Archivi del giorno: 18 giugno 2015

POESIE SCELTE di Dona Amati da  “Riguardo all’obbedienza Poesie dal corpo” con una nota critica di Letizia Leone, Fusibilialibri 2013

pittura parietale romana epoca pompeiana

pittura parietale romana epoca pompeiana

Dona Amati è nata a Roma nel 1960. Ha pubblicato Il pomo e la mela, Lietocolle, 2006, Emisferi – Al nudo delle voci, Folci, 2006, ed è autrice dei testi de Il Dito del diavolo – Op. 71, poesia musicale del M.° Marco Pietrzela, Ed. Musicali Berben, 2007. Il suo esordio è con l’antologia Ti bacio in bocca, LietoColle, 2004. Suoi testi sono presenti in varie antologie, per le edizioni Lietocolle, La città e le stelle, Lepisma, Le impronte degli uccelli, La vita felice, Perrone, nonché in traduzioni per edizioni straniere come l’antologia serba Cpūcku jyi. Ha ideato e curato i volumi antologici Haiku tra meridiani e paralleli e Caro bastardo, ti scrivo. Storie di male e di miele (con variazioni sul tema), per FusibiliaLibri, 2013.

È cofondatrice della associazione culturale per la diffusione della poesia Le Mele-Grane,  per  la quale ha curato diversi eventi letterari di livello nazionale e internazionale, anche presso diverse ambasciate straniere. È presidente di Fusibilia associazione, di cui cura in particolare la parte editoriale. Nel 2011 e nel 2012 è a Belgrado, su invito dell’Istituto Italiano di Cultura e dell’Associazione nazionale Scrittori Serbi, dove partecipa al 49° Raduno Internazionale degli Scrittori. Unisce l’attività letteraria all’impegno civile per le tematiche di genere.

 gladiatores de Roma

gladiatores de Roma

Commento di Letizia Leone

Le ‘poesie dal corpo’ di Dona Amati, come riporta la didascalia che fa da piedistallo al titolo massiccio di quest’ultima plaquette Riguardo all’obbedienza, testimoniano e ribadiscono la centralità che il corpo ha assunto nelle poetiche contemporanee, non solo letterarie ma artistiche in genere, e si pensi alla body-art e alle manipolazioni estreme di artisti che fanno della carne il proprio ‘teatro operatorio’.

Portavoce di una coscienza femminile silenziosa e invisibile nei secoli, questa  poeta-donna vive empaticamente le istanze sociali e politiche più attuali e, inevitabilmente, coinvolge in questa sua chiamata erotica un coro di donne cariche di solitudine e di lotta.

Non a caso questo canto d’amore e d’erotismo si colloca sotto la stella dell’energia demoniaca di Lilith, il mito millenario di seduzione maligna e notturna, alla quale elargire i propri voti di obbedienza, “l’oscura attrice” portatrice di conoscenza che diventa controfigura e specchio di un ‘io’ in continuo conflitto e tensione desiderante. Un titolo apparentemente sviante dunque, che evoca categorie come trasgressione e divieto, e dove l’obbedienza (parola densa e pesante nella storia del femminile) in una sorta di acrobazia di senso, si piega alla  potenza eversiva dell’amore per diventare infrazione.

Oppure ricapitolazione del rito purificatorio del piacere che vuole liberare il corpo della donna dalle proibizioni più antiche e dalle violenze, assordanti e quotidiane, che come un rigagnolo sotterraneo hanno attraversato i secoli bui mantenendo intatta la loro portata di odio, misoginia e paura.

Allora l’autrice “colmata del canto di Clito” dispiega il suo corpo-scrittura in un doppio richiamo non solo tematico, all’erotismo, ma anche alla fisicità di una parola percettivo-sensuale come quella della poesia. La sottomissione al demone dell’eros viene declinata in tre tempi: Himeros, Photos, Anteros.

Irrompe sul palcoscenico la potenza del desiderio in testi dalle ampie volute metaforiche tese a corrispondere lo stato di alterazione dell’ ‘amor fou’, della passione:

“… è un’altra induzione / alla carne in festa / un losco lessico tabulato in sillabe / sintagmi – appunto – di serra in esplosione / terra di ioni intermittenti / l’accoglienza simultanea di tuoni nel corpo”.

La psicologia ci ha informato abbondantemente sul ‘quadro patologico’ dello stato amoroso che confina con lo squilibrio psichico, si pensi  alla seduzione, ad esempio, dove sperimentiamo una dipendenza totale che ci porta ad abdicare all’altro. Stato sì, di estrema vulnerabilità ma anche potente generatore di immagini, ‘daimones’, forze inaspettate e pulsionali che sono a fondamento di qualsiasi attività artistica.

Per  Rilke  amare è l’occasione di “diventare mondo grazie ad un altro … è qualcosa che lo elegge, lo chiama ad un’ampia distesa”: ecco proprio questa ampia distesa metafisica attraversa la poesia carnale di Dona Amati in un “osanna del pasto fisico” dove la continua rifondazione del corpo va di pari passo con la rifondazione della lingua, lingua sapiente della poesia, di io e mondo reale (oggi costantemente minacciati dallo sfaldamento nel virtuale).

Qui la dimensione energetica dell’erotismo coincide in pieno con la qualità primaria della poesia che è puro piacere della forma, un percepire sensoriale che riporta le parole alla loro dimensione concreta e tattile, sensuale … così come era alle origini il mitico linguaggio degli uccelli, il linguaggio adamitico foriero di una dimensione magica e creatrice.

Ne nascono versi intessuti sulla stretta relazione tra materia, simbolo e scrittura dove gli elementi corporei della sessualità (lingua, gola, voce, dita, ventre…), vengono elevati ad una pura funzione simbolica e disegnano in crescendo i fantasmi del desiderio. Finché il corpo tutto diventa strumento fonatorio, sonoro, diventa la pagina bianca su cui scrivere, o farsi ri-scrivere, in un movimento di rigenerazione cellulare e spirituale, in una auspicata “Vita nuova”, privata e collettiva insieme:

Dammi un titolo o / chiudimi etèra d’attimo / crocifissa al tuo sudore. / Girami il dorso ritrova la bocca. / Aprila”.

dona amati cop

L’erotismo è una delle basi di conoscenza di sé,
tanto indispensabile quanto la poesia.
Anaïs Nin

Canto d’amore

– Obbedienza a Lilith –

Questi nostri occhi, fermi, ormai impietosi,
accesi al rosso della stessa luna.
Noi sole, acciottolate nei corpi da
trasfigurare in mescolanze lucide
inarcate come un balzo inerte dal sesso sospeso.
Ti cercherò la lingua macchiata d’impudenza
dalle mie dita berrai la sete fausta lasciando
il bisogno caldo punzecchiarti il grembo,
riempirne denso il calice vuoto.
Tu frani vicina, invadi come mente
di seta, pelle di femmina,
maestoso mantello da ricucire.
Del tuo taglio ora schiuso l’incendio
mi specchia donna amante
contendente colmata di canto di clito.
Oltre le note di divinazioni scoperte
infiammate sui tuoi seni di cera.
Sei bella. Offerta nel profilo morbido
che cede, come maleficio d’incanto.
Non è tempo di allentare il movimento
della conoscenza, oscura attrice.
Voglio sciogliere lo sfinimento
impallidirti del respiro tutto
razziarti il fremito
come innaturale preda
che s’abbraccia di me, concessa.
*

I miei amanti lo sanno
che intingo il corpo
in un deserto freddo
e aspiro sabbia e polvere.
Loro fiatano brama dagli occhi grondanti.
Ma nulla mi riempie.
C’è solo polvere che metto addosso
che addosso
stipo.

Ed ho in palude il cuore.

*

Ti chiedo per me un momento
un frutto del tempo che lussureggi
su una storia che mi
preme tempesta

soliloquio di incanti spontanei
un obelisco di sete
incuneato nel cuore e
nella valle avida
alla fine del ventre.

*

Il confine è fittizio
non conta vederlo riempire lento
l’orlo del
rombo geometrico della bocca
in cui spingi
il tocco saprofita della sazietà.

Nell’incavo della gola lì
dove s’annida il primo singhiozzo
(mi)
soleggia il morso d’eros leccando
viscere avvicinate al nuovo gioco
di soffio labiale.

dona amati

dona amati

Senzienti e senza uguali le tue dita
risalire le mie gambe
incastrare l’occhio buio
– la luce non serve alla pupilla
resa umida come
una sentenza irrevocabile –
Ingoio il demone, la mia stella capovolta
i pensieri traboccano peccato originale,
quello che legge la notte
del fuoco acuminato,
che sbatte le ali dentro la pelle,
che mi allunga la schiena
per confinarla alle tue membra
saccheggianti,
anagrammando gesti
intimati dalle nostre dita oltre
l’ultimo possesso del tuo odore
– anche un frammento
può farmi guaire –

(appena accennati i discorsi del cuore).

*

Complice alla mente
quel fuoco che mi vuole
che umido manto
concede appena ti sento
somma marea coniata nel corpo
– del tocco ti vorresti sazio –

Dammi un titolo o
chiudimi etèra d’attimo
crocifissa al tuo sudore.

Girami il dorso ritrova la bocca.
Aprila.

dona amati

dona amati

Le mani infitte al delta del ventre
inizia alle gambe l’intarsio precoce ché
mi domo donarti la bocca al
primo suggello vischioso
che chiedi.
Poi selce di carne
s’offusca al mio vello
l’indizio d’esilio rovente
nell’asilo che cerchi tra il corpo.
Intimamente vinci e
mi sfili la gola
il volo ne è dentro.
Ne frulla il rango del godimento.

.
COITO

L’uomo nella stanza
come scommessa dalle tracce discinte
è un’altra induzione
alla carne in festa
un losco lessico tabulato in sillabe
sintagmi – appunto – di serra in esplosione
terra di ioni intermittenti
l’accoglienza simultanea di tuoni nel corpo.

Quell’uomo nella stanza, dico,
come sa compire,
come replica la matrice laida che
ristora le sfasature delle viscere
lui escogita orazioni circolari sui corpi
tondi come vipere allacciate
alla regola che
osanna il pasto fisico.

*

Quel modo che ho di toglierti dalla mente
strappare pian piano la carne
l’ingordigia del cuore
la memoria ambigua dell’ombra.

E uccidermi l’acqua sterile alla fontana
la vena a questo punto muta
l’essere ingrato del sentimento.
Io, quale modo ho?

Dona-Amati

Dona-Amati

AL MIO MASCHIO DI CASTA ZITTA

Mi monti nel laccio del silenzio.
È così che è. Il lieto fine è fermo al piacere, un soccorso agli istinti.
Sei complice di te stesso, non dell’aria che intorno
gareggia col mio nome. Non vuoi sentirlo, ed è
inutile che io presti la voce.
Un groviglio zitto è la faccia rovescia della medaglia
che ti arricchisce il vanto, il sol levante che t’illumina
circoscritto alla schiena nuda.
Gli occhi li tieni riluttanti alla mia aura, bui e poveri di indulgenza.
Oggi ti incontro. Ho gia ridotto a zero
l’innocenza, trema un tam tam di libidine incompleta,
la tua meta metà, l’irrisoria adorazione del tuo fusto
alto sulla mia obbediente inclinazione.
A darti silenzio solido fino alle ossa.
Nessuno sa che ti sdrai accanto a me, e dovrei anch’io ignorarlo.
Non lasci la testa nel cappio del sentimento
ma il corpo biblico ne ha due, e la mia ne è strangolata.
Esisti, non esisti, mi interroghi, non parli.
Quindi mi resti come io voglio, e non puoi farci niente.
Come una certa morte che si dà, una libertà spenta.

ANDARSENE (DISMESSA)

Il momento è tuo, adesso
mentre addomestico il sangue.
Interrompo la voce se è arrotolata su un silenzio regressivo.
Io contengo.
Sono il tuo nulla non rivelato
l’acqua statica muta
il nocchiere cieco
la nuova deriva del silenzio.
Ora sei tu che scivoli come
un’unghia che ha sacrificato la presa,
non ci salva più la fretta anchilosata sul sesso
i corpi marciscono al primo orgasmo, la voglia
dismette la sua sete, una bancarotta ai sussulti del piacere.
È quella foga di andartene, il soldo di latta del tuo bottino
che pretende pagar d’ufficio la mia rabbia.
Resto, indigente – e illesa – come un dio infame.

*

Non sarò mai io che piango,
ma ciò che mi prende dentro quando
il cuore è divaricato al sale, sollevato
dall’obbligo dell’amore che gira folle

– ogni amore ha un giroflesso prepotente
magniloquente come un verso pingue di parole –

Si tratta di smettere di pensarti
consumare il morso di te che ho dentro.
L’amore non è mai innocente, nemmeno
fatto di tempi morti.
E se scortica l’anima a blandi pezzi,
è risulta di facili bocconi d’eros.
non più giaciglio di sinapsi.

– Dovresti saperlo che
scrivo ancora, forse senti
lo stridio dei sentimenti sui fogli
nuovi.
O la manna della sordità.
L’urgenza delicata del silenzio.
Mio –.

Dona-Amati

Dona-Amati

Dovrei costruirla la cruna dell’ago
per passarci dentro
ostinata al senso andato di un passaggio unico.
Nel tuo giro di bocca, amore
arrotondarti lo spazio con le parole
prima di
fare leva sugli anelli nascenti.
Di carne e delizia.
Solleva bene il caldo del mio ventre.
Cos’hai da pungolarmi dentro?
Io so come fare
a martellarti le tempie e non deluderti.
È ad armi pari la catasta divelta
serrata infine come crisalide.

DI EX BACIO, IL MATTINO D’AUTUNNO

Stamani è il soffio che recita con me
nell’accorgersi che qualcosa è
da tenere stretto.
Perché le luci del mattino più rosse
non claudicano alle solite insofferenze
e ingoiano un altro saluto a
fingere ancora che
l’eco del selciato sia spazio dei tuoi passi.
Si muovono queste foglie sul chiaro dei tuoi occhi?
Si muovono perbene sull’orecchiabilità del vento.
Chissà se l’autunno di un bacio
intristisce anche dell’alba il sottofondo
quello che fa di tutto,
già orfano di verde.

… ché non è solo esile il fuoco
del cuore quando brucia,
è un tormento tolemaico al mio
tempio solitario che caduco
gli sopravvive intorno.
Per aspera ad astra
antica ritorna la stella a venire,
come guscio migrabondo d’armonia.

letizia leone

letizia leone

Letizia Leone è nata a Roma dove ha conseguito la laurea in lettere e il perfezionamento in linguistica. Agli studi umanistici ha affiancato lo studio musicale. Ha insegnato materie letterarie e lavorato presso l’UNICEF. Continua a leggere

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