
Tura Satana, Haji, Lori Williams, ossia Varla, Rosie e Billie come trasformare il deserto del Mojave nel (non) luogo del sesso come pretesto per la violenza
Commento di Giorgio Linguaglossa
Domenico Alvino è nato a Luogosano (Avellino) nel 1934, vive a Roma. Nel 1992 pubblica Il suono d’ombra e, nel 1996, Dove si formano le piogge (Amadeus, prefazione di Maria Luisa Spaziani). E’ autore di numerosi saggi sulla poesia contemporanea ed è’ stato redattore di “Poiesis”. Domenico Alvino è poeta del disincanto, ovvero, della indirezione. Ma tra indirezione e disincanto v’è una relazione evidente nella misura in cui la perdita dell’orientamento, e quindi della direzione, produce quella particolare attitudine psicologica e gnoseologica al disincanto. L’aria inorientata (Roma, Scettro del Re 2002) è il titolo di un’opera che porrà stabilmente Domenico Alvino tra i poeti più promettenti degli ultimi anni. Tenterò di spiegarne le ragioni. Il disorientamento è una condizione psicologica dell’uomo nel mondo moderno, non soltanto un privilegio del poeta; diciamo che il poeta ha anche a che fare con il problema delle parole instabili, anche le parole hanno perduto il loro luogo, non sanno più dove abitare e sono divenute instabili; ne segue che il poeta che voglia conquistare il suo linguaggio deve meditare per forza di cose sopra queste problematiche. Alvino tenta di dare una risposta mediante la costruzione di una poesia modernista, cioè prende le mosse dall’inizio del Novecento, dal linguaggio eburneo del D’Annunzio, lo travasa nel magma linguistico del parlato quotidiano dell’Italia degli anni Novanta, lo agita e lo ricompone, come per magia, in un dettato asciutto e scombiccherato, dalla sintassi claudicante ma lampantemente chiaro ed efficace. Poeta modernista, Alvino abita il Moderno con la consapevolezza di un argonauta dello Shuttle. Cosciente di essere un epifenomeno dell’interminabile linea epigonica delle poetiche degli ultimi vent’anni, Domenico Alvino reagisce con vigore, descrive con inaudita circospezione la deriva fenomenica del disincanto, proprio quando il sortilegio universale imperversa, costretto e spintonato entro la linea di demarcazione dell’esaurimento delle poetiche post-sperimentali e post-orfiche del tardo novecento. Tra ironia e disincanto, dopo il diluvio dell’ipocrisia i suoi personaggi vanno avanti e indietro, vagano, si interrogano, chiedono ma tutto è chiuso, sprangato, le saracinesche abbassate, i fili tagliati. Leggiamo una sua poesia:
“E’ scuro, non si vede niente qui./ Non entra mai nessuno. La vita / si svolge nelle stanze basse./ Accendi. Ma che cosa./ Hanno tagliato i fili. Tanto/ non serviva. Una finestra almeno./ Me le hanno chiuse. Murate./ Ma quando. Mah, sarà un anno / o due, o venti. Non ricordo./ Furono quelli delle tasse”
Non c’è dubbio che la sintassi franta, la composizione paratattica, le unità di articolazione quasi del tutto assenti costituiscono gli elementi fondamentali dello stile. La punteggiatura fitta ed irta, divide e taglia le unità della proposizione determinando quel caratteristico moto a singhiozzo, stop and go, l’andirivieni continuo ed asfissiante tra la retromarcia innestata dalla punteggiatura e la spinta inerziale della sintassi; senza dimenticare che il linguaggio svaria da neologismi di impianto dialettale di Luogosano a lessemi di un italiano colto ormai caduto in disuso. Il senso di disorientamento che coglie il lettore dinanzi a questo stile è del tutto giustificato. Alvino vuole rendere tattilmente, lessicalmente evidente questo spaesamento generale del linguaggio, privo ormai delle coordinate giustificatrici della tradizione. I suoi “interni” sono tutti disturbati da eventi atmosferici e da una sismografia generalizzata del lessico così da generare uno smottamento sotterraneo dei significati senza ricorrere all’ausilio di alcun gioco dei significanti. E questo è importante da sottolineare per tracciare una sicura linea di demarcazione tra le operazioni di matrice post-sperimentali e quella portata avanti da Alvino. Inoltre, gli “interni” di Alvino sono costruiti giustappunto con la tecnica del “giallo”. Il poeta di Luogosano dissemina il testo di trappole semantiche, di sviamenti, di nascondigli lessicali, di divagazioni e di sospettosità: qualcosa deve avvenire, c’è il presagio, c’è l’iter del delitto avvenuto o che sta per essere compiuto (ma da chi?). Il testo è straordinariamente tattile e duttile e straordinariamente incerto ed ambiguo. In questo compito Alvino non concede quasi mai nulla al lettore, non indulge mai alla seduzione del testo, non consegna mai laccature o cromatismi, disdegna eufuismi ed eufemismi e preferisce sempre indicare chiaramente le cose, le sue proposizioni sono dichiarative; proprio come il linguaggio giudiziario procede mediante enunciati dichiarativi quello di Alvino si dipana mediante microcitazioni dichiarative, le quali assemblate ed assiepate le une accanto alle altre, invece di generare un testo normativo, produce, con somma sorpresa, un messaggio sommamente ambiguo proprio per l’incidentalità e la molteplicità delle informazioni in esso contenute. Qua e là affiorano relitti dello stile gnomico: “Il deserto è inoltre improvviso e violento/ e spiana foreste nel sangue e accumula pietre nell’occhio” 2), ma si tratta appunto di reperti archeologici e, per forza di cose, proprio in questi frangenti il linguaggio dell’autore si arricchisce di metafore come per dissimulare la nostalgia per un linguaggio pienamente significante oggi inattingibile. Leggiamo ancora una poesia inedita intitolata Il banco dei pegni:
“Adesso andiamo, aspetta, un momento / Solo che smetta di piovere./ Quasi non c’è più vento. E poi chi ti dice che chiude / Il Banco. Asciugati le guance. Aggiusta i capelli // Ecco. Faremo a tempo. Ha già spiovuto. C’è solo qualche goccia./ Il guaio sono le pozzanghere. Devi andare da una pietra all’altra./ Scegli le più lisce. Questa forse… o l’altra lì. Hai suole sottili (…) Vieni. Si vendono calosce, qui all’angolo. Fa piano t’inzaccheri./ Adesso è bello il tempo. Vieni. Il Banco è vicino./ Sotto quell’insegna al neon./ Spenta.”
Questa retorizzazione è il prodotto del carattere non vincolante degli enunciati legati/separati dalla categoria dell’inferenza. Ogni enunciato porta con sé l’alterità, si presenta come flusso in divenire del sistema degli enunciati. Essi rimandano, in ultima istanza, mimicamente e mimeticamente, annunciano, sornionamente e lacanianamente al fatto che anche l’inferenza finirà un giorno per indebolirsi a causa della presa d’atto della non-identità e della propria costitutiva paradossalità. Poesia intimamente drammatica questa di Alvino per questa invasione della paratassi, per questo azzoppamento sintattico e semantico, per questa deglutizione del flusso dichiarativo dentro il buco nero della significazione.
Indice
Tra ombre annunziando l’alba
Di notte incontra una sconosciuta. 17
Con qualche filo di nebbia
case forse o frantumi
silenziosi precipitavano
restando fitti in piedi:
mi sorpresi a camminare in fretta
sotto le stelle impallidite
tra ombre annunziando l’alba
venivi piccola da parere altra
cosa ammantata d’alba
o del risveglio di luci
assopite per le vie del sole:
ma eri chioma e mantello
neanche un po’ di volto
lontano
avvicinandoti poi
sotto le ciglia candore
che solo uno sguardo feriva o filo
di sospetto forse:
ma io raccoglievo frantumi
di desiderio
intorno all’ambio sinuoso
non altro in quell’ultimo lembo
di notte che moriva
e di cielo.
.
(Anni Sessanta).
Tu eri
Per la stessa: nostalgia. 27
Oh, dove
sei
tu eri e le cose no
la strada, il silenzio del vento
sotto il mio essere quel momento
tu
eri in quel mentre lì d’allora.
Mercoledì 27 ottobre 2010.

by the meg-booby Tura Satana. I love how she looks in the film – all huge tits, huge arse with teeny wee waist, clad in black high waisted jeans and leather gloves.
Fulmine e lampo perduto
Di Adamo ed Eva, appena lì nell’Eden,
che si dicono di sé. 28
Che c’eravamo
un cercare l’un nell’altro
un tempo
vuoto
da compiere dell’altro
l’uno
e nessuno
c’era in quel noi
lì assetato di presenza
per anni
il pensiero s’era calato in alture
altre da quelle dove noi
lampi
ci eravamo
nel nostro fulmine
accesi
che ancora
Mnemosine protraeva
nel mare del possibile
tenuto aperto
in noi.
Eccolo di nuovo ora
che
l’un venuto all’altro
l’uno è dell’altro il lampo
e siamo
unicamente siamo
un solo eterno lampo
sopra il nulla
sùbito…
e…
spentosi
forse l’un nell’altro
non ci quieteremo
nella nostra voglia eterna
inadempiuta
ché avrà la nostra carne
senza il pensiero attinto
e perduto
ch’è un lampo
la vita.
Roma, 25 giugno 2011.
Lontananze
Tra sogno e dicerie. 34
Ci sono luoghi
a Bologna o altrove
ristoranti o salotti o sale di conferenze
o di ballo o spiagge
anche lì fra terra e luce
dove arrivando una donna
manda intorno un po’ di sguardo in cerca.
E trova
che l’aspettava
uno come un cieco smarrito
una mano
che lo indirizzi.
Vi lega una ministoria
fatta di cenni e sguardi
una stretta, un sorriso
un affaccio l’uno dentro l’altra
un annuso d’incavi,
di secrete
come una volta da ragazzo
nella falegnameria
stando al buio
e lei tutta offerta in luce
d’una ministoria
portata via dall’ombre
come altre poi
fatte miseramente
cadere.
I presenti intanto
se ne sono andati uno ad uno.
Il locale sta per chiudere.
Roma, 26 gennaio 2006

Faster, Pussycat! Kill! Kill! Russ Meyer’s cult sexploitation movie inspired Cullinan Richards’ trip to Scunthorpe Photograph Everett Collection Rex Features Everett Collection
Tra i capelli ritinti
De bicodulis femininis. 110
Un vento è
tra i capelli che tingi
pezzi di buio ne cadono
d’attorno i sorrisi al serpe che sorride.
Come può succedere
che metta un piede
sul capo di chi le onora
come
lo accarezzano mentre
dicono amore
a chi di coltello cercano nelle viscere
il punto della vita
come
così ridenti che
angeli prigionieri
vi svolazzano e poi ecco
la loro letizia smuore
e vogliono la fuga…
Novembre 2011
Dolore
Parole da dirsi dall’innamorato all’amata che lo ricusa. 131
Questo dolore
edificato
un me edificato
con un terrazzo senz’aria
finestre appena murate
e oblò che dicono di mare chiuso
con l’aria che si chiude il respiro appresso
questo dolore calotta
esposta
alla canicola
questo dolore con fondamenta
dure
sale rampe ripide
poi di lassù s’insacca quale
anima di ferro
in cemento
in cemento
questo dolore
di te.
Roma, 6 ottobre 2011.
Amore che presta ali
Idem eidem de eodem. 132
Se lo fai uscire poi
tutto crolla
sta un po’ in caduta
sospeso
altissimo
e poi precipita che non lo raccogli
di secolo in secolo che sarai
pensiero
d’uno o di alcuno
maculato di tale desiderio,
di te stesso
abbandono a tale
reiezione…
Ma quale
crepuscolo di idee ora ti abbruna
verso quale buio
che non vedi o riconosci più
amore
che ci presta ali.
Roma, 6 ottobre 2011.
.
Il giorno dei morti
È lei che attiva e disattiva la vita. 158
È finito il tempo
disse al mattino seduta sulla sponda
è finito
il tempo. Io
non dissi niente
mi alzai e me ne andai
e smisero gli uccelli
mi uscirono dalle vene
dei morti
mi morivano ancora
nei polsi
i vivi non avevano un respiro
solo
morti nomi giù
nei tèndini
me ne andai
alla deriva
per dimenticanze.
Roma, 26 aprile 2004
Sotto il biancore di pelle
Dov’eri
che non ti vedevo
sotto il biancore di pelle
il lampo d’occhi azzurri
o neri
sotto
i fianchi melodiosi
i capelli, la bocca
dove morivo
annebbiandomi in tremori.
Dunque eri lì nascosta che non
ti vedevo
e fuggivo via
e nessuna mi trovava.
Ora sono qui orfano e
vedovo e
monco e fiato senza
un getto.
E invece tu ancora
dove sei
forse su una stella persa
che non mi senti.
Anzi la voglia ti è passata
e punti a un Dio
che si cancella
e ti cancelli.
Roma, 25 dicembre 2007
Sera sul piede
Dante, in sospetto, a Beatrice, o Petrarca a Laura, 168
come fosse Nino a Semiramis, “che a vizio di lussuria fu sì rotta…”
Io e te da soli mai
fu che avvenne l’alba
e poi giù sera
sul piede
oltre la soglia
era il cuore oltre il muro
tu nel chiuso lì
lontana
quanto stella persa
tra satelliti
cupidi
rantoli
io ne sentivo
di parole e gemiti…
Negli occhi
mi si alzava grande
un letto
in uno specchio
nudi
diavoli
proni
avanti altri a battere ad arieti
e tu maestra indotta
a ridere sotto i colpi
o da parte lì schiusa
al tuo rantolo
fino
al culmine lancinante.
Roma 29 ottobre 2011.