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Claudio Borghi L’anima sinfonica (Negretto editore, 2017) con un Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa: La poesia di Claudio Borghi tra la tradizione musicale e nuovi fermenti

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L’anima sinfonica

dalla nota introduttiva del libro

I testi raccolti sotto il titolo L’anima sinfonica abbracciano un arco temporale molto esteso, dal 1978 al 1997. In realtà, i primi tre, L’attesa nel nulla, Itinerario verso l’Ultimo e Pensieri di Mozart, sono concentrati nel periodo tra il 1978 e il 1980, mentre il quarto, Il seme della notte, risale al biennio 1996-97.

Caro Giorgio,

L’anima sinfonica. È un lavoro che risale in buona parte (per almeno i 4/5) agli anni del liceo, tra il 1978 e il 1980 e questo può far pensare a un atto di auto indulgenza, e magari far sorridere. Le cose non stanno così. Per quanto si senta che si tratta di un opera di ricerca e di formazione, dentro c’è già tutta la vicissitudine che avrebbe poi alimentato la scrittura di Dentro la sfera e La trama vivente. La differenza sta nella prevalenza di temi filosofici e soprattutto teologici e mistici, che negli ultimi libri hanno trovato un giusto equilibrio nel contrappeso creato dalle riflessioni scientifiche, che allora mi erano praticamente estranee. Per quanto possa sembrare singolare, la pubblicazione è dovuta alla pressione dell’editore, un ex insegnante di filosofia ora in pensione, Silvano Negretto, mio collega oltre vent’anni fa, che ebbe allora occasione di leggere una versione di una parte del lavoro che ora esce, L’attesa nel nulla. Ne rimase a suo dire molto colpito, al punto che, circa 10 anni fa, quando, prossimo alla pensione, decise di aprire una casa editrice (specializzata in testi di ricerca filosofica, soprattutto su Spinoza), mi chiese ancora di quel testo. Il tempo è passato, io ci ho lavorato e adesso è diventato un libro che, oltre a L’attesa nel nulla, contiene altre sezioni, inclusi versi e prose scritti nel 1996 e 1997. Ti scrivo per annunciarti la cosa in quanto rileggendo e rielaborando quei testi, che mi sono costati un notevole sforzo di concentrazione, come avessi dovuto lavorare sull’anima di un altro, ho spesso pensato a te, trattandosi in buona parte di aforismi di una o poche righe, che possono essere letti anche singolarmente, ignorando la loro appartenenza a un insieme. Ci ho sentito una profonda sintonia con quello che tu e gli amici dell’Ombra state ricercando: il frammento che racchiude una densità cristallina di immagine e pensiero, la nota singola che contiene in potenza la molteplicità del suono, come la parte di un ologramma che vive autonomamente trattenendo in sé la potenza del tutto. Ecco il perché di certe domande recenti nel blog circa il principio olografico. La mia è una ricerca nel profondo, Giorgio, e ho bisogno vitale di confronto.

(Claudio Borghi)

dalla quarta di copertina

L’anima sinfonica è un poema tessuto di aforismi e versi, che si articola, come ha scritto Zena Roncada, in “un’unica complessa polifonia, di cui l’uno e il tutto, con fili hölderliniani, annodano gli estremi e gli eccessi, per lasciare, al centro, libero, lo scorrimento delle compresenze”. Nella continua germinazione di idee da semi identici, con la mente e il cuore in equilibrio instabile tra pieno e vuoto, essere e nulla, repentina accensione e improvvisa assenza di parola, trova forma un’esperienza creativa che non rientra in nessun genere, sospesa com’è tra poesia e filosofia, teologia e mistica. La trama delle idee si armonizza in una sinfonia interiore, segno di un itinerario in cui, oltre la ragione, l’anima tende alla visione definitiva, “chiusa in una sintesi di potenza, uovo di tutte le immagini, cuore della possibilità della fantasia che si rivela”, “senso e sensazione di una bellezza che non parla”.

Mi scrive Claudio Borghi:

Il libro è stato in origine pensato, e la natura singolare degli aforismi lo conferma, come una possibile evoluzione del Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein, che dalla forma del pensiero razionale-speculativo a poco a poco si trasfigura in poesia. Un’immagine che esprima questa evoluzione naturale, una sorta di mutazione genetica, dal pensiero speculativo alla poesia potrebbe essere uno dei tanti quadri di Escher in cui degli animali, ad esempio pesci, diventano uccelli o farfalle, liberandosi metaforicamente dalla prigione del sensibile e dell’intelletto per staccarsi in forma di volo poetico. Questa è la chiave di lettura fondamentale de L’anima sinfonica, in cui gli aforismi scandiscono inizialmente un ritmo profondamente affine a quello di Wittgenstein (o di Spinoza), per liberarsi a poco a poco dalla prigione della ragione logico-matematica in voli di rarefatta, mistica (purché l’aggettivo non venga frainteso) poesia.

La metafisica totale, quasi senza respiro, in cui mi trovavo immerso, una sui generis metafisica della luce (nel senso non tanto di Elytis, che allora non avevo letto, quanto del Juan Ramon Jimenez della Stagione totale o del Plotino delle Enneadi), si sposava, in una sorta di contrappunto poetico-musicale, con la teologia negativa della notte oscura di Juan de la Cruz o di Nicola Cusano, in una straniante quanto per me feconda prospettiva di possibile conoscenza empirica di una dimensione oltre l’io, a cui si accede dimenticando il sé contingente. La scienza sarebbe venuta dopo, la ricerca in fisica teorica sarebbe diventata il contrappeso necessario a non naufragare in un mare di soverchiante spiritualità».

(Claudio Borghi)

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L’«Evento» è quella «Presenza»

Il soggetto è quel sorgere che, appena prima,
come soggetto, non era niente, ma che,
appena apparso, si fissa in significante

*

L’io è letteralmente un oggetto –
un oggetto che adempie a una certa funzione
che chiamiamo funzione immaginaria

J. Lacan – seminario XI

La verità è quel genere di errore senza di cui un determinato genere di esseri viventi
non potrebbe vivere. Alla fine decide il valore per la vita

F. Nietzsche

L’«Evento» è quella «Presenza»
che non si confonde mai con l’essere-presente,
con un darsi in carne ed ossa.
È un manifestarsi che letteralmente sorprende, scuote l’io,
o sarebbe forse meglio dire lo coglie a tergo, a tradimento

G. Linguaglossa

Il soggetto è scomparso, ma non l’io poetico che non se ne è accorto,
continua a dirigere il traffico segnaletico del discorso poetico

G. Linguaglossa

La parola è una entità che ha la stessa tessitura che ha la «stoffa» del tempo

G. Linguaglossa

Commento di Giorgio Linguaglossa: La poesia di Claudio Borghi tra tradizione musicale e nuovi fermenti

Ho scritto a proposito de La trama vivente: «Claudio Borghi costruisce i suoi versi e le sue prose poetiche come partiture musical-pittoriche secondo una scansione temporale. Luce e Tempo sono i protagonisti di questa poesia, posta su un piano metafisico alto ma non nobile, piuttosto, direi, posata su un registro lessicale piano e prosastico. Il flusso del Tempo, scandito come una entità metrica variabile, spiega il ritmo ondulatorio che contrassegna questa scrittura.

Molte composizioni sono strutturate come movimenti o sequenze musicali: iniziano con un cerimoniale che scollima in un Allegro moderato, per poi, subito dopo, alleggerire il tono mediante l’inserimento di un Lento e di un Andante  legati; quindi, di nuovo, ecco un Adagio e un pianissimo, fino a giungere ad un Andante misurato e tranquillo. Un pensiero poetico incastonato in una partitura musicale, suddivisa in più movimenti melodici e ritmici è chiaramente rinvenibile sia ne La vera luce (di seguito riportata per intero) che nelle sequenze poematiche Il tempo immemore e La trama vivente».

Claudio Borghi è un autore che cerca una sua via di uscita dalle secche della poesia italiana epigonica, ne prendo atto, un outsider che si cimenta nella riflessione teorica sulle origini e la natura del tempo, tenta un poema speculativo alla maniera di Lucrezio un De rerum dell’essere. La sua poesia e il suo pensiero testimoniano questo tragitto sin dalle prime manifestazioni, fino ai contributi di questi ultimi anni. Figura «insolita» di poeta.

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È in sostanza una poesia musical narrativa, enunciati narrativi che «musicano» il vicendevole implicarsi, nella presenza dell’Ego, di ritenzione del passato nel ricordo e di protensione del futuro nell’attesa; è poesia che si presenta con un’articolazione intemporale, impersonale, incantatoria che vuole eludere ogni riferimento «interno» all’oggetto e al soggetto dell’enunciazione. La dizione poetica va sempre per linee eternanti, come in una certa tradizione del Novecento che va da Myricae di Pascoli all’ultimo Bacchini. Il problema di Borghi è, a nostro (della NOE) avviso, un problema di «linee interne»: voglio dire che finché ti muovi nell’ambito delle «linee esterne» la poesia sarà «esterna», vista da un osservatore posto all’esterno che narra, posizione che fa necessariamente a meno delle «linee interne e internautiche», che fa a meno delle interruzioni e dei salti metaforici e sinonimici; l’enunciazione poetica si dà come un continuum «musicale» pur nella frammentazione della dizione asseverante e assertoria.

Non mi meraviglia affatto l’apprezzamento di Borghi per un poeta come Bacchini, il quale è forse il poeta del Nord che ha in questi ultimi anni più puntato sulla roulette della «gibbosità» delle parole e sul contrasto cacomorfico e cacofonico della linguisticità, ma in un quadro concettuale pur sempre ancorato alla rappresentazione «unilineare» dal punto di vista del soggetto. Continua a leggere

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