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MARIA GRAZIA CALANDRONE, CINQUE POESIE da “Serie Fossile” Crocetti, 2015 con un Commento di Giorgio Linguaglossa

Bello Giacomo Costa città immaginaria

Giacomo Costa, città immaginaria

Commento di Giorgio Linguaglossa

Già con Come per mezzo di una briglia ardente (2005) era evidente che qualcosa stava mutando nei rapporti di produzione dell’io lirico di Maria Grazia Calandrone. Le spie linguistiche sono sempre un dato di fatto irrefutabile di qualcosa che sta al di fuori del linguaggio, e che preme, pulsa, penetra nel linguaggio poetico. Possiamo dire, con qualche circospezione, che il primo linguaggio poetico di Maria Grazia Calandrone restava pur sempre all’interno di un codice letterario post-surrealista e post-sperimentale. Successivamente, dall’opera del 2005, invece, si ha la sensazione che il rapporto di rispecchiamento tra l’io e la materia linguistica viene come disturbato, interrotto dall’irruzione di corpi estranei che alterano i rapporti congiuntivi tra l’alto e il basso, tra la destra e la sinistra, tra il sopra e il sotto; avviene uno sconvolgimento degli equilibri tra i polinomi frastici che sfocia in un arcipelago di frasticità meta-linguistica dove il momento espressivo-mimico e psicolinguistico ha il netto sopravvento su quello rappresentativo; a ciò si aggiunga la indagine psicolinguistica autoanalitica portata avanti con tenacia dall’autrice e sarà chiaro quanto l’identità del poeta diventi instabile, franta, si disarticoli in un laboratorio linguistico sempre più fitto e operoso ma anche, e sempre di più, abitato da una disarticolazione e da una dis-locazione linguistica che penetra tra le commessure dei polinomi frastici. Scompare dalla materia linguistica qualsiasi accenno all’esterno, al discorso di-fuori, nella misura in cui si accentuano e si infittiscono le introspezioni autoanalitiche, psicolinguistiche. Avviene che un intero cosmo linguistico vada in frantumi e, analogamente, il linguaggio poetico che lo racchiudeva e lo rispecchiava. Ma questo fenomeno credo sia, più in generale, una spia della Crisi della tenuta linguistica del linguaggio poetico in genere nei confronti della invasione sempre più massiccia della comunicazione mediatica dei giorni nostri e, dall’esterno, della crisi economica e sociale sempre più diffusa e invasiva. Si può notare, a livello sociologico, che da un decennio in qua assistiamo ad una dissoluzione di quella classe media che aveva contribuito a mantenere in vita un codice linguistico di massima. In queste recenti composizioni della Calandrone, si ha come la sensazione che il linguaggio poetico racchiuda un cosmo interruptus e disarticolato: si infittiscono i polinomi sospensivi, i vuoti tra un verso e l’altro, le scomposizioni, le citazioni, le microscopie frastiche, le interruzioni. Si ha l’impressione di una instabilità linguistica di fondo che è diventata normalità linguistica, con derubricazione della poesia lirica in post-lirica.

 

Evgenia Arbugaeva Weather_man_05-1

Evgenia Arbugaeva Weather_man_

Maria Grazia Calandrone

(°) – seme

hai una debolezza di spiga,
muscoli di cavalla, un’arsura
di sabbia calpestata
nella spina dorsale
e un solco di aratura,
la solitudine di una bestia santa all’angolo
destro della bocca, dove un’intelligenza
appena nata ti sfiora
quasi senza svegliarti

metti il dito nel solco del tuo cuore, indicami

scopri la crepa tua da dove stilla
il mio sangue sulla foresta dei simboli e nel sonno che specie di amore
trabocchi
sugli oggetti intorno

(quanto eccede
la misura del corpo finisce
per agire tra i legamenti elettrici del mondo
come la bruciatura
del neutro – l’inizio
dell’anonimo – poggia con tutto il peso
sulla Terra Straniera del tuo corpo – per favore
non dirlo, chiudi la bocca)

perché il tuo occhio destro sfiora le acque
di un mare sepolto
– seme,
profondamente
rovo e corona
di specie
sconosciuta –
apertamente tace come bronzo, cammina
nel presente
come in un tempio, come nella memoria –

fin che dal fondo
dal teatro del mare
una creatura adulta disarmata
si alza in piedi, crede al tuo perdono
23.5.13

foto Anonymous 2

ʘ – obbedienza

alba: lo senti il rombo dei motori?
se qui
si rifondano i cori
bestiali d’erbe e incantagioni e unguenti
è perché ridi come una bambina,
con eccezionale potenza di fuoco
e con perfetta degnità di cuore

fin che lasci colare
dritto
nel tuorlo a cielo aperto nel mio petto
la prima goccia – densa
come miele – della tua forma

algebrica d’amore,
che s’interna
dove il mare rifonda una figura incrollabile,
impasta il sale delle combinazioni
al ritardo del mondo

sei come un balsamo sulla ferita che tu stessa procuri

fino a questa eccedenza ronzante, fino a questa
restituzione
del corpo gigantesco – aumentato
senza circospezione per la via maestra
degli occhi: risale
iniziale
dal fondale del tempo, sale dall’acqua pietrificata immobile

è già successo: davo il nome di amore
alla gioia che veniva dalla tua bellezza in un campo mai visto
di papaveri e margherite, è già avvenuta questa
comunicazione silenziosa delle radici

oh!, autosufficienza, sterile
antimateria, malignità della ferita aperta

– perfetta
sotto l’ombreggio – bilobata
e sedotta: è già successo
che io mi sollevassi dal bordo del tuo letto come un arcobaleno, come una figura di rettitudine, è già
successo questo poter morire
senza rimpianto – ti offro la mia vita come qualcosa
che non ha più valore di un sorriso – questa radice interamente esposta
a causa della dissoluzione della massa terrestre
nel mio sogno parlavi una lingua straniera
è già successo che bastasse l’amore come terra
aerea:
la farfalla sul viso

tutte le ossa come una fascina, una messe completamente
scoperta:
puoi fare del mio cuore
una canna di flauto
per lodare, restituirmi
l’inizio del mondo

27.5.13

foto Anonymous 3

Ѻ – radura

profumi di miele barbaro
quando al suono del sistro ti levi
come un incastro di cavallo e femmina, in tutta
la silenziosa perdizione: una bellezza
semplice e senza sacrificio – spargimento
di melata e di linfa a cielo aperto –
con le spalle bruciate dal sole, dici
sono immortale
e d’intorno c’è luce
come acqua abitata da un’entità biologica
rossa e guizzante
                                   una vena che rapida sul collo
                                                                                       è spinta
                                                                                                      dal profondo
tamburo del sangue

tutta la terra imita la parola, si adegua alla segreta confidenza degli uomini, piega i cespugli sulla circonferenza del campo affinché essi somiglino a un volto umano

quando il riso si rovescia in pianto e il pianto in uno sguardo
fluido che contiene
in sé ciascuno degli abbandonati

che perfetto dominio sulle nuvole e che memoria

ha la vita: ora
che ti contiene, arriva a certe forze inconfessabili
perché aveva lasciato andare tutto e

il volto
tuo, così solo

all’interno, riassume
il genere umano, splende
nel vuoto come un blasone d’oro, come si loda al fuoco della radura
la ferocia del sole, tutto questo rinascere
                                                         ora

una tecnica bianca di sollevazione

una cosa come vederti sorgere
– vanificata
e raggiante –
dalla campagna indemoniata,
non avere più nome,

seria come una massa di splendore dire
sto già cantando, non lo senti?

30.5.13

Ɯ – orientamento

il mondo era un’opera grezza, un non-del-tutto
compreso intento della grazia:
consideriamo annuncio
la beatitudine della città che intanto
si spalanca, ricomincia

dalla lastra d’argento del Tevere appena
disarginato, traboccato sugli argini
in immature sacche d’acqua ferma poco prima
di Largo Argentina: uno scenario
ingigantito, popolato da rettili e da un sapore di fuoco:
consideriamo rivelazione
l’intelligente

profondità di cobalto
che al fondo riluce, viene al dunque sul cerchio della piazza, vuota
come un dormiveglia infantile
impregnato dal soffio delle rovine

il cielo cupofluorescente
annerisce mentre
si sentono chiamare le figure:

bianche, sedute
tra i mozziconi
delle colonne, a imitare la vita di questo mondo
aumentato in ampiezza
dove sono impigliate

ha un sentore fluviale di serpente il mondo
rivelato, il tempo
passato per queste strade
sa
di canale che asciuga
sul marciapiede destro del Plebiscito

ha un profumo di mosto e di deserto
la terra
ancora fertile sotto l’asfalto, la terra-alba

7.6.13

foto Anonymous 4

giardino della gioia originaria

la tua carne nascente come una fiamma nella fiamma verde della campagna
io non credo ai miei occhi

vedo il bronzo dorato
del corpo che si accosta
io non credo ai miei occhi

estrai oro volatile
dal tuo petto capace di provare amore e mi dici tra i baci è un miracolo
io non credo ai miei occhi

tutta l’erba e l’intero profumo della campagna sono stupore

questo pane lasciato nell’erba è stupore e lo è la bottiglia che schiuma sui fiori

non ti asciughi la bocca
la tua bellezza è senza sbarramento

nel mio sangue c’è spazio senza dominio, e dal centro di tutta la vita mi zampilla un abbraccio grande come il mondo

te l’avevo già detto
in città, ti ricordi? guarda, il mondo è grandissimo, è il tuo amore che si è fatto spazio

nuda a metà, l’asciugamano in spalla
cammini
con la carne rinata dai miei baci

con piedi da bambina
sali le scale,
sali a sentire dove comincia l’anima di una creatura viva

nel luogo cruciale
c’è un grande silenzio
e un ronzio di zanzare
l’oro delle tue labbra
la bianca oscillazione del tuo sangue

dal corpo amato affiora
un chiaro che trabocca,
tutto il corpo fa un suono di mare
come batte il tuo cuore
e nel mio sangue splende la stessa luce

ogni tanto ridiamo della mia pena
che non esistano parole più grandi

se io potessi aprirei il mio petto, ti ricordi?

invento io le parole
invento tutto il mondo
per farti felice

poi, ti ho lasciata andare come volevi

non andare, dicevo, mi manca
cosa sono con te, questa cosa
capace, questo spazio assolato che diventa il tuo bene

non solo il muscolo provava sofferenza, ma tutta la zona
circostante doleva
e il silenzio raschiava come una lima e completava l’opera spontanea del dolore

quale eco, che luna, quale zolla, quale cratere, quale
fra le alte stelle della notte che hanno illuminato la tua bocca ancora
felice per l’amore, che pietoso pianeta
si è mosso a compassione? cosa ha avuto bontà?

il tuo corpo ancestrale ha rilasciato il suo corpo astrale

alba che oscilli sulle cose mortali quando si svegliano
come se non dovessero morire
questo è quanto conosco dell’amore: le ferite che impiegano anni a tornare
carne che vuole essere ancora benedetta dai baci, non lasciarla mai sola

Maria Grazia Calandrone 28.4.15 foto Omri Lior

Maria Grazia Calandrone 28.4.15 foto Omri Lior

Maria Grazia Calandrone (Milano, 1964, vive a Roma): poetessa, drammaturga, artista visiva, performer, organizzatrice culturale, autrice e conduttrice di programmi culturali per Radio 3, critica letteraria per il quotidiano “il manifesto”, scrive per “la 27ora” del “Corriere della Sera” e cura la rubrica di inediti “Cantiere Poesia” per il mensile internazionale “Poesia”, collabora con il quadrimestrale di cinema “Rifrazioni” e con la rivista di arte e psicoanalisi “Il Corpo” e codirige la collana di poesia “i domani” per Aragno Editore. Tiene laboratori di poesia nelle scuole, nelle carceri e con i malati di Alzheimer. Sta lavorando a Ti chiamavo col pianto, libro-inchiesta sulle vittime della giustizia minorile in Italia.

Libri: Pietra di paragone (Tracce, 1998 – edizione-premio Nuove Scrittrici 1997), La scimmia randagia (Crocetti, 2003 – premio Pasolini Opera Prima), Come per mezzo di una briglia ardente (Atelier, 2005) La macchina responsabile (Crocetti, 2007), Sulla bocca di tutti (Crocetti, 2010 – premio Napoli), Atto di vita nascente (LietoColle, 2010), L’infinito mélo, pseudoromanzo con Vivavox, cd di sue letture dei propri testi (luca sossella, 2011), La vita chiara (transeuropa, 2011) e Serie fossile (Crocetti, 2015); è in Nuovi poeti italiani 6 (Einaudi, 2012); la sua prosa Salvare Caino è in Nell’occhio di chi guarda (Donzelli, 2014).

Ha composto, con Michele Caccamo, Dalla sua bocca. Riscritture da undici appunti inediti di Alda Merini (Zona, 2013) e, con Amarji, Rosa dell’Animale (At-Takwin, Damasco e Zona, 2014 – prefazione di Adonis), ha scritto tre monologhi per Sonia Bergamasco (La scimmia bianca dei miracoli, Pochi avvenimenti, felicità assoluta e Elle) e Gernika, frammenti poematici intorno alla Guerra Civile Spagnola, per la compagnia internazionale “Théatre en vol”. Sue sillogi compaiono in antologie e riviste di numerosi Paesi Europei e delle due Americhe: segnaliamo le antologie La realidad en la palabra (Editorial Brujas, 2005), Caminos del agua (Monte Avila Latinoamericanas, 2008) e Antologia italikes poieses (Odós Panós, 2011); ha curato per Adonis, l’antologia Voci della Poesia Italiana Contemporanea: Un’Antologia Breve (L’Altro, 2012 – Beirut e Damasco), nella quale è inserita. Con la silloge Illustrazioni ha vinto, nel 1993, l’XI edizione del premio Montale per l’inedito e, dallo stesso anno, viene invitata nei più rilevanti festival nazionali e internazionali; nel 2007 ha interpretato Il Desiderio preso per la coda di Pablo Picasso per Radio 3 (regia di Giorgio Marini, con Silvia Bre, Anna Cascella, Iolanda Insana, Laura Pugno, Maria Luisa Spaziani e Sara Ventroni); dal 2009 porta in scena in Italia e in Europa il videoconcerto Senza bagaglio (finalista “RomaEuropa webfactory” 2009), realizzato con Stefano Savi Scarponi; nel 2010 il suo testo My language is the rose, scelto dal compositore malese Chie Tsang, è finalista in “Unique Forms of Continuity in Space” in Melbourne, Australia; sempre nel 2010 è scelta come rappresentante della poesia italiana e diretta da Lucie Kralova in “Evropa jedna báseň”, documentario andato in onda il 28.8.12 in Česká Televize; nel 2012 fa parte del progetto RAI TV “UnoMattina Poesia”, collabora con Rai Letteratura e con il musicista Canio Loguercio ed è vincitrice del Premio Haiku dell’Istituto Giapponese di Cultura; comincia nel 2013 una collaborazione con Cult Book (Rai 3) ed è nella video installazione Ritratto continuo di Francesca Montinaro, esposta alla Galleria d’Arte Moderna di Roma. Il suo sito è www.mariagraziacalandrone.it

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MARIO M. GABRIELE SETTE POESIE da “Ritratto di Signora” (2014) “Cara Juliet”, “Piombo fuso”, “Glossario terapeutico” con un Commento di Giorgio Linguaglossa: La “poetica del vuoto del Dopo il Moderno”, “Poesia e metapoesia”, “Glossario terapeutico” “La morte della poesia”, “La Post-poesia”

foto henri cartier bresson

foto henri cartier bresson Cara Juliet

 Mario M. Gabriele è nato a Campobasso nel 1940. Poeta e saggista ha fondato la Rivista di critica e di poetica “Nuova Letteratura”e pubblicato diversi volumi di poesia tra i quali: Arsura (1972); La liana (1975); Il cerchio di fuoco (1976); Astuccio da cherubino (1978); Carte della città segreta (con prefazione di Domenico Rea (1982); Il giro del lazzaretto (1985); Moviola d’inverno (1992); Le finestre di Magritte (2000); Bouquet (2002); Conversazione galante (2004); Un burberry azzurro (2008); Ritratto di signora (2014) e L’erba di Stonehenge (Progetto Cultura, 2016) Dieci sue poesie sono presenti nella Antologia a cura di Giorgio Linguaglossa Come è finita la guerra di troia non ricordo (Progetto Cultura, 2016). Ha curato monografie e saggi sui poeti molisani e contemporanei

E’ presente in Febbre, furore e fiele di Giuseppe Zagarrio, Mursia Editore 1983, Progetto di curva e di volo di Domenico Cara, Laboratorio delle Arti 1994, Le città dei poeti di Carlo Felice Colucci, Guida Editore 2005, Poeti in Campania di G. B. Nazzario, Marcus Edizioni 2005, e in Psicoestetica, il piacere dell’analisi di Carlo Di Lieto, Genesi Editrice, 2012. Interventi critici sulla sua poesia sono apparsi su quotidiani e riviste: Tuttolibri, Quinta Generazione, La Repubblica, Misure Critiche, Gradiva, America Oggi, Atelier e  L’Ombra delle parole. Cura il blog di poesia italiana e straniera isola dei poeti.blogspot.it

foto donne con altalena

Commento di Giorgio Linguaglossa “La poetica del vuoto del Dopo il Moderno” di Mario M. Gabriele

Credo che nella situazione del Dopo il Moderno alla poesia non rimanga altro da fare che sopravvivere in attesa di tempi migliori. È questo l’assunto di base della poesia di Mario Gabriele, un poeta della periferia, relegato nello sperduto Molise, a Campobasso, lontano dagli echi delle fucine poetiche di Roma e di Milano. In questa condizione, allontanatisi gli echi dello sperimentalismo novecentesco e le ipotesi di mini canoni che, tra l’altro, nel Sud non avrebbero ragione di essere, per Mario Gabriele l’essenziale era ripristinare il contatto con il lettore, ripartire dal correlativo oggettivo di Eliot, ricucire gli strappi inferti alla forma-poesia del secondo Novecento, suturare le ferite con la tintura di iodio, elaborare una «materia» poetica che facesse uso della narrativa e della saggistica per irrobustire il dettato poetico. Il registro stilistico di Ritratto di Signora viene così improntato a una decisa propensione per la metonimia, sostenuto dalla giustapposizione di elementi dissimili o incongrui, di digressioni e di inserti narrativi che offrissero nuove possibilità di significazione per mettere in evidenza ciò che sta oltre la tradizionale parola poetica, lontano dalle associazioni semantiche tradizionali, magari corredata da una fitta interpunzione, di citazioni implicite ed esplicite, di riferimenti toponomastici ed onomastici, corredata da associazioni ed elencazioni coordinate per asindeto e per paratassi, il tutto volto a raffigurare il disagio e lo spaesamento esistenziale del mondo moderno, non solo dell’io, il caos del mondo, mediante correlativi oggettivi e traslati e cablaggi spaesanti.

Sta qui l’elemento di distinguibilità della poesia di Mario Gabriele, sta qui la rottura con i canoni dello sperimentalismo e con l’eredità della poesia post-montaliana del dopo Satura (1971), vista come la poesia da circumnavigare, magari riprendendo da essa la scialuppa di salvataggio dell’elegia per introdurvi delle dissonanze, delle rotture e tentare di prendere il largo in direzione di una poesia completamente narrativizzata, oggettiva, anestetizzata, cloroformizzata. Di qui le numerose citazioni illustri o meno (Mister Prufrock, Ken Follet, Katiuscia, Rotary Club, Goethe, busterbook, kelloggs al ketchup, etc.), involucri vuoti, parole prive di risonanza semantica o simbolica, figure segnaletiche raffreddate che stanno lì a indicare il «vuoto». Il tragitto, iniziato da Arsura del 1972, e compiuto con quest’ultimo lavoro, è stato lungo e periglioso, ma Gabriele lo ha iniziato per tempo e con piena consapevolezza già all’indomani della pubblicazione del libro di Montale che, in Italia, ha dato la stura ad una poesia in diminuendo, che da noi è stata interpretata come una possibilità di scrittura poetica finalmente privata del pentagramma tonale e timbrico della grande tradizione metafisica, come un rompete le righe e un gettate le armi, con una cultura nutrita di scetticismo piccolo-borghese. Una resa alla democrazia parlamentare della forma poetica e del discorso poetico. Mario Gabriele riprende da qui, innalza il tono prosodico mentre che abbassa il lessico.

Sintomatico di tale percorso è l’ultima poesia qui presentata: «Glossario terapeutico», dove è evidente che l’autore ironizza con una abbondanza di citazioni e di rimandi sulla propria materia poetica prendendone le distanze, ironizza sulla desertificazione del linguaggio poetico di oggi, non più in grado di veicolare una lirica che non sia post-lirica, dalla quale viene bandito ogni riferimento ad una presunta «bellezza» e al «poetico». Si ha la sensazione che l’oggetto della riflessione di Gabriele sia «la morte della poesia» e una «poetica del vuoto». In un certo senso, questa è una poesia che medita sulla propria morte annunciata, una metapoesia, una poesia che sta fuori della poesia, che si situa a distanza dalla poesia. Metapoesia sulla metapoesia, dunque, come nella composizione di apertura «Cara Juliet» che rifà il verso a una raccolta di Alfredo Giuliani del 1965, Povera Juliet.

Il titolo della raccolta, anch’esso ironico, Ritratto di Signora (2014), riprende un topos classico, un titolo adottato dalla scrittura narrativa, in ciò perseguendo con la poesia lo stesso tragitto ermeneutico seguito dal romanzo, da quello famoso di Henry James (The portrait of  a Lady) fino al recente  Foto di gruppo con Signora (1971) di Heinrich Böll.

foto donna mascherata

Mario Gabriele da Ritratto di signora (2014)

1
Cara Juliet,
qui dove l’inverno dura più della barba di Santa Claus,
ci siamo arresi al freddo di dicembre
come quei piccoli clochard ai bordi delle vie,
senza bandiere e né futuro;
mi viene da pensare alle notti di Stoccolma,
alle renne venute a cercare gli avanzi di Natale;
tutti abbiamo festeggiato l’anno che passava;
il tempo come uno sparviero
sui pinnacoli di un’America battuta,
l’urlo di Munch
era un passepartout per un inferno alle porte:
le lunghe ore a parlare del punto morto del mondo,
l’anello che non tiene,
sempre in fede obliqua
mi venne uno strano freddo allora,
come una ipotermia
sotto la cupola avvolta dalla neve,
per poi rinascere nei giardini di marzo,
perché i più bei fiori dell’anno
sono i non-ti-scordar-di-me.
2
Il tempo non ha concesso nulla alla Pasqua.
Sciolte le campane
si sono visti soltanto mouse e viperette.

Ho spento il notiziario,
dimenticate le formule dei cartomanti:
je ne veux rien savoir de la vie
e di tutte le tragedie
che s’attorcigliano come veleni
e spade acuminate.

L’ultima volta che ho visto Madame Bernard,
era di sabato e aveva il fascino
di chi sa legare il cuore ai lacci.

Arrugginito dagli anni
il carillon ha smesso di contarci le ore.

Sembrerà un giro di banderuola
ma il passaggio dell’inverno
non è stato indolore.

Rotondetta, tanto da ricordare le donne di Botero,
la Katiuscia di Kiev
ha messo piede nella casa
e nella nostra squilibrata età,
anche se amiamo ancora gli aquiloni
e i kayak per superare il mare.
3
Accendi la TV a vedere se hanno ucciso il gobbo,
ritrovato nel bosco il corpo di Jonny Boy,
il V-Day a Piazza San Giovanni,
la Storia siamo noi,
noi il Nulla, i morti da dimenticare,
se nevica ancora, se continua
nel buio luminoso, l’infantile disastro del mondo,
sbiadito nello specchio il doppio di noi stessi.

La sera ci guardiamo mentre affondano le rughe.

Prova a cercare, con il cordless o con il palmare,
se nel profondo degli spazi
ci sono ancora Nonno God e Mister Prufrock.
4
Per una festa la Caterina si è messa in moto
portando souvenir, il breve filamento delle cose.

Si sente che c’è Aprile, nuovo d’ali e di beccucci.
Qualcuno si siede sul sofà,
guarda i quadri alle pareti,
gusta sorbetti Carte d’or.

Arrivano messaggi, anime,
si scruta la lista degli assenti.

Il tempo stringe, vola la civetta,
qualche filo si spezza,
passa di mano il libro di Ken Follett,
effetti speciali nell’equilibrio della sera,
e fermo immagine con ricordo di famiglia,
non abbiamo innocenza né colpa,
solo il probabile evento del caso,
il breve filamento delle cose.
5
La sera ci colse di sorpresa
mentre batteva ai vetri
la rabbia del mese.

Domani la gazza
supererà di nuovo il muro di cinta
portandosi via i kelloggs al ketchup.

Il panorama non è più quello di prima
e dove c’era il busterbook
ora splende una villa.

Es una casa muy especial, disse Paco,
y valiosa porque la construyeron mis padres
con muchos esfuerzos.
Tiene dos pisos y una buhardilla
en la zona de noche.

Sombra y sueno a volte tornano
a coprire la zona dolore
del nostro passato.

Nel verde che avanza
potrebbero starci anche una chiesa
o una maison con draps,
e serviettes de toilette,
e qualcosa che ancora rimane della nostra vita.
foto donna in stile

6
PIOMBO FUSO

Sono anni, Louisette, che guardi la Senna,
come un uccello il bianco dell’inverno.

Non ti dico, quanta neve è caduta sullo Stelvio!

Nelle cabine c’erano avvisi di keep out,
una guida turistica del Rotary Club,
e un cuore di rossetto
firmato Goethe.

Il gelo ha impaurito i passeri forestieri,
inaciditi i mirtilli nelle cristalliere.

Da nord a sud barometri impazziti,
ghiaccio,
fosforo bianco su Gaza City,
tra artigli di condor sulle carni,
Mater dolorosa,
che facesti rifiorire il biancospino sulla collina.

Gennaio ha riacceso i candelabri
nel concerto dei morti,
tra toni bassi e controfagotti

Non so come tu abbia fatto a recidere le corde,
se il più sottile e amaro della vita
è il ricordo.

A monte e a valle
profumo di tulipani, briefing.

Eppure se ci pensi, capita di morire ogni giorno,
di passare più volte sotto il ponte di Mirabeau!

Ti dico solo che all’improvviso,
finito il piombo fuso su Jabaliya
si sono di nuovo accesi i lampi nella sera,
i fantasmi della Senna.

7
GLOSSARIO TERAPEUTICO

L’acne ha scavato il derma, doctor.
Bisognerà passare all’ablazione,signora,
prima delle devozioni della sera.
Non vi è altra speranza, altra cura
dopo il Differin Gel, e il peeling,
non allergenico, non comedogeno,
con Salicylic Acid e Lactamide Mea.
Bisogna aver pazienza, Madame,
aspettare il Big Ben
stando con monsieur K allo chateau d’Orleans.
Questa è opera di dèmoni e cherubini, di riti Voodoo.
Prima di dormire non segua il Gossip, le lezioni di Baricco,
La solitudine dei numeri primi, le staminali,
le ali dei rondoni, il Catamerone di Sanguineti,
le morti dei poeti ottuagenari.
Ci rallegrano le short stories dei Dream Songs.
Per il septemberfest preghi Dante di non farla incontrare
Farinata degli Uberti; chieda una terzina al lotto.
A Flintstones House, c’è un – tetto bianco a cupola,
muretti di pietra vulcanica, interni freschissimi.
E a Santorini, vi è pure un’ex dimora rurale –
ed un pendio per l’aldilà.
Oh le vocali di Rimbaud: A, come Allegory,
E, come Enjambement, I, come Ipèrbato, O, come Ossimoro,
U, come Underground!
Avevo una volta, mani dolci e cuore gentile,
le azioni Generali finite male nel Mercato Globale,
gli ossi di seppia, le seppioline al sauvignon.

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