L’importante è essere quanto più possibile sopra le righe. Creatività sovreccitata, priva di contenuti… perché non ci si crede più, e i contenuti non ‘rendono’ nell’immediato (settore di mercato medio basso), come invece fa la brutta pittura, la quale perché sia convincente ha da essere ovunque e ovunque ripetuta. A patto che sia finta, chiaramente finta, totalmente finta, Poesia kitchen di Mimmo Pugliese, Raffaele Ciccarone, Poesia di Davide Galipò, Commenti di Lucio Mayoor Tosi, Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Collages di Marie Laure Colasson, collage, Complotto sul tetto del 1992

foto Complotto sul tetto collage

Foto Complotto sul tetto 3
foto Complotto sul tetto 4
Marie Laure Colasson, Collage, Complotto sul tetto, 90×18 cm. 1992

Il collage è per eccellenza un artifex del Moderno, è un vero-finto, in esso non si sa ciò che c’è di vero e ciò che c’è di finto, dove finisce il vero e dove inizia il finto; il collage nella fotografia è analogo al compostaggio in poesia, entrambe tecniche dell’artificio, prodotto seriale, serializzazione fatta in anonimato e in aenigmata; qui delle donne, presumibilmente arabe, anonime, colte di spalle, tengono un surreale colloquio in cima ad un tetto, forse stanno organizzando un complotto, forse no, stanno semplicemente conversando, ognuna con la propria solitudine, ognuna mediante discorsi criptati, messaggi in bottiglia… (g.l.)

Lucio Mayoor Tosi

Sembra che alle fiere d’arte che si svolgono ogni anno in moltissime città del mondo, i galleristi abbiano deciso che il pubblico apprezza il vero-finto; cioè, l’opera d’arte, affinché sembri tale, ha da essere totalmente finta. Da qui, dalla presa d’atto che il Reale si sottrae alla narrazione e che non sia raggiungibile dal senso, da questa rinuncia nascono immagini neo-pop il cui unico intento è quello di mantenersi sopra le righe: colori sfacciati, provocazioni fine a se stesse… scopiazzature in stile Bansky – totalmente dimentichi di Warhol o Rauschenberg – quindi un pop di finta denuncia, di ribellismo infantile, per dare un tocco di attualità all’interior design. L’importante è essere quanto più possibile sopra le righe. Creatività sovreccitata, priva di contenuti… perché non ci si crede più, e i contenuti non ‘rendono’ nell’immediato (settore di mercato medio basso), come invece fa la brutta pittura, la quale perché sia convincente ha da essere ovunque e ovunque ripetuta. A patto che sia finta, chiaramente finta, totalmente finta.

Questo dilemma, il vero/finto, è presente anche nella poesia kitchen. Alcuni praticano il tutto finto, il vero finto invece della illusione di avvicinarsi al Reale, ma ci si aspetta che il Reale possa far sentire la propria presenza tramite il totalmente inventato, il parossismo, lo sketch. Ci riusciamo? Io qualche dubbio ce l’ho. Il tentativo di abbassarsi, togliersi dal concettuale, deriva dalla rinuncia a operare entro canoni estetici e ontologici considerati obsoleti, ma ci riusciamo solo procedendo, nel deserto, con frasi gratuite e affermazioni sfumate e velleitarie, attraversando il totalmente finto. Penso che il “qui e ora” abbia poco a che fare con i messaggi in bottiglia. Purché sia qui e ora, senza l’inganno di un’altrove.

Raffaele Ciccarone

Ritagli minimi 1

Il merlo canta la Traviata alla Fenice di Venezia
Violetta incantata offre Dom Perignon ai presenti

Dopo un lungo viaggio il merlo accusa mal di gola
il tampone è positivo, il medico lo mette in gabbia per tre giorni

Robert Frost al ristorante Arlecchino mangia
bucatini all’amatriciana, un merlo recita “L’infinito” di Leopardi

dei poeti elegiaci in smoking vanno sul tapis rouge
a ritirare il premio di poesia, un merlo canta “Libiamo nei lieti calici”

tra il becchime il merlo preferisce quello biologico
shampoo d’orzo e farro perlato tra addizioni e sottrazioni di vitamine

Set 136

Si trattava di richiamare la rucola, visto che il limone si spremeva
per trattenere i pezzi di parmigiano sul carpaccio di bresaola.

La balena ingoia un rospo, lo rigetta sulla spiaggia, lo chef serendipico
prepara filetto di pesce con la coda dorata alla griglia in Piazza Castello

La bombola del gas non trova un forno a microonde a Venezia
mentre un coccodrillo litiga con un boa in gondola, nel giardino da nominare.

Il pregiato vino rosé blankpink fa due passi all’Expo Kitchen di Parigi
un bavarese offre birra parallattica bionda in assaggio.

Il fegato di merluzzo si spina per un posto al sole, il Vesuvio
gli offre crema abbronzata per rigassificare i canali di scolo.

Oltrepassati i portici una squadriglia di bombardieri lancia confetti serendipici
al cioccolato, dei merli li rubano al volo, le cannoniere fanno fuoco d’artificio

L'Elefante sta bene in salotto Cover DEF
L’Elefante sta bene in salotto. E questo è l’incipit del libro saggistico sulla Poetry kitchen (Progetto Cultura, 2022 pp. 221 € 18)

L’Elefante sta bene in salotto. Intanto, con la sua proboscide fracassa il vasellame, le suppellettili e i ninnoli; ci dice che siamo già oltre i confini del Moderno, che siamo in pieno Dopo il Moderno, nell’epoca del modernariato e del vintage come repertorio permanente di stili defunti che possono essere ripescati e riciclati; il SuperModerno ci dice che non c’è alcun elefante, che tutto è a posto, che i nostri dubbi sono in realtà miraggi, prodotto di scetticismo e di cinismo; che abitiamo il migliore dei mondi possibili e ci invita a costruire con uno stile patico le nostre abitazioni di cartapesta e i lungometraggi con i quali allietiamo le nostre solitudini sociali. Il Signor Capitale ci ammannisce la sordità e la cecità ad obsolescenza programmata, ci dice che l’ultroneo va bene per situazioni ultronee e va bannato, che il reale è razionale e che ci troviamo nel migliore dei mondi possibili e immaginabili. Viviamo come se si fosse a bordo di un sommergibile, respiriamo quanto basta, amiamo senza le isoglosse del desiderio e della passione, in realtà siamo tutti diventati apatici e atopici, cittadini di un mondo glocale e insociale. (g.l.)

Mimmo Pugliese

Uova di girasole

Dalle porte protese sul resto del mondo
una foglia sbanda sul ghiaccio

Ai cerchi concentrici lasciati alle spalle
si aggrappano tutte le membra del falco

Il respiro spigoloso trema sui vetri
motori sordi farciscono medaglie e cicatrici

Nel cerchio rosso più alto si erano radunati gli ottoni
le diatribe avevano ancora tutte le carte in mano

I sogni dei cavalli pendono dalla caffettiera
le asole sono le bocche della luna

Sulle sedie restano briciole di mercurio
ai posti di blocco derubano le zattere

Uova di girasole risolvono quiz d’intelligenza
quadrilateri sudati transitano nel cielo di Marte

Equilibri incerti si appoggiano alle pareti
alambicchi scontrosi si ribellano alle ulne

Cristalli di sale si spogliano nelle camere oscure
le nuove isole avranno dita verdi

Nelle tasche hai chilometri di cicale
in penombra vene varicose e persiane giocano a dadi

Nell’indifferenza generale

Nell’indifferenza generale il cammello scala l’Everest.
Le pentole hanno sapore di fieno bagnato
al mediatore internazionale è saltata la dentiera
e il mezzobusto sbriciola il gobbo.

Poco importa l’altezza al velociraptor
non suona mai al citofono
cura l’emicrania con il kung-fu
mentre gomme americane al gusto di vodka partoriscono amebe.

Fotoni girovaghi scolpiscono il marmo,
mettono il giorno sottochiave
nelle stanze dei carriarmati,
provvedono a dissetare l’acqua.

Il risveglio è sulle fronde delle scale,
pioppi disseminati di strade
maestri in pantofole dietro la lavagna
e la febbre che scappa dal termometro.

Greggi preparano testamento,
vanno a nozze gli ideogrammi,
allodole sulla collina sbirciano le ciminiere,
mettete al riparo i funghi.

Le barche hanno la pancia piena
non si fermano più al pit-stop,
adesso assaggiano la sabbia
è molto facile che gli dei rìdano.

Non sai mai

Non sai mai
se puoi raccogliere
stelle in una pozzanghera
comprendere il raspo d’uva
che svuota il Trasimeno
sentire il fragore di dei
che si nascondono in un menisco
e le scale musicali diroccate
uguali a tagliole
a campi minati di mirto
dissolti in un lenzuolo
con ai capi artigli
e bavero di gallio
in stagioni sfogliate al contrario
diademi di cubi cuciti sugli obici
dentro un pugno senza uscita di sicurezza
aspettando il prossimo volo
da un lato all’altro della testa
per scoprire gli angoli
di soli in esubero

foto Complotto sul tetto 2

Marie Laure Colasson, Collage, Complotto sul tetto, 1992

.

Gli adulti assennati che sono stati educati alla poesia del Pascoli di Myricae (1891- 1903) avevano della poesia una rappresentazione illibata e intonsa, posizione che il Croce ha poi eternizzato nella la famosa forbice dicotomica: o è poesia o non lo è, risolvendo a suo modo, in modo semplicistico e al modo del liberalismo italiano post-ottocentesco una questione che avrebbe dovuto comportare una ben altra problematizzazione; quegli adulti poi sarebbero andati come ufficiali cadetti e soldati a invadere la Libia nel 1911 e a compiere massacri senza falsa coscienza e senza colpo feìrire… ammesso e concesso che le poesie del Pascoli avessero la funzione sanatoria di silenziare rimorsi (semmai ve ne fossero stati), le rimozioni e i dubbi sui massacri che essi stavano compiendo.
Oggi ai poeti post-pascoliani e post-minimalisti non viene certo in mente la situazione del mondo (di allora e di ora), quella cosa lì non li riguarda, infatti continuano a produrre poesie dozzinali ed epigonali che vengono incensate sul “Sole 24 Ore”; in confronto ad esse, le poesie di Mimmo Pugliese sono solo binocoli che osservano da molto lontano il mondo ridotto a fumo e cenere che il minimo alito di vento le farebbe volare via se non ci fosse il ferro di cavallo lontanissimo e quasi in disparizione della colonna sonora della poesia del Pascoli ma così scolorita da renderla irriconoscibile, e infatti irriconoscibile lo è la poesia di Pugliese, proprio come tutta la poesia della natura de-naturata e della natura de-formata della migliore e consapevole poesia di oggidì che fa capo alla poetry kitchen..

Quanto appare nel discorso poetico di Mimmo Pugliese come evidenza è questo aver superato le resistenze che il soggetto (je) pone all’oggetto, il linguaggio poetico; lavorando ad assottigliare le difese del soggetto Pugliese ha incentivato la possibilità di recepire il discorso poetico come discorso dell’Altro, discorso di un Estraneo che è entrato nella tradizione e la rilegge a suo modo e con i suoi occhiali. È questo che caratterizza la libertà del discorso poetico di Pugliese, il suo non prestare più il fianco alla vulnerabilità del soggetto, l’aver reso il soggetto (je) un Altro che rilegge la poesia della tradizione.

L’io (moi),  l’ego dell’immagine speculare, cioè quello del discorso poetico si oppone al soggetto (je) della parola degli altri, quello della tradizione; per dirla con Jacques-Alain Miller, «l’ombelico dell’insegnamento di Lacan».1 «L’io è», afferma Lacan, «letteralmente un oggetto – un oggetto che adempie una certa funzione che chiamiamo funzione immaginaria».2

Come sappiamo l’io costituisce un ostacolo al discorso del soggetto, che è il luogo in cui si esprime il desiderio. Lacan non cessa di sottolinearlo: esso è un’interruzione, un oggetto inerte che si oppone alla tenace insistenza del flusso di parola inconscio che disturba, mistifica, inquina il discorso. Nella misura in cui il soggetto trae godimento, l’asse immaginario è pensato da Lacan come un ostacolo che perturba l’elaborazione simbolica, di cui l’io non ne vuole sapere. Il linguaggio poetico avviene sempre e soltanto allorquando si verifica una smagliatura nell’ordine del Simbolico, smagliatura attraverso la quale può fluire il linguaggio poetico.

Contrariamente a ciò che comunemente si crede, il discorso locutorio della poesia di Mimmo Pugliese è sempre la voce dell’estraneo che entra nel discorso poetico della tradizione e la stravolge. La tradizione è ciò che si oppone al soggetto (je), che fa resistenza… fino al punto di cedimento in cui accade una rottura delle resistenze del soggetto (je). Solo da questo momentum il discorso poetico può fluire in quanto ha finalmente superato la resistenza alla riscrittura che le oppone la tradizione.

1 J. A. Miller, Linee di lettura, postfazione a J. Lacan, I complessi familiari, cit. p. 86
2 J. Lacan, Seminario II, cit. p. 56

Davide Galipò

Lo spettatore è introdotto
in una sala cinematografica
senza sedie, ai cui lati
vengono disposti degli altoparlanti.

Da questi si diffonde
una serie di discorsi alle nazioni europee
dei grandi dittatori del passato:
Mussolini, Franco, Hitler, Pinochet.

Avvicinandosi agli altoparlanti
possono essere compresi
nella loro interezza.

Sul fondo della sala, su uno schermo
viene proiettato un film muto
consistente in due labbra femminili.

Il filmato presenta poi dei frame
provenienti dai CIE libici:
radiografie di fratture, contusioni, traumi
che – spesso – vengono inviate
alle famiglie per chiedere un riscatto.

Le fotografie durano pochi secondi
e non vengono percepite dallo spettatore
se non a livello subliminale.

Man mano che il filmato va avanti
il volume dei discorsi alle nazioni aumenta
fino a sovrapporsi l’un l’altro.

Un suono acuto interrompe il brusio.
Sullo schermo un veloce montaggio
delle fotografie dei prigionieri libici.

Due altoparlanti all’uscita diffondono
il plagio di massa necessario
ad abbassare presso un’intera comunità
il livello di coscienza e accettare
passivamente tale prevaricazione.

Il testo è riportato integralmente
sullo schermo e scorre
a caratteri bianchi su sfondo nero
come i titoli di coda di un film.

https://davideidee.wordpress.com/2022/10/19/discorsi-alla-nazione/

Sono nato a Torino nel 1991 e cresciuto in Sicilia. Nel 2015 mi sono laureato all’Università di Bologna, con una tesi sulla poesia dadaista nella Neoavanguardia italiana. Nel 2016 ho partecipato al Premio Alberto Dubito di poesia e musica con il progetto spoken word music LeParole, arrivando tra i quattro finalisti. Nel 2020 sono arrivato in finale al Premio InediTO con il progetto spoken word music Spellbinder, menzionato dalla giuria tra i migliori testi di canzoni. Nel 2022 ho iniziato il mio progetto cantautorale, Galipœ. Sono autore delle raccolte di poesia visiva VIC0LO (2015) e di poesia lineare Istruzioni alla rivolta (2020) e degli EP Volontà di vivere (2016), Madrigale (2020) e La Terra La Guerra E Noi (2022). Dirigo il magazine «Neutopia – Rivista del Possibile» e organizzo il festival Poetrification, nel quartiere torinese Barriera di Milano. Sono referente del Premio Roberto Sanesi di poesia in musica. Vivo e lavoro a Torino come operatore culturale.
.

Finalmente un giovane che non scrive poesia epigonale. Una eccellente composizione che sembra senza futuro e senza passato, uscita fuori da una cinepresa d’altri tempi. Dinanzi ad una poesia dobbiamo innanzitutto soffermarci sul lessico (Mussolini, Franco, Hitler, Pinochet, sala cinematografica, altoparlanti, schermo, sala, filmato, caratteri bianchi su sfondo nero, film, titoli di coda etc.); in secondo luogo, sullo stato di cose, ovvero, sullo stato del luogo (un cinema); in terzo luogo, l’azione che vi si svolge; in quarto luogo, lo stile, in questo caso dichiarativo, ovvero, nominale, cioè che semplicemente espone le cose e lo «stato delle cose»; in quinto luogo, le immagini. Tutte queste cose insieme formano una rappresentazione, ovvero, una composizione di nomi di cose messi in modo tale da dare al lettore una sensazione prima ancora che una impressione. La sensazione contagia e determina l’impressione. Nel caso della composizione di Davide Galipò abbiamo una rappresentazione neutrale e neutrofilica, come se le cose venissero viste dal di fuori dello «stato di cose» e dello «stato dei luoghi», proprio come avviene al lettore il quale vede le cose dal di fuori attraverso una rappresentazione ortogonale tutta di superficie, in piena visibilità.
È chiaro a questo punto che qui siamo fuori della ontologia negativa del novecento che perorava che l’essere è ciò che non si dice, qui siamo entrati nell’ontologia positiva per cui l’essere è ciò che si dice.

(Giorgio Linguaglossa)

Marie Laure Colasson nasce a Parigi nel 1955 e vive a Roma. Pittrice, ha esposto in molte gallerie italiane e francesi, sue opere si trovano nei musei di Giappone, Parigi e Argentina, insegna danza classica e pratica la coreografia di spettacoli di danza contemporanea. Nel 2022 per Progetto Cultura di Roma esce la sua prima raccolta poetica in edizione bilingue, Les choses de la vie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Mimmo Pugliese è nato nel 1960 a San Basile (Cs), paese italo-albanese, dove risiede. Licenza classica seguita da laurea in Giurisprudenza presso l’Università “La Sapienza” di Roma, esercita la professione di avvocato presso il Foro di Castrovillari. Ha pubblicato, nel maggio 2020, Fosfeni, Calabria Letteraria-Rubbettino Editore, una raccolta di n. 36 poesie. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

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Raffaele Ciccarone, sono del 1950, ex bancario in pensione, risiedo a Milano, dipingo e scrivo. Le mie poesie sono inedite per lo più. Per un periodo ho pubblicato su una piattaforma online con uno pseudonimo, circa un centinaio di poesie, e qualche prosa. Ho partecipato a gruppi di poesia a Milano. È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022.

34 commenti

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34 risposte a “L’importante è essere quanto più possibile sopra le righe. Creatività sovreccitata, priva di contenuti… perché non ci si crede più, e i contenuti non ‘rendono’ nell’immediato (settore di mercato medio basso), come invece fa la brutta pittura, la quale perché sia convincente ha da essere ovunque e ovunque ripetuta. A patto che sia finta, chiaramente finta, totalmente finta, Poesia kitchen di Mimmo Pugliese, Raffaele Ciccarone, Poesia di Davide Galipò, Commenti di Lucio Mayoor Tosi, Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Collages di Marie Laure Colasson, collage, Complotto sul tetto del 1992

  1. -È stato uno sbaglio quello sbadiglio, dice Odisseo alla maga Circe
    – Sono stanco di te e delle tue malizie
    – Telemaco passa tutto il giorno sull’amaca, dice che aspetta Euriloco
    – Adesso basta!, torno da Penelope
    – La verde Itaca, il mare azzurro
    – Il cane Argo!

  2. carc2009@gmail.com

    Grazie! Raffaele

    Inviato da iPhone

    >

  3. antonio sagredo

    “L’importante è essere quanto più possibile sopra le righe. Creatività sovreccitata…” (Lucio Tosi)

    Contento che ci sia arrivarti a questa affermazione….
    Eche ovviamente – per me e ore per altri – mi trova in pieno accordo.
    Quando inviai, se ricordo bene nel 1990 o l’anno successivo, i versi delle mie dieci LEGIONI a Zanzotto, questi mi rispose qualche giorno dopo – sul retro di una cartolina (che conservo come reliquia) che queste mie LEGIONI erano davvero “sopra le righe”, aggiungendo che non si poteva fare a meno di apprezzarle.
    Successivamente lo ringraziai.
    Sulla cartolina illustrata vi era il panorama intorno a Pieve di Soligo, luogo dove abitava.

    Temetti moltissimo il suo giudizio, nel caso viìfosse stata una sua probabile risposta, che giunse a me inaspettata e addirittura positivo fu il responso.

    Perché dunque “sopra le righe” queste mie LEGIONI?
    A distanza di poco più di 30 anni questo è spiegato da Lucio Tosi, così come volevo fossero spiegati quei contenuti “fantasmatici”!

    Le LEGIONi furono pubblicate nel mio ultimo volume di poesie (La gorgiera e il delirio) nel giugno del 2019, e si distinguono dal resto degli altri componimenti, proprio per quella “sovraeccitazione creativa” che non volle abbandonarmi per due mesi, e ancora oggi non so spiegarmi se il contenuto in esse sia finto oppure no. Mi dibattei di continuo tra la finzione del contenuto e il suo opposto. Non riuscivo assolutamente a venir fuori da questo intrigo. E si dice bene quando viene usato il termine “compostaggio” che s’addice molto alla struttura compositiva dei versi delle LEGIONi.

    Ebbene… un grazie da A. S.

    • milaure colasson

      caro Antonio,

      queste tue composizioni mi convincono molto ma dovrei leggere le altre tue poesie. Anche tu fai incetta di iperboli e anche di metafore, sono entrambe nel tuo registro espressivo… inoltre noto nella tua poesia un certo spaesamento, come di un io che si trova in tutti i luoghi e in nessun luogo…

  4. Ci provo.

    Se l’arte come sopra esposto è ricerca della duplicazione eterna a fine espressamente commerciali, il superamento che immaginavo, dopo aver condiviso questi anni di Poetry Kitchen era appunto un Compostaggio interpretativo da parte di ognuno di voi della nostra Antologia Comune.

    Sarebbe diventato l’anno zero dell’avvenuta framentazione.
    Se quello che descriviamo è opportunamente residuato poetico, storico, civile, rimasticatura poetica ecc.ecc allora sarebbe stato opportuno che dal nostro lavoro comune, differente per genesi, ognuno si fosse “divertito” ad estrarre una propria addomesticata versione compostata di idea ed azione poetica.

    Ma tant’è.

    Antonio caro questa la differenza con la tua rispettabilissima storia poetica.
    (POSTALE QUESTE LEGIONI!)

    A questo punto l’azione autoriale, di questo si parla, ognuno la racconta come meglio si addice a se stesso.

    A me piace il teatro. Ritorno a questo.
    Ed è per questo che il pezzo di Davide Galipó è interessante, presente.

    Anche in teatro c’è un assalto alla baionetta alla rappresentazione comune, difatti ora son solo monologhi!

    Va bene mi ritiro.
    Un inchino, un saluto alla platea, uno alla galleria.
    Buona serata.

  5. milaure colasson

    Il kitchen è finto-finto, non c’è nulla di vero, nulla di mimetico, i “compostaggi kitchen” sono il finto-finto al quadrato… nel Reale tutto è finto e finzione, tutti i concetti della metafisica (Dio, Anima, Origine, Patria, Famiglia, Palazzo, Carro armato Jet, Javelin, HIMARS, decreti sicureza, Europa, Russia e via cantando…) sono finti, finzioni, ideologemi che l’umanità ha preso per veri. Quindi, caro Mauro Pierno, quando tu citi i “compostaggi”, dici bene, essi sono “composita solvantur”, cioè finzioni (in disgregazione), disgregazioni di finzioni e non vedo perché la poesia debba ancora occuparsi delle “cose vere”, che cos’è il “vero”?, qualcuno ha mai visto il vero?, lo ha mai preso per mano?, qualcuno ne ha l’esclusiva? Ai filosofi l’ardua sentenza, ai poeti spetta di costruire degli imballaggi, dei compostaggi di parole già perdute… Questo è kitchen. Il kitchen non è rappresentazione.
    E poi nella parola “compostaggio” è contenuto anche il riferimento alla fermentazione dei rifiuti, della immondizia linguistica, fermentazione che produce metano e altri gas gli gli umani riutilizzano. Il kitchen è il ciclico.

    Un mio inedito, ovviamente finto al quadrato.

    12.

    “Ciak silence on tourne!”
    Orson Wells s’enroule dans la pellicule

    Eredia dans le contrapunctus d’une chambre dorée
    jetée dans un angle digitale

    Miss Arnica et Eros
    allongés sur des dunes de déchets on line

    Vêtue de sang la blanche geisha
    s’entoure d’errances en béton

    Lumière aveugle sur server
    serres d’acier becs ensanglantés

    Vivacité vorace de marziens burlesques
    qui agressent Madame Green

    Cigares de la havane et démons verts
    font éclater le cimetière des cervelles blanches

    “I proud to be different!” hurle Orson Wells
    “Ciak silence on tourne!”

    *

    “Ciak silenzio si gira!”
    Orson Wells si avvolge nella pellicola

    Eredia nel contrappunto d’una camera dorata
    gettata in un angolo digitale

    Miss Arnica e Eros
    allungati su delle dune di scarti on line

    Vestita di sangue la bianca geisha
    si circonda di erranze in calcestruzzo

    Luce cieca sul server
    artigli d’acciaio becchi insanguinati

    Vivacità vorace di marziani burleschi
    che aggrediscono Madame Green

    Sigari dell’Avana e demoni verdi
    fanno scoppiare il cimitero di cervelli bianchi

    “I proud to be different!” urla Orson Wells
    “Ciak silenzio si gira!”

  6. L’importante è il problema di una politica estetica, una politica del cassetto poesia, in Italia negli ultimi cinquanta anni ci sono state molte politiche estetiche non belligeranti prodotto di singole Istituzioni (Case editrici, Università, riviste di poesia, gruppi di poeti etc.) che si sono mosse nella logica di estendere quanto più possibile la propria egemonia, o comunque di estendere la propria influenza sulla scrittura poetica. È ovvio che in questa situazione il risultato è che si è verificata una stagnazione prolungata e diffusa della ricerca poetica con penalizzazione della ricerca del «nuovo» e delle generazioni che si sono succedute dagli anni settanta ad oggi. La nuova ontologia estetica e la poetry kitchen sono attualmente una testa di ponte verso il rinnovamento dell’approccio filosofico e della scrittura poetica, impresa non facile perché ci troviamo e ci troveremo sempre più a dover fare i conti con una manifesta ostilità di tutte quelle piccole istituzioni, di individualità e gruppi di interesse che si sono sedimentati in questi ultimi decenni.

  7. Giuseppe Gallo

    Posto di nuovo quanto avevo scritto sulla finzione e l’esagerazione, che ruotano intorno all’iperbole e che nutrono la Poetry Kitchen, ribadendo i concetti espressi da M.L. Colasson: il kitchen è finto-finto, non c’è nulla di vero, nulla di mimetico, i “compostaggi kitchen” sono il finto-finto al quadrato…

    L’iperbole, dal greco: ὑπερβολή, hipér “sopra” e bolé “lancio”, con il significato di esagerazione, è una figura retorica di contenuto. Nel linguaggio comune e nelle affermazioni poetiche è una figura largamente diffusa, basti pensare a espressioni del tipo:

    – Siamo in un mare di guai.
    – «Quivi parendo lontana a Rinaldo mille miglia.» (Ariosto, L’Orlando furioso)

    Da questi due semplici esempi si evince che l’iperbole eccede nella descrizione della realtà: i guai sono un mare sterminato; e la distanza che Rinaldo ha di fronte si sottrae a qualsiasi misurazione. La realtà descritta, però, può subire anche una diminuzione,

    – È pronto in un minuto!
    – Non hai un briciolo di cervello!

    In questi ultimi esempi si esagera, sempre, ma per difetto. Ecco la verità che sta dietro le parole: ciò che si esprime non va preso alla lettera! L’iperbole è un trucco, un’illusione, rende l’idea, circuisce la nostra logica razionale e la proietta verso il fantastico. Infatti, spessissimo, l’iperbole funziona nelle favole, nei racconti per bambini e in quella letteratura consapevole che il linguaggio contiene in sé la possibilità intrinseca di un “discorso doppio”, quello dell’invenzione e quello della realtà; l’iperbole non vuole ingannare, ma quasi; un po’ di vero deve rimanere in piedi, ma deve essere stravolto, con l’iperbole l’impossibile diventa possibile!
    Ma oggi, come stanno le cose? Oggi che impera l’immagine audiovisiva, a tutti i livelli? Videogiochi, fantasy, spot pubblicitari avveniristici, il cielo che cade sulla terra, l’universo che non ha alcuna legge su cui reggersi… Oggi che abbiamo a disposizione lacerti poetici di questo genere:

    “Il semaforo gorgheggiò una canzone di Mina
    degli anni sessanta” (Giorgio Linguaglossa)

    “I lati scaleni del rettangolo scorrono sulle dune,
    adesso che le albicocche sono asteroidi
    il collo dell’ukulele è figlio di Andromeda” (Mimmo Pugliese)

    “Roba che si vede al Bancomat: il Minotauro
    e Teseo che parcheggia la Rolls Royce” (Francesco Paolo Intini)

    Sembra che la metafora iperbolica investi la struttura stessa del discorso. Oggi non “affoghiamo in un bicchiere d’acqua”, ma in tutti i bicchieri e in tutte le acque, tornando ad essere bambini, incapaci di distinguere tra vero e falso, tra verosimile e improbabile, tra esagerazione e compressione…

    Giuseppe Gallo

    • milaure colasson

      caro Giuseppe Gallo,

      penso anch’io che l’iperbole sia il tropo retorico centrale della poetry kitchen perché in esso c’è la possibilità di poter navigare in un “totalmente finto”, come dice Lucio Tosi; l’iperbole consente e anzi incentiva il “totalmente finto” di fare ingresso nella composizione ed è presente, anche se in modo sommesso e non visibilissimo, anche nella poesia di Davide Galipò- Tanto è vero che nel minimalismo invece l’iperbole è sostanzialmente assente.

  8. La nuova ontologia estetica e la poetry kitchen sono attualmente una testa di ponte verso il rinnovamento dell’approccio filosofico e della scrittura poetica, impresa non facile perché ci troviamo e ci troveremo sempre più a dover fare i conti con una manifesta ostilità di tutte quelle piccole istituzioni, di individualità e gruppi di interesse che si sono sedimentati in questi ultimi decenni. (G. Linguaglossa)

    Scrivere è una festa e non un’ autopsia. Questo comporta una certa propensione all’ironia, alla non serietà delle immagini proposte perché non c’è da cercare la traccia dell’avvelenamento e nemmeno l’ identità dell’assassino e stilare una relazione scientifica. Altrimenti si fa, senza averne i mezzi, l’autorità e le capacità, concorrenza alla polizia. Si parte da molto poco, un’ aggiunta o sottrazione di un ormone o di lettere e si studia come cambia una prospettiva, una visione inaspettata, in funzione di uno iota. C’è un rischio in tutto questo? Che un racconto senza senso né significato disorienti un mulo abituato a ragionare con la sua paglia, ricca di significati alimentari.
    Un caro saluto

    SURREALISMO O SURRENALISMO? PROVA A PRENDERMI

    (Sottotitolo: se il tempo sceglie un’altra via per scorrere)

    Geroglifico del passato ? Nefertiti lascia il letto ed entra nel muro.

    Tracce e progetti si confondono. Emerge una fatto come un crimine nel susseguirsi di un discorso. Si tratta con la logica e per non lasciarsi indietro un sillogismo interviene il sogno. C’è una tangente?
    Ci sarà un summit di potenze per decidere sulla percentuale.

    Tutto è pausa fuorchè il gesso.
    Pochi minuti per congelare il vortice d’universo.

    L’impasto della betoniera alla conquista del petto.
    Dov’è la velocità del carro minore?
    Ehi voi! Il greto del nulla è vuoto.
    Basta rimpinzarlo di versi inutili, tipo autunno-inverno poi diremo che è stato un terremoto, una crisi di nervi, una carenza di litio nelle farmacie.
    Non è facile disintegrarsi
    Perdere luce equivale a tre punti qualità.

    Di sicuro cadde. Scintillante tempo di rame e nickel.
    Le vetrine annusarono il profumo di crack.
    Ci fu una scia d’istanti precedenti e ci volle niente a risalire dalle impronte al fortunato vincitore.

    Zebre e gnu rovistavano il cuore di una iena col primo premio ancora in bocca.

    Non si convincevano del poeta che centrava perfettamente
    Era la molecola nel suo recettore
    ad ogni verso corrispondeva una coronaria
    Azzannare strappare uccidere dilaniare deridere
    le funzioni in fila indiana della sega implacabile.

    Una lattina di tonno ebbe uno scatto di leone nell’aprirsi.

    Una molla ferita reclamò per un’assicurazione non goduta
    E in questo inutile succhiare di mammella
    Nei boschi si consumava l’odio verso il segno d’uguaglianza.

    Oggi si fa come meno comanda e dunque tutto nasce dal furore delle sottrazioni.
    Sulle volontà regna il vago e benedetto sia l’acido cloridrico contro il bicarbonato.
    Dai suoi fumi emerse l’Islanda.

    Un numero esatto splende nel cielo
    L’alba è un operatore matematico che non sa come pagare la corrente nelle luminarie.
    Meno ore di fotosintesi garantiranno la fioritura delle nespole.

    La luna snobba le campagne e per i creditori
    Si fa ritrarre nuda sul grattacielo Pirelli

    Da un capezzolo, alto quanto l’ Eyjafjallajökull
    Schizza pan di spagna e crema al limone.

    Ce n’è per tutti e gratis.

    (F.P.Intini)

  9. Propongo un tentativo di poetry kitchen avvalendomi del «montaggio»: i “frammenti” sono posizionati senza nessun ordine consequenzial-deduttivo, ma secondo una visione centrifuga in cui le immagini-parole si rimandano una all’altra, senza nessun vettore logico-deduttivo;

    «montaggio» nel quale il concetto centrale è l’«intervallo».

    Vale a dire l’intervallo, cioè lo spazio fra le immagini-parole-tempo-logos-pathos, nel quale si attiva il pensiero del fruitore-osservatore perché è lì,

    proprio nello stridere di due immagini diverse

    che si mette in moto il pensiero dell’osservatore, esattamente come succede
    (e come deve succedere, se il dispositivo poetico è kitchen)
    in un qualunque «dispositivo poetico» della Poetry kitchen
    in cui il lettore gioca un ruolo decisivo.

    Gino Rago

    Un colpo apoplettico

    Un colpo apoplettico colpisce alla fronte il Signor Odisseo
    sul set del regista Omero
    che sta girando un movie tant’è che si dimentica di Circe
    e di Calipso e di Agamennone,
    così vaga nel mare Nostrum finché non approda nell’Urbe
    dove si incontra con il Presidente Draghi
    che è appena stato defenestrato dalla Presidenza del Consiglio
    e gli propone di tornare al governo con l’ausilio del voto segreto di Conte, Calenda, Renzi
    e del dimissionario Letta
    per il tramite di un congegno ad orologeria
    denominato “Cavallo di Troia”
    che farà deflagrare la Presidentessa della Garbatella, la Melona…

    Com’è come non è
    proprio in quel frangente interviene il commissario Maigret
    il quale grazie agli auspici e ai maneggi del critico Linguaglossa telefona al cavalier Berlusconi
    che infatti non vota la fiducia al governo e lo manda giù…
    Così nasce la nuova fase della poetry kitchen.

    Le parole «dimissioni» corrono di bocca in bocca
    e di brocca in brocca,

    finiscono per litigare con il farmacista di via Chiabrera
    per un farmaco scaduto
    e poi entrano nel bar “Odissea nello spazio”
    ma il barista le caccia via a pedate,
    dice che devono andarsene a quel paese
    perché con le parole non riesce a pagare le bollette della luce
    e di ritornare dalla Melona della Garbatella…

    Così le parole infingarde della poesia elegiaca ritornano
    dalla Melona della Garbatella
    e le chiedono di tornare da dove sono venute,
    cioè da “Dio Patria e famiglia”.

    È così che le cose sono andate, parola dell’Ombra delle parole!

  10. In questa composizione kitchen di Gino Rago l’importante è posizionare le parole tra le righe, non sopra e neanche sotto… il discorso poetico così sarà quel discorso che si sottrae alle regole (cioè alle righe) per minarle alla base, farle saltare come sulla dinamite, che poi il discorso di Rago una logica ce l’ha, e precisamente, che in Italia siamo arrivati ad un lungometraggio da strapaese trumpiano che ogni giorno ci consegna una nuova puntata della destra-destra al potere, che un giorno se la prende con gli studenti della Sapienza di Roma e li fa manganellare (Dio, Patria, Famiglia e Ordine), un altro giorno mette Ordine raffazzonando un decreto che inventa un nuovo reato, il reato del rave-party punibile fino a sei anni di galera, un altro giorno riesce a far precipitare le relazioni Italia-Francia al punto più basso degli ultimi cinquanta anni creando una emergenza sbarchi di migranti che in realtà esiste soltanto nella testa della presidentessa melona e company… insomma, siamo in piena scena alla Crozza… e siamo solo all’inizio del lungometraggio… che Dio ce ne scampi perché se dovessimo assistere a questo lungometraggio per una intera legislatura, cinque anni, ne usciremmo tutti malmessi con le cellule cerebrali… Rago fa una poesia impegnata, impegnata al modo kitchen ovviamente…

  11. antonio sagredo

    Caro Mauro,

    la signora Colasson Ti chiarisce (e chiarisce anche a noi) ancora una volta e sempre meglio il concetto di “compostaggio”, e rispondendo a Te scrive:
    ““compostaggi”, dici bene, essi sono “composita solvantur”, cioè finzioni (in disgregazione), disgregazioni di finzioni e non vedo perché la poesia debba ancora occuparsi delle “cose vere”, che cos’è il “vero”?”.
    Questo termine “finzioni” ricorre 21 volte nei miei versi dal 1968 al 2022 (che vergogna, ancora scrivo!)
    E allora se è così e non può essere diversamente tutta la mia produzione poetica è un compostaggio!
    Una continua frammentazione dei contenuti e delle forme sotto diversi “sembianti o fantasmi” linguistici! Dopo averli terminati, e non fu una fine , ma l’inizio di destinazione che non so dove mi avrebbe condotto: adesso lo so perché ne sono uscito vivo.
    Cominciai in una età quando di solito i poeti hanno già scritto le loro opere migliori… adesso mi meraviglio come ancora sono capace di comporre – mirabilmente per me è ovvio vale – versi che giudico straordinari (ripeto: è consapevolezza; per altri invece di certo di nessun valore).
    Insomma il “duende” non mi abbandonò più per poco più di 20 anni! Ero sotto una narcosi continua, un delirio creativo talmente potente che non riuscivo ad allontanare da me. Insomma la mente non la smetteva più di abbandonarmi… pochi anni fa dissi alla Poesia di andarsi a trovare un poeta molto più giovane di me, perché ero davvero stanco!
    Un passo indietro: 1989: dopo decenni di prove scritte e contro prove, il 90 per cento fu da me bruciato come nelle migliori tradizioni anche se come dice Michail Bulkagov “i manoscritti non bruciano” e Mandel’štam fece sua questa affermazione a cui si oppose la dolce Nadežda con la propria memoria e li riscrisse i versi del suo amato consorte.
    ——————-
    Mauro, dovrei parlare con Giorgio sul come le 10 Legioni devo “postarle”.
    Le 10 Legioni composi tra ottobre e dicembre 1989. E con minime correzioni per i due mesi successivi.

    La mia intenzione era che queste Legioni mettessero la parola fine alle “forme-tematiche” della poesia italiana (e non solo italiana) del 900. Programma ambiziosissimo, fui quasi certo di esserci riuscito all’epoca; adesso non so… forse.
    Intanto invio due Legioni.
    Grazie. A. s.
    —————————————————————————–
    I

    Io, qui, nella tua maschera rosa
    oltre la forma dello specchio montone
    òrbito i due centri al di fuori delle leggi
    dove a stento la morte s’inarca come un ponte.
    In altre stanze, arrivi disattesi, già sento
    vagiti in lotta, smarriti, beffati dal cavo gioco
    di perle ofidiche, perché uno solo è pronto per l’orrore:
    il premio di una maschera, una medaglia, il tallone
    dietro l’anima, il grumo dell’ultimo respiro.
    Crestati imbonitori, rospi di luce, siete gravidi
    d’applausi oltre la soglia coi primi passi
    del bardo inglese vestito di gramaglie,
    per essere in uno altare e ostia, sacerdote albino
    goloso di fonemi e di frattali. E sono ratti
    comparse spettri, viscido sudario
    sotto i tori di ciechi simulacri,
    ruggiti di rame contro i nostri morti,
    giocatori d’azzardo, astragali di vermi quando la notte,
    chiusa al canto, notifica con lingua mercuriale
    il malgoverno e il tuo sguardo simili a monete
    di menzogna.
    ——————————————————————–

    II

    Là, rantoli di muffa, delizie, torce
    e broccati, ciarle di accesi candelabri,
    come sulla via dei misteri fittizie sfingi, Tamerlano
    con tamburi e denti le stanze acquetasse
    e fosse il tempo solo rostri d’ossa non scarniti.
    Lascia che i vermi aspettino!
    Perché possano infiniti digitali annullare
    i miti con domande e corde, fustigare visioni
    e abbracci di Orfei.
    E’ solo, è solo il gallo sui crateri!
    Le Madri su stampi di fauno, sbiadite, Tommaso!
    La tela dei neurini manipoliamo come banderuole:
    sono visite cortesi, maschere corazzate
    di colomba, surrogati di corone o gemiti imperiali.
    Quando la pietra più che al volo
    all’indugio spezza l’asta della luce, il tuo cranio
    possa lacrimare in barba ai veri morti tra giostre
    rinascimenti lutti e spine, renderti giustizia
    tra tumuli e tumulti. Caccerò il roditore d’ossa,
    non spezzerò il pane,
    né il vino offrirò, né il sale,
    né il cantico dal passo di lumaca, ma il morso
    di un’àncora… col sonno tra le mani, alle analisi
    di neve sui divani, la lira e il libro opporrò,
    urla fossili, grumi di nere frecce,
    il sangue strizzato da una perla al dio compatto.

    ——————————————————————————

    • Eri proprio incazzato Antonio al tempo delle Legioni.
      È vero noi qui sull’Ombra pare perseguiamo un basso profilo. È proprio passata l’era dell’incazzatura. Siamo poststorici. Una disillusione dilagante. Le tue sono sempre piene di livore. Beninteso sacrosanto.

      Ho sempre pensato Antonio che la poesia si continui a scrivere intorno alla propria esperienza, dico meglio, a parità di età si configura una certa poesia. A vent’anni ne scrivi un tipo, a trenta un’altra e così via…

      L’esperienza della Noè è innovativa perché coinvolge più età, più periodi e come se ad un tratto ci fossimo liberati del tempo che possediamo, quello intimo, ci siamo liberati dei “truismi” direbbe Gino Rago.

      L’intimo non ci rode più, cito Totò.

      (Continua …)

    • riprendo un mio Commento sulla poesia di Sagredo dell’ottobre del 2014.

      Commento di Giorgio Linguaglossa a “La Metamorfosi della Finzione”

      Auden: “Ho il sospetto che senza qualche sottofondo comico / oggi non sia possibile scrivere genuini versi seri” (Shorts)

      Antonio Sagredo è un autore completamente inedito in Italia, tradotto e apprezzato in Spagna, è quasi sconosciuto in patria. Dopo aver compiuto gli studi di slavistica all’Università la Sapienza di Roma ha lavorato presso la Banca d’Italia. Ho visto alcune foto che lo ritraggono con la Compagnia teatrale universitaria degli “Skomorochi”, nel teatro “Abaco” di Roma, diretta da Angelo Maria Ripellino, agli inizi degli anni Settanta. Lui è in prima fila, in basso, sta disteso, con gli occhi cerchiati di bistro, metà Arlecchino e metà Pierrot. D’improvviso, ho capito: Sagredo è una «maschera», non è un mortale, è caduto nella poesia italiana contemporanea come un alieno meteorite dal pianeta Marte. La sua è la poesia di un marziano. Irriconoscibile, inimitabile, invulnerabile. Sagredo ha sempre mantenuto un atteggiamento di ostilità nei confronti del ceto letterario italiano, e ne è stato, per così dire, ampiamente ricambiato con un silenzio che non sappiamo se di neutralità e cinismo o semplicemente di neghittosità. Fatto è che lungo cinquanta anni di solitario e inedito percorso poetico Antonio Sagredo si è cimentato in un itinerario irrituale e algebrico, insomma ha fatto di tutto per rendersi stilisticamente inclassificabile, irricevibile e inospitale.

      È stato detto da alcuni commentatori che c’è un costante barocchismo nell’impiego dei retorismi e delle immagini nella poesia di Sagredo, un mix di alleluia cantarellante e di maledettismi blasfemi, di ipocondrismo e di elettricità che rende i suoi testi altamente godibili, ignobili e, ad un tempo, respingenti, repulsivi, come percorsi da una sottile trama di nervi sensibilissimi e cattivi che captano le minime rifrazioni quantiche dell’ambiente insonoro. I suoi versi sono onde sonoro-magnetiche autorespingenti, irriverenti, derisori, impostori, sono sfollagenti che intimidiscono e irritano; interno ed esterno sono capovolti, così come convesso e concavo, riflesso e irriflesso; è presente in questa poesia un qualcosa simile ad una forza de-gravitazionale generale del suo sistema solare, come se agisse un quoziente di perdita in direzione dell’implosione lessicale e stilistica. Una simmetria del disordine e una asimmetria del disordine.

      Mi chiedo chi oggi in Europa può permettersi di scrivere con la libertà e la ingegnosità di un menestrello e di un alchimista, di un fool e di un mago, così:

      La città aveva ciglia violette. Di mattino, finestre e corvi danzavano,
      sottovoce parlavamo dei labirinti, ma la rugiada invecchiava, vanità
      delle lune!

      La poesia di Sagredo avvalora il noto assioma di Adorno secondo il quale «la poesia è magia liberata dalla necessità di essere verità». La poesia di Sagredo attinge la più alta vetta di «verità», appunto denegandone ogni residua qualità; non c’è nessuna «qualità» per Sagredo nel suo ergersi a «verità». La poesia di Sagredo è menzogna e sortilegio, alchimia e mania, fobia e follia, non c’è via di mezzo o di scampo: o la poesia c’è, o non c’è. Sono più di trenta anni che Sagredo è assediato, ossessionato dalla poesia. La sua ossessione è una malattia liberata dalla magia di essere verità.

      È probabile che le istanze realistiche e mimetiche invalse nella poesia italiana degli anni Ottanta e Novanta del Novecento abbiano, come dire, urticato la sensibilità di Sagredo e lo abbiano, in modo incosciente e consapevole, condotto o ri-condotto, alla sua profonda e anteriore natura espressionistica che con virulenza urgeva al di sotto della patina petrarchesca e sperimentale del tardo novecento italiano con il quale, s’è capito, il poeta salentino aveva deciso da tempo di interrompere tutti i canali di collegamento.

      Poesia inimitabile perché sembra zampillare da una fonte sconosciuta, anzi, dirò di più, sembra che essa non appartenga alla tradizione italiana (forse c’è in filigrana, ma molto lontano, all’orizzonte, la poesia di Angelo Maria Ripellino); il problema dell’ampio spettro lessicale e semantico è tale che nessun altro poeta del Novecento italiano può esserle ragguagliato, nessuno ha le capacità balistiche e cabalistiche di «giocare» con le parole e di portarle, di colpo e di continuo, dalla fogna all’empireo… di parlare come un Savonarola infrollito e un Torquemada travestito. È un fatto che la poesia di Sagredo sembra provenire da un altro pianeta e sembra trascritta da un’altra lingua, quella di un marziano che abbia della confusione in testa e che non riesce a translitterare le parole dalla sua eccelsa lingua nella nostra povera, prosaica, umana e terrestre.

  12. milaure colasson

    a proposito della poesia di Gino Rago

    Nella poetry kitchen il lettore fa esperienza di linguaggio. Voglio dire che non si dà nel linguaggio poetico alcuna esperienza auratica né tantomeno originaria per cui esso avrebbe la primazia e la primogenitura come pensava Heidegger con la dizione «dire originario», come se l’originario fosse un brand che garantisse l’autenticità e la conformità tra la parola e la cosa. Nel mondo capovolto non si dà alcuna esperienza che non sia già nel linguaggio, la poesia non si trova né sopra né sotto le righe, sta tra le righe e i ragagnoli, semmai in diagonale, in perpendicolare, in tralice e in sghembo… i «versi», i «tornanti», in realtà non tornano in nessun luogo, ritornano in un non-luogo, semmai. Funzioni allocutive ed elementi performativi sono i prestanome della poetry kitchen, procedure retoriche che acquisiscono sempre maggior vigore e presenza nella nuova poesia.

    • Nella poetry kitchen il lettore fa esperienza di linguaggio, scrive con acutezza esemplare Marie Laure Colasson in “a proposito della poesia di Gino Rago (Un colpo apoplettico).
      Ed è un pensiero centrale nella poiesis kitchen la quale viene da lontano, a cominciare dalle filosofie del frammento inaugurate dal Walter Benjamin dei Passages e continuate da Waburg; ma nulla sarebbe successo senza il Nietzsche del non c’è alcuna “cosa” in sé : “le proprietà di una “cosa” sono gli effetti su altre “cose”…”.

    • milaure colasson

      La poesia di Antonio Sagredo fa esperienza di linguaggio, né più né meno, ad un tempo menestrello e alchimista, elettricista e tubista delle parole, E in effetti dovremmo leggere le poesie irrituali di Sagredo così, con un quid di comico, avvalorando l l’assioma di Auden: “Ho il sospetto che senza qualche sottofondo comico / oggi non sia possibile scrivere genuini versi seri”.
      I nostri poeti da scrittoio dovrebbero tenere sempre presente questo principio di Auden.

  13. Francesco Paolo Intini

    L’omino della discarica lascia impronte di santo.
    Il fondo del catrame si agita con un cucchiaio da the.

    Capire come ci si comporta davanti a un becco Bunsen
    È lo steso che infiammare Campo de’ Fiori.

    Perché la distrazione è una tattica
    E il mare confonde le idee.

    Partorisce schiuma da barba
    e buste di cellophan.

    Lanci di appestati sulle strade di Bari.
    Sargassi di coriandoli nel canale d’Otranto.

    Il melo muta le squame del tronco.
    Anche il papavero ha i suoi tarli nel rosso.

    La punizione per aver spostato l’interesse sul Mare Nostrum
    consistette in un discorso di mezzobusto.

    Impararlo a memoria e gridarlo in un Park and Ride
    mentre a fianco ordinavano ad un olivo di torcersi la bocca.

    Sono le idee base che fiaccano i germogli
    la misura di una sfera inizia dal centro.

    E poi l’ aritmetica compie il suo delitto.
    Chi l’ha detto che è promiscua alla rivolta?

    Potarli e addestrarli a barboncino
    dargli il tempo di alzare una radice.

    Non è semplice orinare linfa
    e cercare una figura di uomo.

    Il secolo ripercorre i suoi passi
    Le infezioni spariscono, l’entropia fallisce lo scopo.

    La malattia dei cartelloni pubblicitari
    Guarisce spontaneamente.

    Nessun bidone, però qualcuno
    tira fuori la generazione spontanea

    e il vaccino non balena a Pasteur.
    Muore di rabbia un virus.

    A metà strada ci fermammo
    Né pieni né vuoti.

    In vetta alle classifiche c’è una gazzella che uccide
    Un bisonte intanto mira Buffalo Bill.

    Cerca il cannone l’obice su Berlino
    In risalita anche le bombe di San Giovanni.

    Qui si è tutti metafore ma in prospettiva
    ci sono leggi da ferrare.

    Forse una piantagione di pomodoro
    su cui passeggia un drago di Komòdo.

    Vietato procedere per esempi vivi
    meglio quelli della mente.

    Pezzi da Experimental traboccano in cronaca
    e dunque nelle lettere al direttore.

    Far fesso Faust, che idea! Partire dall’una di notte
    e sbucare con il trucco del cuore fermo.

    Convenevoli e infezioni tra diavoli.
    Tradimenti nel salone del barbiere.

    Mostrargli la chiave di volta, il saggio
    di onnipotenza a portata di esperimento.

    Stormiscono di tanto in tanto
    mani su pruni in sangue.

    (inedito)

    Commento di Giorgio Linguaglossa

    Cose che sarebbero accadute nell’anno mille
    presero a correre nel 2020.

    La lavastoviglie reclamò il privilegio dello ius primae noctis

    Convenevoli e infezioni tra diavoli.

    … presi per sé, isolatamente, i versi di Francesco Paolo Intini sono letali come il coronavirus, come serpenti cobra, e invece trattano di cose molto prossime alla nostra più intima questione vitale: quale sia poi la nostra questione vitale, non sappiamo più. Forse sono quelle cose per le quali però siamo diventati ciechi. È come se vedessimo la visibilità delle cose e non le cose nella visibilità. È che le cose sembrano essersi invertite, capovolte, e sono diventate anti-cose, sono diventate invisibili. Ed ecco la rivoluzione del linguaggio poetico, rivoluzione che poggia sulla leva della iperbole abnorme e della metonimia accelerata. Questi versi ci parlano della nostra epoca meglio di centinaia di libri di teologia, di summum bonum, di Ens realissimus, della paccottiglia da chat-poetry ai frutti di bosco che ci sommerge e ci allarma. La poetry kitchen è una poesia da allarme permanente nell’epoca della catastrofe permanente. La nostra è l’epoca della lessicologia sguaiata e allarmata di Trump, Putin Bolsonaro, Salvini, Erdogan, Meloni («la pacchia è finita» rivolta allì’UE), peraltro, la dizione “Ministero dell’istruzione e del merito” ci dice molto della fine della metafisica, meglio dei trattati di filosofia accademica. Scrivere e pensare alla maniera dei poeti kitchen ci toglie il medico di torno, il medico della tornologia. Le scritture poetiche agiografiche che ci parlano delle cose stabili (in un mondo instabile e peristaltico) in modo convenzionale, per cui qui c’è il soggetto che scrive e lì l’oggetto che ci parla è schiuma da barba, frullatore di giusquiamo. La poesia kitchen ci parla, per antonomasia, in modo «normale», quasi contrattuale di «cose» che sono andate fuori binario, sconclusionate, diverticolate, di «schiuma da barba», «cellophan», di «lavastoviglie», di cose che reclamano lo «jus primae noctis», di «infezioni tra diavoli», di «Buffalo Bill», di «pillola blu», di «Warhol», di «Botticelli» e «Margherita» di «cose… nell’anno mille» etc. La poesia di Francesco Intini, di Gino Rago, di Raffaele Ciccarone etcetera mette la centrifuga nel lessico per frullare il linguaggio e infilarlo nel termovalorizzatore del linguaggio poetico che devalorizza tutto ciò che vi viene fagocitato. Una ILVA di parole ibernate, un gigantesco emporio del nulla che opera come un frullatore che frulla e frolla i frutti di bosco con pasticci privi di glutine, bombe sporche, caramelle Ferrero, un universo di parole radi e getta, prive di aminoacidi, aproteiche e ipocaloriche, a prova di gomma e di bomba. E chi vuol essere lieto, lo sia.
    Davvero, penso che la dizione “Poesia nell’età della Catastrofe permanente”, sia un ottimo titolo per la nostra prossima Antologia della poetry kitchen.

    La parte di Lucrezio e quella di Touring

    La parte sporca tocca ai neuroni
    che hanno visto il Muro e ci stavano bene dietro.

    Quando li svuotarono di significato
    [appesero le divise in armadietti

    E si misero a correre in quadri blu di Picasso].

    Ci doveva essere un inizio se ripeteva le sinapsi
    Un altro Terzo Reich si replicava a dismisura.

    Le gambe al mento, gli occhi luna.

    Non c’era tempo per la chimica.
    Il verso generava spettri di risonanza magnetica.

    Cresceva il malcontento. Un tunnel attraversava le fogne
    per sbucare nel lavandino di Scrooge Mc Duck.

    All’autogrill una delle Fontane tornò al suo posto
    Non più! Non più, come un corvo senza firma sul culo.

    Bosch cambiò un quadro di Vermeer
    in un ostrica al ragù.

    Tutto si poteva immaginare tranne che trovare Cecilia
    In una stazione dell’ Appennino campano.

    Ebbero una sincope anche i gratta e vinci.
    Voglia di difendersi dalle maniglie.

    Alcune autobotti riempirono tazzine di caffè.
    Senza zucchero, né aspartame, nafta dalle narici.

    Lucrezio declamò l’ultimo libro dalla finestra di un XX piano
    A Bari non sapevano come difendersi dagli ologrammi.

    Si lasciò cadere la circostanza di un water in eruzione.
    Nel frattempo alcune blatte si erano impadronite del circo massimo.

    Viaggiarono senza fermarsi, travestiti da souvenir nei freni,
    tra le scintille delle rotaie con la fragilità delle ampolle di neve.

    Non più gladiatori e nemmeno Piazza Fontana.
    Tutti cancellati i voli verso gli anni sessanta-settanta-ottanta.

    La fuga è prevista nel tunnel di mezzanotte.
    Niente panico. Invertire le lancette dopo il fischio d’inizio.

    Le poche gazze si ammucchiavano coperte di escrementi.
    Ossa di contadini e pastori nel raccolto di giugno.

    Il mondo che ci lasciammo non ammetteva blitz, né storia
    Soltanto Jet di microplastica in lotta con l’ anidride carbonica.

    Ora i proletari erano tutti agenti di commercio
    Odorava di miele la catena di montaggio.

    Salutare anche l’alito dei fucili alle porte di Milano.
    Manager dell’uranio povero lottavano con bancari.

    Polvere pirica si annunciava nel respiro delle viole.
    Nessuna Chernobyl fu chiusa per l’occasione.

    Alcuni roghi restituirono i libri di Marx-Engels
    altri la mordacchia di Giordano Bruno.

    Per calmare la sete si mescolavano iceberg a titoli dei TG.
    Nel pelo di un ratto l’Eugualemmecidue di Einstein.

    Il mazzo veniva mescolato da tre secoli
    Nessuna delle dita trovò il coraggio di distribuire le carte.

    Enigma resisteva alle metafore.
    Una mela amara la soluzione.

    Si partì da omega, barra diritta verso Venere
    Stella alfa nel berretto del tramonto.

    Il mignolo di Warhol ripulì l’ orecchio sinistro.

    (Inedito)

  14. antonio sagredo

    La “domesticità” è una caratteristica consapevole che percorre tutta la poesia kitchen…
    più sopra una lavastoviglie, poi forchette, odor di cucina, ecc.
    Ha un suo fascino, e ci riconcilia…

  15. Grazie Giorgio, contento di essere tra i vostri.

    Vi lascio una mia breve drammaturgia, risalente a qualche tempo fa, ma credo sia ancora attuale sul tema dell’esagerazione e della nuova ontologia estetica che si va costruendo.

    Con i migliori saluti,
    Davide

    ***

    L’inferno è la mediocrità

    (Dialogo ipotetico a tre personaggi)

    di Davide Galipò

    A e B entrano in scena. Sono vestiti con tuniche bianche, come i filosofi della Grecia Antica.

    A: Ora basta! Se io ti dico che la merda è cioccolata, tu cacherai Nutella!

    (Risate in sottofondo)

    B: Ma che diavolo vai dicendo? Io la merda non la mangio!

    Parte un gingle pubblicitario. A mostra agli spettatori la scatola di un farmaco.

    A (seguendo l’intonazione del gingle): E allora, Master-merd! Privo di polifosfati, ti aiuta a digerire l’indigeribile!

    B si inginocchia, poi si stende in posizione fetale e apre la bocca.

    (Risate in crescendo)

    A: E voi… (Rivolto al pubblico) Sì, voi! Cos’avete da ridere? Lo trovate divertente, forse? Qui si sta consumando una tragedia, ma una tragedia vera! (Rivolto a C) Non è vero, Cassio?

    C smette la maschera di Cassio e, brandendo un teschio in mano, parafrasa l’Amleto:

    C: Ridere o piangere, questo è il problema!

    B si sdraia su un fianco, reggendosi il capo con la mano sinistra.

    B: È proprio vero: l’inferno è la mediocrità!

    C: A chi ti riferisci?

    B (rivolto al pubblico): Ma a loro, naturalmente!

    (Il pubblico fischia)

    A: Zitti, voi due! State aumentando il mio mal di testa… E poi, siete mediocri entrambi: insomma, basta guardare come state recitando!

    (Il pubblico ride)

    C: Forse potremmo migliorare. Aprono le selezioni per un’ottima scuola, la prossima stagione: tutto Stanislavskij e tutto Mejerchol’d in una sola lezione!

    A (rivolgendosi a B): E tu non mi credevi, quando ti parlavo della cacca…

    B si alza di scatto, estrae un coltello dalla tasca e, in un impeto d’ira, ferisce C mortalmente, che spira.

    A (ponendo le mani davanti alla bocca): Pazzo! E adesso chi lo dice al direttore, che non abbiamo più il regista?

    B (pulendo il coltello): Ma che cos’è in fondo il delitto, paragonato al pubblico impiego?

    A (rivolgendosi al pubblico): Ci hanno davvero preso tutto!

    (Fine)

  16. caro Davide,

    il tuo pezzo scenico mi ricorda Ionesco e il suo teatro dell’assurdo. Ottimo pezzo. Del resto il mondo è talmente assurdo che è davvero oneroso seguirlo, e invece il teatro, la poesia e il romanzo sono quanto di più noioso si possa concepire, io non riesco a leggere più di una pagina di un romanzo o di una sceneggiatura che la noia mi sovrasta.
    La tua poesia è molto interessante perché mette in campo un quadro assurdo, un vuoto scenico all’interno del quale si muovono dei personaggi assenti. Il che è assurdo. Ma relissimo.
    Mandaci altre tue composizioni per l’Ombra!

  17. Dalla Segreteria della manifestazione Più Libri più Liberi

    Gentilissimi,
    siamo lieti di confermarvi di avere inserito la/e vostra/e iniziativa/e all’interno di Più libri più liberi e che, nel programma cartaceo e online, apparirà come riportato di seguito:

    11/12 – 17:00 – Sala Giove
    La poesia nell’età della catastrofe permanente
    Presentazione del libro Poetry kitchen – Antologia di poesia contemporanea di A.A.V.V.
    Intervengono Marie Laure Colasson, Letizia Leone, Giorgio Linguaglossa e Gino Rago
    A cura di Progetto Cultura

    Vi preghiamo di verificare che le informazioni siano corrette e di inviare le eventuali modifiche entro il 18 novembre.

    Vi ricordiamo che ogni incontro dovrà avere una durata massima di 50 minuti per permettere al successivo di iniziare regolarmente all’ora prestabilita. Sottolineiamo pertanto l’importanza della vostra collaborazione nel lasciare la sala puntualmente.

    RELATORI

    I relatori previsti per gli incontri potranno presentarsi alla reception “Relatori” presso le biglietterie, durante gli orari di apertura della fiera, dove sarà consegnato loro un pass d’ingresso gratuito e nominale, valido per tutti e cinque i giorni della Fiera.

    Un cordiale saluto,

    Segreteria programma Più libri più liberi

    06 95222150

  18. Ho scritto in un commento a La poesia e lo spirito:

    «Se osserviamo un’opera d’arte moderna, però, ci chiediamo: Dov’è la bellezza in una tela di Picasso? Nell’arte moderna, quella dopo Picasso la riflessione fa parte della forma, è chiamata subito in causa, è una componente di essa. L’opera è costruita intorno alla riflessione, non esiste indipendentemente da essa. Lo spettatore è subito coinvolto nel proseguire la riflessione, è chiamato in causa per dare un senso a quella forma aperta, incompiuta. L’opera non puòsussistere senza l’attività riflessiva di chi la guarda, cosa che invece, può fare una tela del Tiziano. L’opera moderna ha coscienza del suo stato di impotenza dinanzi al mondo. Dopo Warhol la poiesis prende se stessa come unità di riferimento e di misura, il mondo scompare e l’arte cessa di essere mimetica. La mimesis è un movimento rappresentazionale dell’esterno, di ciò che c’è lì fuori, ma qui interviene la fisica quantistica che ha scombussolato i parametri di riferimento della rappresentazione classica, l’ha resa obsoleta… Oggi la poiesis si dà soltanto in quanto irriconoscibile e intrattabile. Se è riconoscibile non è poiesis ma praxis.»

    Dal Rinascimento fino ad oggi la riflessione, cioè il processo della coscienza critica e dell’autocoscienza, si infiltra sempre più in profondità nella forma della poiesis fino a scardinare dall’interno la forma artistica, basti pensare al flusso di coscienza dell’Ulysses di Joyce. Che cos’è il flusso di coscienza se non l’ingresso massiccio della «riflessione» nella struttura dell’opera? Che cos’è la rammemorazione nell’opera di Proust se non l’ingresso massiccio del «ricordo inconsapevole» nella struttura della forma artistica? Ebbene, possiamo affermare che questo fenomeno secolare che nel novecento prende il nome di «modernismo» che ha al suo centro la «memoria», si è definitivamente esaurito, la «memoria» si è disintegrata e con essa disintegrazione anche la forma artistica è stata attinta dalla disgregazione. La NOe, la nuova fenomenologia del poetico e la poetry kitchen, ne prendono semplicemente atto.

  19. Marie Laure Colasson mi ha chiesto di precisare il senso della dizione «Catastrofe permanente.

    cito la Treccani:

    «catàstrofe s. f. [dal lat. tardo catastrŏpha, catastrŏphe, gr. καταστροϕή, propr. «rivolgimento, rovesciamento», der. di καταστρέϕω «capovolgere»]. – 1. Nome dato da alcuni scrittori antichi (e impropriamente attribuito ad Aristotele) alla soluzione, di solito luttuosa, del dramma. 2. estens. Esito imprevisto e doloroso o luttuoso di un’impresa, di una serie di fatti; grave sciagura; improvviso disastro che colpisce una nazione, una città, una famiglia, un complesso industriale o commerciale, ecc.: la spedizione si risolse in una vera c.; è successa una c.; causare, provocare una c.; grave c. per il deragliamento di un treno. In usi iperbolici e scherz.: ogni tentativo di parlarle è fallito: è stata una vera c.; anche di persona che provoca danni: rompe tutto quel che tocca, questo ragazzo: è una vera c.! (cfr. l’uso analogo e più com. di disastro). 3. In matematica, il termine si riferisce soprattutto allo studio della morfogenesi biologica, col sign. di interruzione del continuo, rottura di un equilibrio morfologico e strutturale, e poi generalizzato in quello di processo di morfogenesi (creazione e distruzione di assetti morfologici di qualsiasi tipo), rappresentabile matematicamente su uno spazio topologico. In partic., teoria delle c., complessa teoria formulata dal matematico fr. René Thom (1923-2002), applicabile allo studio di tutti quei sistemi il cui comportamento muta in modo discontinuo al variare in modo continuo di un certo insieme di parametri, mentre non subisce alterazioni qualitative per piccole variazioni di tali parametri (ipotesi di stabilità strutturale); punti di c. (o insieme di c.), insieme di punti (costituenti superfici regolari) che separano le diverse forme di un sistema e il cui attraversamento corrisponde alla morfogenesi, cioè al cambiamento discontinuo del comportamento del sistema e quindi della forma preesistente (c. elementare).»

    Con la locuzione «Catastrofe permanente» si intende quando un sistema complesso giunge ad un punto di rottura dell’equilibrio di forze strutturalmente divergenti e contraddittorie, un punto in cui tutti i parametri di riferimento vengono, per così dire, capovolti, cioè non corrispondono più ai precedenti (alla catastrofe) parametri di riferimento. Quando tante piccole variazioni si verificano entro un sistema di riferimento, esse provocano la distruzione di quel sistema, una vera e propria morfogenesi che partorisce un mondo capovolto, dal quale si può guardare al vecchio mondo come un mondo catastrofizzato in quanto, appunto, capovolto. E questa è l’epoca odierna della guerra in Ucraina.
    È ovvio che in questo rivolgimento del mondo capovolto venga a capovolgersi anche la poiesis.

  20. antonio sagredo

    “È ovvio che in questo rivolgimento del mondo capovolto venga a capovolgersi anche la poiesis.”…
    (Colasson)

    Gentile Milaure Colasson,
    la sua acuta intuizione Le ha permesso di scrivere questa frase che chiude il Suo intervento, ma senza nulla toglierLe, bisogna sottolineare che già ne aveva scritto Gottfried Benn nel 1916 col suo stupendo racconto “CERVELLI” che espresse nella affermazione:
    “Prima la catastrofe, poi la strofe”.
    E così per dichiarare indubbiamente come questo filo rosso non è stato mai reciso e ne può esserlo a più di 100 anni di distanza!…
    …se la catastrofe perdura ancora incombente e spietata lo si deve a noi stessi che ne siamo succubi e affascinati allo stesso tempo, ma la stessa catatrofe non può fare a meno di abitare in noi!
    In questo racconto, CERVELLI, pietra miliare del ‘900 letterario, Benn si configura come scrittore di primissimo piano in quella temperie dei primi anni “terribili” del ‘900. Racconto che raccomando a tutti di leggere col proprio cuore in mano anatomizzato e sezionato come il cerebro di ciascuno di noi per ammirarne con realtà visionaria la catastrofe che entro vi si svolge. E non vi dico qui il tormento delle visioni liriche che incombono quotidianamente sul dottor Rönne tra bordelli e sale operatorie. Quanto gli è vicino il poeta George Trakl!
    E si deve considerare l’importanza di questo racconto in primis per quanto gli devono Celine per il suo Viaggio terminale e Bataille… a loro volta scrittori senza cui il ‘900 stesso non ha senso.
    Ciò che scrive la Colasson contiene la giustezza del suo armamentario teorico che tiene presente innanzitutto la concretezza delle realtà circostanti, ma ciò non basta poiché l’esperienza diretta di Rönne ha funzione di rappresentare e di essere essa stessa la testimonianza della catastrofe, che gli gira intorno incessante e che lui stesso a sua volta gira intorno a quella allo stesso modo, incalzante, senza requie.

    E creo in ogni istante un Dio,
    il suo terrore vendico con la mia mano.
    Mi girano intorno i luoghi delle esecuzioni.
    Quale festa contare i vivi!

    (e tanto per restare a casa nostra, Dino Campana presentì i “gorghi” di questa catastrofe con le sue visioni che ancora oggi ci inquietano; mentre nulla di tutto questo è presente nel “divanista” Montale con i suoi “Ossi” del 1922).

    A. S.

  21. milaure colasson

    caro Lucio,

    hai colto nel segno quando scrivi :

    “Questo dilemma, il vero/finto, è presente anche nella poesia kitchen. Alcuni praticano il tutto finto, il vero finto invece della illusione di avvicinarsi al Reale, ma ci si aspetta che il Reale possa far sentire la propria presenza tramite il totalmente inventato, il parossismo, lo sketch. Ci riusciamo? Io qualche dubbio ce l’ho. Il tentativo di abbassarsi, togliersi dal concettuale, deriva dalla rinuncia a operare entro canoni estetici e ontologici considerati obsoleti, ma ci riusciamo solo procedendo, nel deserto, con frasi gratuite e affermazioni sfumate e velleitarie, attraversando il totalmente finto.”

    Ma nel mondo capovolto quello che un tempo era “vero” è diventato “finto” e quello che nell’altro mondo era il “finto” è diventato “vero”.
    Nel mondo capovolto occorre pensare e fare in modo capovolto quello che nel vecchio mondo facevamo in modo dritto.

  22. Ecco un esempio di mini-compostaggio di versi altrui, precisamente di Thomas Transömer, introdotti da una mia protasi

  23. Dieci caravelle. R. Crowe nei panni di Nettuno
    giunto da Marte per fare sci nautico. Lago di Como,
    Illinois.

    Tazza di camomilla. Nonno sul divano.
    Come essere felici in dieci secondi. Crowe
    non ammette ritardi.

    LMT – 2021

    In questa poesia, pubblicata sull’antologia Poetry chitchen, il vero finto è resto manifesto nei primi versi. In vero finto sono scritte le recenti composizioni di Giorgio Linguaglossa, di Gino Rago, Marie Laure Colasson, oltre che nelle sorprendenti “ragnatele” di Francesco Intini e di altri. Nelle poesie di questi autori emerge anche l’elemento fantastico, non esattamente surreale, al quale va accostato il fuori senso. Sembra proprio che Vero finto, Fantastico e Fuori senso siano categorie esclusive della poetry kitchen.
    Mi chiedo però se queste modalità possano bastare a se stesse, o invece debbano servire a qualcosa, cioè se debbano essere indirizzate a concretezza; quindi capire quale attinenza vi sia tra queste e l’Intenzione e la Traccia. Qui chiedo a Giorgio…

  24. La poetry kitchen, come un virus, aspetta il corpo vivente del linguaggio per distruggerlo e portarlo allo stato inorganico

    «Ora, se c’è una forma di vita che pericolosamente muove sul confine più estremo tra l’organico e l’inorganico, questa è il virus, con la sua capacità anfibia di abitare due stati distinti. Quando non è in contatto con una cellula ospite, il virus rimane completamente inattivo. Durante questo periodo, al suo interno non si dà alcuna attività biologica. Nondimeno, questo ha poco dell’inorganico, e mostra quanto falsante sia l’opzione a tutta prima intuitiva e plastica dell’inorganico come opposto all’organico. Il virus, in effetti, è un organismo obbligato all’attesa, fermo in uno stato semplice, privo di vitalità, in cui è detto “virione”. Insensibile com’è ai tempi lunghi, il virione aspetta l’ospite appropriato, che gli consenta quel minimo, o massimo, di attività vitale mediante cui poter superare la soglia dignitosissima del vivente e sfoderare quella panoplia di arnesi e sotterfugi che lo portano all’auto-replicazione. Capacità, quest’ultima, che gli permette di correggere il viziaccio tipico degli specchi e della copula, che Bioy Casares ritiene abominevoli perché moltiplicano il numero degli esseri umani. Essì: perché l’auto-replicazione dei virus tempera, e non di poco, quella umana. »
    (Mariano Croce)
    da minimaetmoralia oggi

  25. L’Elefante ha generato un gran numero di corvi

    L’Elefante è soddisfatto. Ha fracassato le suppellettili, i ninnoli di dubbio gusto, i piatti di porcellana, i bicchieri di cristallo e i lampadari di Murano. Si è accomodato in poltrona. Adesso si gode un Campari con le noccioline e le patatine usufritte; ma tant’è, noi facciamo finta di non vederlo.
    Il corvo ha iniziato a parlare ma parla con il linguaggio delle fake news, delle ipo-verità, delle iper-verità, delle post-verità, con i linguaggi serendipici e post-edipici, cioè con i linguaggi del Labirinto e del Minotauro, che poi Teseo ebbe buon gioco a dismetterli e ricacciarli nell’inconscio. I corvi dunque hanno iniziato a parlare: amano la parallasse, l’ekfrasis, la perifrasi, la peritropè, il salto, la metonimia, l’ultroneo. Il pensiero micrologico e topologico diagnostica la situazione tellurica e sismicizzata del contemporaneo, indugia su singoli temi, singole problematiche, su poesie kitchen, spunti, dettagli, aspetti secondari, microchips, le nanotecnologie del mondo dell’ipermoderno. Il pensiero micrologico giunge così ad una sorta di orografia delle superfici complesse e dei dispositivi problematici della poiesis di oggi, indaga la de-psicologizzazione del linguaggio, la diafania e la disfania delle parole, l’assordante presenza del rumore, la de-colonizzazione dell’apparato metafisico e il sorgere del nuovo paradigma ortolinguistico. Che cos’è il contemporaneo?, la poiesis kitchen?, il soggetto serendipico?, che cosa è avvenuto dopo il declassamento del soggetto parlante?, dopo che il locutore è diventato mero fonatore?, dopo la disfunzionalità radicale del significante?. È avvenuta la de-colonizzazione dell’apparato metafisico, risponde Linguaglossa; il residuo è ciò che resta, il carico residuale, il taxi del mare, ciò che si sottrae al consumo in quanto defecatio, in quanto residuale è utile per indagare fenomeni quali l’ibridazione, l’entanglement, l’entrelacement, l’aspettativa, la parallasse, il das Ding, lo zapping: appunti, commenti, glosse, incontri, diverbi, ubbie, pensieri interrotti e poi ripresi; il pensiero compie una circumnavigazione intorno all’iceberg della nuova ontologia estetica fino agli esiti ultimi della poetry kitchen.

    Francesco Paolo Intini
    UN TAVOLO IMBANDITO DI BLU

    Che il colombo abbia la penna di Sioux
    E la messa in piega alla Crudelia.

    Il falco paghi sette ergastoli a centimetro quadro
    per aver spennato una cornacchia e torturato tre libellule.

    Al tavolo imbandito di primizie siede il logaritmo naturale:
    Si sale in fila indiana sul palloncino delle dieci
    Ministri primi e cifre pari, virgole e decimali
    Tarli sugli scalini, nello spiffero del sasso in partenza da Kabul.
    Quante vite ha Saigon?

    Ultima cifra incerta:
    La logica reclama un ministero:
    1-coltivare bossoli nei cassetti.
    2-Divinare scrutando missili.

    Una ragade solleva obiezioni al protocollo.
    Mettetela a tacere con un tratto di frittura.

    Il duodeno dei misteri accetta consigli dagli elettori.
    Che significa TNT sui sacchi di farina?

    Per le velocità c’è un accordo:
    a tempi di svuotamento cortissimi

    saranno assegnati compiti durissimi.
    Tra sfere ed elissoidi è guerra di gratta e vinci
    Chi schiaccia la spoletta sui testicoli?

    Cadono pecore per intenderci
    fredde al punto giusto.
    Cosciotti ustionati dall’elio liquido
    e niente fiocchi per quest’anno,
    soltanto azoto per emorroidi
    e diversivi al cortisone nelle trincee.

    La neve intavola una protesta contro Pasqua.
    L’uso di bombe al fosforo è prassi per i pulcini di via Pal

    ma tra i pastorelli si lotta all’arma bianca.
    Se il velociraptor siede ad un tavolo di pace
    Il drago di Komodo reclama la sua testa.

    E intanto il big bang sputa nero
    A causa di un polipo nel retto.

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