ideologie, il neoliberismo sembra aver vinto la sua battaglia egemonica sul resto del mondo. Il Gruppo 93 e i suoi seguaci non possono, per forza di cose, contrapporsi con la loro poesia al mercato: poiché solo il mercato esiste, pena la dissoluzione totale o peggio, l’insensatezza del loro agire poetico (rimando all’articolo “Contro il presenzialismo” su Neutopia).

      Con la fine del postmodernismo e l’apertura della nostra epoca pre-moderna, che io faccio coincidere con l’11 settembre 2001, anno dell’attentato a Ground Zero, ma a detta di Roberto Bolaño e degli infrarealisti potrebbe risalire benissimo all’11 settembre 1973, anno del golpe americano in Cile e della destituzione di Salvador Allende, con l’instaurazione della dittatura militare di Augusto Pinochet, si potrebbe dire che oggi l’avanguardia abbia assunto una nuova urgenza e una nuova spinta propulsiva.

      Ma è un’avanguardia differente dalle avanguardie passate, che parte dalle pratiche e non dai manifesti. Una poesia che voglia essere rivoluzionaria oggi dovrebbe innanzitutto occuparsi di rivoluzionare le forme, poiché ci sono molti modi per scrivere una poesia reazionaria: la prima è nei contenuti, la seconda è nella forma.

      Cinque anni fa, con NEUTOPIA e con il gruppo d’azione poetica SALINIKA abbiamo provato a dare alcune risposte in questa direzione, partendo dalle avanguardie storiche (futurismo, dadaismo, costruttivismo russo) per capire quale fosse il senso di una nuova avanguardia nella contemporaneità. Alcuni di noi l’hanno vissuta in chiave più situazionista, altri oggi sono partiti dall’ipertesto e dalla realtà virtuale. per comprendere quale possa essere il terreno sul quale le nostre poesie possano diventare totali, dunque entrare interamente nella realtà per proporre un campo differente da quello del mercato editoriale.

      Il Liminalismo, i Mitilanti e la Poetry Kitchen secondo me sono esempi che si stanno muovendo in tal senso.

      A tal proposito, vi lascio il mockumentary sulla nostra attività poetica, girato a Torino nel 2017. Spero ci sarà presto occasione di approfondire il discorso.

      Davide Galipò

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  22. antonio sagredo

    Si chiede Linguaglossa :

    ” È plausibile ipotizzare una nuova avanguardia oggi dopo la fine del post-moderno? ”

    ———————————————————————-

    Una delle tante volte, all’Aleph a Roma in Trastevere, ritrovo di poeti, incontrai Linguaglossa e gli dissi che di poeti, come intendevo io, ancora non ne avevo incontrati o saputo qualcosa.
    E che di avanguardia giovan-ile nemmeno l’ombra (delle parole!?)… e allora gli dissi ancora che le iniziali del mio nome e cognome dettavano qualcosa di molto significativo, e dunque:
    A- ntonio S- agredo… A e S= Avanguardia Senile.
    Erano presenti diversi poeti e poetesse, tra cui il buon Salvatore Marino ; risultato : gran risate!

    E poi tutti in trattoria!
    ——————————————————————
    da una mia poesia dedicata a a Paul Verhaeren – 1978 –
    ———————————————————————-
    Eppure qualcuno ancora muore sotto il tram
    Eppure ancora qualche ragazza si uccide per voti scolastici
    Eppure ancora qualche avanguardia va dietro al proprio funerale
    Eppure è necessario qualche volta sognare
    Eppure nello zoo qualche belva ama ancora l’immaginazione e l’evasione
    Eppure c’è qualcuno ancora, come me, che nell’attesa sa già il futuro
    Eppure c’è qualcuno ancora, come me, che ha fede in ciò che ha fatto…
    e non ha fatto nulla
    ——————————————————————————-E me rigiro in questa casa come la rota di una senile avanguardia, forse
    un imbarco s’avvicina…

    2020
    ————————————-
    ai poeti senza stelle

    Le costellazioni erano ben poca cosa: una scenografia non certo d’avanguardia,
    ma tutte le interiori rotazioni trascorse somigliavano a simulacri di monologhi
    esangui: sapevamo che tutto era un chiacchiericcio di cortile e che i drammi e
    le tragedie si ripetevano in un via vai insensato, come uno struscio provinciale.

    2020
    ——————————————–

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  23. L’Elefante ha generato un gran numero di corvi, Il corvo ha iniziato a parlare ma parla con il linguaggio delle fake news, delle ipo-verità, delle iper-verità, delle post-verità, con i linguaggi serendipici e post-edipici, cioè con i linguaggi del Labirinto e del Minotauro, Il kitchen è finto-finto, non c’è nulla di vero, nulla di mimetico, i “compostaggi kitchen” sono il finto-finto al quadrato, Poesie kitchen e commenti di Lucio Mayoor Tosi, Francesco Paolo Intini, Marie Laure Colasson, Giuseppe Gallo, Giorgio Linguaglossa


    Céline Menghi, Dire Mu, Genesi Editrice, 2019 pp. 168 € 18.00

    In questa narrazione «anti-edipica» come l’avrebbero definita Deleuze e Guattari, ovvero priva di un limite, un confine, il racconto si presenta come un intreccio virtualmente alimentabile all’infinito, come una catena di eventi nella quale è sempre possibile aggiungere nuovi anelli. La simmetria viene rispettata fin troppo correttamente come il desiderio straborda dagli argini in seguito alla forclusione del Nome-del-Padre e di Thanatos riducendosi a sola jouissance, così fa la trama, priva, a causa della conquista della parola, di una funzione-autore assumendo i connotati tipici dello storytelling, ovvero, puro intreccio senza conclusione. Si impone così una nuova concezione della trama: essa, proprio come la Legge della Castrazione Simbolica non viene più intesa condizione strutturale del desiderio, non chiede più di essere considerata come un elemento determinato dalla fine, tanto che Calabrese, parodiando il titolo del celebre lavoro di Kermode, parla di un sense of a nonending che dilaga nel romanzo postmodernista: nessun epilogo, nessun archetipo “clausulare” hanno sorretto nel postmodernismo il sogno infranto di un Fine che coincidesse con una Fine. Senza una conclusione, e quindi senza una finalità e un momento di determinazione del senso delle vicende, il racconto deve ricercare la propria ragione ermeneutica in altri elementi. A parte ciò, una ermeneutica testuale dovrebbe a questo punto ipotizzare l’esistenza di un nuovo tipo di narrazione conseguente alla condizione postmoderna. Se è vero, come dice Karl Marx, che «Alles was fest ist, schmilzt in der Luft» (Tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria),1 è lecito definire questa narrazione “evaporata” in quanto volatile, diffusa ovunque nello spazio, priva di una forma specifica, poiché mancante di una figura che la articoli come faceva l’autore, e difficile da osservare da vicino; oltretutto, con tale dizione si riprenderebbe la formula «Evaporazione del Padre» cara a Lacan.
    Eliminato il Padre, eliminato l’autore, privati entrambi della parola, anche la Legge e il Finale sono scomparsi; e la jouissance e l’intreccio hanno iniziato a proliferare in modo incontrollabile. Per quanto concerne la dimensione narrativa, occorre perciò tracciare una teoria plausibile di questa inedita modalità del récit, una mappatura dei caratteri che la narrazione letteraria ha ereditato dall’avvento dello storytelling. Il primo tratto da attribuire alla narrazione «evaporata» è un’ossessiva attenzione alla forma anche a discapito del contenuto, infatti, nel racconto postmoderno il senso è estroiettato nella logica combinatoria della forma narrativa, il senso del racconto non dipende più dalla trama in sé, dalla successione degli eventi, in quanto è la mancanza stessa del finale che agisce retroattivamente inficiandone il plot, la trama narrativa.

    «La trama- scrive l’autrice nel risvolto di copertina -, per chi volesse la trama, o il senso per chi volesse il senso, non solo non è lineare la prima e non è necessario il secondo, ma chi leggerà incontrerà deviazioni, smarrimenti, cose che non si direbbero, cose che non si sanno bene, certamente cose che io non so bene. L’ordito c’è e nasce tra le stoffe in un armadio. Spero, quello sì, che si intravveda. È fatto di resti, di pezzi staccati, di trame, di fili, molti dei quali senza nodo, altri già ripresi in un’altra scrittura. Insomma, alla fine, si tratta di una storia, forse un po’ “scombiccherata”. Volevo che assomigliasse alla tela del sogno, voce silenziosa dell’inconscio che non ha né tempo né contraddizione e si manifesta in quella maniera tanto insensata da sorprenderci. A volte, l’ordine è davvero alla corda, liso come si dice, e, proprio per questo, pronto al rattoppo, al ricamo, ancora un lavoro di ago e di filo…»

    Una avvertenza utile si trova nel retro di copertina: «Mu» si riferisce a μ, dodicesima lettera dell’alfabeto greco – detta abitualmente mi – lettera muta e silenziosa, come la h in spagnolo. Dire la lettera muta che accompagna certe parole è una porta invitante e impegnativa. Il titolo “Dire Mu” è un ossimoro: dire l’impronunciabile e il silenzio, enunciare l’assenza. Scommessa decisa, rispettosa e audace fronte al silenzio: da un lato, perché evoca certi silenziamenti che non fanno bene, dall’altro, perché bisogna saper tacere fronte a certe cose, a condizione di non restare muti; e, finalmente, Céline arriva a intrecciare e annodare il silenzio dell’assenza strutturale del femminile con il suo stile.

    “Sta lasciando Parigi. È aprile, aprile è il più crudele dei mesi, ma a lei quel dicembre sembra il più crudele e il più strano dei mesi. Dicembre, di solito, non è il più crudele dei mesi. Dicembre non genera lillà dalla morta terra, non mescola ricordo e desiderio, non stimola le sopite radici con la pioggia primaverile. No, eppure quella volta dicembre aveva fatto morire e resuscitare la nonna. Prima aveva solidificato in un sol corpo la vita e la morte, poi le aveva separate, e poi di nuovo ciascuna era tornata al suo posto e al suo tempo. Ma adesso è davvero aprile, e così aprile è davvero il più crudele dei mesi. La telefonata… Lei su un altro binario… La sacca di pietra del silenzio… Dal peso cattivo un giorno anch’io il Bello creeerò… Guarderò anch’io come il poeta? Guarderò anch’io attraverso il peso del silenzio? Tirerò fuori anch’io parole come ali da una catte4drale di silenzio? da tanto non aveva pensato a Vera, era sorpresa. perché?” 2

    1 Karl Marx, Friedrich Engels, Manifest der Kommunistischen Partei [1848], Severus, Berlino, 2017, trad it. Manifesto del Partito comunista, p. 18.
    2 Dire Mu, p. 43

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  24. antonio sagredo

    Caro Mauro,
    sono molto ignorante, ma cosa significa: “Doppio Wow!!!!”
    ——————————————————————-
    Ti rispondo con miei ultimi versi, spero graditi non soltanto a Te, ma pure ai lettori di questo blog.
    a.s.

    ————————————————————————–
    Risorgimento per Annamaria

    E da Milano mi giunge la richiesta di una rosa rossa lavica…
    di Annamaria vesusiana!
    e di quel suo sguardo di civetta e gli occhi di leuca ardenti
    per donare all’oscurità un sole egizio e un tramonto greco.

    E dagli abissi se ne veniva un corale con spumose note e canti,
    creature evanescenti mi chiesero: Antonio
    a quando, a quando il suono del suo dialetto napoletano
    che dalle viscere alla luce getta ovunque la sua Sapienza?

    Ti aspettavano le stanze, la casa e il mio viottolo salentino
    mentre il fumo del tabacco nascondeva i tuoi passi estivi.
    Dalla torre i fuochi e la tua piccola fìgura che tracimava di concetti
    i suoni felpati delle tue quartine… veri fiori di linguaggio!

    … e dal cancello mi giungeva il sorriso di Flora
    e tu donavi soltanto di cera – una certezza!

    Dietro la casa l’erba attendeva i nostri passi.
    Si apriva come sotto archi di trionfo alle nostre parole
    la leggenda orale di antiche acque bibliche –
    e si scansavno i pianeti ormai esausti dai telescopi
    che oltre il sitema e i nostri spazi già miravano altri universi
    per non concedere alla Terra, una volta umana, di nuovo
    i rigagnoli di un pianto.

    Antonio Sagredo
    2 gennaio 2022

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  25. milaure colasson

    L’intreccio kitchen

    è un intreccio di enunciati segmentato, dissestato, sismicizzato ma al contempo elastico. La nuova fenomenologia del poetico adotta in senso postmodernistico lo storytelling quale cornice multidimensionale e prospettica.
    Le singole unità narrative, le scene, appaiono e scompaiono da una zona franca. Per questa ragione la formalizzazione strutturale, la composizione a polittico o a distico viene in primo piano a scapito della modellizzazione stilistica unidimensionale della poesia della tradizione. Le opere della «narratività diffusa» della nuova fenomenologia del poetico rivestono una nuova e inusitata centralità, l’ingegneria testuale si rivela essere una ingegneria teatrale, il luogo dove il Fantasma e i Fantasmi prendono l’azione; l’intreccio, se v’è, passa in subordine. Non è più essenziale quello che si dice ma il come lo si dice: il racconto viene progettato al fine di prolungare e diramare il più possibile la narrazione in esiti secondari, terziari e quaternari. La forma della narrazione così evaporata deve dare l’impressione di essere priva di confini, priva di margini, e per far ciò adotta particolari strategie compositive. Tra le principali figure della dispositio che lo storytelling postmoderno assume si segnala:
    1) l’impiego di certe coordinate autoriflessive atte a riverberare l’intreccio su sé stesso in complicati giochi di specchi dando l’illusione di una trama virtualmente infinita, come avviene per il nastro di Möbius e la mise en abyme, in una narrazione «narcisistica», «giubilato ria», «fantomatica»;
    2) l’espansività testuale che volatilizza del tutto le estremità del testo dilatandolo con improvvise e non premeditate digressioni dell’intreccio;
    3) un dimidiamento dell’autorialità la quale si disperde a favore ora di figure invisibili e/o collettive – come nel caso degli sceneggiatori delle serie TV – ora dello stesso pubblico che diventa parte autoriale della costruzione della trama estesa – (vedasi le fanfictions e in generale nella dimensione del fandom).

    Il nastro di Möbius:

    In topologia il nastro di Möbius è un esempio di superficie non orientabile, inorientata, non individuata, una superficie “con una sola faccia”. Come si sa, tutte le superfici geometriche possiedono due facce: “superiore” e “inferiore”, “interna” ed “esterna”, per cui è possibile percorrerne idealmente una senza mai raggiungere l’altra, se non attraversando una linea di demarcazione costituita da uno spigolo o “bordo”. Il caso del nastro di Möbius, al contrario, è costituito da un solo lato, ed è quindi possibile percorrerlo all’infinito senza mai staccarsi da esso e ritornando sempre all’esatto punto di partenza. Traslato in termini narratologici, un testo che presenta una topologia strutturale analogo al nastro di Möbius è un testo che nella sua conclusione riporta il lettore all’inizio delle vicende in un ciclo continuo di nascita e morte nel quale l’explicit collassa sull’incipit in una trama virtualmente interminabile.

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    • Dopo averci riflettuto; sì, anche l’instat poetry rientra nei parametri di scrittura tanto ben tracciati da Marie Laure.
      Sul nastro di Möbius compaiono le cose che finiscono, finiscono all’infinito.
      La poesia che qui abbiamo battezzato come instant poetry comprende haiku-kitchen e monostici. È una scrittura fotografica. Le immagini sono file, si possono comprimere.
      In ogni caso le parole pesano meno, in termini di byte.
      A differenza della prosa, può capitare in poesia che l’immagine nasca dall’incrociarsi di due, tre parole. Ma di solito abbiamo visioni e fantasie da inseguire (con parole).

      “L’intreccio kitchen
      è un intreccio di enunciati segmentato, dissestato, sismicizzato ma al contempo elastico”.

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  26. antonio sagredo

    sismicizzato…

    quale fantasia linguistica !

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